Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile “NON POSSIAMO FARE TUTTO CIÒ CHE DICE LA MELONI”… COSÌ GIORGETTI HA RIPESCATO UN SUO AMICO, BEN SAPENDO CHE BARBIERI NON È ALL’ALTEZZA… GIORGIA ALLORA RICICCIA TURICCHI COL MEF SPACCHETTATO
Mef delle mie brame: come è sbucata la nomina di Riccardino Barbieri al posto del malmostoso Rivera? Nomina che ieri sera ha subito sollevato frizzi e lazzi nel Deep State dei palazzi romani, visto il suo status di mite analista sperduto nelle terze file di XX Settembre.
La sorprendente incoronazione nasce dalla volontà, più volte espressa in maniera piuttosto inopportuna sui giornali, della premier Meloni di spazzar via il trottolino Rivera per sostituirlo con il prode Turicchi, ex city manager del Campidoglio epoca Alemanno, quindi ritenuto affidabile, dimenticando che in passato lo stesso insieme a Scannapieco facessero parte dei Siniscalco-boys.
L’ordine di Giorgia al ministro leghista di sfanculare Rivera con Tuticchi non è stata accolto con piacere da Salvini. Anzi. Durante un incontro con il Semolino varesotto, il Truce leghista è stato esplicito: Giancarlo, non possiamo fare tutto ciò che dice la Meloni, basta darle tutte le soddisfazioni.
Così, per accontentare Salvini che pretendeva di dare un segnale di “discontinuità” al potere senza limitismo della Regina Giorgia, Don Abbondio Giorgetti ha ripescato un suo amico bocconiano all’interno dello staff del Mef, ben sapendo che ‘sto Barbieri non è all’altezza di reggere un’impresa tostissima come la direzione generale del Tesoro.
Una volta infinocchiata dal duo Salvini-Giorgetti, Giorgia non ha aspettato un minuto per ristabilire la sua leadership ammaccata. E oggi su “La Stampa” è uscita l’indiscrezione che a Palazzo Chigi hanno maturato l’ideona di spacchettare in due la direzione generale del Tesoro: da una parte la finanza pubblica e i rapporti internazionali in mano a Barbieri, dall’altra la gestione delle partecipate appannaggio di Antonio Turicchi – com’era del resto in passato con Scannapieco prima di decollare per la Bei, poi Rivera ha accentrato tutto.
Per lo spacchettamento del Tesoro ora si attende l’entrata a prezzi stracciati di Lufthansa, armata del 40%, in Ita, con l’occupazione della poltrona di presidenza dell’ex compagnia di bandiera attualmente sotto il sedere di Turicchi, dopodiché farà felice l’orgoglio ferito della Meloni andando a prendersi la metà della direzione generale del Tesoro. E vissero tutti felici e scontenti.
(da Dagoreport)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile FRATELLI D’ITALIA HA PRESENTATO UN EMENDAMENTO PER ELIMINARE LA SCADENZA DELLE CONCESSIONI BALNEARI DEL 31 DICEMBRE, FISSATA DAL GOVERNO DRAGHI… LA CONCORRENZA È UNO DEGLI IMPEGNI PIÙ IMPORTANTI PRESI CON L’UE PER AVERE I SOLDI DEL RECOVERY
Fratelli d’Italia rilancia sulle concessioni balneare. Il partito della presidente del
Consiglio Giorgia Meloni, attraverso un emendamento al decreto Milleproroghe, vuole eliminare il termine del 31 dicembre 2023 estendendo l’efficacia delle attuali licenze fino al varo della riforma complessiva del settore.
L’emendamento a prima firma di Lavinia Mennuni mira a cancellare l’attuale termine del 31 dicembre di quest’anno, fissato dalla legge sulla concorrenza e confermato dal Consiglio di Stato. Adesso l’emendamento di Fdi vuole stabilire che “continuano ad avere efficacia fino all’approvazione della legge di riforma organica della relativa disciplina”.
Non solo. L’emendamento introduce un articolo sulla “cessazione di efficacia dei termini delle proroghe stabilite per le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio di attività turistico-ricreative e sportive nonché dei rapporti di gestione relativi ad attività con finalità turistico-ricreative e sportive”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile MA IN UNO STATO DEMOCRATICO E’ AMMISSIBILE IL CARCERE DURO PER CHI NON HA AMMAZZATO NESSUNO?
Lo stato di salute di Alfredo Cospito, in sciopero della fame dallo scorso 19 ottobre, è sempre più precario.
