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IL VOTO DI BERSANI E’ NULLO?

Marzo 4th, 2018 Riccardo Fucile

HA INFILATO LA SCHEDA NELL’URNA SENZA DAR MODO AL PRESIDENTE DI STACCARE IL TAGLIANDO ANTI-FRODE… COSI’ IL VOTO DIVENTA RICONOSCIBILE, NON E’ VALIDO

Pierluigi Bersani ha votato questa mattina a Piacenza alla scuola di via Emmanueli, a poche centinaia di metri dalla sua abitazione.
E all’uscita della cabina, scrive l’agenzia di stampa ANSA, ha infilato direttamente le schede nelle urne venendo ripreso dal personale di seggio che avrebbe dovuto controllare il numero sul bollino anti-frode e poi rimuoverlo.
“Il tagliando andava… “, gli ha detto la segretaria della sezione, ma poi ha cambiato idea: “Vabbeh è lo stesso, mi scusi. Poi lo togliamo dopo”, alludendo evidentemente al tagliando di controllo anti-frode.
Il problema è che il bollino antifrode deve essere rimosso dal presidente del seggio, secondo le istruzioni del ministero dell’Interno, prima che la scheda venga messa nell’urna.
Adesso nell’urna quel voto è riconoscibile, perchè sarà  l’unico — si spera — dato da un elettore e in cui è ancora presente il tagliando antifrode. In teoria, quindi, il voto dato da Pierluigi Bersani è nullo.
Scrive infatti il ministero dell’Interno:
Ogni scheda è dotata di un apposito tagliando rimovibile, “tagliando antifrode”, dotato di un codice progressivo alfanumerico, che sarà  annotato al momento dell’identificazione dell’elettore. Espresso il voto l’elettore consegna la scheda al presidente del seggio. E’ il presidente che stacca il “tagliando antifrode” e, solo dopo aver verificato la corrispondenza del numero del codice con quello annotato al momento della consegna della scheda, la inserisce nell’urna.
C’è però un’altra soluzione: si può richiamare indietro l’elettore, come è successo a Roma per alcune schede sbagliate, e farlo votare dopo, annullando le eventuali schede con tagliando presenti nell’urna.

(da agenzie)

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BERSANI APRE A UN’INTESA SU LOMBARDIA E LAZIO

Gennaio 11th, 2018 Riccardo Fucile

DOPO L’APPELLO DI PRODI E VELTRONI PER UN CENTROSINISTRA UNITO, LIBERI E UGUALI PRONTI A SEDERSI A UN TAVOLO

I padri nobili del Pd, l’ex premier Romano Prodi e l’ex segretario dem, Walter Veltroni lanciano, dalle pagine di Repubblica e della Stampa, un appello all’unità  della sinistra alle prossime elezioni, almeno nelle regionali di Lazio e Lombardia.
Un’apertura arriva da Pier Luigi Bersani, esponente di Liberi e Uguali.
“In Lazio e Lombardia proviamo a trovare un’intesa, ci stiamo lavorando”, dice, parlando con i cronisti alla Camera.
Con Nicola Zingaretti, ammette Bersani, la strada di un accordo è meno complicata di quella con Giorgio Gori. Comunque, avverte, “non ha senso fare ammucchiate contro la destra, operazioni di ceto politico. Serve una proposta chiara di sinistra di governo, alternativa alla destra. Altrimenti i cittadini non ce li portiamo a votare. Vediamo che succede nelle prossime ore”.
“Le forze del centrosinistra – auspica Prodi – recuperino il buon senso e si mettano insieme per le elezioni regionali e anche per quelle nazionali”. “Sono preoccupato – chiarisce – perchè non vedo prevalere quello spirito di coalizione che è sempre indispensabile per vincere una competizione elettorale. Quello spirito è fondamentale per le elezioni regionali, ma lo è anche per il voto nazionale. Per un semplice motivo: è stata approvata una legge che prevede proprio le coalizioni”.
Per Prodi, servirebbe “un rigurgito di buon senso in un mondo che sembra davvero aver perso tutto il buon senso”.
A Prodi fa eco Veltroni: “Sarebbe un vero e proprio delitto presentarsi divisi in due regioni fondamentali per il Paese”. “È evidente a tutti – aggiunge – che le condizioni sono cambiate. È possibile un’inversione di tendenza e allora sarebbe doveroso che i partiti del centrosinistra, tutti i partiti, trovassero una unità  contro le destre”.
A schierarsi per una candidatura unitaria del centrosinistra, perlomeno in Lombardia, è anche la leader Cgil Susanna Camusso. “Credo che sarebbe positivo se si cogliesse l’occasione di una candidatura unitaria in un’area del Paese, in particolare in quella milanese, dove cresce il numero di giovani e con un significativo tasso di innovazione. Sarebbe un passo importante per poter affrontare una partita strategica anche a livello nazionale”.
Potrebbe essere Gori il candidato unitario? “È compito delle forze politiche individuare il candidato. Ci piacerebbe che nella valutazione avessero un peso le buone relazioni avute con il sindacato a Bergamo come nel Lazio con Zingaretti”.
Inoltre, commenta la proposta di Grasso di abolire le tasse universitarie: “Sicuramente ha il pregio di riproporre il tema dell’accesso all’università  che oggi è fortemente basato sul censo. È una proposta che può aprire una discussione sulla qualità  dell’istruzione”.
Nel ruolo di pontiere anche Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana ed esponente di Liberi e Uguali, che su Facebook scrive: “Con Gori in Lombardia è opportuno aprire un confronto sul programma, perchè rispetto a Maroni non basta #faremeglio, come dice lo slogan Gori, ma si deve cambiare idee e politiche”, “nel Lazio non sostenere Zingaretti, un uomo di sinistra, è un errore perchè dobbiamo impedire che la Regione passi a Gasparri”.

