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WIKILEAKS SVELA COME MOSCA CONTROLLA WEB E TELEFONI DEI CITTADINI: DECINE DI DOCUMENTI INCHIODANO PUTIN

Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile

E’ IL MODELLO DI DEMOCRAZIA CHE PIACE A SALVINI, QUELLO DELLA MANO LIBERA ALLA POLIZIA DI REGIME

E’ un primo squarcio in un mondo completamente opaco e difficile da penetrare. Quello delle aziende russe che forniscono tecnologia per consentire agli apparati del Cremlino di sorvegliare le comunicazioni telefoniche e via internet dei loro cittadini, accedendo ai dati delle chiamate dei cellulari e della navigazione in rete.
Ad aprire questo squarcio è WikiLeaks, che oggi pubblica in collaborazione esclusiva con Repubblica e con la testata francese Mediapart, trentaquattro documenti — tutti, ad eccezione di uno, in lingua russa – che permettono di ricostruire le soluzioni tecnologiche sviluppate da “Peter-Service”, azienda leader con quartier generale a San Pietroburgo.
E’ la prima volta, in dieci anni della sua esistenza, che l’organizzazione di Julian Assange rivela file provenienti dalla Russia, anche se nel 2010, quando ha pubblicato i 251.287 cablo della diplomazia Usa, WikiLeaks ha fatto emergere importanti informazioni sul regime di Putin, dipinto a tinte fosche dai cablogrammi come uno “stato mafia”.
Si tratta di file di natura estremamente tecnica e ora che questi file sono nel pubblico dominio sarà  possibile fare verifiche approfondite.
Dalla fatturazione alla sorveglianza.
Fondata nel 1992, inizialmente per fornire alle aziende di telecomunicazioni il software per la fatturazione, Peter-Service è diventata una grande azienda con oltre mille e duecento dipendenti, una presenza estesa che va da Mosca fino a Kiev, in Ucraina, e clienti come MegaFon, uno dei più grandi gestori russi di telefonia mobile.
Pare curioso che un’impresa creata per occuparsi di questioni di natura amministrativa come le fatturazioni sia poi finita nel grande gioco delle intercettazioni, ma in realtà  programmi di sorveglianza come la raccolta dei metadati telefonici (chi chiama chi, a che ora, per quanti minuti, da dove) si sono sviluppati proprio a partire dall’esigenza di fatturare le chiamate.
Presto, informazioni come i dati del traffico telefonico che, in passato potevano tutt’al più interessare i contabili, sono diventate il petrolio dell’era digitale e hanno portato ad accumulare immensi giacimenti che fanno gola a qualsiasi apparato statale: dalle forze dell’ordine ai servizi di intelligence.
I file pubblicati oggi da WikiLeaks coprono un arco temporale esteso: dal 2007 fino al giugno 2015 e descrivono le soluzioni software messe a punto da Peter-Service per consentire alle “agenzie dello stato” di accedere ai dati del traffico telefonico cellulare e a quelli della navigazione internet.
Nei documenti non si menzionano affatto i servizi segreti dell’Fsb, eredi del Kgb, si parla solo di agenzie di stato, una formula che certamente include le forze dell’ordine, che utilizzano i metadati per le intercettazioni legali, ma che non chiarisce quali altri apparati statali accedano a quei dati attraverso le soluzione dell’azienda di San Pietroburgo.
Il software dell’azienda russa ha diverse componenti, ma ce ne sono alcune fondamentali, come il sistema “Drs” (Data Retention System) per la conservazione dei dati del traffico telefonico.
Le leggi russe consentono di mantenerle immagazzinate per tre anni, un limite enorme, se si considera che dopo lo scandalo innescato dai file di Snowden, la Corte di Giustizia europea ha dichiarato non valida la Direttiva per la conservazione di questi dati (che prevedeva un limite massimo di due anni), allo stesso tempo il tetto di tre anni appare quasi mite se si considera che in Italia si sta pensando di estenderlo a sei anni.
Il sistema DRS della Peter-Service consente alle agenzie di stato russe di interrogare il database di tutti i dati immagazzinati alla ricerca di informazioni come le chiamate fatte da un certo cliente di una compagnia telefonica, i sistemi di pagamento usati, la cella a cui si è agganciato l’utente. I manuali pubblicati da WikiLeaks contengono le immagini delle interfacce che permettono di fare ricerche dentro questi enormi giacimenti di dati, in modo che l’accesso sia semplice e intuitivo.
Per registrare e monitorare i dati del traffico internet, invece, Peter-Service ha messo a punto uno strumento chiamato Tdm (Traffic Data Mart), che permette di interrogare il database in cui sono immagazzinati i dati del traffico internet degli utenti in modo da capire che siti visita, se frequenta forum, social media, se in particolare accede a pagine con contenuti terroristici o violenti, quanto tempo passa su un certo sito e da quale dispositivo elettronico vi accede.
Nel segno dello zar
Le leggi in materia di intercettazioni in Russia sono molto severe e le aziende sono tenute a rispettarle, ma come fa notare WikiLeaks, più che una vittima del regime di Putin, Peter-Service appare come un’azienda convinta del valore strategico di questo business.
In una presentazione aziendale disponibile pubblicamente sul sito della società  e che risale al 2013 – pochi mesi dopo che le rivelazioni di Snowden avevano fatto emergere programmi di sorveglianza di massa tipo Prism – Peter-Service traccia una visione per il futuro della Russia in materia di controllo dei dati.
Citando figure apprezzate da Vladimir Putin, come lo zar Alessandro III – secondo cui la Russia è sola e non ha amici, a parte due soli alleati: il suo esercito e la sua flotta – Peter-Service argomenta che Mosca deve mettersi in condizioni di sfruttare meglio la potenza dei dati e di far affidamento solo su se stessa. “Chi controlla le informazioni, controlla il mondo”, conclude Peter-Service, sottolineando quanto il potere dell’America del presidente Obama sia fondato sulla sorveglianza di massa della NSA, rivelata da Snowden.
Dando la priorità  alla produzione di tecnologie dall’impatto politico”, spiega Peter-Service, “Obama manipola le coscienze in nome del soft power. Ha visto in programmi come Prism una sorta di sfera di cristallo, attraverso cui è possibile capire tutti i segreti del mondo”.