L’anarchico detenuto al 41 bis, che ormai da mesi ha riportato – almeno parzialmente – al centro del dibattito pubblico la questione della proporzionalità della pena e del carcere duro, ha parlato oggi con il proprio avvocato, lanciando un messaggio molto chiaro: andrà avanti con la sua protesta fino alla fine, costi quel che costi.
“Il sottoscritto Alfredo Cospito comunica al proprio avvocato Flavio Rossi Albertini che in pieno possesso delle mie capacità mentali mi opporrò con tutte le forze all’alimentazione forzata”, scrive l’anarchico in un messaggio.
“Saranno costretti a legarmi nel letto – continua – Dico questo perché ultimamente mi è stata adombrata la possibilità di un trattamento sanitario obbligatorio”. E attacca: “Alla loro spietatezza e accanimento opporrò la mia forza, tenacia e la volontà di un anarchico e rivoluzionario cosciente”. Cospito promette: “Andrò avanti fino alla fine. Contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. La vita non ha senso in questa tomba per vivi”.
Oltre a ricevere questo messaggio, il legale di Cospito oggi ha anche parlato con la dottoressa Angelica Melia, medico di parte, che ha visitato il detenuto in carcere a Sassari: “Siamo al bivio, da un momento all’altro può crollare, siamo sull’orlo del precipizio – ha riferito la dottoressa – Gli ho sconsigliato di camminare nell’ora d’aria perché consumando ulteriori energie potrebbe far precipitare la situazione”.
Ieri il Garante dei detenuti, Mauro Palma, ha ribadito: “Il 41bis nasce come una modalità per interrompere le comunicazioni con le organizzazioni criminali di appartenenza e in questo senso non è solo giusto, ma addirittura doveroso”.
Ma “quando diventa una modalità carceraria meramente afflittiva, il cosiddetto ‘carcere duro’, allora non è più accettabile”.
Il punto di partenza è “il rispetto della dignità delle persone – ha continuato – e il ‘carcere duro’, le privazioni dei diritti, non hanno nulla a che vedere con le finalità iniziali del 41 bis”.
(da Fanpage)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile LA STORIA DI MARTA: “CON IL REDDITO DI CITTADINANZA MI PAGAVO GLI STUDI SENZA DOVER LAVORARE IN NERO”
“Per ben 32 anni ho abitato in una casa in affitto, ho pagato sempre 950 euro,
poi ho perso un figlio, mi sono ammalata gravemente e ho perso il lavoro. Sono stata sfrattata e così mi sono trovata in mezzo a una strada e non ho avuto nessun aiuto”, ha raccontato a Fanpage.it Ida, una signora di 58 anni che non riesce a trovare un lavoro ed è costretta a vivere in un palazzo occupato.
Percepisce il reddito di cittadinanza, ma da settembre, in virtù delle nuove regole introdotte dal governo Meloni, dovrà farne a meno.
“Alla mia età, ho 58 anni, è difficile trovare un lavoro o un posto, altrimenti lavorerei. Ho una laurea in psicologia, ma il lavoro non c’è. Da quando ho sentito l’annuncio di Giorgia Meloni, io non dormo perché mi toglie di nuovo tutto quello che avevo. È un diritto avere un reddito di cittadinanza per le persone che ne hanno bisogno. Ma se poi lo toglie il reddito noi che facciamo? Dove andiamo? “, ha raccontato ancora la signora Ida.
“C’è tanta preoccupazione, sia da parte nostra che per quanto riguarda le persone che vengono. E ci chiedono: ‘Ma tolgono il reddito?’. E non è perché non hanno voglia di fare niente e vogliono stare a casa. In questo momento in cui il caro vita e il caro bollette, il caro vita in generale sta facendo una strage, soprattutto per le persone che hanno un reddito basso. Io penso che sarà una tragedia”, ha spiegato Margherita, una volontaria dell’Associazione Nonna Roma, che si occupa di aiuti alimentari e sostegno alle persone in difficoltà.