(da “Huffingtonpost”)

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RENZI NON CONVINCE BERSANI: “NESSUNA NOVITÀ, RENZI NON PIÙ CREDIBILE”

Novembre 13th, 2017 Riccardo Fucile

GLI EX COMPAGNI BOCCIANO LA RELAZIONE DEL SEGRETARIO

“Non vediamo nessuna novità . Parole, ma ormai Renzi non è più credibile e il fatto cheabbia affidato a Fassino i rapporti con la sinistra, dice tutto su quanto siamo distanti…”.
Così Mdp commenta all’AdnKronos l’intervento di Matteo Renzi in Direzione e l’apertura del segretario a una coalizione ampia senza veti alle formazioni che stanno a sinistra del Pd.
Sull’apertura di Renzi a una larga coalizione di sinistra fatta durante la Direzione, è intervenuto anche il capogruppo a Montecitorio di Mdp Francesco Laforgia: “Se noi proponessimo ai nostri elettori una coalizione di centrosinistra senza discontinuità  sulle politiche, dal Jobs Act che sulla buona scuola, i nostri elettori semplicemente non ci seguirebbero. Dobbiamo portare al voto milioni di persone di sinistra che sono rimaste a casa in questi anni e dobbiamo farlo parlando innanzitutto del paese, le alleanze verranno dopo”.
Prima ancora di Laforgia, Bersani aveva fatto trapelare il suo scetticismo su una maggiore sintonia possibile fra il Pd ed Mdp? “Non lo so, bisogna vedere cosa dice sul resto – ha detto – perchè lui si preoccupa sempre di rivendicare quello che s’è fatto. Purtroppo c’è qualche milione di elettori che non è d’accordo. Non è Bersani o Speranza, sono gli elettori che non sono d’accordo; che hanno un giudizio critico su tante cose che si sono fatte e che vedono che a dispetto delle affermazioni che siamo usciti dalla crisi, abbiamo dei problemi, a cominciare da quello del lavoro. E quindi staremo a vedere, seguiamo il resto della discussione. Basta che si sappia – ammonisce – che le chiacchiere stanno a zero, ci vogliono dei fatti”.
Fratoianni: “Renzi disco rotto, siamo alle solite”.
“Renzi rilancia sulla coalizione ma Rivendica le politiche che la rendono impossibile. Insomma siamo alle solite”. Così Nicola Fratoianni segretario nazionale di Sinistra Italiana. “Da un lato – prosegue il leader di Si – il disco rotto del voto utile dall’altro la riproposizione di scelte che hanno favorito la crescita delle destre.” “Noi – conclude Fratoianni-continuiamo e continueremo a lavorare con decisione alla costruzione di un altro polo, alternativo e coraggioso.”

(da “Huffingtonpost”)

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BERSANI: “NON MI SENTO DI RINNOVARE LA TESSERA”, D’ALEMA: “I NUOVI LEADER SONO ROSSI E SPERANZA”

Febbraio 22nd, 2017 Riccardo Fucile

ROSSI: “IL PD NON E’ PIU’ CASA MIA”…. SPERANZA: “AVANTI NELLA COSTRUZIONE DI UN NUOVO SOGGETTO POLITICO”

