Destra di Popolo.net

SALVINI: “PAGARE IL CANONE RAI PER GUARDARE I FAZIO O I TELEGIORNALI DI SINISTRA, ANCHE NO” . E OSPITE DI FAZIO POCO DOPO C’ERA ZAIA

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

PECCATO CHE LA LEGA CONTROLLI IL TG2, TUTTI I TG RAI REGIONALI E FRATELLI D’ITALIA RAINEWS24, ALTRO CHE TG DI SINISTRA

Ieri in una diretta su Tik Tok, divenuto il suo canale di comunicazione privilegiato, il leader della Lega e Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini è tornato a sparare su Fabio Fazio e sul suo programma Che tempo che fa.
Ribadendo il proprio impegno per l’abolizione del canone Rai dalla bolletta, ipotesi che tuttavia il collega leghista Giancarlo Giorgetti a capo del Mef ha dichiarato non essere nelle intenzioni del Governo Meloni, Salvini ha sentenziato durante la diretta Tik Tok: “Via il canone Rai? Assolutamente sì, pagare il canone Rai per guardare i Fazio o i telegiornali di sinistra, anche no”.
Peccato però che, poche ore dopo tale diretta, chi c’era ospite da Fazio? Ma proprio uno dei principali esponenti del Carroccio, ovvero Luca Zaia, Governatore del Veneto e giudicato da molti “l’anti-Salvini”, ovvero colui che avrebbe più chance di sostituire “il Capitano” alla guida della Lega. Ma quella di Salvini è stata una gaffe, oppure l’attacco a Fazio era un sottinteso invito a boicottare l’intervista del conduttore ligure a Zaia? Chissà.
Per giunta, a proposito di telegiornali della Rai, il segretario della Lega dovrebbe ricordare che il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, fu designato nel 2018 alla guida del notiziario in quota Lega, per poi essere nominato a capo del dicastero della Cultura nell’attuale governo Meloni, diventando un ministro collega dello stesso Salvini nell’attuale governo Meloni.
E che a capo della TGR, ovvero di tutti i Tg regionali Rai, c’è Alessandro Casarin, nominato sempre in quota Lega.
E cosa dire di RaiNews24 presieduto da Paolo Petrecca in quota Fratelli d’Italia? Tutti di Sinistra, dunque, i telegiornali Rai non sembrerebbero proprio
(da agenzie)

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DOPO IL REDDITO, ARRIVA IL CUSCINETTO DI CITTADINANZA: UNA SOLUZIONE PONTE FINO AL 31 DICEMBRE

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

LA CANCELLAZIONE IMMEDIATA DAL 1 GENNAIO, CHE AVREBBE PERMESSO DI RISPARMIARE 1,8 MILIARDI, È STATA ACCANTONATA, COME VOLEVA LA MINISTRA DEL LAVORO, CALDERONE

Un anno di ‘cuscinetto’ per inserire i lavoratori occupabili nel mondo del lavoro, accompagnati da appositi corsi di formazione, considerati obbligatori. Sarebbe questa, in attesa della decisione finale del cdm, la soluzione individuata dal governo come uscita soft dal reddito di cittadinanza per i cosiddetti occupabili.
L’idea della cancellazione immediata del beneficio già dall’1 gennaio, che avrebbe permesso di risparmiare 1,8 miliardi, sarebbe stata accantonata, sposando invece la soluzione ponte proposta dalla ministra del Lavoro Calderone.
La data di interruzione sarebbe quindi, a quanto si apprende, fine 2023
(da agenzie)

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LA PERFORMANCE ECONOMICA DURANTE LA PRESIDENZA BIDEN È MIGLIORE RISPETTO A QUELLO CHE I MEDIA LASCIANO INTENDERE

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

IL NOBEL PAUL KRUGMAN IN LODE DI BIDEN E DELLE SUE RICETTE ECONOMICHE: IL MERCATO DEL LAVORO VA A GONFIE VELE. E INSIEME AI PREZZI, ANCHE GLI STIPENDI SONO CRESCIUTI”