La storia di Marta: “Il reddito mi permetteva di pagare gli studi senza lavorare in nero o sfruttata”
Non ci sono solo persone anziane come Ida che perderanno il reddito di cittadinanza. Ci sono, per esempio, tutti quei ragazzi che non riescono a trovare un lavoro per pagarsi gli studi e non hanno intenzione di accettare, giustamente, un lavoro in nero. Marta è una studentessa sarda e questa misura le ha permesso di studiare a Roma senza essere costretta ad accettare lavoretti sottopagati: “Il reddito aveva posto delle condizioni importanti in un Paese che si considera civile e democratico. Il reddito ti permetteva di dire no a lavoretti in nero, a dire no, io ho questa piccola soglia in cui riesco a sopravvivere e quindi ad alcuni lavori posso dire no. Un elemento su cui dobbiamo interrogarci sul fatto che noi percepiamo degli stipendi e facciamo dei lavori che sono sottopagati che rientrano nelle soglie di povertà per cui tu puoi accedere al reddito. Il dibattito è schiacciato sulle persone che non hanno voglia di lavorare, che questa misura crea un incentivo a non lavorare, quando invece il dibattito sul lavoro che c’è in questo Paese è tutto un altro”.
(da Fanpage)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile ORA XI NON SI FIDA PIU’ DI PUTIN E LO CONSIDERA “UN PAZZO”
Lo scorso anno è iniziato con l’annuncio di un’amicizia senza limiti alle Olimpiadi. Quest’anno si apre con Putin e Xi che in un incontro virtuale parlano di “pressione senza precedenti” da parte dell’Occidente. Tuttavia, mentre il leader russo descrive il clima tra le due potenze come “il migliore della storia” capace di “sostenere ogni sfida”, la sua controparte cinese parla di “rafforzare la coordinazione strategica” per “portare maggiore stabilità nel mondo”.
Un anno difficile per gli amici senza limiti
Nell’ultimo anno, in particolare dallo scoppio della guerra in Ucraina, il rapporto tra i due paesi è cambiato notevolmente. I primi segnali erano evidenti già dalla reazione del governo cinese all’invasione, il quale ha poi dichiarato di non essere stato allertato da Mosca.
A marzo abbiamo spiegato qui su Fanpage.it perché storicamente la Russia rappresenti oggi tutto ciò che la Cina non vorrebbe essere e quali erano le contraddizioni che ponevano Pechino in una situazione di grande difficoltà.
Una difficoltà emersa a giugno con la telefonata per il compleanno di Xi, la quale ha ribadito la grande cooperazione tra i paesi, anche se solo in apparenza. Leggendo tra le righe infatti si trattava della seconda telefonata ufficiale tra i due “amici” nei quattro mesi trascorsi dallo scoppio del conflitto. Oltre al supporto retorico e commerciale, tra i paesi non sembrava esserci una vera intesa, soprattutto militare.
Lo dimostrano anche le versioni divergenti espresse dalle parti. Una ha fatto passare l’appoggio cinese alla Russia, l’altra si è soffermata sulla Cina come mediatore di pace.
Pochi piedi per troppe scarpe
Oggi sono numerosi gli analisti che credono che i costi della guerra di Putin stiano diventando insostenibili per Xi, soprattutto da un punto di vista economico e di reputazione globale e, in particolare, dopo la terza rielezione del Presidente cinese. Altri credono che la situazione di equilibrismo in cui si è posta Pechino non potrà essere sorretta a lungo al netto della volontà politica e del “nuovo mandato” di Xi.
Per ora infatti l’approccio cinese pare più razionale e pragmatico che ideologico. Se da una parte dice di assecondare gli interessi e la volontà russa, dall’altra si rifiuta di provvedere materiale militare e prova a mantenere stabili le relazioni con Usa e Ue.
L’altra faccia del successo economico sino-russo
La situazione economica è forse lo specchio migliore per descrivere le difficoltà politiche e il modo di raccontarle. Il commercio tra Mosca e Pechino ha raggiunto il record di 192 miliardi nel 2022, rispetto ai 147 miliardi del 2021.
L’esportazione di beni cinesi in Russia è cresciuta per il sesto mese di fila. L’import di gas naturale da parte di Pechino tramite il Power of Siberia registra un +50%. Entrambi i paesi facilmente raffigurano tutto ciò come un successo nel rapporto.
Quello che non emerge subito da questi numeri è che alle Olimpiadi di febbraio 2022, come spiegato qui, i due leader si accordarono per raggiungere quota 250 miliardi, un traguardo ancora lontano. Soprattutto, secondo Lyu Daliang, portavoce della General Administration of Customs, il commercio con la Russia nel 2022 è valso solo il 3% della totalità degli scambi cinesi.
Infatti, il rapporto commerciale con Usa e Ue (principali partner commerciali della Cina) ha subito dei forti contraccolpi. Secondo Reuters, complice anche la politica zero-Covid, nei mesi di novembre e dicembre l’export globale cinese è calato rispettivamente dell’8,7% e del 9,9%, registrando il peggior dato dal 2020.