“Non mi sento di iscrivermi al Pd, non mi interessa partecipare a questo congresso, rimango nel centrosinistra”, ha detto Pierluigi Bersani a Di Martedì, su La7.
“È certamente un passaggio non semplice ma anche quando hai dei dubbi, quando non sai cosa fare fai quel che devi”, ha aggiunto.
“Non è la ditta, non è il Pd. Si è spostato. Noi non abbiamo fatto nessuno strappo, abbiamo chiesto questa discussione nei tempi normali. Non siamo stati noi a scaravoltare il calendario: è stato il segretario che ha preso il giochino delle dimissioni del segretario per fare un congresso cotto e mangiato”, ha dichiarato ancora Bersani.
D’Alema: “Non mi candido, leader nuova forza sono Rossi e Speranza”
“Questo riformismo così esaltato ha prodotto una riforma costituzionale malfatta, una legge elettorale cancellata dalla consulta. Ci troviamo in una situazione che è il risultato di un fallimento politico, un leader dovrebbe prenderne atto”, ha detto Massimo D’Alema a “Carta bianca” su Rai3.
“A un certo punto – ha aggiunto – diventa necessario che torni a farsi sentire una voce autonoma che sta dalla parte dei più deboli e dei lavoratori, non si può lasciare un vuoto”.
E su una possibile candidatura, D’Alema afferma: “Non è nei miei programmi candidarmi in Parlamento, non credo che me lo chiederanno nemmeno. Non sono mai stato aggrappato alle poltrone”.
“Spero che Pier Luigi Bersani capisca che questa non può essere la formazione nè di D’Alema nè di Bersani. I leader di questa formazione sono Rossi e Speranza”, ha aggiunto.
D’Alema ha riservato una stoccata a Renzi. “Se Emiliano vince, si vedrà  dopo. Io spero che la nostra divisione non sia eterna. L’elemento di divisione è Renzi. Se verrà  rimosso l’elemento di divisione, il centrosinistra tornerà  a essere unito”, ha sottolineato.
Speranza va avanti con la scissione.
“Dalla direzione Pd nessuna novità . Noi andiamo avanti sulla strada della costruzione di un nuovo soggetto politico del centrosinistra italiano che miri a correggere quelle politiche che hanno allontanato dal nostro campo molti lavoratori, giovani e insegnanti. Occorre iniziare un nuovo cammino”.
Lo afferma Roberto Speranza, che guida Sinistra riformista, interpellato dall’Ansa. “Prendiamo atto della scelta assunta da Michele Emiliano di candidarsi nel Pdr”.
Rossi: “Il Pd non è più la mia casa”
Io andrò avanti (nella scissione, ndr). E’ una scelta che ho fatto con grande serenità , dopo aver ascoltato renzi e altre relazioni. Perchè uno capisce che quella non è più la sua casa, il suo modo di pensare. Allora bisogna costruire una forza politica nuova, più forte, più robusta dal punto di vista programmatico ed ideologico”.
Così il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ospite di Lilli Gruber a “Otto e mezzo” su La7.

(da agenzie)

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SONDAGGISTI: “TRA CHI VOTERA’ IL NUOVO PARTITO, 4 SU 10 VOGLIONO BERSANI LEADER”

Febbraio 21st, 2017 Riccardo Fucile

PREVALE IL SENSO DI SMARRIMENTO: “LA GENTE NON CAPISCE I MOTIVI”

La «cosa rossa» di Bersani e D’Alema, prima ancora di nascere ufficialmente, oscilla tra il 5 e il 10% nei sondaggi.
Nicola Piepoli è quello che ha la stima più bassa, tra il 5 e il 7%. Un giudizio condiviso da Alessandra Ghisleri che valuta il nuovo partito tra il 6 e l’8%.
«Un buon dato di partenza», spiega Antonio Noto di Ipr, che fissa il risultato all’8% e spiega che «sommando il 4% più consolidato di Sinistra italiana, una nuova forza della sinistra potrebbe arrivare al 12%».
Dato confermato da Fabrizio Masia di Emg: «Con Vendola e i suoi possono arrivare al 10-11%, e teoricamente ci sarebbe anche Pisapia».
Quanto alle ferite provocate al Pd dall’addio di una parte degli ex Ds, i sondaggisti sono divisi.
Secondo Ghisleri e Noto ci sarà  una perdita di voti significativa, con i dem che scendono tra il 20 e il 24%.
Diversa l’opinione di Piepoli, che vede un Pd sostanzialmente intatto intorno al 30% nonostante la ferita.
«Bersani e gli altri intercettano un voto marginale del Pd, una frangia mobile che da tempo si muove alla sinistra del partito a cavallo con Sel».
«Il simbolo del Pd, soprattutto in una fase di instabilità  come questa- spiega Piepoli- ha ancora un forte peso. Chi se ne va porta via pochi voti».
Su un altro punto invece Piepoli e Ghisleri concordano: almeno finora le ragioni degli scissionisti non sono arrivate in modo nitido all’elettorato.
«Soltanto questo weekend si sono consumati due passaggi politici significativi: da un lato la nascita di Sinistra italiana, dall’altra la scissione del Pd. Così la gente entra in confusione», spiega Ghisleri.
«Per ora si vede una fuga, ma non una proposta», le fa eco Piepoli. «Gli elettori sono molto preoccupati del loro futuro, molto meno alla guerre tra leader politici. Manca per ora una visione, un apparato simbolico in grado di mobilitare».
Di «motivazioni deboli» parla anche Noto: «Il messaggio che arriva è quello di una scissione fredda, sulle regole. Per pesare davvero un possibile risultato elettorale conterà  molto il tipo di comunicazione che saranno in grado di proporre».
Non solo i temi, ma anche il leader. Per ora c’è una pluralità  di voci tra gli anti-renziani. «Michele Emiliano è un ottimo oratore che sa conquistare la folla e potrebbe dunque far bene», spiega Renato Mannheimer.
Assai più tiepida la valutazione di Ghisleri: «Emiliano? È quello fra gli scissionisti ad avere la notorietà  più alta, ma è inferiore al 10 per cento».
Secondo Ipr, in uno studio per Porta a Porta, i potenziali elettori della «cosa rossa» vorrebbero alla guida Bersani con il 42%, seguito da Emiliano al 35%, Speranza al 12% e Enrico Rossi all’8%.
In caso di primarie a tre dentro il Pd, sempre per Ipr, Renzi vincerebbe col 60%, seguito da Emiliano al 25% e Andrea Orlando al 12%.

