Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile RIMOSSE 500 SBARRE DIVISORIE, SIMBOLO DELLA SUBCULTURA SOVRANISTA
La decisione è di Damiano Tommasi, sindaco di Verona.
Nelle scorse settimane è iniziata la rimozione delle circa 500 sbarre divisorie che l’ex sindaco Flavio Tosi (allora della Lega) aveva fatto installare al centro dei sedili delle panchine in diversi luoghi pubblici.
Era il 2007, e anche in quel caso, lo scopo era quello di scoraggiare il bivacco di persone senza dimora.
Oggi, in Italia, si stima che ci siano circa 65/70mila persone senza dimora.
Il referente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fio) Michele Ferraris, ha detto che le persone senza dimora morte in Italia nel 2022 erano 367.
Il dato definitivo è stato di 387 morti nel 2022, con un forte aumento rispetto ai 251 del 2021.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile NON SOLO LA CATTIVERIA DI IMPEDIRE A UN CLOCHARD DI SDRAIARSI, MA VOGLIONO USARE I SOLDI UE DESTINATI AD AIUTARE I POVERI
Il Comune di Vicenza ha approvato degli ampi interventi di
riqualificazione a Campo Marzo, un parco cittadino, e tra questi ci saranno delle modifiche urbanistiche che hanno l’obiettivo di impedire il bivacco delle persone senza dimora.
Gli interventi costeranno 1,7 milioni di euro, e saranno pagati usando i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
In particolare, i fondi verranno dalla missione 5 del Pnrr, quella dedicata a “Inclusione e coesione”, e ancora più precisamente dalla parte di risorse dedicata a “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore”.
L’obiettivo dichiarato dal Comune, guidato dal sindaco di area centrodestra Francesco Rucco, è quello di permettere la fruizione dell’area “da parte dei cittadini, la cui presenza potrà fungere da deterrente” per le persone senza dimora, ha detto l’assessore alle Infrastrutture Mattia Ierardi.
Gli interventi riguarderanno anche alcune panchine. “Quelle esistenti saranno sostituite – ha spiegato Ierardi – con panchine in legno in acciaio verniciato nero antracite con braccioli, al fine di disincentivare il bivacco e l’utilizzo come letto. A queste panchine ne verranno poi aggiunte altre con seduta singola”. Panchine con braccioli divisori che permetteranno solamente di sedersi e non di stendersi, quindi.
Allo stesso tempo, il Comune ha annunciato che – sempre per “eliminare gli angoli di degrado” – verranno inseriti degli arbusti tappezzanti, alti 30/40 centimetri. Questi saranno collocati in “punti strategici”, probabilmente quelli usati più spesso per dormire, di nuovo per “scoraggiare il bivacco”.
Dall’opposizione in Comune sono arrivate delle critiche. Giovanni Selmo, del gruppo Da adesso in poi, ha detto che così “si impoverisce il parco, rendendolo poco fruibile a chiunque, e contemporaneamente non si agisce sulla coesione sociale o sulle persone che bivaccano, che si sposteranno semplicemente”.
Sandro Pupillo, altro esponente dell’opposizione al sindaco Rucco, ha dichiarato che “quando si riducono i diritti dei cittadini, e i beni a loro disposizione non si aumenta la sicurezza collettiva”, e ha ricordato che il progetto è “finanziato con il bando Pnrr” che raccoglie fondi “teoricamente volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale”. L’assessore Ierardi ha ribattuto che la polemica “è priva di qualsiasi fondamento e per questo non merita risposta”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile SEMPRE PIU’ ISOLATO A LIVELLO INTERNO E INTERNAZIONALE
C’è davvero tutto, in quella foto: ci sono la rara sintesi e la potenza evocativa di uno scatto capace di cristallizzare un anno di guerra.
Si vede Vladimir Putin, maglione a collo alto e giacca blu, nel Cremlino per la notte del Natale ortodosso. Con lui solo i celebranti, coi ceri accesi, l’altare e le croci. Niente e nessun altro.