Per i dati forniti da Associated Press, nel Dicembre 2022 l’export di Pechino negli Usa è calato del 19,5% mentre quello in Ue è crollato del 39.5%, perdendo la metà del surplus con Brussels.
Il pericolo dell’irrazionalità politica
Fattore non da poco se consideriamo che la legittimazione del Partito Comunista Cinese (Pcc) si fonda in buona parte sull’essere stati in grado di assicurare una continua crescita del benessere economico, elevando dalla povertà centinaia di milioni di persone.
Tuttavia, la crescita del paese è sotto le previsioni, così come rallenta anche l’espansione della classe media in un contesto immobiliare in profonda crisi, dentro una bolla che sembra destinata a esplodere e in un contesto di lockdown esteso che ha generato forti proteste.
Sul piano dell’innovazione le aziende tech sono sempre più sotto la lente e il controllo diretto del Partito, così come vale in generale per il settore privato e gli investimenti stranieri che ora vengono incoraggiati visto l’impatto della pandemia e della guerra.
Ciò che preoccupa alcuni osservatori è che nell’assenza di una valida alternativa alla legittimazione popolare, Xi smetta di essere un pragmatico equilibrista per inseguire vie più irrazionali, come la persecuzione di obiettivi storici (v. Taiwan) anche tramite mezzi militari, non diversamente dalla controparte russa e nonostante l’incomparabilità dei due contesti.
Con le dovute differenze tra Kiev e Taipei, numerosi aspetti che hanno condotto Putin all’invasione si riflettono anche nella condizione di Xi. Entrambe le propagande sono fortemente ideologizzate e si ritrovano a condurre due grandi potenze verso il loro “giusto posto nella storia” in contrasto ai secoli di dominio o “umiliazione” occidentale.
Dallo “Sparate a Pelosi” a “Putin è pazzo”
Una narrazione che nel tempo ha fomentato approcci molto aggressivi alle questioni di interesse nazionale. I più radicali chiamano in continuazione all’invasione di Taiwan e c’è persino chi ha criticato pubblicamente Xi per non aver abbattuto l’aereo di Nancy Pelosi, rappresentante della Camera Usa in visita a Taipei.
Tuttavia, non c’è una sola tendenza. Intorno a Xi c’è anche chi sostiene che “Putin sia pazzo”. È questo quanto riportato dal Financial Times per voce di un ufficiale cinese, il quale aggiunge: “l’invasione è stata decisa da un gruppo ristretto di persone. La Cina non dovrebbe limitarsi a seguire la Russia”.
In questo contesto, ci sono segni di apertura da parte della Cina che, secondo quanto affermato da Politico, è pronta a inviare in Belgio e in Germania il Ministro degli Esteri Wang Yi insieme a una serie di alti ufficiali. Nel mentre il Presidente ucraino Zelensky invita ufficialmente Xi a un incontro facendo recapitare una lettera alla sua delegazione durante il World Economic Forum, in corso in questi giorni a Davos, in Svizzera
L’ambiguità strategica cinese
Nonostante simili notizie, non è ancora detta l’ultima. Il fatto che questa crisi nei rapporti sia stata prevista e ora sia più evidente può rientrare nella stessa ambiguità strategica cinese, portata avanti finora.
Nell’affrontare il conflitto in Europa, la Cina ha sempre puntato ad apparire come potenziale mediatore a patto che la posizione di Bruxelles non fosse troppo soggetta alla volontà di Washington.
“La Cina potrebbe provare ad ottenere entrambe le cose” afferma Robert English, professore all’University of Southern California, “la guerra avvantaggia Pechino perché distrae l’Occidente dal confronto con la Cina mentre gode di importazioni di energia scontate dalla Russia. Non si vuole però che i rapporti commerciali con l’Europa ne risentano, quindi si deve dare l’impressione di criticare Mosca. Il sostegno economico alla Russia non è diminuito, né è cambiata la posizione ufficiale cinese, che continua ad incolpare la NATO per il conflitto”.
Non diamo dunque per scontato “l’equilibrismo” cinese, non solo in senso letterale ma anche figurato, perché come la tradizione circense anche la politica mandarina è rinomata per sfatare contraddizioni e paradossi ipoteticamente insostenibili per noi europei.
Il conciliare comunismo e capitalismo ne è l’esempio più grande, un sistema che dai fatti di Tienanmen viene descritto nei media e nelle università come capace di implodere da un momento all’altro, ma è invece oggi all’apice della sua potenza.