(da “La Stampa”)

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DALLA RESA DEI CONTI AI CONTI: QUANTO VALE LA SCISSIONE

Febbraio 20th, 2017 Riccardo Fucile

40 DEPUTATI E 20 SENATORI, I NUMERI IN PARLAMENTO DELLA COSA ROSSA DI BERSANI E D’ALEMA

Quanto vale la Cosa rossa in Parlamento?
È una corsa frenetica, in queste ore, per capire quanto possono pesare in Parlamento gli scissionisti potenziali del Partito democratico.
Il Corriere della Sera prova a fare i conti
“La conta in Parlamento dà  attualmente una cifra che per la Camera oscilla tra i 40 e i 47 deputati e per il Senato di 20 senatori. Occorrerà  capire chi deciderà  davvero di compiere il gran salto e chi resterà  fedele al partito. I bersaniani sono il gruppo più folto. Oltre a Speranza, ci sono Davide Zoggia, Nico Stumpo, Roberta Agostini, Eleonora Cimbro e i senatori Miguel Gotor, Paolo Corsini e Federico Fornaro. Se anche Emiliano, come pare, decidesse di smarcarsi, con lui ci sarebbero Francesco Boccia e Dario Ginefra”.
Non solo. C’è poi, sottolinea il Corriere della Sera, c’è “l’incognita Rosy Bindi, silente in questi giorni, che però per ricandidarsi nel Pd avrebbe bisogno di un’ennesima deroga, che i renziani ormai dominanti non sarebbero entusiasti di concedere”.
E soprattutto c’è anche Massimo D’Alema, il cui consenso, almeno a vedere il parterre del movimento “ConSenso”, spazia dalla Cgil all’Arci.
A questa galassia si aggiunge poi il governatore della Toscana, Enrico Rossi che “non conta su una rappresentanza parlamentare, ma sta lentamente costruendo una rete capillare sul territorio”.
Repubblica dà  già  il nome dei gruppi parlamentari che nasceranno dalla scissione nel Pd: Nuova sinistra-diritti e lavoro.
I numeri: “alla Camera vengono dati per sicuri 22 deputati bersaniani in uscita.
Si uniranno ai 16 che firmarono per la candidatura di Arturo Scotto alla segreteria di Sinistra italiana. Scotto si è poi legato al nuovo progetto Pisapia e unirà  le forze con i fuoriusciti del Pd.
Così si costituisce un gruppo di 38 deputati. Al Senato Scotto non ha truppe. Ma i bersaniani sono tra i 12 e i 15, sufficienti per formare un gruppo autonomo, avere un capogruppo, ottenere i finanziamenti destinati alle forze presenti alle Camere”.

(da “La Repubblica”)

