INTERVISTA A LAURA BOLDRINI: “LA CAMERA DEVE DIVENTARE LA CASA DELLA “BUONA POLITICA”
LA NEOPRESIDENTE: “ADESSO CI FACCIANO LAVORARE”
Laura Boldrini, 52 anni, è la nuova presidente della Camera, la terza donna dopo Nilde Iotti e Irene Pivetti, ad avere l’onore dello scranno più alto.
Una improvvisa investitura, quasi il primo atto costitutivo di un nuovo centrosinistra: «Laura, tocca a te».
Lei racconta con ironia ed emozione: «Non me l’aspettavo. Mi è sembrato di vivere la vicenda di un’altra persona, qualcosa altro da me. Sono contenta della fiducia che ho visto negli occhi degli altri ma sento tutto il peso della responsabilità . Non c’è tempo da perdere. Ora ci devono far lavorare. Abbiamo la facoltà di invertire la rotta».
Giorno di emozioni, di bella politica, un discorso preparato al volo che parla dei diritti degli ultimi, delle battaglie che l’ex portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha sempre fatto.
La sua promessa è un manifesto che parla anche ai grillini, già incontrati ieri, su loro richiesta, a Montecitorio, dopo la prima uscita pubblica in via Fani, omaggio a Moro e agli uomini della sua scorta.
Presidente Boldrini: comincia ad abituarsi ad essere chiamata così?
«Confesso l’emozione. E’ successo tutto così in fretta. La mattina non sapevo ancora niente. Sono arrivata come un soldatino a Montecitorio per una riunione che Sel aveva convocato alle sette e mezzo del mattino prima dell’incontro di coalizione. Franceschini mi ha visto e mi ha fatto una battuta: “Vedrai, ci sarà una sorpresa”. Mai più pensavo a me. Mi son detta: “Bello, chissà che nome hanno trovato”».
Il nome era il suo.
«Quando l’ho capito ho vissuto sentimenti contrastanti: lusingata dalla stima e nello stesso tempo consapevole della serietà dell’impegno preso. Io ho accettato di candidarmi per un progetto nuovo di società , perchè ero indignata della politica, degli scandali, della lontananza delle istituzioni dai problemi reali della gente. Vendola mi ha chiamato e ho deciso che era arrivato il momento di prendermi delle responsabilità . Non si può sempre rimanere estranei ai processi di cambiamento. Vendola mi ha chiesto di lavorare in Parlamento quando ero ad Atene, in un Centro medico, in mezzo a ragazzi picchiati perchè neri, a greci senza soldi che ormai si fanno curare dalle strutture sanitarie per stranieri perchè non hanno più soldi. Ho visto tanta sofferenza sociale nel cuore di un Paese cui la nostra cultura deve molto. E ho deciso che anche qui, in Italia, non era giusto stare a guardare. Ho mandato mia figlia a studiare all’estero per darle una chance in più. Anche il mio compagno è all’estero. La mia famiglia è fuori dal Paese. Io dico che i nostri figli devono crescere e studiare qui ed avere un futuro in Italia».
A proposito di sua figlia Anastasia, come l’ha presa?
«Ha 18 anni. Vive a Londra. Quando l’ho chiamata ancora dormiva. Le ho detto: “Sarò presidente della Camera”. Lei non capiva, era esterrefatta. Ho tradotto: Speaker, speaker, sarò la speaker…».
Niente cambio d’abito.
«E quando mai, tenuta d’ufficio, giacca e pantaloni neri, quelli che indossavo. Mi hanno detto: vai a cambiarti. Ma tanto non avevo niente di diverso a casa».
E poi la stesura del discorso. Un omaggio ai giovani, ai disoccupati, ai piccoli imprenditori strangolati dalla crisi, ai carcerati, alle donne umiliate, «ad una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà ».
«I temi della mia campagna elettorale, della mia battaglia. Devo dare atto a Sel che non ha interferito in alcun modo nelle cose che volevo dire. C’è chi mi ha fatto notare che non ho evocato le parole sviluppo e crescita. Ma erano insite in ciò che ho detto. Ho parlato di diritti ma non c’è sviluppo senza diritti, non c’è ricchezza senza diritti. Prima i diritti poi lo sviluppo».
Un discorso di 20 minuti, 22 interruzioni per gli applausi.
«E’ stata una giornata bellissima. Bellissima per il Paese. Ho ricevuto la telefonata di Napolitano, centinaia di messaggi, biglietti di auguri e nel pomeriggio ho tifato per Piero Grasso».
Potrebbe essere un’esperienza breve. L’avvio del governo è una sfida.
«Io dico che non possiamo permetterci di non rispondere ai bisogni delle persone, non possiamo non dare una risposta chiara. Se vogliamo che cambi la percezione che il Paese ha della politica e delle istituzioni dobbiamo andare avanti».
Quindi al più presto un governo.
«Quindi al più presto la risposta alla sofferenza del Paese. Abbiamo la facoltà di invertire la rotta. Ci devono far lavorare. Questa Camera sarà la casa della buona politica».
Si sarà accorta delle freddezza in aula del Pdl.
«So che qualcuno ha definito il mio discorso ideologico, terzomondista e pauperista. Se pauperista vuol dire essere sobria e rigorosa io lo sono sempre stata e ne vado fiera».
Alessandra Longo
(da “la Repubblica“)
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