(da Fanpage)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile A ORGANIZZARLA ERA STATO GIUSEPPE CIMAROSA, IL NIPOTE 40ENNE DEL PADRINO CHE HA RIPUDIATO LA MAFIA: “NON È ANDATA BENE, MI ASPETTAVO UN’ALTRA PARTECIPAZIONE”
Tolti i giornalisti, i poliziotti e i bambini al seguito, ci sono 24 persone.
Ventiquattro adulti sotto casa della famiglia Messina Denaro a Castelvetrano per sventolare un foglio bianco come simbolo di un nuovo inizio. «Non è andata bene, mi aspettavo tutt’altra partecipazione».
Giuseppe Cimarosa è il nipote del boss. Da dieci anni rischia la vita per essere un uomo libero. «Ho rinunciato al programma di protezione perché avrei dovuto cambiare nome e andare via da qui. Ma sono i mafiosi quelli che se ne devono andare». È stata sua l’idea di questa manifestazione, con riferimento preciso a quello che definisce «il suo idolo»: «Peppino Impastato andava a gridare sotto casa dei mafiosi, noi ci accontenteremo di andare a dire che sta iniziando una nuova era. Oggi festeggiamo la cattura di Matteo Messina Denaro».
Ha scritto su Facebook invitando i suoi concittadini. Ha telefonato al sindaco chiedendo aiuto, si trattava di fare passare l’invito anche in modo istituzionale. Appuntamento alle quattro di pomeriggio in piazza Ruggero Settimo, parte vecchia della città, nel quartiere «Badia», quello che ha dato i natali a Matteo Messina Denaro.
In via Alberto Mario c’è la casa d’infanzia, in via Luigi Cadorna quella dove ancora vive la madre con altri parenti. Ma la piazza è vuota.
Qualcosa non ha funzionato.
Il sindaco tarda a arrivare, nemmeno ha fatto chiudere la strada al passaggio delle auto come si fa per le manifestazioni importanti.
Ci sono quattro consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle e gli amici della vita di Giuseppe Cimarosa. Fa il regista di un teatro equestre, ha un maneggio nelle campagne: le 24 persone sono quasi tutte legate a queste attività.
Probabilmente l’unica cittadina arrivata per motivi indipendenti dagli affetti personali si chiama Maria Trinceri, operatrice del patronato dell’Acli in sostegno ai disoccupati. «Sono triste. Siamo in pochi. Forse le persone sono stanche e sfiduciate, forse non credono più nella legalità. Non lo so. Ma so che questa città è morta: non c’è lavoro, i ragazzi vanno via e restano i vecchi».
Citofonare a casa Denaro è un puro esercizio di stile. Le telecamere riprendono la strada. Non risponde mai nessuno. Da giorni, da anni.
Quelli che ci sono vanno dentro uno squarcio di sole. Sventolano fogli bianchi. Qualcuno piange di commozione. Scandiscono queste parole: «Castelvetrano è nostra, non di Cosa nostra». Le auto sfilano e tirano dritto. Nessuno si aggiunge in ritardo. «È andata male, ma torneremo. Faremo altre manifestazioni», dice Giuseppe Cimarosa. «Mi sono stancato di questa retorica sui giovani, sulle nuove generazioni, sul futuro. Se qui non cambiano gli adulti, nulla cambierà».
(da la Stampa)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile IL “FINANCIAL TIMES: “IL GENERALE INVERNO SEMBRA AVER DISERTATO PER SOSTENERE I PAESI CHE APPOGGIANO L’UCRAINA. LA STRATEGIA ENERGETICA ARMATA DELLA RUSSIA HA DAVVERO I GIORNI CONTATI”
La guerra energetica di Vladimir Putin sta improvvisamente andando bene come la sua “operazione militare speciale”. Vale a dire, non molto. Dopo aver provocato paura e caos armando le forniture di gas ai Paesi che appoggiano l’Ucraina, il presidente russo si trova ora in grave difficoltà.
Scrive il Financial Times.
Nell’ultimo mese, i prezzi del gas naturale sono crollati. Dopo aver sfiorato i 150 euro per megawattora (48 dollari per milione di unità termiche britanniche) all’inizio di dicembre, questa settimana sono scesi al di sotto dei 60p/MWh (19 dollari per mmbtu), favoriti da un periodo di tempo stagionalmente mite che ha frenato la domanda di riscaldamento.
I prezzi rimangono comunque elevati rispetto agli standard storici. Le bollette delle famiglie sono ancora indubbiamente dolorose e l’industria ha subito un duro colpo. Ma il gas è tornato a un livello quasi gestibile per la maggior parte delle economie dell’Europa occidentale.