E così sembra un’epoca fa quando lo zar si faceva bagnare da una folla ben ammaestrata e festante durante la Giornata della Vittoria, il 9 maggio scorso, nella sua Mosca piena di bandiere, mentre parlava di denazificazioni e crociate anti occidentali.
Otto mesi dopo, la solitudine del presidente è l’allegoria più drammaticamente calzante del grande vuoto che la guerra in Ucraina gli ha già fatto attorno. Sia fuori dai suoi confini nazionali, sia nel quadro di una stabilità di leadership interna non più così assoluta e scontata.
Se la guerra è ancora tutta da decidere, se la pace è ancora una chimera a fronte della ferocia con cui continua a essere diviso il campo di battaglia, e se gli analisti sono convinti che per avere una tregua sarà necessario ancora molto tempo, è un fatto che gli obiettivi di Putin – non quelli militari ma quelli ideologici e morali – abbiano sostanzialmente fallito.
I più importanti: indebolire la Nato, fiaccare l’Unione Europea, esaltare alleanze solide con quei Paesi maggiormente sensibili ai richiami anti occidentali, Cina in primis.
Un anno di guerra ci ha sì mostrato un’Europa disorientata e talvolta impreparata, investita tragicamente dalle conseguenze del conflitto – in termini di profughi, di costi energetici e di riflessi finanziari e industriali – ma assolutamente capace, anche contro le previsioni, di reggere l’onda d’urto. Restando, prima di tutto, unita. È un primato anche storico di cui l’Unione può e deve andare orgogliosa, e rimane – dalla lacerante eredità della seconda guerra mondiale – il principale alleato per arginare la tracotanza nazionalista russa.
(da il RestodelCarlino)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile “E’ ARROVELLATO DAL DILEMMA SE TRATTARE O ANDARE FINO IN FONDO IN UCRAINA MA L’INSUCCESSO DELL’OPERAZIONE MILITARE SPECIALE STA DIVENTANDO SEMPRE PIÙ EVIDENTI”
I russi odiano l’imprevisto. Nella loro lingua, l’avverbio casualmente,
sluchaino, una delle parole più comuni del lessico sovietico, viene sempre usato con un significato peggiorativo, per sottolineare le cose che non sono andate secondo il piano stabilito.
Forse questo continuo unire i punti disegnati dalla strategia del Cremlino è inutile fin dalla tarda primavera del 2022. La reazione dell’Ucraina non era messa in conto, e ha cambiato in modo radicale uno scenario che sembrava già deciso a tavolino.
Da allora, la strategia di Vladimir Putin, che è un uomo profondamente sovietico, è diventata un enigma a geometria variabile. È una guerra ma non è possibile chiamarla così, anche se sta per essere varato dalla Duma il decreto che prevede il pagamento di una sorta di patrimoniale bellica per alcune imprese e maggiori tasse alle aziende partecipate dallo Stato. Sì alla mobilitazione, ma non troppo.
Che sia parziale, anche se secondo i servizi segreti ucraini, da prendere con le molle, oltre ai trecentomila coscritti richiamati alle armi lo scorso ottobre se ne aggiungeranno presto molti altri, tra cinquecentomila e un milione, segno dell’intenzione di proseguire le ostilità. Al tempo stesso, sì anche ai negoziati, naturalmente alle proprie condizioni, che prevedono il mantenimento dei territori annessi con i referendum di settembre.
Sembra tutto e il contrario di tutto. La diversificazione dei messaggi, esemplificata dalle diverse posizioni del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, più «trattativista» e quella dell’ex presidente Dmitri Medvedev, desideroso di bombardare l’Europa e la Nato, può talvolta comunicare anche un’idea di fragilità dell’intero sistema di potere. «Esiste una logica, in realtà» dice Sergey Markov, che fu uno dei più longevi consiglieri politici dello zar, in servizio dal 2011 al 2019, e da ardente nazionalista qual è non rappresenta certo il partito delle colombe, anzi.