(da “La Repubblica”)

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“RIDATECI I SOLDI” CACCIA AGLI YUPPIES IN STRADA A SHANGHAI: E’ LA FINE DI UN SOGNO

Agosto 26th, 2015 Riccardo Fucile

RISPARMIATORI ALL’ASSALTO DEI BROKER… E LA BANCA CENTRALE SMENTISCE LA PROPAGANDA DI STATO

Colletto bianco e grisaglia addio. Sconsigliati anche tailleur e tacchi a spillo. A Shanghai e a Shenzhen ora è aperta la caccia a brokers, traders e funzionari di banca. Sparite, nel quartiere dei grattacieli eleganti di Pudong, auto sportive e borsette di lusso. Chiusi i ristoranti gourmet, spente le vetrine con gli orologi svizzeri.
Lavorare in Borsa, fino a due mesi fa, in Cina era il simbolo del successo e proiettava nella “dolce vita all’occidentale”.
Regola numero uno: esibire l’eccesso, mostrare a tutti di avercela fatta
Oggi il “compagno economista” recupera dall’armadio i vecchi jeans, sandali e t-shirt, va in ufficio in metrò ed entra dal retro, succhiando tagliolini liofilizzati assieme alle giovani migranti interne assunte per le pulizie.
L’alternativa è venire linciati dalla folla, o essere arrestati dalla polizia.
Nella capitale finanziaria gli investitori inferociti sfondano i portoni blindati che proteggevano i manager di quattro banche.
«Ridateci i nostri soldi — grida la folla — dove li avete nascosti?».
Immagini censurate dei media di Stato, che tacciono pure come banche, finanziarie e palazzi dei mercati, compresi quelli di Hong Kong, siano ora difesi dell’esercito.
Per i cinesi accettare che in un giorno la “febbre gialla” dei listini bruci 5 mila miliardi di dollari, azzerando i guadagni da gennaio, è impossibile.
«La ricchezza — scrivono i piccoli risparmiatori sulla facciata del secondo istituto di credito di Pechino — non può sparire: trovatela e restituitela al popolo»
Alla tivù di Stato la propaganda esalta «la capacità  di resistenza e il notevole potenziale del sistema economico cinese, che ci permette di mantenere uno sviluppo stabile e salutare».
Nello stesso tempo novanta milioni di neo-investitori capital-comunisti, ingrossati di 40 milioni in otto mesi, assistono in diretta smartphone all’evaporazione di guadagni e risparmi accumulati a colpi di debiti. Il partito-Stato rassicura, vieta di vendere per salvare almeno un centesimo del patrimonio perduto, e i compagni- giocatori cedono bottega, campagna e casa, impegnati per il miraggio di «diventare ricchi prima di diventare vecchi».
La risposta del Quotidiano del Popolo, organo del politburo, alla crisi del Duemila è da purghe anni Sessanta.
Annuncia la mobilitazione della polizia e del viceministro alla pubblica sicurezza Meng Qifeng, scatenati contro «banche ombra, funzionari sospetti e finanziamenti illeciti ».
Il bilancio, esulta la propaganda, è di «66 banche clandestine chiuse, 160 arresti e 67 miliardi di dollari sequestrati».
Per la prima volta però Pechino si scontra contro l’incensurabile, un sesto dell’umanità  teme di poter perdere tutto, la leadership comunista vede lo spettro di un’inarrestabile “rivoluzione capitalista” e a Borse asiatiche chiuse, la banca centrale è costretta ad usare quella che un industriale del Guangdong definisce «l’ultima bomba atomica del soccorso di Stato».
La giornata, dopo il “Black Monday”, è stata di nuovo da panico.
Shanghai chiude perdendo un altro 7,63%, tocca quota 2964,97 punti, meno 16,12% in quarantotto ore: sono i peggiori quattro giorni da 18 anni, le perdite superano il 22%, oltre 2 mila i titoli che toccano il limite quotidiano del meno 10%.
Segue Shenzhen, che aggiunge il meno 7,09% al meno 7,10% d’inizio settimana. Limita i danni Hong Kong, rimbalzano invece gli altri mercati asiatici, con l’eccezione di Tokyo (meno 3,96%), spaventata dall’impennata dello yen.
Per i miliardari dell’Oriente, nuovi protagonisti della ricchezza globale, è uno spartiacque che prevede un irrecuperabile prima e un imparagonabile dopo.
Wang Jianlin, l’uomo più ricco della Cina, in poche ore vede sfumare 6,1 miliardi di dollari, primato mondiale, con il fondatore del gigante Wanda Group che si sveglia sotto i 30 miliardi di patrimonio.