Perché nelle elezioni di metà mandato l’economia in cattive acque non ha portato al tanto anticipato “bagno di sangue” per i democratici? Ancora non è chiaro quale partito finirà davvero per controllare il Congresso, ma i democratici hanno eclissato la normale performance di Midterm di un partito che ha un suo presidente alla Casa Bianca. I democratici, infatti, non hanno patito niente di simile alla perdita di 64 seggi subita alla Camera nel 2010 o a quella dei repubblicani di 42 seggi nel 2018.
Che cosa è successo? Secondo le versioni correnti, tutto è dipeso dall’aborto, una tematica rivelatasi molto più determinante di quanto si prevedesse. Di sicuro, le preoccupazioni per l’aborto hanno contribuito a scongiurare una “ondata rossa”. Gli exit poll, però, hanno lasciato intendere che altrettanto importanti sono state le preoccupazioni per il futuro della democrazia – che alcuni cinici osservatori hanno liquidato come inverosimili per molti elettori – e gli elettori hanno detto che questa è stata la loro considerazione principale, in egual misura rispetto a chi ha citato l’inflazione.
Può anche darsi che l’economia non abbia costituito un freno per i democratici, come ci si aspettava che fosse. Alcuni di noi da qualche tempo sostengono che la performance economica durante la presidenza Biden è migliore rispetto a buona parte di quello che i mezzi di informazione ci fanno vedere e lasciano intendere.
Il mercato del lavoro è andato a gonfie vele, con un ritorno straordinariamente rapido ai livelli occupazionali antecedenti alla pandemia, in contrasto con la lenta ripresa che si ebbe dopo la crisi finanziaria del 2008. I prezzi in forte aumento hanno eroso il potere d’acquisto, ma anche gli stipendi sono cresciuti, facendo sì che i lavoratori a bassa retribuzione avessero la meglio sull’inflazione, sia da quando è iniziata la pandemia sia da quando Biden ha assunto l’incarico di presidente.
In linea generale, gli economisti che evidenziavano notizie positive riguardo all’economia sono stati liquidati come fuori dalla realtà: i normali cittadini, ci è stato detto, non ne hanno avuto sentore. Dopotutto, il tanto citato indice di fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan è precipitato a livelli che non si vedevano dai tempi della crisi finanziaria e, prima di allora, dalla stagflazione del 1980.
Vi sono però anche altri indicatori, e raccontano una versione completamente diversa. Un altro sondaggio in corso da tempo sui consumatori, condotto dall’indipendente Conference Board, mostra che l’inflazione mette a dura prova la fiducia dei consumatori – ma solo in misura tale da abbassarla ai livelli del 2015. Se volete sapere la mia opinione, le elezioni di metà mandato appaiono più rispondenti ai risultati dell’analisi del Conference Board che a quelli dell’Università del Michigan.
Un sondaggio della Federal Reserve per il 2021 ha evidenziato che i nuclei familiari erano molto pessimisti nei confronti dell’economia nazionale, ma molto ottimisti riguardo la loro situazione finanziaria, e più o meno a metà strada per ciò che concerne l’economia locale che conoscono bene per esperienza diretta. Suppongo che i risultati del 2022 appariranno simili. Inoltre, la spesa dei consumatori è rimasta forte, il che non si concilia granché con chi ha espresso un forte pessimismo economico.
Sembra quanto meno possibile che gli americani abbiano riferito ai sondaggisti che l’economia versa in pessime condizioni perché dai media si sono sentiti dire questo, ma poi abbiano votato in base alla loro esperienza personale, molto più eterogenea. Inoltre, se è evidente che agli elettori l’inflazione non piace affatto, non è chiaro quanto ciò abbia influito sui loro voti.
È vero: gli elettori che hanno parlato di inflazione, loro massima preoccupazione, perlopiù hanno dato la loro preferenza al Partito repubblicano, più di sette su dieci, secondo l’exit poll della Cnn. A ben pensarci, però, questa statistica solleva problemi in termini di rapporto causa-effetto. Le persone preoccupate per l’inflazione sono state maggiormente propense a votare per i repubblicani, oppure chi era già deciso a votare per i repubblicani ha individuato nell’inflazione la questione più scottante e delicata? Probabilmente, entrambe le cose. Nbc News ha formulato una domanda per taluni aspetti diversa: in quale partito riponete maggiore fiducia ai fini di una gestione sapiente dell’inflazione?
I repubblicani erano favoriti, ma soltanto nella misura del 52 per cento. Questo margine, sorprendentemente ridotto, mi ha molto colpito, tenuto conto della storica tendenza degli elettori americani a incolpare il partito alla Casa Bianca ogniqualvolta accade qualcosa di brutto. Forse, quindi, gli analisti politici non hanno dato abbastanza credito agli elettori. I prezzi in aumento infastidiscono gli americani, molto, ma è possibile che parecchi di loro abbiano guardato nel vuoto della retorica del Gop, rendendosi conto che i repubblicani non hanno un piano contro l’inflazione.
Questo mi porta a formulare un’ultima domanda: quali sono state le conseguenze politiche della Bidenomics, il programma di interventi economici voluto dal presidente Joe Biden? È opinione comune che le ingenti spese sostenute all’inizio della sua presidenza siano state disastrose sul piano politico, perché hanno alimentato l’inflazione e portato a un diffuso contraccolpo nell’opinione pubblica.
L’American Rescue Plan ha contribuito a promuovere una rapida crescita nella creazione dei posti di lavoro, ma ci è stato detto che non era merito dei democratici. Tenuto conto dei risultati elettorali, tuttavia, sembra proprio che il cospicuo aumento dei posti di lavoro sia stato più che positivo per i democratici, più di quanto si lasci intendere. Pur essendo vero che le ingenti spese del 2021 probabilmente hanno concorso all’inflazione, buona parte dell’inflazione più recente – soprattutto l’aumento dei prezzi di benzina e generi alimentari, molto rilevante sul piano politico – è stata il riflesso di eventi su cui nessun presidente ha controllo (a meno che tale presidente non si chiami Vladimir Putin).
Mettiamola così: se non ci fosse stato un rescue plan e l’inflazione fosse stata al sei per cento invece che all’otto per cento, ma i prezzi di benzina e generi alimentari fossero andati alle stelle nello stesso modo, i democratici si sarebbero trovati in una posizione politica più forte? Probabilmente no. Viceversa, se ci fossero stati meno posti di lavoro creati dallo stimolo fiscale, in verità i democratici avrebbero avuto un risultato elettorale peggiore.
Insomma, io credo che se le elezioni di metà mandato da un lato hanno dimostrato che gli elettori hanno a cuore anche altro, oltre l’economia, dall’altro hanno dimostrato altresì che i pungenti giudizi negativi sulla “Bidenomics” erano quantomeno prematuri. L’economia sotto Biden non è andata poi malaccio, e di sicuro non ha affossato il suo partito.
Paul Krugman* per “The New York Times”
pubblicato da “La Stampa”