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SCISSIONE, SI RAGIONA GIA’ SUL NOME DEL NUOVO PARTITO

Febbraio 16th, 2017 Riccardo Fucile

INUTILE INCONTRO BERSANI-GUERINI

Meno uno all’assemblea di sabato a Testaccio, dove si presenteranno assieme Emiliano-Speranza-Rossi e allo studio c’è già  il nome della Cosa che nascerà  dalla rottura del Pd.
La fotografia della giornata è questa: al termine dell’incontro mattutino con Pier Luigi Bersani, il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini riferisce ai suoi: “I fili si stanno spezzando tutti”.
Tutti i colloqui di oggi, tra pontieri più o meno attendibili, hanno prodotto l’ennesimo sterile balletto di date sul congresso.
L’ultima offerta è stata: congresso a maggio, anche inoltrato compresa la conferenza programmatica invocata da Andrea Orlando (e non solo). La risposta dei bersaniani è stata questa: acqua fresca.
Proprio il guardasigilli, che oggi avrebbe dovuto incontrare Renzi, subito dopo pranzo è partito per un’iniziativa politica a Pescasseroli, segno che al momento la trattativa è interrotta.
È in questo quadro che Pier Luigi Bersani scrive all’HuffPost una lunga e articolata lettera appello, in cui mette in fila le richieste politiche di questi giorni: una fine ordinata della legislatura, con voto nel 2018; la definizione di alcuni impegni del governo per “correggere le cose che non hanno funzionato”; congresso nei termini statutari, ovvero a ottobre.
Dunque, dopo le amministrative. Non prima, come vuole l’ex premier che finora ha trattato la data, ma tenendo invalicabile questo spartiacque.
In Transatlantico Arturo Scotto (Sinistra Italiana) legge la lettera sull’I-Phone e la mostra a un collega: “Guarda, Pier Luigi sta preparando la rottura”.
Al momento l’idea su cui sono già  in corso parecchie riunioni prevede che sabato, all’iniziativa di Testaccio, sarà  presentato un documento che, in sostanza, fa propri questi concetti, benedetto dagli applausi di una kermesse che di ora in ora si sta trasformando in dimensioni e impatto politico.
Al Teatro Vittoria i posti sono circa seicento. Dice un organizzatore: “Dobbiamo mettere i maxi-schermi fuori, arriverà  gente da tutta Italia. Quelli del nord si chiedono a quel punto che ci andranno a fare domenica all’assemblea del Pd”.
La risposta è: a presentare il documento manifesto, che a quel punto sarà  bocciato.
E questa dovrebbe essere la formalizzazione della rottura. Almeno questa è l’idea su cui si lavora in queste ore.
Determinati gli ex ds, a partire da Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani.
Più prudenti quelli vicini a Michele Emiliano temono che il governatore della Puglia possa essere risucchiato dalla Ditta.
Anche per questo è in atto un ragionamento approfondito sul nome, su cui sono a lavoro i dirigenti politici e gli sherpa di società  di comunicazione.
Massimo D’Alema, ad esempio, ha suggerito di evitare la parola “partito” e di utilizzare la parola “movimento” più in sintonia coi tempi e che dia l’idea di una “costituente” aperta, larga, plurale. E accogliente.
Forse con un richiamo all’Ulivo già  dal nome, in modo che si capisca subito che non è la riedizione di una “Cosa rossa” o “Cosa 3”.
In parecchi in questi giorni hanno avuto contatti con Giuliano Pisapia, nell’auspicio di coinvolgerlo nell’avventura con suo Campo Progressista.
Riferisce chi ha parlato con lui: “Giuliano è consapevole, basta vedere le sue dichiarazioni in tv di ieri, che se dal Pd esce la sinistra e il Pd diventa il partito di Renzi, non può fare la foglia di fico del renzismo. Il punto è che in parecchi attorno a lui, da Tabacci e Franco Monaco, lo vogliono su una posizione autonoma. Il dialogo di questi giorni serve appunto a costruire un percorso assieme”.
Da tempo alla Camera non si vedeva Franceschini presidiare il territorio come oggi. Perchè addirittura persino tra i suoi serpeggia l’inquietudine. Per non parlare degli altri. La corrente dei turchi è implosa. Quella di Martina quasi, con Cesare Damiano che sente il richiamo della foresta. E che ha la maggioranza all’interno della corrente Sinistra è cambiamento.
Tra gli ex ds è l’ora del tormento, ma in parecchi sono turbati: Beppe Fioroni, ad esempio. Molto. E con lui i Pop-dem, ovvero gli ex Popolari che lo seguono.
Il pallottoliere dice che il nuovo gruppo parlamentare alla Camera al momento è sopra quota 40, compresi gli ex Sel di Arturo Scotto. Oltre venti al Senato.
C’è chi vorrebbe i gruppi già  lunedì, ma potrebbe slittare di qualche giorno. Meno uno all’assemblea di sabato.