Per operai e casalinghe, contagiati e sterminati da quello che adesso la tivù di Stato definisce «virus del mercato», è l’unica consolazione: anche i nuovi “imperatori d’oro”, prima invidiati e ora odiati, in tre mesi hanno perso un quinto della ricchezza, 97 miliardi da venerdì, 14 solo ieri, un sesto dell’intero capitale.
Per i padroni-ombra del comunismo di mercato è troppo, la voragine non drena più solo la panna montata della speculazione, intacca patrimoni economici e stabilità  politica, fino a costringere la Banca del Popolo a ricorrere, controvoglia, all’«arma atomica »: il taglio dei tassi e quello delle riserve obbligatorie bancarie. Il governatore Zhou Xiaochuan, dato come ostile al presidente riformista Xi Jinping, abbassa (quarta volta in un anno) di mezzo punto i tassi, portando da oggi quelli sui prestiti al 4,6% e quelli sui depositi all’1,75%.
Giù di mezzo punto dal 6 settembre anche le riserve obbligatorie di banche e finanziarie.
L’ennesimo sostegno di Stato vale 23,4 miliardi di dollari, più altri 17 (totale oltre 40 miliardi) destinati al credito, intervento più pesante dal gennaio 2014.
Centinaia di milioni di cinesi, assieme al resto del mondo, si chiedono se i successori di Deng Xiaoping stiano «cavalcando la crisi», oppure se ne siano travolti, se «il nuovo Mao stia in sella o tra le zampe del cavallo».
L’Occidente scopre di essere orfano del suo motore della crescita, ma milioni di cinesi si vedono rubare il sogno di archiviare per sempre fame, sacrifici e ciotola di riso.
A scuotere il Paese è anche l’inedita smentita della propaganda di partito da parte della banca centrale, come se due Cine si stiano silenziosamente confrontando, drammaticamente spaccate tra nostalgici comunisti e riformisti ancora innamorati del capitalismo.
Per i primi i «fondamentali sono solidi e la crescita stabile, al più 7%».
La banca centrale invece ammette che «permangono pressioni al ribasso», che «la volatilità  dei mercati richiede maggiore flessibilità  degli strumenti di politica monetaria » e che «c’è stata una carenza di liquidità  ».
Mai l’istituto monetario del potere centrale si era permesso di riconoscere la realtà  e di criticare l’immobilismo dei leader politici, accreditando le voci sui dati ufficiali manipolati. Il fantasma di uno storico tonfo cinese, capace di allontanare la ripresa globale, impedisce in queste ore a Shanghai, a Shenzhen e a Hong Kong di rimbalzare come le Borse occidentali e del Pacifico.
Una gigantesca bolla di Stato gonfiata da milioni di micro-debiti privati fuori controllo, unita al fallimento fuori tempo massimo del modello made in China, rivela il potenziale per distruggere non solo il sostegno pubblico, ma anche l’illusione di rientro dell’irriducibile investitore privato.
Tra i grattacieli-icona del trentennio d’oro gli ex rivoluzionari maoisti vanno così a caccia del trader alla Gordon Gekko, ma nel mirino cominciano a inquadrare proprio quello «Stato che li ha gettati in pasto al mercato» per sostituire l’ideologia con il profitto.
Il Quotidiano del Popolo insinua il sospetto che «la crisi perfetta sia orchestrata dall’esterno per fermare l’ascesa della Cina e quella del suo leader».
Insomma, il dito è puntato contro un Occidente «politicamente interessato a ridimensionare l’influenza di Pechino».
Si riaffaccia la teoria dei soldi quale arma alternativa nelle guerre, l’Asia sino-centrica teme di perdere la sua occasione secolare e i cinesi, persi gli investimenti, intravedono non un’accelerazione delle promesse «nuove riforme di mercato», ma una «stretta del vecchio Stato di polizia».
E’ la domanda, e dunque la scelta essenziale che la rivolta anti-mercato dei cinesi delusi dal mercato pone al partito a Pechino, alle Borse a Shanghai e a Hong Kong, ai governi in Europa e negli Usa: oggi conviene più la Cina imprevedibile di Xi Jinping o quella nostalgica dei suoi oppositori? Tirano più la crescita i traders o gli operai? Colletti bianchi e tacchi spillo questa sera a Pudong finiscono in cantina: ma le tute blu che assediano i «palazzi del grande furto dello Stato piegato al mercato» sanno bene che questo crack consegna proprio loro, per sempre, in un museo.