I prezzi sono circa il doppio del livello che un tempo avremmo considerato alto in un inverno normale, ma non sono più 10 volte tanto, come l’estate scorsa, quando la Russia ha interrotto completamente il suo principale gasdotto verso l’Europa.
Le carenze diffuse, che una volta erano legittimamente temute, non si sono materializzate. Al contrario, gli impianti di stoccaggio del gas in Europa – la misura chiave della capacità del continente di superare comodamente questo inverno e il prossimo – sono pieni per il periodo dell’anno.
Normalmente, a questo punto dell’inverno, ci si aspetterebbe che i livelli di stoccaggio siano scesi a circa il 60% o meno della capacità. Invece, sono ancora quasi all’80%, con i livelli della più grande economia europea, la Germania, che si avvicinano al 90%.
Non è detto che sia saggio rallegrarsi per le temperature primaverili registrate in molti Paesi europei durante il periodo natalizio, visto ciò che ci dice sul cambiamento del clima. Ma si può perdonare un sorriso ironico da parte di coloro che conoscono abbastanza la storia russa da trovare divertente il fatto che il Generale Inverno sembra aver disertato per sostenere i Paesi che appoggiano l’Ucraina.
Ci sono ancora preoccupazioni su ciò che accadrà in seguito. Un’ondata di freddo prolungata a febbraio o marzo potrebbe iniziare a ridurre le scorte europee, anche se le previsioni meteo, per ora, sembrano ragionevolmente benevole.
È possibile che la Russia si muova per tagliare la piccola quantità di gas che ancora raggiunge l’Europa attraverso l’Ucraina e la Turchia. Ma la maggior parte delle previsioni del settore prevede che la stagione di rifornimento degli stoccaggi di gas in primavera e in estate parta da una base elevata, placando i timori che l’inverno 2023/24 possa rappresentare una sfida maggiore, visti i flussi russi molto più bassi rispetto alla prima metà dello scorso anno. L’Europa è ora meglio posizionata per gestire eventuali ulteriori tagli russi.
Un’altra minaccia è rappresentata da ciò che accadrà alla domanda cinese una volta che sarà uscita dalle politiche di blocco di Covid-19. In questo momento, i serbatoi di gas cinesi sono in gran parte pieni dopo un periodo di crescita depressa. Ma verso la fine dell’anno, l’industria si aspetta che la domanda cinese di gas naturale liquefatto importato – gli stessi carichi via mare su cui l’Europa ha fatto affidamento in gran parte per sostituire i flussi russi – aumenti.
Questo potrebbe non essere un problema immediato se l’Europa sta iniziando a riempire lo stoccaggio da una base elevata questa primavera. Ma la situazione potrebbe essere un po’ più tesa di quanto non lo sia all’inizio dell’inverno 2023/24, se la domanda cinese dovesse tornare a farsi sentire.
Sarebbe quindi sciocco escludere un’ulteriore volatilità dei prezzi. Ma la strategia energetica armata della Russia ha davvero i giorni contati. L’anno scorso, per Mosca, l’aumento dei prezzi del gas ha più che compensato la perdita di volumi venduti. È improbabile che ciò si ripeta. Le sanzioni occidentali hanno anche dimezzato il prezzo che Mosca può ottenere per il suo petrolio, colpendo il bilancio del Cremlino.
Entro il 2024/25 inizierà ad arrivare sul mercato globale una maggiore quantità di GNL, alleggerendo la situazione dell’offerta e rendendo molto meno probabili picchi di prezzo estremi. Anche se i prezzi potrebbero non tornare completamente alla media dell’ultimo decennio, la curva di previsione non prevede più un ritorno ai prezzi che hanno minacciato una profonda e prolungata recessione in Europa.
Tutto ciò non suggerisce che l’Europa possa permettersi l’autocompiacimento. Gli analisti segnalano con esitazione che l’unico piccolo rischio per il bilancio del gas europeo nei prossimi mesi potrebbe essere la ripresa della domanda industriale. Gli impegni presi per espandere le energie rinnovabili e altre fonti di generazione di energia pulita devono essere accelerati per eliminare la debolezza strategica sfruttata da Putin.
Governi come quello tedesco hanno dimostrato di sapersi muovere rapidamente in caso di crisi, realizzando in pochi mesi terminali galleggianti di GNL per aprire alternative al gas russo. La stessa urgenza deve ora essere applicata alle soluzioni a lungo termine, siano esse l’eolico offshore, l’idrogeno o il nucleare, accelerando al contempo il processo a lungo termine di riduzione dell’uso del gas per il riscaldamento. Questo sarà l’unico modo per dichiarare con decisione la vittoria nella guerra dell’energia.
