Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile IL VESCOVO DI NORCIA: “SCHIAFFO ALLA GENTE”
La premier Giorgia Meloni firma il Dpcm che nomina il senatore di Fratelli
d’Italia Guido Castelli nuovo commissario per la ricostruzione post-sisma. Il governo ha quindi scelto di sostituire Giovanni Legnini, che negli ultimi tre anni aveva coordinato i lavori nelle 4 Regioni del Centro Italia colpite dai terremoti del 2016 e del 2017.
Al suo posto arriva l’ex sindaco di Ascoli Piceno, accolto con entusiasmo dai due governatori di FdI di Abruzzo e Marche, Marco Marsilio e Francesco Acquaroli.
Protestano invece le opposizioni, in particolar modo il Pd, che accusa il governo di non aver dato ascolto ai sindaci, alle forze sociali ed economiche, ai comitati e alle associazioni delle zone colpite dal sisma “che chiedevano con forza che il lavoro del commissario Legnini non fosse interrotto“.
Legnini in un nota commenta la decisione: “A Castelli vanno i miei auguri di buon lavoro, insieme alla piena disponibilità a favorire un ordinato passaggio di consegne“. “Ho esercitato la funzione commissariale per 34 mesi con totale dedizione, passione ed imparzialità, sempre avendo a mente la sofferenza delle persone e delle imprese colpite dai terremoti del 2016-2017″, sottolinea Legnini.
Per il Partito democratico “il governo non ha voluto ascoltare i tantissimi sindaci, le tantissime associazioni della zona del cratere che chiedevano la conferma di Giovanni Legnini come commissario per la ricostruzione”, dice il senatore Walter Verini.
Sulla stessa linea la deputata marchigiana Irene Manzi: “Un grave errore che priva la gestione della Ricostruzione di un serio professionista che stava facendo uno straordinario lavoro”. Protestano anche i consiglieri regionali di centrosinistra in Abruzzo: “Una scelta di potere quella di sostituire con un nome di Fratelli d’Italia quello del commissario Giovanni Legnini e discutibile perché di fatto il Governo così ha scelto di rilanciare l’Ente commissariale della ricostruzione, alla vigilia dell’uscita dal commissariamento a cui stava portando proprio il lavoro straordinario compiuto da Legnini in questi tre anni. Un obiettivo quasi centrato, che presto avrebbe potuto vedere riconsegnate alle municipalità azioni e scelte e che con la nomina di Guido Castelli siamo certi non si realizzerà a breve”.
Ma non è solo la politica a schierarsi: contro la non riconferma di Legnini ha preso posizione anche il vescovo di Spoleto Norcia, Renato Boccardo. Per il monsignore la decisione della premier “è uno schiaffo alle popolazioni terremotate”. Boccardo ha spiegato: “Non ho nulla contro il nuovo commissario, che per altro non conosco, ma credo che l’operazione sia figlia di una politica scellerata e di basso livello che passa sopra le teste della gente”. Nei mesi scorsi i comitati dei cittadini del cratere e vari sindaci si erano espressi a favore di una riconferma di Legnini.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile TRA LO STAFF DI BONACCINI INIZIA A SERPEGGIARE L’IDEA CHE IL PRESIDENTE DELL’EMILIA-ROMAGNA NON RIESCA A ESSERE ELETTO: “È UN PERSONAGGIO ABBASTANZA COSTRUITO, MA ORA TOCCA FARE ATTENZIONE”
Sondaggi in calo, elogi al Partito Comunista, confusione sulle alleanze. Stefano Bonaccini e i suoi cominciano a essere preoccupati per il risultato del congresso del Pd.
Solo un mese fa la pratica per conquistare la leadership dei dem sembrava cosa fatta. Con le prime rilevazioni «coperte» che davano il governatore dell’Emilia Romagna di ben dieci punti avanti rispetto alla sfidante Elly Schlein. Solo che, settimana dopo settimana, il margine tra i due candidati si sta assottigliando sempre di più.
Già il 12 dicembre scorso, un sondaggio di Swg per il Tg La7, registrava il trend calante per Bonaccini: quattro punti di vantaggio sulla sua ex vicepresidente in vista delle primarie di febbraio.
Sulla data del voto, fissata per il 19 febbraio, prosegue il braccio di ferro tra le correnti. Nelle ultime ore ha preso quota l’ipotesi di una consultazione il 26 febbraio, ma Bonaccini è contrario perché un ulteriore rinvio potrebbe favorire la rimonta di Schlein.
E in effetti ora lo scenario è abbastanza lontano dalla marcia trionfale che all’inizio gli osservatori prospettavano per il frontman dei riformisti del Nazareno. Ma c’è di più. Negli staff dei candidati circolano nuove rilevazioni riservate che prevedono un testa a testa tra Bonaccini e Schlein.