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“LA CANDIDATURA DI LUIGI DI MAIO NON RIGUARDA UNA PROPOSTA A LIVELLO GOVERNATIVO”: L’UE PRECISA CHE L’INCARICO PER LUIGINO, COME INVIATO EUROPEO NEL GOLFO PERSICO SI BASA SU “CANDIDATURE LIBERE E SU BASE VOLONTARIA”

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

LA NOTA ARRIVA DOPO CHE TAJANI AVEVA PROVATO AD ADDOSSARE LA “COLPA” DELLA SCELTA DI DI MAIO AL GOVERNO DRAGHI

La candidatura di Luigi Di Maio «non riguarda una proposta a livello governativo, ma è autonoma e indipendente come quelle di tutti gli altri candidati, sulla base di quanto stabilito dalle procedure europee».
La precisazione arriva da ambienti dell’Ue, interpellati dall’AdnKronos , e segue le polemiche innescate dall’ipotesi di incarico di inviato europeo nel golfo Persico per l’ex ministro degli Esteri. Le procedure per questo particolare incarico, prevedono, infatti, «candidature libere e su base volontaria». Una commissione tecnica e indipendente ha esaminato i profili e ha indicato la propria scelta all’alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell.
Un iter diverso dalle nomine politiche come, ad esempio, l’indicazione dei Commissari europei. La polemica sul nome di Di Maio aveva già visto il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, assumere una posizione chiara: «Non è una proposta di questo governo ma di quello precedente» ha dichiarato l’esponente forzista. Una posizione «molto apprezzata» da Maurizio Gasparri, senatore azzurro di lungo corso, che nonostante la precisazione registrata in ambiti Ue, insiste e affonda il colpo: «Prendo atto della posizione del governo Meloni. Si è trattato di un’iniziativa del governo precedente. Ovvero Di Maio, che era ministro degli Esteri, ha designato sé stesso per l’incarico che deve essere assegnato dall’Unione Europea. La distanza espressa dall’attuale esecutivo dovrebbe indurre all’archiviazione di una proposta priva dei requisiti di competenza e adeguatezza».
Di opinione opposta l’esperto di politica internazionale americano Edward Luttwak: «Di Maio è più che qualificato per rappresentare l’Ue nel golfo Persico. L’ex ministro degli Esteri ha imparato velocemente il mestiere di rappresentare l’Italia». Carlo Calenda invoca «magnanimità nei confronti dello sconfitto».
(da agenzie)