«Ma è ispirata al giorno per giorno, una mossa per tastare le cancellerie europee, un’altra per far capire a Zelensky che possiamo andare fino in fondo, nulla è escluso. Il peso che l’insuccesso della prima fase dell’Operazione militare speciale sta avendo sullo sviluppo del conflitto ucraino sta diventando sempre più evidente».
Nello spazio di poche frasi, Markov mette insieme due soluzioni che più diverse non si potrebbe. L’alfa e l’omega, il negoziato e la guerra totale. Per quanto opposte, sono due strade che il suo vecchio capo potrebbe percorrere nei prossimi mesi.
Le analisi degli esperti anglosassoni insistono su una sorta di gestione della sconfitta da parte del Cremlino, evidenziando i rischi di un crollo improvviso dello zar, che potrebbe dare inizio a una fase di instabilità simile a quella dei primi anni Novanta. I politologi russi di opposizione, per quanto ostili allo zar, sono più cauti. E vedono ben poche alternative all’avvitamento della guerra su se stessa, che ormai è quasi una necessità per Putin e i suoi alleati.
Come spesso accade, è una questione di tempo e di opportunità politiche. Nel prossimo autunno comincerà la campagna elettorale per le presidenziali, che dovrebbero tenersi nel marzo del 2024. Abbas Gallyamov, che fu primo autore dei discorsi di Putin quando quest’ultimo era portato in palmo di mano dai liberali russi, afferma che il sostegno massiccio della società allo zar sarebbe impossibile senza una vittoria militare.
«Ma se la guerra dovesse continuare ancora a lungo, ci sarebbe lo stesso il rischio di una morte politica, perché lo scontento della gente aumenterà in maniera esponenziale. A quel punto, gli uomini della forza, i siloviki sui quali si regge l’attuale verticale del potere, cominceranno a guardarsi intorno».
Le porte che conducono a una fine presentabile delle ostilità si stanno chiudendo. Anche per questo l’inviolabilità dei nuovi confini nati dalla recente annessione dei territori ucraini è considerata un dogma sul quale non è lecito discutere, come ha detto Putin di recente. «Sente sul collo il fiato degli ultranazionalisti, ai quali dà voce l’onnipresente Prigozhin della Brigata Wagner», dice Ilya Grashenkov, fino al 2020 direttore del Centro russo per lo sviluppo delle Politiche regionali, poi giubilato.
«Già oggi c’è un nervosismo evidente. Le élite capiscono che potrebbe cominciare la gara per il potere tra i funzionari e oligarchi vicini al presidente. Con il peggioramento sempre più marcato della situazione sociale potrebbe ritrovare la voce anche l’economia. Figurarsi se la campagna elettorale dovesse cominciare all’insegna di una pace simile a una sconfitta».
La foto del presidente che partecipa in totale solitudine alla funzione religiosa per il Natale ortodosso, nella Cattedrale dell’Annunciazione completamente vuota, è l’unica cosa da tenere a mente quando si disegnano scenari futuri. Quell’isolamento è reale. Nella testa di Putin c’è solo Putin. Il 2023 ci dirà se stiamo assistendo a una ultima recita, oppure se lo zar riuscirà ancora a rimanere sulla scena. Anche senza un vero e proprio piano. Anche sluchaino, in modo casuale. Come succede a chi non è più del tutto padrone del proprio destino
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile SOLO A DICEMBRE LA REGIONE HA LIQUIDATO FATTURE PER UN TOTALE DI 1,5 MILIONI…MA POI CI SONO PURE QUELLE PAGATE A SKY, LA7 E NATURALMENTE PUBLITALIA ’80
Chissà se Renato Schifani preferisce il tango o il cha cha cha: quel che è certo è che la regione che presiede, per ballare con le stelle in prima serata ospite di Milly Carlucci, ha dovuto scucire quasi mezzo milione di euro. Saldati lo scorso 15 dicembre a Rai Com per la fattura emessa per la promozione progetto SeeSicily e del brand Sicilia autunno 2022. Con tanti ringraziamenti dall’azienda di Viale Mazzini che sul sito così ha salutato l’iniziativa: “Per la prima volta, grazie all’accordo siglato tra Palazzo d’Orleans e Rai Com, un partner istituzionale entra a far parte della grande famiglia di Ballando, portando i colori e la magia di una terra dalla storia millenaria in uno dei programmi più amati della televisione italiana”.