A peggiorare la situazione ci si è messa anche la rivendicazione delle celebrazioni del centenario della nascita del Pci nel 2021. Con tanto di successiva pubblicazione sui social di una foto che ritrae l’aspirante leader del Pd sotto una bandiera con falce e martello e la scritta «sez. porto di Livorno».
Se l’amarcord comunista è stato un tentativo di competere a sinistra con la radical Schlein, la mossa non ha sortito gli effetti sperati. La neo-deputata, infatti, sta proponendo una piattaforma decisamente progressista, quasi in sovrapposizione con il rampante M5s di Giuseppe Conte, ma senza mai scadere nella nostalgia.
Il rischio di sfondoni pericolosi in grado di avvantaggiare l’avversaria è percepito come concreto all’interno dello stesso cerchio magico di Bonaccini. Una squadra molto rodata, tutta cresciuta in Emilia Romagna, che lo ha accompagnato nella decisiva trasformazione mediatica da grigio burocrate del post-comunismo emiliano a pragmatico «uomo del fare» dal look hipster.
«La verità è che Bonaccini è un personaggio abbastanza costruito, ma ora tocca fare attenzione, perché bisogna evitare errori e parlare il meno possibile», confessa al Giornale – con la garanzia dell’anonimato – una fonte ben inserita nei Palazzi della politica regionale a Bologna.
Chi conosce il candidato alla segreteria del Pd parla di un politico «impulsivo», piuttosto incline alle gaffe. «Potremmo commettere errori di comunicazione», il timore negli ambienti più vicini a Bonaccini.
La corsa del governatore è funestata pure dai dubbi sulle alleanze. L’ex renziano ha detto di voler tenere insieme il Terzo Polo e il M5s, ma anche i suoi sanno che il proposito è velleitario.
E poi c’è quello che nel Pd chiamano il «fattore Franceschini». Che è Dario, ministro uscente della Cultura, influente colonnello del Nazareno, sostenitore di Schlein, uno che di solito sa da quale parte buttarsi.
La strada è diventata in salita per Bonaccini. E rischia di complicarsi ulteriormente aumentando i concorrenti.
A insidiare la leadreship spunta infatto il banchiere bergamasco – ex Banca mondiale – Antonio Guizzetti. È lui stesso a farsi avanti, in un’intervista al sito di Repubblica, annunciando che punta a raccogliere 4mila firme.
(da Il Giornale)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile QUESTA VOLTA IL SUO STAFF SEMBRA AVER ABUSATO DI PHOTOSHOP
Da anni gli scatti della leader di FdI, soprattutto in campagna elettorale,
scatenano commenti e polemiche per i sospetti ricorsi al fotoritocco. Un tema che oggi torna attuale con quella fototessera inserita sul sito di Montecitorio
Giorgia Meloni ha scelto una foto profilo davvero irriconoscibile per la sua scheda deputato sul sito della Camera per la XIX legislatura.
Più che una immagine dell’attuale premier sembra un Avatar scelto per stare nel mondo virtuale.
Solo i colori sono quelli della Meloni, ma tutto il resto dalla espressione al sorriso alla pelle liscissima sembra appartenere ad altri tempi.
O – diranno i maligni- a un intervento assai profondo di Photoshop su una immagine originaria.
Sono anni per altro che ogni manifesto o foto ricordo della Meloni si accompagna a lunghe polemiche sempre sui social su un abuso di “ritocchini” con appositi programmi.
Lunghe polemiche nel lontano 2014 sulle foto di alcuni manifesti prima delle elezioni europee. E lei reagì negando qualsiasi intervento di software. «Ogni volta che esce un manifesto con una foto decente tutti a dire che è ritoccata», twittò all’epoca rilanciando: «È ufficiale: il mondo mi considera una cozza»…
La trovata intenerì perfino un pubblico difficile come quello dei social, e tutti a dirle che non era affatto una cozza, anzi. Ma proprio per questo non c’era bisogno di Photoshop.
Ma lei niente, negava ostinatamente, replicando anche a molti commentatori. Nel 2018 però la polemica si è riaccesa grazie a un manifesto per le elezioni politiche dove la sua immagine appariva particolarmente giovanile. E tante altre volte la Meloni-Photoshop ha provocato piccole tempeste mediatiche.
Ma ora chi ha messo questa foto sul sito della Camera?
(da Open)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile CENTINAIA DI FUNZIONARI IN PIU’ NONOSTANTE LE CRITICHE DELLA RAGIONERIA DI STATO… UN TEMPO LA MELONI LO AVREBBE CHIAMATO “POLTRONIFICIO”, ADESSO LO FA LEI
Giorgia Meloni, da leader dell’opposizione, lo avrebbe chiamato “poltronificio” e avrebbe sguinzagliato i suoi tempestando le Camere di interrogazioni parlamentari.