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ESPULSA DALLA GERMANIA L’INFLUENCER RUSSA CHE INSULTAVA SUI SOCIAL I PROFUGHI UCRAINI E BALLAVA AL RITMO DEI BOMBARDAMENTI DI MOSCA

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

SI TROVAVA IN GERMANIA IN MODO ILLEGALE

Era apparsa su TikTok ballando sui suoni delle bombe di Mosca che cadevano sul territorio ucraino. L’influencer russa Yulia Prokhorova, diventata nota per aver registrato più video contro i rifugiati ucraini, è stata espulsa dalla Germania.
Un’operazione che, come già spiegato da Open, le autorità tedesche stavano tentando di portare a termine dallo scorso aprile. A farlo sapere è il The Insider che tramite il corrispondente dall’aeroporto di Berlino diffonde le immagini della donna con gli agenti di polizia.
Già lo scorso 14 novembre la rivista Bild aveva riferito di una perquisizione che la polizia aveva fatto nell’appartamento della donna a a Landshut (Bassa Baviera). Durante la perquisizione, gli agenti avevano sequestrato tre smartphone e un laptop, scoprendo tra le altre cose che Prokhorova si trovava in Germania illegalmente. Dopo l’intervento delle forze dell’ordine, l’influencer ha smesso di comunicare sui social. Ora la notizia dell’espulsione dal Paese.
Prokhorova registrava e pubblicava regolarmente video con le sue provocazioni. Dalla musica russa ad alto volume per le strade tedesche al ballo sulla canzone russa Kalinka fatto il 9 maggio a Monaco durante una manifestazione filo-ucraina.
Dalla corsa dietro le ragazze ucraine cantando “La Russia vincerà“, ai consigli rivolti agli europei per sprecare energia, «in modo che l’Europa paghi più soldi alla Russia».
E ancora il video in cui usa lettere ufficiali della polizia al posto della carta igienica nella toilette. Secondo quanto ricostruisce The Insider, Yulia Prokhorova è nata nel 1992 nel villaggio di Bezenchuk, nella regione di Samara. Dopo un poco si è trasferisce a Mosca. «Ufficialmente ha lavorato come cassiera nel negozio Pyaterochka ed è stata anche inserita nell’organizzazione di microfinanza Fast Money», continua il giornale.
(da agenzie)

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COVID, TORNANO A SALIRE CONTAGI E RICOVERI

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

GIMBE: “IL GOVERNO VA NELLA DIREZIONE OPPOSTA A QUANTO SIUGGERITO DALLE AUTORITA’ SANITARIE”