Ma brinda grazie alla Sicilia pure Rai Pubblicità: solo a dicembre la regione ha liquidato fatture per un totale di 1,5 milioni. Ma poi ci sono pure quelle pagate a Sky, La7 e naturalmente Publitalia ’80. In favore della storica concessionaria Mediaset il mese scorso sono stati autorizzati pagamenti per oltre 1,3 milioni a copertura delle spese per la campagna di comunicazione riguardante sempre il programma SeeSicily. Questa volta si trattava di implementare la promozione dell’offerta turistico-culturale durante il periodo natalizio. Reclamizzando concerti, mostre, presepi viventi, spettacoli pensati per incentivare i flussi verso la regione “in un periodo di stanca, favorendo così l’allungamento della stagione turistica”.
Per tacere del resto erogato in precedenza: per pubblicizzare sulle reti del fu Biscione il grande evento ‘Sicilia Jazz Festival’, per dire, è stato staccato un assegno da oltre 750 mila euro. Insomma spese stellari che fanno il paio con i 3,7 milioni erogati a una società Lussemburghese, la Absolute Blue, per replicare anche quest’ anno la kermesse a Cannes che nel 2022 era costata alle casse della regione 2 milioni. Iniziativa di cui Schifani giura di non sapere nulla: per questo il governatore ha chiesto chiarimenti al suo assessore al Turismo, il meloniano Francesco Paolo Scarpinato che dovrà fargli una relazione scritta. E sarà certamente una relazione con i fiocchi: come rivela il quotidiano La Sicilia, l’assessore in questione, dal 5 al 7 dicembre scorsi si è recato in missione istituzionale proprio sulla Croisette. Costo totale: 2.157 euro, tra rimborso spese e diaria.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile SULLA DECISIONE DI BOSSI HA AVUTO UN RUOLO ANCHE IL MEZZO SGAMBETTO FATTO DALLA MORATTI ALLA SUA CORRENTE”
“Se volete andare con la Moratti, fatelo ma senza di me. Io ho dato la
parola ad Attilio Fontana e io la mia parola la mantengo». È questo il discorso che un irremovibile Umberto Bossi avrebbe rivolto alla parte del Comitato Nord più propensa al salto col Terzo Polo in occasione delle Regionali di febbraio in Lombardia.
Una presa di posizione dura che ha costretto una parte del Comitato a fare i conti con la realtà e a dichiarare che «Comitato Nord appoggerà Fontana alle regionali».
Sulla decisione ha avuto un ruolo anche il mezzo sgambetto fatto dalla Moratti al Comitato. Mangiata la foglia sul possibile mancato sostegno di Bossi, la candidata del Terzo Polo ha ritirato la disponibilità a candidare alcuni componenti del correntino nella sua lista civica, imponendo la creazione di un soggetto civico autonomo. Una richiesta che ha spiazzato in maniera definitiva gli ex leghisti. E anche chi, da dentro il Carroccio, ne tirava le fila.
§Il problema ora si sposta all’interno del correntino stesso dove, secondo quanto abbiamo potuto appurare, sarebbe in atto un vero e proprio scontro di visioni politiche. Così come testimonia il balletto di comunicati stampa e dichiarazioni al quale abbiamo assistito ieri.
Proviamo a riassumerlo.
Sono le 15.13 quando le agenzie battono le dichiarazioni di Paolo Grimoldi, che insieme ad Angelo Ciocca è a capo del Comitato Nord. Dopo aver smentito categoricamente l’esistenza di trattative con la Moratti, l’ex deputato è categorico: «La questione politica è chiarita: sosterremo Fontana. Punto». E ancora: «Il modo in cui si concretizzerà questo sostegno, che sia con nostri candidati o con comunicati stampa, lo deciderà Bossi».