Giampaolo Visetti
(da “La Repubblica”)

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LA CINA E’ VICINA: IN AUMENTO LE IMPRESE CINESI IN ITALIA, SONO ORMAI 54.000 AZIENDE

Agosto 30th, 2011 Riccardo Fucile

OLTRE 20.000 TRA LOMBARDIA E TOSCANA…SECONDO LA CGIA DI MESTRE “SPESSO ELUDONO GLI OBBLIGHI FISCALI E CONTRIBUTIVI E METTONO FUORI MERCATO INTERE FILIERE ITALIANE”

La crisi non sembrano sentirla.
Gli unici a moltiplicarsi come funghi nelle grandi città  italiane, in provincia come in periferia.
Spesso lavorano senza essere conosciuti al fisco, per cui i dati elaborati dalla Cgia di Mestre, l’associazione dei piccoli artigiani del Veneto, sono di certo sottostimati, rispetto alla capacità  complessiva di piccole e medie imprese a ragione sociale cinese.
Alla fine dello scorso anno hanno superato la soglia delle 54mila unità , scrive un report della Cgia.
Rispetto al 2009, la crescita è stata dell’8,5%, mentre le imprese italiane, sempre in questo ultimo anno di dura crisi economica, sono diminuite dello 0,4%.
Le aziende italiane guidate da imprenditori cinesi stanno crescendo in maniera esponenziale: tra il 2002 e il 2010 la loro presenza nella nostra penisola è cresciuta del 150,7%.
«Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo – dice Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – la loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività  si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà  aziendali. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra».
Al netto delle tensioni si scopre che a tutto il 2010 il maggior numero di imprenditori cinesi si trova in Lombardia (10.998), Toscana (10.503) e Veneto (6.343).
Ma la crescita è stata omogenea ed è evidente anche in altre parti del Paese.
La presenza cinese, infatti, è aumentata su tutto il territorio nazionale dell’ 8,5%, con picchi nel Trentino Alto Adige.
Altro dato interessante riguarda l’incidenza degli imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditoria straniera presente in Italia.
Questo indicatore si attesta, ormai, all’8,6%.
In Toscana, però, arriva a toccare il 18,2% (causa-Prato?), in Veneto il 10,9%, in Emilia Romagna il 9,4% e nelle Marche l’8,8%.
Pelletteria, calzature, abbigliamento, i settori dove hanno maggiormente investito.
Ma anche alberghiero, bar e ristorazione, le cui attività  condotte da titolari cinesi hanno raggiunto le 10.079 unità .
La Cina è più vicina.

Fabio Savelli
(da “Il Corriere della Sera“)

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SI VA IN CINA A PRESENTARE L’EXPO 2015: CON UN CAPO DELEGAZIONE CONDANNATO, ORA DI NUOVO INDAGATO PER TRUFFA

Ottobre 23rd, 2010 Riccardo Fucile

NON C’E’ LIMITE AL PEGGIO: A RAPPRESENTARE L’ITALIA E MILANO MANDIAMO   UN CONDANNATO IN PRIMO GRADO PER LESIONI, INGIURIE E RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE, ORA ANCHE INDAGATO PER TRUFFA E ABUSO D’UFFICIO AI DANNI DELLO STESSO COMUNE PER UN FINANZIAMENTO DI 580.000 EURO