Tornano a salire i dati sui ricoveri, le terapie intensive e i nuovi contagi da Covid-19. È quanto emerge dall’ultimo monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe, relativo alla settimana dall’11 al 17 novembre. Negli ultimi sette giorni presi in esame, i contagi sono aumentati del 15% (da 181mila a 208mila), le terapie intensive del 21,7% e i ricoveri in area medica del 9,8%.
Calano invece i decessi: 533 in sette giorni, 23 in meno della settimana precedente. «Con la circolazione virale in aumento ci si attende dal governo un piano per l’inverno», ammonisce commentando i dati Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
Al momento, prosegue Cartabellotta, è impossibile fare previsioni sugli scenari futuri. I dati dell’ultimo monitoraggio, però, confermano una diffusa ripresa della circolazione del Coronavirus, che con ogni probabilità è da considerarsi anche sottostimata a causa del largo utilizzo dei tamponi fai-da-te. «Nonostante le recenti rassicurazioni del ministro Orazio Schillaci alla Camera, ad oggi tutte le azioni di discontinuità del governo Meloni sono andate nella direzione opposta a quella suggerita dalle autorità internazionali di salute pubblica: ovvero essere preparati e pronti per affrontare eventuali nuove ondate», continua il presidente di Gimbe.
Casi in aumento in 15 regioni
Nel dettaglio, in 15 regioni si registra un aumento dei nuovi contagi e in 6 un calo: si va dal +1,5% del Friuli Venezia-Giulia sino al +26,3% del Veneto. Per quanto riguarda le province, sono 82 quelle in cui si registra un aumento dei nuovi casi (dal +0,1% di Messina al +55,3% di Lodi), mentre in 25 si assiste a una diminuzione (dal -0,8% di Catania e Perugia al -25,3% di Sondrio). In 9 province italiane, poi, l’incidenza di Coronavirus ha superato la soglia dei 500 casi ogni 100mila abitanti. Si tratta di Rovigo (899), Padova (724), Venezia (661), Treviso (613), Vicenza (588), Ferrara (580), Mantova (530), Lodi (529) e Verona (504). Per quanto riguarda il numero di casi attualmente positivi, nell’ultima settimana si registra un aumento dell’8,2%: da 418.554 di inizio novembre agli attuali 452.895.
Cala la somministrazione delle quarte dosi
Mentre aumentano i nuovi contagi, calano le somministrazioni delle quarte dosi di vaccino anti-Covid per anziani e fragili. Al 18 novembre sono state somministrate 4.783.386 quarte dosi, con una media di 26.704 al giorno, in calo rispetto alle 30.319 della scorsa settimana (-11,9%) e con una copertura nazionale del 25%. Forti le differenze tra regioni, che vanno dall’11,4% della Calabria al 37,7% del Piemonte. Nel focus dedicato ai vaccini, la Fondazione Gimbe precisa che sono 6,8 milioni le persone di età superiore a 5 anni che non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino. Per quanto riguarda infine la terza dose, in base alla platea ufficiale (47,7 milioni) il tasso di copertura nazionale è dell’84,5%. Più contenute in questo caso le differenze tra diverse regioni. Si va dal 78,5% della Sicilia all’88,4% della Lombardia.
(da agenzie)

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“PARTITA? QUALE PARTITA?”: MENTRE LE STRADE DI DOHA SI RIEMPIONO DI TIFOSI E TURISTI PER IL MONDIALE, C’È UNA PARTE DELLA CAPITALE DEL QATAR CHE SE NE FREGA DEL TORNEO

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

GLI “EXPAT” NEPALESI, CINGALESI, INDIANI E PAKISTANI, MOLTI DEI QUALI HANNO CONTRIBUITO ALLA COSTRUZIONE DEGLI STADI E LE STRUTTURE PER OSPITARE LA GENTE IN ARRIVO, VIVONO NELLA TOTALE INDIFFERENZA DELLA COPPA DEL MONDO