(da “Huffingtonpost”)

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SCISSIONE PD, LAVORI IN CORSO: “SE NON ACCADE NIENTE DI SERIO, SABATO L’ANNUNCIO”

Febbraio 14th, 2017 Riccardo Fucile

IL PRANZO DI BERSANI COI SUOI, LE TELEFONATE DALLE FEDERAZIONI

La scissione è servita. Ristorante Mario, via della Vite, pieno centro di Roma. Cucina toscana, vino rosso al centro del tavolo.
Attorno, a ora di pranzo, si siedono Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Nico Stumpo, Davide Zoggia, Massimo Paolucci.
Il ragionamento condiviso, nel primo lunghissimo giorno di quello che pare un lungo addio al Pd, è: “Se non accade niente di serio, domenica non andiamo all’assemblea del Pd”. La scissione, appunto. La tappa successiva: nuovi gruppi parlamentari.
Qualche abboccamento c’è stato. Tra i commensali c’è chi ha sentito Orlando, dopo la direzione: “Ha detto Andrea che anche nella maggioranza ci sono molti pieni di dubbi”.
C’è chi ha sentito Franceschini: “Sta provando a dare segnali su un congresso a maggio, per far vedere che non si vota a giugno”.
Tutti gli scenari sono sul tavolo, con annesse variabili. A partire dalla variabile Orlando, il protagonista di uno smarcamento alla direzione.
Qualche tempo fa, gli era stato suggerito da Bersani di non entrare nel governo, dopo la vittoria del no, come segnale di “discontinuità ”.
Il che avrebbe aperto un dialogo in vista del congresso. Ora pare complicata, perchè il guardasigilli è contrariato, molto contrariato, ma ha parecchi dei suoi che lo frenano. È chiaro che una sua candidatura sarebbe un fatto nuovo, perchè apre una frattura nella maggioranza che sostiene Renzi.
Al momento l’ipotesi non c’è. C’è un po’ di gioco sulle date, giorno più giorno meno, nulla di più. Bersani, tornato col piglio del segretario, ha tagliato corto: nulla di serio, perchè settimana più, settimana meno, non cambia la questione di fondo. E cioè che si apra una discussione politica sul futuro del paese, sul governo, sulla legge elettorale, sul partito. È solo un modo per spostare il plebiscito dai primi giorni della primavera a primavera inoltrata: “In questa situazione — è l’analisi condivisa — il Pd diventa il partito di Renzi e noi facciamo un’altra cosa senza perdite di tempo. Un pezzo del nostro popolo la scissione l’ha già  fatta”.
Un’altra cosa in tempi brevi, senza partecipare al congresso.
L’idea, se non si apre una trattativa vera, è di partecipare sabato all’iniziativa di Enrico Rossi, a Roma, quartiere Testaccio, ed annunciare lì la non partecipazione all’assemblea del Pd di domenica.
Lì Bersani e Emiliano dichiareranno la “presa d’atto” che c’è una chiusura di fronte alla richiesta di un altro percorso. Poi, i gruppi parlamentari. Parecchi sono i parlamentari perplessi, timorosi: “Ma se nasce un altro gruppo, come fa a durare il governo?”; altri si chiedono: “Come spieghiamo alla nostra gente che rompiamo sul calendario”.
Pare il dilemma del prigioniero: se partecipiamo al congresso, è finita, perchè è chiaro dagli articoli molto informati sull’ex premier quale sia lo spirito con cui si predispone al congresso (li seppellirò con le loro regole); se usciamo abbiamo un problema a spiegarlo.
In questa dinamica, contrariamente a parecchie rappresentazioni, Bersani è particolarmente determinato.
Non è un caso che è tornato a dichiarare in prima persona, con frasi forti, determinate. Eccolo attraversare il Transatlantico, col parlamentare torinese Giacomo Portas, che ha una lista I Moderati e parecchi voti in Piemonte: “Guarda che ci sono le condizioni per fare noi il centrosinistra vero. Mica andiamo a fare una roba minoritaria”.
Poi si ferma di fronte ai cronisti: “Non siamo un gregge, è impossibile andare avanti così. Io voglio bene al Pd, fino a quando è il Pd, ma se diventa il PdR, il partito di Renzi, non gli voglio più bene”.
E ancora: “Non so se andremo domenica all’assemblea”. Posizione pubblica che lascia aperta la via di una trattativa, qualora Renzi volesse, ma che in caso contrario significa: siamo pronti.
Pronti a fare un nuovo partito. Questa è la seconda parte della discussione. Dopo il “quando”, il “che cosa”. E il che cosa non è una cosa rossa, minoritaria e di testimonianza, ma una costituente di centrosinistra, ulivista, con i moderati dentro.
Da far nascere prima delle amministrative, con l’obiettivo poi di raccogliere dopo i cocci del Pd.
Insomma, un’Opa sullo scontento che c’è in giro nel partito, dopo anni di renzismo. Torino, Roma, Napoli. Il cellulare di Stumpo ha ripreso a suonare come quando era responsabile dell’organizzazione della Ditta.
Dice un big: “Renzi ha fatto due errori. Ha sottovalutato Bersani e la sua capacità  di rottura scambiando buon senso con arrendevolezza, e pensando che prevalessero i vecchi rancori comunisti tra lui e D’Alema. Ha pensato che Rossi non si sarebbe candidato. Ha sottovalutato Emiliano”.
Ora la scissione è servita. Quattro giorni per evitarla.
Altrimenti sarà  annunciata sabato, a Testaccio, core di Roma.