Ora che la leader di Fratelli d’Italia è al governo d’improvviso le infornate last minute diventano un modo per coprire le “storiche carenze di organico” nei ministeri.
Nella legge di Bilancio approvata giovedì scorso in via definitiva dal Senato, infatti, sono stati inseriti all’ultimo minuto diversi emendamenti governativi che prevedono nuove assunzioni nei ministeri più cari a Meloni: circa un migliaio di nuovi funzionari.
Tutto questo in un momento nel quale, come ha raccontato Il Fatto il 23 dicembre scorso, i ministeri non riescono a fare i concorsi e prorogano le assunzioni alla chetichella nel decreto Milleproroghe di fine anno.
Ad usufruire dell’infornata della legge di Bilancio però non sono proprio tutti i dicasteri. Nella manovra, guarda caso, sono previste nuove assunzioni solo in quei ministeri guidati dai fedelissimi della premier: il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare di Francesco Lollobrigida, quello della Difesa di Guido Crosetto, il ministero delle Imprese e del Made in Italy di Adolfo Urso fino all’infornata di nuovi funzionari ai ministeri di Economia e Esteri guidati da Giancarlo Giorgetti e Antonio Tajani, due ministri che ormai rispondono più alla premier che ai rispettivi leader di Lega e Forza Italia.
Il caso più emblematico è proprio quello del ministero di Lollobrigida, cognato della presidente del Consiglio. Con un solo emendamento del governo presentato da Giorgetti nella notte tra il 18 e il 19 dicembre, il ministero dell’Agricoltura potrà assumere 300 nuovi funzionari a tempo indeterminato che andranno a incrementare l’organico dell’Ispettorato che deve controllare le frodi sul made in Italy.
Per questo, sono stati stanziati 23 milioni nei prossimi due anni, oltre ai due per i concorsi. Inoltre vengono stanziati altri tre milioni per aumentare le indennità del personale del ministero.
Uno stanziamento su cui anche la Ragioneria Generale dello Stato – attaccata da Fratelli d’Italia per aver “boicottato il governo” sulla manovra – ha criticato l’esecutivo: l’aumento delle indennità, scrivono i tecnici del Tesoro nel parere inviato al Parlamento, “non essendo inserita in un contesto di adeguamento generalizzato sulla base di parametri definiti, è foriera di generare o ampliare disparità di trattamento rispetto ad altri Ministeri, con verosimili onerose richieste emulative da parte di quest’ultimi”. Ma Lollobrigida si difende così: “Non è un poltronificio – ha detto – le assunzioni servono a difendere i prodotti italiani”.
Anche il ministero della Difesa di Crosetto potrà stare tranquillo. La norma inserita in legge di Bilancio aumenta di 116 persone il numero di ufficiali da collocare in soprannumero a cui si lega un comma che permette di nominarli nell’ufficio di diretta collaborazione del ministro: quindi senza alcun concorso. Si passa anche da 10 a 15 ufficiali dell’Arma dei Carabinieri. Costo: 11,5 milioni.
Più o meno uno stesso emendamento c’è anche per il ministero delle Imprese del meloniano Urso, che potrà contare su 15 nuovi funzionari. Numeri più alti per l’Economia e gli Esteri. L’articolo 130-quater della manovra permetterà di aumentare di 150 unità le aree “funzionari” e “assistenti” della Ragioneria dello Stato (spesa di 1 milione di euro). Tajani invece potrà contare su 520 nuove assunzioni, di cui 400 funzionari e 120 assistenti.
L’altro ministro che può esultare dopo l’approvazione della legge di Bilancio è il Guardasigilli Carlo Nordio: per fronteggiare “la grave scopertura degli organici negli uffici giudiziari”, a partire dal 2024 il ministero potrà assumere 800 persone per una spesa totale di 40 milioni fino al 2025.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile “IL GOVERNO VUOLE OSTACOLARE I SALVATAGGI IN MARE”
«Mi sembra che per ostacolare i salvataggi in mare si sia scelta una via
tipicamente italiana e burocratica: il ricorso a ordini e sanzioni amministrativi. Esempio: anziché assegnare il porto sicuro più vicino, come previsto dalle norme nazionali e internazionali, si indica il porto “burocraticamente” più vicino; si utilizza la nostra nota “efficienza amministrativa” allo scopo di ostacolare i soccorsi in mare».
Già presidente della Corte Costituzionale e in precedenza Guardasigilli nel primo governo Prodi, il professor Giovanni Maria Flick in questa intervista ad Avvenire passa al setaccio il decreto sulle Ong, e guarda oltre.
Fino al rischio di replicare questa modalità e farla diventare “sistema” per aggirare gli obblighi di legge. « E’ ovvio che assegnando porti di sbarco lontanissimi, quasi ai nostri estremi confini marittimi, si vuole tenere occupate a lungo le navi umanitarie, impedendo loro di navigare nel Mediterraneo centrale per salvare altre vite o – secondo qualcuno – per pretesi ignobili accordi con trafficanti di uomini».