Tenera non è la notte araba. E nemmeno storica. Ma i fuochi di artificio ci sono lo stesso. La prima partita mondiale del Qatar finisce male. E continua la serie delle prime volte: mai un Paese ospitante aveva perso la partita inaugurale. Tocca al Qatar che con il pallone ci azzecca poco, che è arrivato allo stadio clacsonando molto e se ne va sui suoi ricchi Suv, con le bandiere issate, ma senza fare baccano.
Il 2 a 0 dell’Ecuador smonta un po’ il sogno: c’era tanta euforia prima, c’è l’orgoglio ammaccato ora. Inshallah. La notte dell’esame è stata un disastro. Sarà per la prossima partita. Anche se nella ripresa lo stadio si è dimezzato, come se i tifosi di casa ne avessero abbastanza di subire. Il tanto celebrato incontro di culture non sazia. E c’è chi dice che alla gioventù libanese (con passaporto e tre dosi di vaccino) siano stati offerti viaggio e 800 dollari per travestirsi da fan locali e tifare.
Il Qatar festeggia (da sobrio) l’inizio del Mondiale, ma ride poco con la sconfitta. Essere ricchi non è tutto, e al pallone non si comanda.
A Msheireb, il quartiere downtown, con l’architettura più sofisticata e moderna, con piazzette e verde, i cortei dei tifosi danno l’idea di una ritirata. C’eravamo tanti illusi.
Al suk Najma frequentato dai poveri, da chi questo Mondiale l’ha costruito e patito, dai residenti che vengono da fuori, detti anche “expat”: nepalesi, cingalesi, indiani, pakistani, keniani, filippini, l’atmosfera è indifferente.
Nemmeno una tv, uno schermo, turisti zero. C’è la moschea, dove si entra solo per pregare, dedicata all’Iman Mohammad Bin Abdul Whaab. Najma è il mercato di seconda mano, della roba usata, una specie di Porta Portese, di negozietti, catapecchie, bar minuscoli, piccole friggitorie. È un parcheggio riconvertito a bazar, non ha nulla di bello, né di etnico: si vendono poltrone, sedie, vetri, tappeti, alluminio, ferramenta, pezzi di cucina, biciclette, tavoli, lampade, attaccapanni.
File di negozi, con davanti pick-up, furgoncini e forza-lavoro. Pasticceria con sei tavoli, una sola stanza, tutti uomini. E nemmeno una tv, nessuno che guardi la partita. Qui si traffica, si aggiusta, qui le comunità si ritrovano. C’è anche una macelleria «Najma Butler» con quarti di bestie che pendono dal gancio. Che carne vendete? «Locale». E la partita? «Quale partita?».
Abdul Arakman è indiano, viene dal Kerala, lavora in cucina, è cuoco, ha 35 anni è qui da undici: «Calcio, non m’ interessa, penso alla mia famiglia». Junaid è dal Pakistan: «Stadio, non posso permettermelo, meglio il cricket».
Roshan, operaio nelle costruzioni, dello Sri Lanka: «Sono qui per vedere mio cugino, non la partita, ma qui non troverà nessuno a cui freghi il calcio». Alex è un gigante del Kenya che fa la guardia sicurezza: «Posso invitarla nella mia stanza, ma siamo in quattro e non ho la tv». Grazie, facciamo un’altra volta. Miracolo a Najma: da «Shatta» c’è una tv accesa, la partita, con quattro uomini davanti. Allora vedi che il Qatar si è convertito? Cosa vendete qui? «Cibo egiziano». Si presenta: «Sono Mohammad, vengo da Giza, tifo Salah, che qui non c’è».
Accanto c’è il pomposo (di nome) «Al Jazeera Electric Showroom », che vende ventilatori e condizionatori. Ha una tv sulla vetrata che mostra la partita. Desolazione, nessuno si ferma, non c’è fila. Finalmente una persona che si piazza lì. Ha l’auricolare. Si chiama Ganesh Minun, 34 anni, cingalese, operaio. Interessato al match, sta ascoltando la cronaca? «Sto parlando con mia figlia, mi sono fermato qui perché c’era più luce». Ah, scusi.
(da La Repubblica)

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QATAR 2022, I GIOCATORI IRANIANI NON CANTANO L’INNO

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

FISCHI DAI TIFOSI, MA SPUNTANO STRISCIONI DI SUPPORTO PER I MANIFESTANTI

I giocatori iraniani si sono rifiutati di cantare l’inno nazionale prima della partita contro l’Inghilterra ai Mondiali in Qatar. In tutta risposta, una parte dei sostenitori iraniani presenti allo stadio li ha fischiati e insultati. Dai primi video ripresi all’interno del Khalifa Stadium, si vedono alcuni tifosi mostrare il dito medio verso il campo.
Dalla curva iraniana, invece, si è sollevata una bordata di fischi, indirizzati ai giocatori che hanno scelto di rimanere in silenzio durante l’inno nazionale.
Accanto ai fischi e agli insulti, però, c’è anche una parte del pubblico che si è schierata a difesa della scelta dei giocatori di solidarizzare con le migliaia di manifestanti che da mesi protestano in diverse città iraniane. Dagli spalti dello stadio Khalifa sono spuntati alcuni cartelli con le scritte «Freedom for Iran» e «Women, Life, Freedom».
La decisione di rimanere in silenzio durante l’inno nazionale era già stata anticipata ieri dal difensore Ehsan Hajsafi, che in conferenza stampa si era ripromesso di rappresentare «la voce del suo popolo».
Secondo l’ong Iran Human Rights, sarebbero oltre 378 gli iraniani morti nelle strade negli ultimi due mesi durante le rivolte nate dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini.
Se da un lato, la nazionale iraniana ha deciso di unirsi simbolicamente alle manifestazioni in corso nel proprio Paese, dall’altro anche l’Inghilterra ha voluto lanciare un messaggio.
Prima del fischio di inizio, infatti, i giocatori della nazionale inglese si sono inginocchiati per qualche secondo. Un gesto fatto per esprimere solidarietà verso il movimento anti-razzista «Black Lives Matter».
Sulla questione del rispetto dei diritti Lgbtq+, invece, la squadra inglese ha fatto retromarcia rispetto alla decisione inizialmente annunciata dal capitano Harry Kane di indossare una fascia arcobaleno in segno di solidarietà, dopo la minaccia della Fifa di sanzionare con un cartellino giallo l’eventuale responsabile dell’iniziativa.
(da agenzie)