(da “Huffingtonpost”)

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BERSANI METTE L’ELMETTO: “SE RENZI TIRA DRITTO, NOI FACCIAMO L’ULIVO”

Febbraio 1st, 2017 Riccardo Fucile

INTERVISTA ALL’EX SEGRETARIO: “DAVANTI A UNA FORZATURA IL PD NON C’E’ PIU'”

Pier Luigi Bersani è in assetto da combattimento: “Ma guarda tu se devo leggere sui giornali quel che faccio la mattina. Le do la prima notizia. Non incontro Renzi, io parlo in pubblico. E mi piacerebbe farlo nel Pd, dove è preoccupante il restringimento degli spazi democratici”.
Seduto nel suo studio alla Camera, una pila di giornali sul tavolo, l’ex segretario va dritto al punto: “Se Renzi forza, rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità  della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo plurale, democratico”.
Scusi Bersani, dice Renzi: il Congresso dopo il 4 dicembre siete voi, cioè la minoranza, che non l’avete voluto.
Cazzate. Scriva così che non si scandalizza nessuno. Vogliamo dirci la verità ? Per anticipare il Congresso servono le dimissioni del segretario. Evidentemente qualcuno non si vuole dimettere, e infatti il Congresso anticipato non l’ha mai proposto. Ora dico io: chiamalo come vuoi, Congresso, primarie, ma un luogo di confronto e di contendibilità  lo chiedo.
Dicono che per Statuto…
(Interrompe). Per l’amor dio Dio, non mi si parli di Statuto e cavilli. L’Assemblea in un partito è sovrana e può fare quel che vuole. Sia chiaro, serve una roba vera, non una gazebata. Non pretendo certo che si cambi lo Statuto come feci io, quando in nome della democrazia feci le primarie con Renzi. Si trovi il modo.
Subito, dice lei. Non dopo il voto.
Subito, per discutere come andare al voto. Nel Pd si è aperta una enorme questione democratica. Guardiamoci da fuori: un ciclo elettorale e politico si è chiuso, e lasciamo stare che abbiamo governato con i voti del 2013 e con un altro programma. Ora, dicevo, a conclusione di una fase vogliamo consentire la contendibilità  di linea, di progetto e di leadership come ogni partito in Europa? Abbiamo perso Roma, Torino, le amministrative, e si è detto “avanti così”. È arrivata una botta al referendum e si è detto “avanti così”. La Corte fa saltare l’Italicum e si dice “avanti così”. Avanti così. Come si può pretendere che chi non è stato d’accordo su scuola lavoro, eccetera, possa andare a fare in giro i comizi dicendo, votateci che non è successo niente? Direi che dobbiamo parlare di una cosetta che si chiama Italia, o no?
Parliamone Bersani.
Bene, io vorrei porre una serie di questioni, e avere una risposta. Risposta politica. A partire da questa vicenda della legge elettorale. Siamo passati in poche settimane da un sistema che era il record mondiale del maggioritario a un iper-proporzionale senza bussola, senza discutere.
L’ultima suggestione è estendere l’Italicum al Senato, così ci sono due leggi uniformi e si può votare.
Ripeto: una legge che garantisce l’ingovernabilità . Rende necessario un accordo con Berlusconi e neanche basta. Ma aggiungo, questo lo dovrebbe scrivere in grassetto nell’intervista: vanno tolti i capilista bloccati che portano a una Camera formata per il 70 per cento di nominati. E considero una provocazione allargare al Senato questo scempio. Possiamo discutere o no? E per favore: evitiamo le volgarità  dei discorsi sulle seggiole. Io, Speranza, altri abbiamo dimostrato che noi ai posti semmai rinunciamo, in nome delle battaglie sui principi. È offensivo dire che vuole posti chi sta dicendo che bisogna abolire l’aberrazione dei nominati.
Però Bersani, c’è un punto di fondo dietro la discussione sulla legge elettorale, con questo o quel modello. Che è la durata della legislatura.
Esatto, e infatti anche di questo si dovrebbe discutere. Il governo deve governare o no? Io dico di sì, senza darsi tante traiettorie: mettere in sicurezza alcune cose a cominciare dalle banche, correggere qualcosa degli errori fatti, ad esempio sul lavoro e sui voucher. Lo chiedo al presidente del Consiglio. Vuole governare Gentiloni? Ricordiamoci tutti che un presidente del Consiglio giura sulla Costituzione, non facciamo vedere un autolicenziamento in streaming alla direzione del Pd.
Però, Bersani, mi pare di capire che il ragionamento di Renzi sia: la legislatura dopo il referendum è finita, se andiamo avanti ci tocca fare una manovra lacrime e sangue, votiamo subito.