(da Financial Times)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile ISSAKA COULIBALY E’ MORTO PER IL FREDDO… FACEVA IL PORTIERE PER IL ST. AMBROEUS F.C., LA PRIMA SQUADRA D’ITALIA INTERAMENTE FORMATA DA IMMIGRATI… LA RABBIA DEL CLUB: “QUANDO NON TI VIENE CONCESSO DI AVERE DEI DOCUMENTI SEI COSTRETTO A VIVERE E A MORIRE AI MARGINI DELLA SOCIETÀ”
È il 25 novembre scorso. Una volante della Polizia di Stato, in servizio sul
territorio, parcheggia all’esterno di un grosso edificio dismesso tra via Corelli e via Rivoltana. Gli agenti entrano e tra i piani trovano un corpo disteso a terra. Chiamano i soccorsi ma ormai è troppo tardi. Quell’uomo non respira più, è morto «per cause naturali» probabilmente legate anche al freddo di quei giorni.
In tasca ha un documento (non una carta d’identità nè un passaporto) che riporta il suo nome e cognome: Issaka Coulibaly. Originario del Togo, 27 anni, né una casa né un lavoro. Ma non è un fantasma, uno di quelli che nessuno conosce. No. Issaka si divertiva tra i pali, professione portiere, a giocare sui campetti di periferia. Si era allenato anche con il St. Ambroeus Fc, la prima squadra d’Italia interamente formata da immigrati a iscriversi a un campionato federale (nel 2018).
All’esordio nel campionato di Terza Categoria i tifosi del St. Ambroeus si presentarano in tribuna con lo striscione «Salvini siamo il tuo incubo». Quell’esperimento, che tuttora resiste, era stato dipinto dalla sinistra istituzionale come un perfetto modello di integrazione attraverso il pallone.
ACCUSE PESANTI
«Morire di gelo in una città come Milano non può essere classificato semplicemente come morte naturale, se a Issaka fosse stato concesso di vivere regolarmente con dei documenti molto probabilmente non staremmo scrivendo questo post », si legge sulla pagina facebook del St. Ambroeus Fc.
Qualcosa, è evidente, non ha però funzionato. Possibile che nessuno conoscesse la situazione di questo ragazzone? Possibile che nessuno sapesse che passava le notti in quella palazzina abbandonata ai margini della città? Possibile che nessuno si sia adoperato per strapparlo a una vita di stenti?
Chi gravita attorno agli ambienti del St. Ambroeus lo conosceva bene. E ora la butta in polemica politica: «Issaka è morto di clandestinità, perché quando non ti viene concesso di avere dei documenti sei costretto a vivere e a morire ai margini della società». Con un appello alle istituzioni che prende spunto dalla morte del ragazzo. «Giustizia per Issaka, e documenti per tutte e tutti».
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2023 Riccardo Fucile NUMEROSI ARRESTI E MINACCE DI MORTE NELL’ULTIMO ANNO
«Ho dormito profondamente per la prima volta da molto tempo«. Sono le prime parole di Jacinda Ardern, il giorno dopo aver annunciato le sue dimissioni alla guida del Labour Party e come premier della Nuova Zelanda.
Parlando ai giornalisti fuori dall’aeroporto di Hawke’s Bay, in mattina Arden ha affermato di «essere molto triste», ma di «non avere rimpianti» per aver deciso di lasciare l’incarico «entro (e non oltre) il 7 febbraio», ovvero prima delle nuove elezioni previste per il 14 ottobre.
E mentre nel Paese in molti si stanno chiedendo cosa farà adesso la politica neozelandese, tra i vertici politici crescono illazioni sul fatto che abusi e minacce possano aver contribuito alle sue dimissioni.
A riportarlo è il Guardian che sottolinea come importanti leader politici, nonché personaggi pubblici dello Stato insulare dell’Oceania credono che la «costante denigrazione», gli abusi e gli attacchi a lei e alla sua famiglia possano aver contribuito al tipo di «esaurimento» (di energie) di cui la stessa Ardern ha parlato in conferenza: «Ho dato tutta me stessa per essere primo ministro, ma mi è anche costato molto. Non posso e non devo fare questo lavoro se non ho il pieno di energie, oltre ad un po’ di riserva per quelle sfide impreviste che inevitabilmente si presentano», ha spiegato in lacrime.