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BONUS MATRIMONI RELIGIOSI, PERSINO LA CHIESA CONTRO IL DELIRIO LEGHISTA

Novembre 21st, 2022 Riccardo Fucile

L’ARCIVESCOVO PAGLIA: “SE LO STATO VUOLE AIUTARE LE FAMIGLIE LE SOSTENGA TUTTE, SENZA DISCRIMINARE”

La proposta di un ‘bonus matrimonio’ presentata alla Camera dalla Lega ha interrotto per alcune ore il dibattito sui contenuti della prossima legge di bilancio, che verrà discussa oggi in Consiglio dei ministri.
Il bonus, che potrebbe arrivare fino a 20mila euro di detrazioni fiscali coprendo il 20% delle spese della celebrazione, nella proposta è previsto solo per i matrimoni religiosi.
Il primo firmatario del disegno di legge è Domenico Furgiuele, vice-capogruppo della Lega alla Camera, che ieri ha chiarito – dopo le polemiche – che la proposta è “volta a incentivare il settore del wedding” e che prevede “un bonus destinato ai soli matrimoni religiosi” solo a causa di “questioni di oneri”.
Nelle intenzioni dichiarate ora da Furgiuele, però, “durante il dibattito parlamentare sarà naturalmente allargata a tutti i matrimoni, indipendentemente che vengano celebrati in chiesa oppure no”.
Tra gli altri criteri previsti ci sarebbe l’età degli sposi (under 35) e la fascia di Isee, che dovrebbe essere complessivamente sotto i 23mila euro. Ma anche la cittadinanza italiana da almeno 10 anni.
Il bonus potrebbe coprire tutte le spese, incluse quelle per “i fiori e i libretti” in chiesa e quelle per la festa, quindi ristorazione, bomboniere, acconciatura e servizio fotografico. La spesa prevista sarebbe di 716 milioni di euro per 5 anni.
A firmare il ddl sono stati anche i deputati Simone Billi, Ingrid Bisa, Alberto Gusmeroli ed Erik Pretto.
L’impostazione era diretta ai matrimoni religiosi rispetto a quelli civili, nonostante le rassicurazioni arrivate da Furgiuele in risposta alle critiche di molte parti politiche.
Carlo Calenda, leader di Azione, ha commentato scrivendo che “al di là della probabile incostituzionalità, si conferma che la Lega di Salvini è letteralmente fuori controllo”.
Sempre da Azione, la neoeletta presidente del partito Mara Carfagna ha dichiarato: “Altro che ‘libera Chiesa in libero Stato’, qui siamo ancora al Papa Re”.
Alessandra Moretti, parlamentare europea del Partito democratico, ha scritto che la proposta di legge “denota una cialtroneria rara e l’assoluta distanza dai problemi reali del Paese”.
“Roba da mercanti del tempio”, ha detto il senatore Pd Enrico Borghi. Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, ha affermato che “la detrazione delle spese sostenute per i matrimoni solo in chiesa si inserisce nel filone dei bonus per qualsiasi cosa ma, a qualificarla nel solco reazionario della destra sovranista, è il fatto che il beneficio andrebbe riservato a italiane e italiani da almeno dieci anni e che scelgono il matrimonio religioso, ovviamente rigorosamente etero: una perla di analfabetismo costituzionale”.
Le critiche non sono arrivate solo da parti politiche: l’arcivescovo Vincenzo Paglia ha commentato sul Corriere della Sera che “davanti alla crisi dei matrimoni religiosi e civili, è opportuno pensare ad un sistema per sostenere le unioni stabili. Se lo Stato vuole aiutare le famiglie ben venga, ma tutte le famiglie”.
Anche il governo ha preso le distanze, sottolineando che si tratta di “un’iniziativa parlamentare” e che “non è allo studio del governo”, perché l’esecutivo punta a “sostenere la famiglia con misure concrete e realizzabili”.
(da Fanpage)

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