Passano poco più di due ore e mezza e alle 17.44 spunta un comunicato ufficiale del Comitato Nord di tutt’ altro tenore rispetto alle parole di Grimoldi: «Il Comitato prende atto che il presidente Fontana, dopo il divieto del segretario federale Matteo Salvini, non consentirà di entrare in supporto alla coalizione di centrodestra per le prossime elezioni regionali» e in una frase vagamente attribuita a Bossi si dice: «è un errore, un’occasione persa per far valere le istanze dell’Autonomia e le richieste della militanza nordista».
A questo punto però un dubbio sorge spontaneo – e non solo a noi -: ma se il Comitato è una corrente interna alla Lega, per quale motivo avrebbe bisogno del permesso di Salvini per appoggiare la candidatura voluta dalla Lega, partito del quale Comitato Nord è parte integrante?
Il dubbio deve aver colto anche qualcuno all’interno della fronda, visto che alle 18.20 arriva un altro comunicato nel quale si precisa che «il cammino del Comitato Nord proseguirà, dentro la Lega, lungo la strada intrapresa, forte del grande consenso raccolto in pochi mesi».
Telenovela finita? Nemmeno per sogno, perché è evidente che quelle velate minacce «sull’errore» commesso da Fontana non sono piaciute a una parte del Comitato. E allora ecco che alle 18.23 arriva un’ulteriore precisazione che riposta le lancette dell’orologio alle 15.13, ovvero al «Comitato Nord pronto ad appoggiare Fontana» in forme che, si ribadisce nell’agenzia riferendosi a fonti vicine al Senatùr «sarà lo stesso Bossi a definire».
Infine alle 19.18 altro giro di giostra col Comitato a far trapelare che martedì ci sarebbe un «incontro decisivo» tra Comitato Nord e la Lega con Fontana e forse Giancarlo Giorgetti. I diretti interessati, però, non ne sanno nulla. Da Bellerio confermano che le porte del Carroccio sono e resteranno chiuse per chi è stato espulso e che Salvini non ha nessuna intenzione di fare trattative Anche perché, al netto della comunicazione farraginosa che certo non ha aiutato, è chiaro che almeno una parte dei ribelli ha davvero accarezzato l’idea di trasferirsi nel Terzo Polo, come testimoniano le dichiarazioni della stessa donna Letizia, di Carlo Calenda e l’inspiegabile silenzio dei capi corrente nei giorni in cui impazzavano le notizie su questa trattativa.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile IL FRONTE CHE FA RIFERIMENTO ALL’EPISCOPATO USA, SENSIBILE AI QUATTRINI PIU’ CHE AI POVERI
La morte del Papa emerito Benedetto XVI non sembra aver attenuato lo scontro tutto interno alla Chiesa tra le frange conservatrici e il Pontefice in carica, accusato di promuovere una linea eccessivamente progressista: anzi. Dopo le bordate contro Papa Francesco arrivate nei giorni scorsi da parte di Padre Georg Gaenswein, segretario personale di Ratzinger e prefetto della Casa pontificia, si intensificano le voci di operazioni in corso, più o meno dietro, le quinte, degli avversari del Papa argentino, per accelerare la fine del suo magistero o quanto meno per impedire che quest’ultimo possa condizionare il prossimo Conclave.
Secondo il Corriere della Sera la prossima bomba pronta ad esplodere sarebbe contenuta in un libro-intervista dell’ex custode della dottrina cattolica, il cardinale Gerhard Muller, con la vaticanista Franca Giansoldati, intitolato In buona fede.
Un testo che conterrebbe profonde critiche al papato di Bergoglio. Mentre La Stampa, citando un navigato cardinale italiano, parla addirittura di un piano segreto articolato su più assi e fasi per costringere il Pontefice alle dimissioni.