Vuole andare al voto per evitare Congresso, manovra, referendum della Cgil, evitare tutto… Ma uno che governa non è mica uno slalomista! Qualche paletto deve prenderlo. La sconfitta, andando avanti così, non è evitabile. Napolitano ha ragione, ma io non sto dicendo che non si può votare prima della scadenza naturale. Sto dicendo: andiamoci con ordine, dopo un Congresso e con una legge elettorale decente.
Renzi le risponderebbe che sono tutte chiacchiere, perchè chi vuole tirarla per le lunghe pensa solo al vitalizi.
Sono contento di questa domanda perchè è inaccettabile questa frase. Ci può star tutto nella vita, comprese le diverse opinioni, però se buttiamo anche a mare la dignità  del Parlamento non si capisce dove andiamo. Non può insultare il Parlamento. I vitalizi non ci sono più dal 2012 e ci sono qui dentro deputati 30enni che non sono qui ad aspettare i 65 anni per avere qualche euro di contributi. Non so se siano bersaniani o renziani: oggi ne ho visto qualcuno che piangeva. Gente onesta, perbene, che fa la politica perchè ci crede. Perchè non si vive di solo pane. Il rispetto conta.
Va bene, lei chiede un cambio di rotta: congresso, legge elettorale, governo. Ma se, come si dice in gergo, Renzi tira dritto, forza, ovvero va al voto in tempi brevi senza congresso, lei che fa?
Io prima di tutto combatto, sia chiaro. E mi aspetto di non essere il solo. C’è Renzi nel Pd, ma anche tanti altri. È ora che dicano qualcosa perchè così si va a sbattere e si dissolve il Pd. Chiedo che qualcuno apra bocca, perchè non ci si può nascondere al punto in cui siamo arrivati. Non sfuggo però alla domanda e le rispondo in modo molto chiaro: se chi ha la responsabilità  di decidere tira dritto, allora risponderà  del fatto che non c’è più il Pd.
Sta dicendo che se tira dritto la scissione la sta facendo Renzi?
Il concetto è questo, anche se io lavoro per evitarla. E aggiungo: in quel caso estremo non si aspettino, lo dico agli osservatori, che semplicemente avvenga qualcosa che assomigli a una rottura tra Margherita e Ds. Otto anni non son passati invano e l’idea del Pd risorgerebbe dalla ceneri, perchè è una idea buona. Un Pd a servizio di un’area larga, ulivista, plurale, può essere tradito: ma viene fuori da un’altra parte. Non nascerebbe, nel caso estremo, la Cosa 3 di Bersani e D’Alema, ma un soggetto largo, plurale, ulivista. In grado di interpretare quel pezzo di popolo che ha lasciato il Pd e la fase nuova che si è aperta.
Quella dell’anti-establishment.
Del ripiegamento della globalizzazione, di fronte alla quale è emersa una nuova destra sovranista, identitaria, populista. parafrasando Altan: quando alla nostra gente vengono in testa idee che non condividono, significa che sta nascendo una egemonia. Ecco, questa fase ci consente di sentirci gramsciani. Il rapporto tra andamento grande, tra le cose economiche e i modelli di pensiero, è chiaro e non puoi non combattere su quel terreno lì. Serve un campo di idee, non l’uomo forte. Trump otto anni fa chi era? Un miliardario circondato di donne, che nessuno avrebbe preso sul serio. Ora interpreta un bisogno di protezione, una nuova destra che rappresenta anche tute blu e ceto medio stremato dalla crisi. Se ci sono idee che funzionano, poi chi le interpreta arriva. La parola protezione la vogliamo declinare a sinistra o dobbiamo rassegnarci ai muri?
Il che significa finirla, anche in Italia con la narrazione della terza via
Abbiamo perso il contatto con la realtà . Non si capisce una cosa semplice: quando eravamo nella fase dell’espansione della globalizzazione, quel pensiero interpretava la realtà . La Terza Via, ci ha fatto anche vincere, ma ora è cambiata la fase. Si è visto al referendum: non c’è più la maggioranza silenziosa, il ceto medio moderato anni Novanta. Prevale una esigenza di protezione.
Sarebbe anche complicato per voi fare i comizi, magnificando jobs act e Marchionne.
E infatti non dovremo farli. Dovremo parlare di protezione, ma dovremo farlo sui diritti del lavoro, essenziali elementi del welfare universalistico, salute, sanità , fiscalità  progressiva. Insomma, sulle idee della sinistra, l’Ulivo.

(da “Huffingtonpost”)

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