Abusi e minacce
A confermare questa tesi anche molti parlamentari neozelandesi che spingono sul fatto che Ardern sia «stata costretta a dimettersi» con l’obiettivo di non farla correre alle elezioni di questo autunno.
«È un giorno triste per la politica poiché una leader eccezionale è stata cacciata dall’incarico a causa di costanti diffamazioni sul suo conto», ha detto il co-leader del partito Māori Debbie Ngarewa-Packer secondo cui «la sua famiglia ha resistito fin troppo agli attacchi brutali ricevuti negli ultimi due anni».
A dare manforte alle dichiarazioni della “spalla” di Ardern, anche l’ex primo ministro Helen Clark – prima donna eletta della Nuova Zelanda dal 1999 al 2008 – che ha corroborato le minacce «senza precedenti», subite da Ardern durante il suo mandato iniziato nell’agosto 2017.
«Le pressioni sui primi ministri – continua Clark – sono sempre state enormi, ma in quest’era di social media, clickbait, presenza costante 24 ore su 24, 7 giorni su 7, Jacinda ha dovuto affrontare un livello di odio che non ha precedenti nella storia del Paese. La nostra società potrebbe ora riflettere se vuole continuare a tollerare l’eccessiva polarizzazione che sta rendendo la politica una vocazione sempre meno attraente», ha concluso.
Nel 2022 triplicata la violenza verbale
Nel 2022 la polizia neozelandese ha riferito di aver notato un aumento di minacce nei confronti della prima ministra. In quasi tre anni, infatti, gli abusi verbali indirizzati ad Arden sono quasi triplicati. Sebbene le forze dell’ordine non siano state in grado di determinare i motivi di ogni singola minaccia, i documenti ufficiali – spiega il quotidiano inglese – hanno mostrato come le decisioni prese per contenere la pandemia di Coronavirus e l’opposizione alla legislazione per regolamentare le armi da fuoco dopo la sparatoria del 15 marzo a Christchurch siano stati tra le cause – trainanti – delle minacce subite dalla Ardern.
L’occupazione dell’area antistante il parlamento neozelandese, durata una settimana e avvenuta per mano di manifestanti no-vax, è un esempio rappresentativo del clima che si respirava durante il periodo pandemico. Manifestazione poi sfociata in una rivolta violenta all’inizio del 2022 con i contestatori che chiesero allora le dimissioni del primo ministro e altri parlamentari.
Nell’ultimo anno, inoltre, un certo numero di uomini sono stati arrestati, ammoniti formalmente o sono stati accusati di aver minacciato di assassinare Arden. A tal proposito, Kate Hannah – direttrice del Disinformation Project – che monitora l’estremismo online presso il centro di ricerca Te Pūnaha Matatini, ha confermato un aumento significativo del materiale offensivo e minaccioso diretto alla Ardern, ritenendo – inoltre – che probabilmente tutto questo sia stato determinante nella decisione di lasciare il ruolo di premier. «La portata di ciò che abbiamo osservato negli ultimi tre anni – spiega Hannah – è tale che non può essere altrimenti: sono stati determinanti nel contribuire a spingere la Ardern alle dimissioni»
I prossimi passi
Ora è iniziata la corsa dei laburisti per trovare un sostituto della prima ministra: il loro caucus si incontrerà, infatti, domenica 22 gennaio per votare i candidati che – per essere eletti e conquistare la leadership – dovranno ottenere i due terzi dei voti.
Se non dovessero esserci i numeri, il voto sarà poi assegnato a tutti i membri del partito. L’obiettivo è trovare una figura, al livello (o quasi) di Ardern, per traghettare il partito nelle dure elezioni del 14 ottobre.
Nel frattempo, molti sono i pensatori neozelandesi che ritengono impossibile che la leader del Labour Party si ritiri del tutto dalla vita politica e molti analisti pensano che le sue dimissioni possono essere «l’inizio di un nuovo percorso».
Per Stephen Hoadley, professore di Scienze politiche e relazioni internazionali all’università di Auckland, in Nuova Zelanda, la prima ministra potrebbe trovarsi ad avere un nuovo incarico già alla fine di quest’anno. «Ha il potenziale, ha l’abilità, ha il profilo, ha l’accettabilità di fare un sacco di cose. Datele qualche settimana per riposarsi e per riempire il serbatoio, per usare la sua frase. Ma immagino che entro la fine di quest’anno sarà partita e correrà su una linea di carriera completamente nuova», ha detto Hoadley citato da Associated Press.
(da Open)
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