Le cause del malcontento
Ad alimentare lo scontento di una porzione dell’episcopato mondiale, non ci sarebbe solo l’interpretazione minimalista, pauperista ed ecologista delle scritture. E nemmeno l’atteggiamento nei confronti di immigrazione, Islam e sessualità. Ma anche, come ricostruisce il Corriere, una lista di manovre precise. A cominciare dalla presunta deriva «protestante» verso cui Papa Francesco avrebbe indirizzato la Chiesa, a cui si aggiungerebbe un pregiudizio sudamericano contro i «gringos» e la scelta esclusiva per il Conclave di Cardinali fedeli alla sua linea («Bergoglio sta piantando le sue bandierine a ogni nomina cardinalizia», è l’accusa citata dalla testata).
Sul piano internazionale, il dito è puntato contro la supposta stipulazione di un «patto col diavolo», ossia di un accordo segreto con la Cina di Xi Jinping. Stante il ruolo cruciale dell’episcopato americano nella “guerra interna” mossa dai conservatori, le rimostranze sulla politica estera investono anche l’accoglienza «morbida» riservata al presidente Statunitense Joe Biden, inviso all’episcopato del suo Paese per le posizioni progressiste riguardo l’aborto.
Al suddetto elenco non può mancare nemmeno l’irritazione per il «no» alla messa in latino: un rifiuto che, secondo quanto raccontato da Gänswein, «spezzò il cuore» di Joseph Ratzinger.
Le nomine e le elezioni
Nel suo pontificato, fino all’agosto del 2022, Bergoglio ha nominato 113 cardinali, di cui 83 elettori, su un totale di 132 elettori. Il sospetto è che i cosiddetti «ortodossi» abbiano paura di non riuscire ad ottenere una candidatura unitaria e forte da opporre a quella dei cosiddetti «progressisti».
Per questo starebbero cercando alleanze trasversali anche tra gli stessi “bergogliani”, facendo leva sullo scontento. La scelta di un italiano, secondo quanto trapela dalle alte sfere vaticane, sembra in ogni caso da escludere. A meno che il nome non sia quello di Matteo Zuppi, presidente della Cei (l’assemblea permanente dei vescovi italiani) e arcivescovo di Bologna. Che avrebbe cercato sin dall’inizio di unire le varie componenti dell’episcopato.
Francesco sarebbe invece freddo sul segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, a cui è stato affidato un ruolo più contenuto rispetto ai suoi predecessori, e che, sottolinea La Stampa, esercita un ascendente relativamente ridotto sul Papa regnante.
Sono comunque significative le accuse del fronte conservatore, che aveva additato la cosiddetta «mafia di San Gallo» (un gruppo di cardinali progressisti) come regista dell’elezione di Bergoglio nel 2013. E che adesso punta il dito contro «la lobby di Trastevere», alludendo alla Comunità di Sant’Egidio che ha sede nel quartiere romano, e da cui proviene Zuppi.
Il fronte americano
In questo scontro intenso ma sotterraneo, un ruolo dirimente lo giocano anche i cardinali oltre l’Atlantico, deboli in termini numerici ma detentori di una determinante potenza finanziaria.
La configurazione negli Stati Uniti ha risentito dell’elezione, lo scorso 15 novembre, di Timothy Broglio a presidente dei vescovi: ex segretario di un granitico conservatore come il cardinale Angelo Sodano. Broglio ha preso le distanze dall’aperto attacco mediatico fatto da Padre Georg contro il Pontefice. Eppure, di ritorno da Roma poche settimane fa, Broglio avrebbe riferito di un’ostilità contro Francesco nutrita da circa il novanta per cento dei vescovi.
Avrebbe inoltre sottolineato ai suoi interlocutori vaticani l’ostilità del Papa argentino nei confronti degli «yankee», raccontando di un incontro a Cracovia nel 2016 in cui Francesco avrebbe commentato in modo aspro gli interventi delle forze armate statunitensi in alcuni Paesi poveri.