Expo 2015 vola in Cina.
C’è da presentare l’avventura milanese e presenziare al gran finale dell’esposizione universale di Shanghai.
Peccato che a guidare la delegazione del comune di Milano ci sia un condannato in primo grado e ora imputato per truffa aggravata e abuso d’ufficio ai danni dello stesso Comune.
La notizia arriva nella giornata in cui il sindaco Letizia Moratti incassa l’ok parigino con il Bie che autorizza la registrazione di Expo 2015 all’Assemblea generale del prossimo novembre.
Nell’attesa c’è da far fronte all’ennesimo pasticcio di palazzo Marino.
Pietra dello scandalo è Stefano Di Martino, ex An e vicepresidente del Consiglio comunale, partito alla volta della Cina.
Nel luglio scorso Di Martino è stato rinviato a giudizio per truffa aggravata e abuso d’ufficio.
Per il giudice avrebbe dato il via a finanziamenti pubblici per 580mila euro ad Alkeos, una onlus, nata nel 2004, con il compito di integrare la comunità  cinese nel tessuto milanese.
Tanto denaro a cosa serviva?
Per iniziative, sostengono i carabinieri, che non sempre si sono realizzate. Tra le varie ed eventuali i 44mila euro stanziati per il giornaletto bilingue stampato in 4mila copie, oppure gli 80mila euro per il consultorio di ostetrica all’ospedale Buzzi, quando la struttura ospedaliera era già  un punto di riferimento per la comunità  cinese.
E ancora: 85mila euro per 150 questionari da distribuire.
Progetto, annotano gli inquirenti, supportato da non precisate consulenti.
Il 24 giugno scorso, lo stesso Di Martino ha incassato una condanna a nove mesi con pena sospesa per ingiuria, lesioni, resistenza a pubblico ufficiale e adunata sediziosa.
Tutti reati commessi durante la rivolta di Chinatown del 13 aprile 2007, arrivata due settimane prima dall’omicidio di due ragazzi cinesi, episodio che ha portato via Paolo Sarpi sulle prime pagine dei giornali nazionali.
Poche settimane dopo, il rinvio a giudizio.
Che Di Martino condivide con Guido Manca, ex assessore e presidente del Cda di Metroweb, azienda partecipata dalla municipalizzata A2A.
E manco a farlo apposta lo stesso Manca tra pochi giorni si unirà  alla pattuglia morattiana in visita a Shanghai.
Contro Manca e Di Martino, il Comune di Milano si è costituito parte civile come si capisce leggendo la delibera di giunta dell’8 ottobre scorso.
Nel processo penale si presenterà  anche la psicologa milanese Emanuela Troisi, già  presidente della onlus Alkeos.
Secondo il pm Grazia Pradella, avrebbe incassato i 580mila euro in due tranche tra il 2004 e il 2005.
Una terza tranche da 200mila euro sarà  invece bloccata dalla stessa Moratti pochi mesi dopo il suo insediamento nel 2006.
Fondata nel 2004, la Onlus con sede in piazza Gramsci a due passi da via Paolo Sarpi e dal cuore di Chinatown, nel tempo ha avviato corsi di lingua cinese, rapporti con l’Asl o iniziative sociali come il concorso di Miss China in Italy.
La richiesta di finanziamenti parte in quello stesso 2004 quando però l’associazione non è ancora nata.
Nonostante questo, Emanuele Troisi con il supporto di Stefano Di Martino, allora presidente della commissione Sicurezza, inizia un’istruttoria formale. Qui la palla passa a Manca. Il quale, secondo quanto scrive il pm, pur conoscendo la situazione, presenta due delibere per 580mila euro.
In tutto questo non mancano le implicazioni politiche. Di una politica, quella milanese e di maggioranza, sempre più arroccata in correnti.
Un conto che a donna Letizia potrebbe risultare salato in vista dello stesso Expo e della complicata situazione del nuovo Piano di governo del territorio.
Ma era proprio necessario mandare come capodelegazione un soggetto del genere?

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TESTATE NUCLEARI: SI E’ RIDOTTO IL NUMERO, SONO AUMENTATI I PAESI PERICOLOSI

Aprile 15th, 2010 Riccardo Fucile

NEL 1985 ERANO 65.000, ORA SONO 23.300, DI CUI SOLO 8.000 ATTIVE… SONO NOVE I PAESI CHE LE POSSIEDONO: I CINQUE STATI MEMBRI PERMANENTI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA, A CUI SI SONO AGGIUNTI INDIA, PAKISTAN, NORD KOREA E ISRAELE… E L’IRAN PUNTA A PRODURLE

Ogni tanto si fanno summit per cercare un accordo sulla riduzione delle testate nucleari, ma di fatto vi sono Paesi che, in barba a qualsiasi autorizzazione, le hanno costruite o le stanno costruendo.
Così, quasi per assurdo, se da un lato si può dire a ragion veduta che ci sono meno super bombe in circolazione, dall’altro non si può negare che le possiedano Paesi più pericolosi, anche in prospettiva.
Nel 1985 c’erano al mondo 65.000 testate nucleari, adesso si sono ridotte a 23.300, di cui solo 8.000 attive.
Quanto ai Paesi detentori, attualmente sono nove.
Cinque di questi sono i Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, in quanto vincitori della seconda guerra mondiale.
Sono i cinque Stati che hanno anche firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) il 5 marzo 1970, che stabiliva che armi atomiche le potevano possedere solo i cinque Stati   che già  le avevano a quella data, cioè loro. Vediamo nel dettaglio: gli Stati Uniti detengono ancora 9.400 testate, di cui 2.626 attive, la Russia ha 12.000 testate di cui 4.650 attive, il Regno Unito ha 185 testate, di cui 160 attive.
La Francia, potenza atomica dal 1960, ha 300 testate, tutte attive.
La Cina, potenza atomica dal 1964, ha 240 testate, di cui 180 attive.
Ci sono poi tre Paesi che possiedono la bomba atomica, senza aver mai aderito al Tnp.
Due non lo firmarono proprio: l’India, potenza nucleare dal 1974, con 80 testate di cui 60 attive e il Pakistan, potenza nucleare dal 1998, con 90 testate, di cui 70 attive.
La Corea del Nord invece, fornita di una decina di testate, uscì dal trattato nel 2003, proprio per poter fare il suo primo test nel 2006. Continua »

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NEI PROGETTI DI DIFESA DELL’AMBIENTE, L’ITALIA FANALINO DI CODA

Ottobre 4th, 2009 Riccardo Fucile

COREA DEL SUD E CINA GUIDANO LA CLASSIFICA DELLE VENTI MAGGIORI ECONOMIE CHE SOSTENGONO PROGETTI A FAVORE DELLA TUTELA AMBIENTALE… L’ITALIA ALL’ULTIMO POSTO

Sono a sorpresa la Corea del Sud e la Cina a guidare la classifica delle venti maggiori economie del mondo che hanno maggiormente contribuito in quota percentuale   a sostenere progetti   a favore dell’ambiente, nell’ambito dei piani di stimolo internazionali.
La tabella, compilata in vista della Conferenza sul clima che si terrà  a Copenaghen il prossimo dicembre, mostra come l’Italia sia riuscita a sistemarsi nelle ultime posizioni.
Fatto 100 i piani di stimolo, ecco quanto i Paesi hanno destinato ai progetti ambientali, in percentuale: la Corea del Sud   il 79%, la Cina il 34%, l’Australia il 21%, la Francia il 18%, l’Inghilterra il 17%, la Germania il 13%, gli Stati Uniti il 12%, il Sud Africa l’11%, il Messico il 10%, il Canada l’8%, la Spagna il 6%, il Giappone il 6%, l’Italia l’1%.
Un anno dopo l’inizio della crisi finanziaria   mondiale, l’agenzia delle Nazioni Unite rileva che complessivamente il 15% dei 3.000 miliardi del piano di stimolo sono stati destinati a progetti di carattere ambientale.
Rispetto ai progetti in cui i Paesi hanno investito, lo sforzo fatto per ridurre la dipendenza delle grandi economie mondiali dal carbone e dal petrolio non è ancora sufficiente e dovrebbe essere incrementato.
I denari investiti in energie rinnovabili non bastano a ridurre la necessità  di carbone e a incidere positivamente sul surriscaldamento globale del Pianeta. Continua »

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SUL BOICOTTAGGIO DELLE OLIMPIADI, IN ITALIA IL SILENZIO DEI PAVIDI

Aprile 8th, 2008 Riccardo Fucile

DIO CI SALVI DAI PRUDENTI  

Sembra emblematico che in Italia, durante la campagna elettorale, tutti i grandi partiti siano ” presenti”, quando si tratta di parlare del nulla, di schede mal stampate, di fatiscenti assegni da distribuire ieri ai precari, oggi ai pensionati, domani alle casalinghe, dopodomani agli agricoltori, quattro giorni fa agli elettricisti, e giovedì alle aspiranti veline per rifarsi le tette, ma, quando si tratta di temi “seri” ed etici, assistiamo al “fuggi fuggi”, come sulla nave alla deriva, prima che si inabissi.
Quando Ferrara ha posto il problema dell’aborto, i grandi leader erano”schifati” dal fatto che un “tema così” diventasse argomento di dibattito elettorale. Come dire: ” Cosa viene a rompere le palle Ferrara con l’aborto, quando dobbiamo parlare di Alitalia, del sistema elettorale porcelloso, di come comporre il futuro Governo, di come   ridurre dello 0,01% i costi della politica per dare una parvenza di popolarità  al programma” .   E pensare che il Governo italiano, pochi mesi fa, aveva “venduto” al mondo dei media la notizia che ” grazie a Prodi, era stata approvata una risoluzione dell’ONU che vietava la pena di morte nel mondo”. Continua »

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LA FIACCOLA DELLA VERGOGNA: BOICOTTIAMO LE OLIMPIADI

Aprile 8th, 2008 Riccardo Fucile

IN CINA 8.000 ESECUZIONI L’ANNO E 1 MILIONE DI CINESI DISSIDENTI AI LAVORI FORZATI NEI LAOGAI  

Mentre la fiaccola olimpica attraversa l’Europa, tra   legittime contestazioni e assalti da parte dei gruppi proTibet e di coloro che denunciano da anni la vergogna di aver assegnato i Giochi olimpici a un regime comunista che si guarda bene dal garantire la libertà  politica e religiosa dei propri “sudditi”, è opportuno che l’Europa si interroghi sulla presenza dei Capi di Stati del Continente alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici. Mentre Stati Uniti e Gran Bretagna si sono piegati alla logica liberista e alla tutela del “mercato”, ancora una volta da apripista di una “visione non mercantile” della politica si è fatto interprete il presidente francese Nicolas Sarkozy che ha richiamato con durezza il governo cinese al rispetto dei diritti umani. Sarko ha portato sulla sua linea il cancelliere tedesco Angela Merkel, il premier polacco Vaclav Klaus, il governo estone e quello slovacco. Ma la presa di posizione del presidente francese sta ponendo seri problemi a tanti altri governi, anche alla luce della repressione nel sangue   dei dissidenti tibetani, con oltre 140 morti tra le strade. Continua »

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LA CINA FA PULIZIA ETNICA IN TIBET

Marzo 20th, 2008 Riccardo Fucile

IN ITALIA D’ALEMA SI PROSTITUISCE AL LIBERALCOMUNISMO DELLA CINA E TACE…NON VOGLIAMO ATLETI ITALIANI NELLA FOGNA CINESE

Chiamiamo le cose con il loro nome: la Cina sta attuando in Tibet, con l’arroganza tipica dei Paesi comunisti e totalitari una pulizia etnica, quella stessa che mobilita solitamente Stati Uniti ed Occidente in difesa dei valori condivisi della democrazia, laddove essa è in pericolo. Stranamente il discorso non vale per il regime comunista cinese…paura, convenienza, globalizzazione dei mercati, import export da salvaguardare… e i diritti umani non contano più per nessuno. La Cina invade i mercati mondiali grazie al fatto che viola sistematicamente le regole di tutela ambientale ( ma i Verdi tacciono), quelle sul lavoro minorile ( ma i sindacati stanno zitti), quelle sulla sicurezza sul lavoro ( ma la sinistra non insorge), quelle sull’igiene e la sicurezza dei prodotti che fabbrica ( ma nessuno obietta nulla), quelle sulle sovvenzioni statali alle imprese che danneggiano il mercato ( ma i liberisti nostrani fanno finta di nulla).
La Cina fa parte del Wto, l’organizzazione mondiale del Commercio, ma non rispetta le regole dettate dall’organismo internazionale. Essa è la dimostrazione vivente di come esista ancora un regime comunista liberticida e sanguinario, convertitasi al mercato, la raffigurazione vivente di quanto sia sciocco il dogma liberista che più mercato voglia automaticamente dire maggiore democrazia. In Occidente ci si indigna per le condanne a morte eseguite negli Stati Uniti, ma quasi nessuno dice che in Cina vengono eseguite migliaia di esecuzioni ogni anno contro i dissidenti e le minoranze. In Europa ci si indigna perchè gli Stati Uniti non hanno sottoscritto il protocollo di Kyoto, ma i Verdi tacciono sul fatto che in Cina non vi sia alcuna regola di rispetto ambientale e l’inquinamento abbia valori altissimi. Continua »

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