Non crede che il salvataggio sia messo in discussione anche da altri paletti posti nel decreto?
Si pongono limitazioni incomprensibili, come quella di impedire salvataggi plurimi. Se una nave soccorre un gruppo di naufraghi e lungo la rotta verso il porto di sbarco avesse la possibilità di salvare altre vite, dovrebbe voltarsi dall’altra parte? Stiamo parlando dell’assurdo.
Qual è secondo lei la logica di queste scelte
L’osservazione più precisa è venuta dalla Conferenza episcopale italiana: ha ricordato come queste regole non proteggono il valore supremo della vita umana. Si è passati dal non considerare più i migranti-naufraghi come fossero “oggetti” da depositare in luoghi dove non si rispettano i diritti fondamentali, al trattarli come “merce deperibile” o peggio “rifiuti pericolosi”, adempiendo formalità burocratiche che servono solo a mettersi la coscienza a posto. In altri termini, si sottrae l’intervento al controllo penale, con la previsione di fattispecie di reato, temendo che queste vadano a scontrarsi con i principi fondamentali dell’ordinamento internazionale e costituzionale che pongono al primo posto la protezione della vita umana.
Circoscrivere le attività in mare al Diritto amministrativo non è in fondo un alleggerimento rispetto all’esercizio dell’azione penale?
In realtà l’idea che si vuol far passare, ma solo in apparenza, è che l’eventuale illecito amministrativo sia da ritenere meno grave di una sanzione penale. Ma non è altro che un modo per eliminare garanzie e burocratizzare un tema che meriterebbe altre riflessioni e altri interventi e che è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti umani come “truffa delle etichette”. Peraltro in un Paese come il nostro, dove la burocrazia non ha mai dato prova di indiscutibile efficienza. E c’è un altro risvolto da non sottovalutare.
Quale?
Quello di delegare una serie di interventi ai prefetti, a cui è demandata anche la possibilità di bloccare le navi, rievocando i poteri prefettizi nella forma più sgradevole.
Intravede profili di incostituzionalità?
A questa domanda non rispondo. Ho sempre detto che per il ruolo che ho avuto in passato non posso permettermi il lusso di fare il profeta di ciò che la Corte Costituzionale potrebbe decidere e lo stesso vale per le determinazioni del Capo dello Stato. Il Presidente ha un ruolo di garanzia, ma deve tenere conto dell’inserimento delle nuove norme nell’assetto politico e istituzionale, mentre la Corte deve cancellare le norme contrarie alla Costituzione. Sono profili e garanzie distinti, perciò molte volte i giudici costituzionali hanno dichiarato l’incostituzionalità di leggi che erano state promulgate dai presidenti della Repubblica.
E’ solo il tema del soccorso in mare a preoccuparla? Crede che derubricare a questioni amministrative temi così seri possa diventare un escamotage per altri scopi?
Il mio timore è anche che se questo metodo non incontrasse ostacoli, si creerebbe un precedente per costruire un intero sistema, applicabile prima ai rave, poi ai salvataggi, poi ad altri ambiti. Quanto alle organizzazioni umanitarie, fino ad ora anche i più approfonditi accertamenti della magistratura non sono riusciti a dimostrare una connessione diretta e sistematica con i trafficanti di uomini. E allora si è scelto uno strumento meno garantito: come nel caso – da molti giustamente contestato – delle misure di prevenzione quando non si riesce a provare una responsabilità penale.
Intanto, però, in Libia continuano le violazioni dei diritti umani e cresce il potere dei clan, legittimati anche dal sostegno internazionale.
Sono pienamente d’accordo, e non posso dimenticare il disagio che ho provato come tanti altri quando il presidente del Consiglio precedente ha ringraziato la Libia per le attività nei confronti dei migranti. Capisco la ragion di Stato, ma ci sono dei limiti: il primo è non far pagare alle vittime le colpe di altri Stati e la nostra indifferenza verso l’imperativo di tutelare la vita umana.
(da Avvenire)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile RAPPORTO CENSIS: INFLAZIONE E GUERRA SPAVENTANO 8 PERSONE SU 10. LE PRIORITA’ SONO IL LAVORO, IL WELFARE E L’ASSISTENZA
Il 2022 ha fatto registrare un netto peggioramento del clima sociale, soprattutto se confrontato con il 2021, ossia con l’anno della ripresa della normalità dopo la massiccia campagna vaccinale, l’anno del significativo aumento del Prodotto interno lordo, l’anno del governo di (quasi) unità nazionale guidato da una personalità autorevole come Mario Draghi che ha conferito al Paese prestigio e considerazione a livello internazionale, l’anno delle numerose vittorie in ambito sportivo (dagli europei di calcio alle medaglie olimpiche), l’anno in cui gli ottimisti riguardo al futuro personale e dell’Italia prevalevano sui pessimisti.
Ebbene, tutto ciò è venuto meno a seguito di due eventi che si sono palesati a inizio anno e hanno condizionato il sentiment degli italiani: il ritorno dell’inflazione e il conflitto in Ucraina che dopo la pandemia hanno minato ulteriormente il senso di sicurezza degli italiani mettendo a repentaglio la tenuta del potere d’acquisto e l’indipendenza energetica.
Le priorità dell’Italia, menzionate spontaneamente dalle persone intervistate nel nostro sondaggio (erano invitate ad indicarne tre), sono incentrate soprattutto su temi economici e occupazionali (84%, in aumento del 9% rispetto al dicembre del 2021) e quelli del welfare e dell’assistenza (55%), più che raddoppiati a distanza di un anno (24%); a seguire, distanziati, troviamo il tema del funzionamento delle istituzioni e la situazione politica (24%, in progressiva diminuzione dal 2019 quando toccò il 43%); l’ambiente (22%) quasi quadruplicato in cinque anni; la sanità (21%), dimezzato rispetto al 2021; l’immigrazione (18%) e la sicurezza (13%), entrambi in forte calo rispetto al 2018, quando erano al centro del dibattito politico e mediatico.
Le priorità nella propria zona di residenza risultano un po’ diverse con l’eccezione dei temi economici che si mantengono al primo posto (49% delle citazioni, in crescita di cinque punti rispetto a fine 2021) e precedono tre questioni che si collocano sullo stesso livello: la mobilità e le infrastrutture (34%), l’ambiente (33%) e il welfare (33%, più che raddoppiato); quindi il funzionamento delle istituzioni e la situazione politica locale (20%, in calo di sei punti), la sicurezza (19%, in aumento), la sanità (12%, in flessione) e l’immigrazione (stabile al 9%).
L’economia, dunque, è al vertice dell’agenda delle priorità degli italiani e a questo proposito l’inflazione rappresenta motivo di preoccupazione per quattro cittadini su cinque (79%) mentre solo il 7% si dichiara poco o per nulla preoccupato. Secondo gli intervistati non si tratta di un fenomeno passeggero, solo il 28% è del parere che l’aumento dei prezzi durerà al massimo per un anno, il 31% è convinto che durerà da uno a due anni e un altro 21%, più pessimista, prevede che durerà ben più di due anni. Questi pronostici avranno inevitabilmente un impatto sui comportamenti di acquisto e di consumo delle persone.
E, sempre a proposito delle preoccupazioni, la guerra in Ucraina rappresenta motivo di inquietudine per tre italiani su quattro (28% molto preoccupato e 47% abbastanza preoccupato) e fin dall’inizio delle ostilità il timore riguarda più le conseguenze economiche (53%) rispetto al rischio di estensione del conflitto che veda coinvolta l’Italia (19%) o all’aumento dell’arrivo dei profughi (15%).
Il protrarsi della guerra ha fatto registrare un progressivo cambiamento delle opinioni degli italiani, la maggior parte dei quali (55%) inizialmente si dichiarava a favore delle sanzioni contro la Russia nonostante l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti alimentari e del costo dell’energia, a fronte del 31% di contrari. Oggi si è ridotto il consenso per le sanzioni (46%) ed è aumentata la contrarietà (37%).
E anche la posizione rispetto ai Paesi in guerra è cambiata: se a marzo il 57% dichiarava di stare dalla parte dell’Ucraina, il 38% non prendeva posizione e il 5% parteggiava per i russi, oggi la maggioranza relativa (47%, in aumento del 9%) dichiara di non appoggiare nessuno dei due Paesi, il 45% (in diminuzione di 12%) è più vicino all’Ucraina e l’8% alla Russia. Sembra prevalere una sorta di pacifismo utilitaristico che prescinde dal merito della vicenda e chiede che le parti in causa cessino le ostilità per evitare guai economici maggiori al nostro Paese già duramente provato dalla pandemia e dell’inflazione.
Quale futuro ci aspetta? Nel breve prevalgono i pessimisti, dato che il 38% prevede che la situazione economica del Paese nei prossimi sei mesi peggiorerà contro il 26% che pronostica un miglioramento e il 25% che ritiene rimarrà invariata. Le cose vanno meglio se si considera un orizzonte temporale più ampio (3 anni): in questo caso gli ottimisti (43%) prevalgono sui pessimisti (23%). E dal punto di vista delle prospettive economiche personali torna a prevalere la quota di coloro che nei prossimi sei mesi si aspettano un peggioramento (34%) rispetto agli ottimisti (24%).
E il Covid che fine ha fatto nelle opinioni degli italiani? Nonostante non sia ancora stato debellato, il virus appare oggi meno aggressivo agli occhi dei cittadini: quasi uno su due (47%) ritiene che con le giuste precauzioni e con l’ausilio dei vaccini ormai il Covid non rappresenti più una minaccia e il 14% è del parere che la pandemia sia sostanzialmente finita.
Nel complesso il 61% (quota raddoppiata rispetto al dicembre del 2021) è convinto che il peggio sia alle nostre spalle mentre il 6% è più allarmista e ritiene che il peggio debba ancora arrivare. Le notizie provenienti in questi giorni dalla Cina sono poco rassicuranti e potrebbero avere un impatto sulla percezione della situazione e sui comportamenti conseguenti
In sintesi, dopo quasi tre anni di pandemia, con il ritorno dell’inflazione e le criticità legate alla crisi energetica si è acuito il sentimento di fatica, è aumentata la domanda di protezione e si sono ridotte le speranze di un miglioramento complessivo della situazione. È pur vero che l’accresciuta capacità di risparmio registrata nel 2020 e nel 2021 con il lockdown e le restrizioni adottate per contenere l’emergenza sanitaria ha consentito a molti di far fronte all’aumento dei costi e di non rinunciare ad alcune voci di spesa (per esempio i viaggi e le vacanze), ma ciò che inquieta è l’incertezza del futuro.
Una delle parole più ricorrenti negli ultimi anni è «transizione», nelle diverse accezioni (digitale, energetica, ambientale, lavorativa, ecc.): è una parola che genera aspettative positive ma anche un sentimento di apprensione se non si riescono ad intravvedere gli approdi, lasciando il Paese «sospeso» tra un presente che ci preoccupa e un futuro che ci spaventa.
Nel rapporto Censis di quest’anno si fa riferimento ad una diffusa malinconia che pervade gli italiani. La malinconia non è rabbia, rancore o recriminazione, è un senso di tristezza e di rassegnazione. È il disincanto rispetto alla possibilità di avere un Paese più dinamico, nel quale si riducano le diseguaglianze e si rimetta in moto dell’ascensore sociale.
È difficile individuare antidoti ad un disagio collettivo che si esprime con il pessimismo, la sfiducia, la convinzione di essere lasciati soli, abbandonati a sé stessi. Forse vale la pena riflettere sul ruolo «terapeutico» che potrebbe avere il Piano nazionale di ripresa e resilienza (saggiamente denominato dalle istituzioni europee Next Generation EU), a condizione di saper raccontare con convinzione che Italia avremo se sapremo realizzarlo.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile SE POI LA FAMIGLIA STA PAGANDO UN MUTUO A TASSO VARIABILE DOVRÀ CONTEGGIARE ALTRI 1.260 EURO IN PIÙ…E POI CI SONO GLI AUMENTI PER RC AUTO, BENZINA, PEDAGGIO AUTOSTRADALE E TRASPORTI PUBBLICI
La nuova doccia fredda arriverà prima di sera: poco dopo le 17.30, infatti,
l’Autorità per l’energia renderà nota la tariffa del gas relativa al mese di dicembre per il mercato di tutela. Se le previsioni della vigilia dovessero essere confermate bisognerà mettere in conto un altro rialzo del 20% col prezzo del metano che arriverebbe a costare 1,48 euro al metro cubo.
Un ennesimo salasso, frutto del nuovo sistema di calcolo introdotto dall’Arera e basato sulla media dei prezzi del mese appena passato, che costerà alle famiglie 360 euro in più all’anno. Una nuova stangata che certamente rinfocolerà le polemiche contro il governo dopo che già ieri un po’ tutte le opposizioni, dai 5 Stelle a Sinistra Italiana, al Terzo polo, hanno accusato Giorgia Meloni di incoerenza sulle accise dopo aver lasciato cadere il taglio deciso a marzo da Draghi mentre quando era all’opposizione aveva teorizzato a lungo la loro abolizione al pari di Salvini.
Anche senza calcolare i nuovi rialzi delle bollette della luce e del gas, secondo il Codacons, a causa dell’inflazione le famiglie italiane quest’ anno dovranno mettere in conto all’incirca 2.400 euro in più di spese. In dettaglio: 507 euro in più per i generi alimentari, 490 euro per i trasporti (bus, tram e metrò), 366 per il pieno all’auto, 18 di Rc auto e 4 euro in più di pedaggi autostradali, e poi ancora 76 euro in più per o servizi e la ristorazione, 30 per i servizi telefonici, 9 per i servizi bancari e 45 legati agli aumenti di tasse e imposte locali.
Se poi la famiglia sta pagando un mutuo a tasso variabile dovrà conteggiare altri 1.260 euro in più, e meno male che l’ultima legge di bilancio ha dato la possibilità a tutti di rinegoziare i contratti per passare a mutui a tasso fisso e mettersi al riparo dai futuri rialzi già annunciati dalla Bce.
Il totale fa 2.435 euro, cifra – precisano i consumatori – che non tiene conto dei possibili aumenti delle bollette, il cui andamento dipenderà dal mercato e dall’efficacia delle nuove misure sul price cap e di quelle che il governo italiano adotterà nei prossimi mesi.
«Tutti gli analisti sono concordi nell’affermare che la crisi energetica farà sentire i suoi effetti anche nel 2023, con conseguenze dirette sui prezzi al dettaglio e sulle tariffe dei servizi – spiega il Codacons – In particolare i listini dei prodotti alimentari rimarranno su livelli elevati, mentre altre voci di spesa invertiranno nel nuovo anno il trend discendente e torneranno a salire».
Ieri le quotazioni del gas sul mercato di Amsterdam hanno toccato un nuovo minimo a quota 73 euro per megawattora anche sulla scorta del calo dei consumi (-7,2 miliardi di metri cubi nel 2022 a quota 68,99 miliardi, stima Staffetta quotidiana). Ma questo e mese ed il prossimo con l’arrivo del freddo le quotazioni, dovrebbero tornare a salire «in modo sensibile». E con loro, di nuovo, anche le bollette.
Inizio d’anno con un doppio balzo dei prezzi dei carburanti: non solo non c’è più lo sconto sulle accise introdotto a marzo da Draghi ma anche le quotazioni dei prodotti petroliferi hanno fatto segnare un significativo aumento col risultato che il costo di benzina e gasolio è salito di circa 20 centesimi al litro rispetto al 30 dicembre.
La «Staffetta quotidiana» ieri segnalava che il 2022 si è chiuso con un rialzo dei listini con « le quotazioni dei prodotti raffinati che hanno chiuso l’anno con un aumento, il terzo consecutivo». Dal domenica la benzina self service è così salita in media a 1,732 euro/litro (+106 millesimi), mentre il diesel ha toccato quota 1,794 (+102). Quanto al servito la benzina è salita a 1,891 e il diesel a 1,953. Le quotazioni scontano un significativo aumento dei consumi: +6,8% a novembre rispetto allo stesso mese del 2021 (+12.95% la verde +4,43% il gasolio) in linea coi dei primi 10 mesi dell’anno (+6,75%).
Aumenti dell’Rc auto in arrivo per oltre 815.000 automobilisti che hanno causato un sinistro con colpa nei 12 mesi precedenti, vedendo peggiorare la propria classe di merito. Lo afferma l’Osservatorio Facile.it rilevando che «il dato assume ancora maggior gravità se si considera che, a dicembre 2022, il premio medio Rc auto registrato in Italia è stato di poco superiore ai 458 euro, vale a dire ben il 7,23% in più rispetto ad un anno prima».
Se a livello nazionale la percentuale di automobilisti che hanno dichiarato un sinistro con colpa è pari al 2,51%, guardando ai dati regionali al primo posto c’è la Liguria col 3,32% dei guidatori vedrà aumentare il costo dell’Rc auto. Seguono gli automobilisti di Lazio (3,05) e Piemonte (3,02%). Le percentuali più basse, di contro, sono state rilevate in Calabria (1,52%), Basilicata (1,87%) e Molise (2,02%). In caso di rincari si stima che 1,5 milioni di italiani potrebbero essere obbligati a saltare il prossimo rinnovo.
Sui trasporti gli italiani «andranno incontro ad una vera e propria stangata: la cosa peggiore è che si tratta di rincari del tutto ingiusti, con i consumatori chiamati a pagare il conto della crisi economica in atto» denuncia il presidente di Assoutenti Furio Truzzi. Che oltre a criticare la scelta del governo di non prorogare il taglio delle accise, punta il dito contro i Comuni che hanno partecipazioni nelle società dell’energia e «che hanno fatto ancora peggio» perché, «pur avendo beneficiato dell’aumento delle bollette incamerando lauti dividendi, hanno deciso di incrementare i costi dei biglietti del trasporto pubblico, danneggiando due volte la collettività».
E così, segnala Assoutenti, a Napoli il biglietto è già salito da qualche mese da 1 euro a 1,20 euro, a Milano andrà a 2 euro 20. A Parma 10 centesimi di aumento (da 1,50 a 1,60) e 20 a Ferrara (da 1,30 a 1,50). Addirittura a Roma da agosto il prezzo da 1,50 si salirà a 2 euro: ovvero il 33% in più.
Per andare in autostrada da Roma (sud) a Milano (ovest) stima Assoutenti a causa delle nuove tariffe entrate in vigore a inizio anno il pedaggio sale dai 46,5 euro del 2022 agli attuali 47,3 euro, per poi raggiungere 48 euro a luglio, con un aumento di 1,5 euro. Da Napoli (nord) a Milano, invece, se lo scorso anno si spendevano 58,6 euro ora ne servono 59,7 euro (60,5 euro a luglio, +1,9 euro). Per le tratta Bologna-Taranto la spesa sale da 55,1 euro a 56,1 euro del 2023 (56,9 euro da luglio, +1,8 euro).
Come è noto lo scorso 30 dicembre il ministero dei Trasporti ha concesso ad Autostrade per l’Italia di aumentare del 2% il prezzo dei pedaggi sulla propria rete, concedendo poi un ulteriore rincaro dell’1,34% a partire da luglio 2023. Sulle restanti tratte autostradali (il 50% delle rete nazionale) in attesa dei nuovi piani finanziari non sono invece previsti rincari. Secondo il Codacons, in media, ogni famiglia pagherà 4 euro in più all’anno.
(da La Stampa)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile QUANDO LA BCE AUMENTERA’ I TASSI DI INTERESSE E ACQUISTERA’ MENO OBBLIGAZIONI L’ITALIA SARA’ IL PAESE PIU’ ESPOSTO A UNA CRISI DEL DEBITO
E’ quanto emerge da un sondaggio del Financial Times, secondo cui 9 dei
10 economisti interpellati ritengono che il nostro Paese, all’interno appunto dell’eurozona, sia quello “più a rischio di un sell-off non correlato nei suoi mercati dei titoli di stato”.
Il quotidiano finanziario ricorda che il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni “sta cercando di seguire un percorso di rettitudine fiscale”, con il deficit che dovrebbe scendere dal 5,6% del pil nel 2022 al 4,5% nel 2023 e al 3% l’anno successivo.
Tuttavia, sottolinea il Ft, il debito pubblico italiano rimane uno dei più alti in europa, a poco più del 145% del prodotto interno lordo, e la scorsa settimana il rendimento del bond decennale ha superato il 4,6%, quasi il quadruplo del livello di un anno fa e 2,1 punti percentuali sopra il rendimento equivalente dei titoli tedeschi.
La Bce prevede di procedere con aumenti di mezzo punto percentuale nei primi mesi di quest’anno, e Klaas Knot, governatore della banca centrale olandese e uno dei falchi del consiglio direttivo, ha detto al Ft che è appena iniziata la “seconda metà” del ciclo di rialzi dei tassi.
Tuttavia, gli analisti ritengono che la Bce stia sopravvalutando i rischi collegati all’inflazione e sottovalutando la prospettiva di una recessione: a dicembre quattro quinti dei 37 economisti intervistati dal Ft avevano previsto che la Bce avrebbe smesso di alzare i tassi nei primi sei mesi del 2023 e due terzi ritenevano che avrebbe iniziato a tagliarli l’anno prossimo in risposta all’indebolimento della crescita.
(da Globalist)
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Gennaio 3rd, 2023 Riccardo Fucile NON SIAMO A CINECITTA’, E’ RIDICOLO AVERE 1.200 TELECAMERE IN STAZIONE E POI NON AVERE IL PERSONALE DI POLIZIA PER FERMARE UN ACCOLTELLATORE… E SE FOSSE STATO UN TERRORISTA? CHE CONTROLLI CI SONO?
«È l’opera di un folle». Così, il prefetto di Roma, Bruno Frattesi, classifica l’aggressione ai danni di Abigail Dresner, la 24enne israeliana accoltellata a sangue freddo la sera del 31 dicembre scorso alla stazione Termini da un giovane polacco.
«Alla luce dei documenti che ho letto, penso si tratti di questo», ha detto il prefetto al termine del comitato provinciale dell’ordine e della sicurezza dove è arrivata la conferma anche del rafforzamento dei controlli da parte delle forze dell’ordine alla stazione Termini.
«Ho chiesto il raddoppiamento del presidio “Strade Sicure” – afferma Frattesi -. Avremo dunque una duplice risposta dentro e fuori alla stazione Termini e soprattutto negli orari dove c’è minore presenza di persone”
Tale rafforzamento riguarderà, infatti, la fascia oraria dalle 20 alle 24, ovvero – ha confermato il prefetto – la più critica, «quando chiudono i negozi e c’è meno passeggio in giro».
Secondo Frattesi, inoltre, il problema di controllo, riscontrato in prossimità dello scalo ferroviario, è dovuto al fatto che alla stazione Termini transita «un volume di persone che circola di circa 500 mila al giorno. Una vera e propria città. Ci sono poi attive 1.200 telecamere, ed è grazie a esse che è stato identificato l’aggressore. Hanno quindi una funzione investigativa, ma anche dissuasiva», conclude.
Peccato che il prefetto non abbia detto quanti uomini erano in servizio al momento dell’aggressione, dove erano dislocati, quante pattuglie erano all’esterno e come è possibile che non siano intervenuti per bloccare l’aggressore.
E se fosse stato un attentatore?
(da agenzie)
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