Ma il segnale più forte arriva forse da un’intervista a Repubblica, in cui Broglio sfiora la questione delle dimissioni: «Forse la possibilità di un ritiro di Francesco sarebbe più fattibile adesso che non c’è più il Papa emerito». E ancora: «Ho visto anche la difficoltà, il fatto che non celebra: sono tutti elementi di un lavoro pastorale normale che mancano».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile PER FUGGIRE DAI SUOI GUAI GIUDIZIARI, A QUALE MIGLIORE GOVERNO POTEVA FARE RIFERIMENTO SE NON AI SUOI COMPAGNI DI MERENDA SOVRANISTI?
Prima di partire per gli Usa, dove si è rifugiato con la moglie Michelle
e la figlia Laura, Jair Bolsonaro ha praticamente distrutto l’appartamento presidenziale del Palacio da Alvorada a Brasilia.
Lo ha scoperto Janja, Rôsangela da Silva, ultima e terza moglie di Lula durante un sopralluogo nella sede dove andrà a vivere con il nuovo presidente del Brasile.
È rimasta turbata e quando è tornata la seconda volta si è fatta accompagnare da una giornalista di Globo tv per testimoniare con delle immagini lo scempio.
Tappeti strappati, divani bucati e lacerati in più punti, infiltrazioni nei muri, finestre rotte e opere d’arte, come dipinti di pregio, abbandonate all’esterno e rovinate dal sole.
Mancano anche alcuni pezzi che facevano parte della collezione storica del palazzo da sempre adibito a residenza ufficiale dei capi di Stato. Un vero disastro.
Nel salone di rappresentanza il pavimento in marmo ha punti sollevati e parti staccate. Bolsonaro aveva portato via tutto. Ha lasciato solo una penna a sfera, di quelle usa e getta, appoggiata sulla scrivania della biblioteca dove si tenevano le visite ufficiali. Il resto è sparito.
Non si sa se lo abbia conservato da qualche parte o semplicemente dato a amici e conoscenti. Persino un albero di mandacaru, piantato a suo tempo da Lula, è stato sradicato e abbandonato in giardino.
L’Alvorada è uno dei palazzi più iconici di Brasilia, costruito nel 1958 su disegno di Oscar Niemeyer. Appartiene allo Stato e come tale tutta la mobilia dell’interno va conservata, catalogata, in caso restaurata. Un compito che adesso Janja dovrà fare con l’aiuto dei funzionari e che obbligherà la coppia presidenziale a posticipare il loro ingresso.
Chiuso nel suo mega appartamento di due piani a Orlando, di proprietà dell’ex campione di arti marziali brasiliano José Alvo, l’ex capitano sconfitto alle ultime elezioni starebbe meditando seriamente di chiedere la cittadinanza italiana.
Può farlo in virtù della sua discendenza dai nonni, sia paterni sia materni, originari del nostro paese. Angelo Bolzonaro, con la z poi trasformata in s, era di Anguillara Veneta, un paesino in provincia di Padova.
Emigrò con i suoi genitori in Brasile il 25 maggio del 1888, nella prima ondata di italiani decisi a iniziare una nuova vita in giro per il mondo e soprattutto in America Latina. Basti considerare che la sola San Paolo conta oltre 6 milioni di residenti di origine italiana.
Per Jair sarebbe una soluzione che lo metterebbe al riparo dai guai giudiziari. È stato sfiorato da numerose inchieste che coinvolgono in prima persona i suoi tre figli. Sono tuttora aperte e prima o poi arriveranno a delle conclusioni. La prospettiva del carcere non è così remota.
Ci sono poi, a livello internazionale, delle richieste di incriminazione per genocidio: è indicato come corresponsabile della morte di oltre 650 mila persone per la sua politica dissennata sul Covid.
Le voci su una richiesta di cittadinanza sono tornate a rimbalzare sui social ma, finora, non c’è alcuna conferma ufficiale. Anzi. Già nel novembre 2022, rispondendo a un’interpellanza del deputato dei Verdi Angelo Bonelli, il sottosegretario alla Cultura Angelo Mazzi smentiva che l’ex presidente brasiliano avesse fatto richiesta di cittadinanza sulla base del “jus sanguinis”.
Nella stessa risposta si confermava invece che i due figli dell’ex leader di estrema destra, Flavio e Eduardo, senatore e deputato al Congresso, avevano avviato una richiesta sin dal 2019. Nel novembre scorso si erano recati entrambi negli uffici consolari di Brasilia, dove risultano residenti, e avevano sollecitato l’iter della loro pratica. Sorpresi da un giornalista, Flavio aveva ammesso che erano andati in ambasciata per questo scopo.
Lecito pensare che dopo la disfatta dell’ottobre scorso, anche Bolsonaro padre voglia seguire le orme dei figli. Non ha alcuna intenzione di rientrare in Brasile, almeno per il momento. Anche se i fedelissimi e i tanti fan e sostenitori, impegnati ancora a fare cortei contro Lula e a esortare l’esercito a intervenire con sit-in davanti alle caserme, lo hanno indicato come capo dell’opposizione di destra. Jair ha già ottenuto la cittadinanza onoraria di Anguillara Veneta.
È stato il sindaco Luigi Polo a concedergliela in mezzo a dure contestazioni della popolazione. Ma una cittadinanza ufficiale, con tanto di passaporto, è diversa. Se dovesse chiederla la otterrebbe. Soprattutto con un Matteo Salvini che con Bolsonaro ha sempre avuto una sintonia e un rapporto privilegiati.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Gennaio 8th, 2023 Riccardo Fucile LIBERI LORO DI ASSALTARE E VANDALIZZARE LE ISTITUZIONI DEMOCRATICAMENTE ELETTE, MA LA DEMOCRAZIA SI DIFENDE ANCHE A RAFFICHE DI MITRA
A poche settimane dal voto che ha certificato la vittoria di Lula come presidente del Brasile, le proteste dei sostenitori dell’uscente Bolsonaro non si placano e anzi sono a una svolta.
Al termine di una manifestazione a Brasilia in cui contestavano il risultato elettorale, centinaia di persone sono riuscite a sfondare il cordone di sicurezza ed entrare nel Palácio do Planalto, nel piazzale dove si trovano la sede della residenza presidenziale, del Parlamento brasiliano e della Corte suprema.
Le immagini ricordano l’assalto dei sostenitori di Trump a Capitol Hill, avvenuto esattamente due anni fa.
Secondo quanto riportato dal canale Cnn Brasile i sostenitori dell’ex presidente sono riusciti a entrare anche nell’edificio del Tribunale supremo elettorale (Tse).
Attualmente il presidente in carica, Luiz Inacio Lula da Silva, non si trova a Brasilia ma nello stato di San Paolo in visita ad alcune aree alluvionate.
Nella capitale nel frattempo, con bastoni e pietre, i bolsonaristi hanno anche attaccato alcuni veicoli della Congressional Police, distrutto le barriere di protezione e affrontato gli agenti.
Poche ore fa l’area attorno al Congresso era stata transennata dalle autorità, dopo l’arrivo di diversi bus con sostenitori di Bolsonaro. Il gruppo che rifiuta di accettare la vittoria di Lula alle elezioni dello scorso ottobre è riuscito a sfondare i cordoni di sicurezza, scalando in diverse dozzine la rampa dell’edificio moderno per occuparne il tetto. Poi l’entrata nel palazzo.
Il ministro della Difesa, José Múcio Monteiro, il ministro della Giustizia, Flavio Dino, e il capo dell’Ufficio per la sicurezza istituzionale (GSI), generale Gonçalves Dias, stanno seguendo le manifestazioni.
Il presidente Lula si trova ad Araraquara, nello stato di San Paolo, al momento, per esaminare i danni causati dalle forti piogge che hanno colpito la zona negli ultimi giorni. Lo aveva annunciato sul suo profilo ufficiale Twitter questa mattina.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »