Ottobre 8th, 2017 Riccardo Fucile “BASTA PERDERE TEMPO, AVANTI ANCHE SENZA DI LUI”… “BUON VIAGGIO”
Le prove di divorzio andavano avanti ormai da settimane, tra irritazioni e stizza, ricuciture e
accelerazioni.
Ora tra i partiti a sinistra del Pd e Giuliano Pisapia che doveva essere il “grande federatore” l’avventura sembra già finita, a poco più di tre mesi dalla manifestazione di “Insieme“, il movimento che doveva tenere insieme tutto il centrosinistra ma che ha visto la sua notorietà nascere e morire il primo luglio.
Dopo gli inviti ripetuti di Massimo D’Alema a “fare presto” (a fare un soggetto unico a sinistra del Pd), oggi si è deciso anche Roberto Speranza.
Destinatario del messaggio, proprio Pisapia. “Abbiamo parlato troppo di noi, ora basta — dice in un’intervista al Corriere della Sera — Bisogna correre, Pisapia è naturalmente protagonista di questa storia, ma non si può più perdere un solo minuto e neanche stare lì a parlare tutti i giorni di nomi dei big, invece che di proposte. È diventata una soap opera insopportabile“.
La risposta dell’ex sindaco di Milano arriva dopo poche ore dall’uscita del giornale: “Non c’è problema. Buon viaggio a Speranza, sono sicuro che ci ritroveremo in tante battaglie — afferma durante un incontro a Mesagne — Io continuo in quello che ho sempre detto — ha detto Pisapia — non credo nella necessità di un partitino del 3 per cento, credo in un movimento molto più ampio, molto più largo e soprattutto capace di unire, non di dividere“.
Il punto di rottura è soprattutto sulla tempistica: “Il tempo è ora — dice Speranza — non possiamo andare oltre novembre” dice Speranza, indicando il 19 di quel mese come giorno ideale per le primarie della coalizione di sinistra.
Un’accelerazione che Pippo Civati — leader di Possibile — accoglie con trasporto: “L’intervista di Speranza fa chiarezza sulla lista unica a sinistra. Era ora ed è ora. Finalmente c’è anche la data dell’assemblea. Non possiamo che esserne soddisfatti”. A lui si è aggiunto anche il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni che rafforza il concetto: “Mi sembra finalmente finita la stagione delle ambiguità , dei tentennamenti. Il tempo è ora”. L’unione è ormai impossibile. Ormai siamo già quasi al dileggio. “Ricambio gli auguri di Buon viaggio a Giuliano Pisapia rimanendo in speranzosa attesa del suo partitone #insieme” twitta Miguel Gotor, il più bersaniano dei senatori.
Nel Pd restano a guardare e un po’ gongolano.
“Non entro in questa polemica — dice il coordinatore della segreteria Lorenzo Guerini — ma a me interessa ribadire la posizione del Pd espressa dal segretario nell’ultima direzione: noi lavoriamo per un disegno ampio e inclusivo basato sui contenuti e non sui veti personali”.
Pisapia si ripete, per l’ennesima volta: “Vogliamo partire dai contenuti, ieri abbiamo fatto le officine sui temi ecologici e contemporaneamente a Torino c’era un’iniziativa sui temi della cultura. Bisogna passare dal personalismo ai contenuti, vedere cosa serve agli italiani”, “noi siamo sempre stati coerenti”.
E ancora: il progetto di “unire le anime diverse del centrosinistra: l’ecologismo, il civismo, il volontariato, l’associazionismo, tutte realtà che non devono essere utilizzate solo in campagna elettorale, ma devono diventare parte integrante di un centrosinistra di governo“.
Ma poi non si tiene più: “Quando come delegazione di Mdp sono andato a parlare con il presidente Gentiloni non a fare ricatti ma a fare richieste di giustizia sociale” come “il diritto alla salute“, “qualche assicurazione l’abbiamo avuta”.
“Abbiamo fatto un percorso condiviso all’unanimità dai gruppi” su come votare in aula sul Def, continua, “il problema è stato che, potevano almeno avvisare quantomeno, che quello stesso giorno il loro sottosegretario si sarebbe dimesso e che sarebbero usciti dalla maggioranza”.
Nel momento in cui da parte del governo “c’è un annuncio importante”, in cui “hai la prospettiva di un’azione concreta” e vicina alla richieste della sinistra, “esci dalla maggioranza? Problemi loro, potevano aspettare una settimana e quantomeno avvisare chi era andato dal presidente del Consiglio, altrimenti sembra una presa in giro“.
Un’amarezza che si allarga a Nichi Vendola che in un paio d’occasioni nell’ultimo mese ha messo Pisapia nel mirino al quale ha mandato a dire che “è molto generoso, soprattutto con se stesso” e che gli preferisce Piero Grasso.
“Umanamente e personalmente mi fa soffrire — replica l’ex sindaco di Milano — Con Nichi abbiamo fatto tante battaglie, per me è stato un punto di riferimento. Non riesco a comprendere questa volontà , peraltro dicendo cose che non rispondono alla verità , di attaccare le mie posizioni”. Quanto al partito di Vendola “Sinistra italiana è coerente dal suo punto di vista: la loro posizione è che serve un quarto polo. In questa fase a loro non interessa cambiare il Paese, ma ricostruire una sinistra che, però alla fine, sarebbe solo di testimonianza. Chiedo rispetto ma il nostro obiettivo è un altro, noi vogliamo cambiare le cose”.
Bruno Tabacci, braccio destro di Pisapia in Parlamento, certifica a RadioRai che le strade tra Speranza e Pisapia “si sono divise perchè è diversa l’impostazione. Pisapia fin dall’inizio aveva parlato di un centrosinistra largo. L’iniziativa di Speranza ha una coloritura molto diversa, somiglia ad una cosa rossa che riprende qualche tentativo del passato. Noi possiamo ritrovarci dentro uno schema di centrosinistra allargato ma non certo una cosa che mette insieme Fratoianni, che è quello che vince sulla linea”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 3rd, 2017 Riccardo Fucile ARTICOLO 1 ESCE DALLA MAGGIORANZA E VA VERSO L’APPOGGIO ESTERNO: “MANI LIBERE”
L’operazione di “sganciamento” dalla maggioranza è iniziata.
Alla fine della riunione coi senatori di Mdp, Roberto Speranza tira le conclusioni: “Non voteremo il Def. Da adesso, siamo fuori dalla maggioranza. Mani libere. Valuteremo provvedimento dopo provvedimento”.
E annuncia una raccolta di firme “nel paese” su sanità , lavoro.
E tutte le questioni su cui si aprirà un negoziato duro sulla manovra, dall’esito non scontato: “Dipende da quale richieste accolgono”.
Pochi minuti Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno, ha annunciato che lascia il governo. È, di fatto, quello che una volta si sarebbe chiamato “appoggio esterno”: nessun vincolo di maggioranza, nessun membro del governo, si valuta caso per caso.
Lo sganciamento andrà in scena domani, giorno di votazioni delicate sui conti pubblici.
La prima votazione è sull’autorizzazione allo scostamento di medio termine del deficit, che richiederebbe la maggioranza assoluta (161).
E dunque, senza il voto di Mdp, non passerebbe, con la conseguente apertura della crisi di governo.
Su questa votazione il sì era di fatto acquisito da ieri, quando Pisapia lo ha detto al premier Gentiloni. L’altra votazione è sulla nota di aggiornamento al Def, che richiede la maggioranza dei presenti e dunque consente un po’ di gioco parlamentare.
Sia alla Camera sia al Senato i parlamentari di Mdp e di Pisapia non voteranno la Nota: “La relazione di Padoan — dice Speranza — è insufficiente, su sanità , pensioni e le questioni sollevate. Ha solo detto che incontrerà le forze di maggioranza per una interlocuzione politica”.
Tira un’aria pesante a sinistra. Riunioni a Montecitorio la mattina. Riunioni a palazzo Madama al pomeriggio, dove in senatori bersaniani sono spaventati dall’ipotesi della rottura estrema.
“Non possiamo farci bollare come i nuovi Bertinotti, facendo cadere il governo”. È questo l’oggetto delle riunioni dei gruppi, tese.
Perchè in questi casi la forma e il meccanismo parlamentare sono sostanza. Al Senato dichiarare l’astensione equivale a votare contro.
Il pallottoliere dice che, a quel punto, il governo sarebbe a rischio. Dice un senatore a microfoni spenti: “Alla fine si è deciso di non partecipare al voto, non di partecipare e astenerci perchè così il governo non cade ma usciamo dalla maggioranza”.
Lo spettro di Bertinotti si aggira tra gli ex Pd: apparire “settari”, “gruppettari”, “irresponsabili”, il famoso “non ci capirebbe nessuno”.
Elisa Simoni, toscana tosta, la spiega così: “Questa mossa è perfetta. Perchè ci consente di spiegare al paese quello che vogliamo, di esserci insomma. E di preparare lo smarcamento definitivo se il governo non ascolta”. Poco più un là Arturo Scotto è soddisfatto: “Chiarezza è fatta, ora si apre un’altra fase”.
Per tutto il giorno, al Senato, si fanno i conti col pallottoliere.
Al gruppo del Pd fanno notare che i numeri ci sono, perchè nessuno ha voglia di andare a votare e, si sa, in questi casi arrivano schiere di “responsabili”: i verdiniani, i senatori del misto, tanti uomini di buona volontà .
Ma il punto è politico. Il vertice con Pisapia, nelle intenzioni del premier, doveva servire proprio a blindare le votazioni di domani.
Invece, lo sganciamento sul Def non è un passaggio indolore. Perchè trasforma la manovra in un percorso a ostacoli, complicato. Poche risorse, col premier stretto tra le esigenze, anche elettorali, del segretario del Pd che non concederebbe nulla ai bersaniani e la necessità di far passare la manovra.
Il ministro del Tesoro Padoan, nella sua audizione in commissione, si è mostrato cauto, prudente, consapevole che ora inizia un delicato gioco parlamentare in sede di discussione della manovra e sarà in quella sede che si scopriranno eventuali carte coperte per trovare una quadra di maggioranza, non certo in una nota di accompagnamento.
Nè pare, al momento, aver sortito effetti il tentativo di separare Pisapia da Bersani&Co.
Forse anche perchè il momento della verità ci sarà al voto vero sulla manovra quando o si vota sì, o si vota no. Però i gruppi hanno votato all’unanimità . E all’unanimità domani non voteranno il Def.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile “NON REGGIAMO IL MOCCOLO A RENZI E A ALFANO, D’ORA IN POI NOSTRI VOTI NON SCONTATI”
Dopo la burrascosa convivenza nel Pd renziano e la separazione, lo strascico di critiche e insulti continui.
Come una storia d’amore che fatica a chiudersi, il rapporto tra Partito Democratico e gli “scissionisti” che hanno seguito Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza non trova pace sul piano nazionale, non ne trova a maggior ragione su quello locale.
La misura è colma per gli esponenti di Articolo 1 in Emilia Romagna: troppo spesso presi di mira da diversi graduati e amministratori Pd durante le Feste dell’Unità , dove i fischi scattano automaticamente ogni volta che vengono pronunciati i nomi di D’Alema&Co., Mdp minaccia di lasciare le amministrazioni dell’Emilia-Romagna in cui governa al fianco dei democratici.
Gli ultimi attacchi sono arrivati dal segretario regionale Paolo Calvano al sindaco di Bologna Virginio Merola.
“Vorremmo ricordare che Articolo Uno in Emilia-Romagna- si legge in una nota del coordinamento regionale di Art.1 – è presente con lealtà e responsabilità in diverse giunte di centrosinistra a cui stiamo continuando a dare il nostro contributo in ragione della fedeltà a programmi di mandato a cui abbiamo lavorato e che abbiamo sostenuto in campagna elettorale”.
Ebbene, prosegue la nota, “non siamo disposti, dal momento in cui esercitiamo convintamente correttezza verso i nostri sindaci e amministratori, a sopportare all’infinito attacchi che inevitabilmente rischiano di avere ripercussioni anche in quelle realtà “.
Lo scontro si sposta anche sul terreno nazionale, con Mdp che avverte il Governo, dicendo che dopo lo stop al Senato della legge sullo ius soli e il molto probabile stop alla Camera sulla riforma della legge elettorale, il Movimento non garantisce più il sostegno su Def e legge di Bilancio. Alfredo D’Attorre spiega che “abbiamo dato al Governo e al Pd la nostra disponibilità a una conclusione ordinata e proficua della legislatura sui temi principali, ma i fatti ci dicono che ieri il Pd ha affossato lo ius soli al Senato e oggi rischia di affossare definitivamente la legge elettorale alla Camera. Se questi sono i frutti avvelenati del rinnovato fidanzamento tra Renzi e Alfano, nessuno può pensare che noi staremo lì a reggere il moccolo gratis et amore Deo”, spiega.
Per le prossime scadenze, legge di Bilancio in testa, per Mdp varrà dunque “il ‘liberi tutti’, non saremo corresponsabili di una conclusione insensata della legislatura”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 1st, 2017 Riccardo Fucile SOTTO LE FINESTRE DELL’ULIVO NASCE LA SINISTRA ALTERNATIVA AL PD…. GLI ATTACCHI DI RENZI ACCOLTI QUASI CON LIBERAZIONE
Piazza rossa, come la distesa di bandiere, nel luogo simbolo dell’Ulivo, Santi Apostoli.
“Posso chiedervi di sventolarle con parsimonia? Così si aiutano le telecamere che trasmettono in streaming”, chiede Gad Lerner, nei panni del presentatore.
Lo streaming non va di moda perchè, insomma, è pur sempre il battesimo di un nuovo inizio: “Oggi — dice Pisapia nel suo intervento finale – nasce un nuovo soggetto politico. Adesso si chiama ‘insieme’ ma il nome lo sceglieremo insieme. Non una fusione a freddo ma una fusione a caldo”.
Piazza rossa, ma mite. Non di arrabbiati o gruppettari, si sarebbe detto una volta: “Io — dice un signore con una tessera del Pci al collo — ero qui con l’Ulivo, poi il Pd. E ora…”.
David Sassoli, scamiciato, parla con alcuni militanti: “Ieri sera ero a una iniziativa del Pd ad Ostia, e venivano tutti qui”. Annuisce il vecchio “compagno”: “Sì, è pieno di circoli del Pd o appena usciti dal Pd”.
Per ascoltare la parola “Renzi” – un po’ di sangue, come si dice in gergo – bisogna attendere Pier Luigi Bersani, attorno alle 18,15. E la piazza si scalda: “Ci rivolgiamo al popolo del centrosinistra, disilluso, deluso, che sta a casa e ha ascolta il comizio di Renzi e sente che le parole gli scivolando addosso, come l’acqua sul marmo”.
Già , il comizio di Renzi. Accolto in piazza Santi Apostoli quasi con un senso di liberazione. “Non mi ferma nessuno”, “il leader lo ha scelto il Congresso”, “il Jobs Act ha prodotto risultati”: menomale, dicono nel retropalco, così finisce ogni forma di ambiguità , noi di qua, lui di là , lui ha chiuso, noi andiamo avanti.
Vasco Errani e Davide Zoggia sorridono: “Lui è o così o pomì, senza vie di mezzo”. Poco più in la, allarga le braccia Gianni Cuperlo, pontiere tra Pd e sinistra, a cui hanno bombardato il ponte: “Che ti devo dire? Non mi rassegno e continuerò a fare dentro il Pd il genio civile che arriva in zone bombardate”.
Musiche di Rino Gaetano, slogan alla Jeremy Corbyn, pochi effetti speciali, come una volta.
Dal palco piove anche qualche granata: “Noi — scandisce Pier Luigi Bersani – abbiamo un pensiero, se ne prenda atto. Ma voi del Pd che pensiero avete? Cosa pensate di cosa succede nel profondo della società italiana? Ora si sono liberati di D’Alema e il pensiero ce lo darà Bonifazi…”. Applausi caldi.
Come quelli al lìder maximo, quando è entrato nella piazza: “Grande Massimo” urlano a sinistra del palco. In piazza c’è anche Pasquale Cascella, sindaco del Pd di Barletta e ex portavoce di Giorgio Napolitano ai tempi del primo settennato: “Questa — dice salutando tutti – è gente nostra. Ma come fai a rompere con questa storia? Fai la mutazione genetica”.
Sul palco Bersani questa mutazione la descrive come già avvenuta. Parla di “discontinuità “, “alternativa”, ne fissa la cornice programmatica: “Basta voucher, basta licenziamenti collettivi e disciplinari, basta stage che diventano lavori in nero, basta bonus, basta meno tasse per tutti come dice Berlusconi e non ‘chi ha di più dia di più, basta camarille e gigli magici. E basta arroganza, il mondo non gira attorno alla Leopolda”.
Bobo Craxi, assieme a un gruppo di socialisti, annuisce: “Discorso ottimo, molto robusto”. In fondo alla piazza c’è Antonio Bassolino. “Anto’, facciamo un selfie”, “Anto’, ti ricordi quando presentammo il libro ad Ariccia?”. Sorride sornione: “Vedi, loro sono qui perchè Renzi è Renzi, io sono qui perchè Renzi non è più Renzi”.
Sia come sia, la fase è cambiata, in questo ennesimo dopo voto, segnato dalla “macronizzazione”, un po’ all’italiana del Pd, in senso centrista e leaderista.
Il discorso di Milano è questo: no ad alleanze, coalizioni, no a Prodi, alla cultura dell’Ulivo, il partito organizzato, i corpi intermedi. “Non media, dice ‘o così o fuori’ e infatti anticipa la direzione per arrivare al redde rationem”, sussurra un parlamentare orlandiano.
Anche Pisapia, in questo clima di muri e non di ponti, parla di “discontinuità ” sulle politiche, a partite dal lavoro e dall’articolo 18: “La politica non è avere tanti like, politica non è io, è noi”.
Il massimo per “l’anti-leader” o per il “leader riluttante” (copyright di Gad Lerner). “Ma che ha detto concretamente? Perchè non ha nominato Renzi?”, “Boh, io non l’ho capito” si dicono in un gruppo di militanti romani. “Ho parlato di cose più serie” risponde Pisapia a un cronista che gli fa la stessa domanda su Renzi.
In conclusione, ognuno per la sua strada (e per la sua piazza).
Discorso chiuso, complice la legge elettorale proporzionale. Dice Massimo D’Alema: “Stiamo andando verso le elezioni, se questo nuovo soggetto che stiamo costruendo avrà forza, allora dopo il voto riapriremo il discorso”. Delle alleanze. Dopo, non prima.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 24th, 2017 Riccardo Fucile PER VENDERE DUE COPIE IN PIU’ ARRIVA PURE LA BESTEMMIA CONTRO IL DIO DEI MUSULMANI: ORMAI E’ UNO DEI MIGLIORI FIANCHEGGIATORI DELL’ISIS
Alessandro Sallusti sul Giornale di oggi contribuisce alla pace nel mondo rivendicando il diritto di bestemmiare «contro Allah, un dio crudele e assassino» sulla prima pagina del Giornale.
Come sempre, dopo una strage, Libero e il Giornale fanno a gara a chi la spara più grossa nel disperato tentativo di farsi notare per chi scrive la cosa più “urticante” e fomentare così l’odio. Stavolta tocca direttamente a un dio a cui, in teoria, nemmeno dovrebbero credere.
Libero invece se la prende con “l’accoglienza in Inghilterra”, che dev’essere molto alta e buonista visto come ha votato la Gran Bretagna al referendum sulla Brexit.
Questo spettacolino indegno continua a ripetersi senza soluzione di continuità dopo ogni evento in cui in qualche modo c’entrano, o secondo i quotidiani di estrema destra ci possono entrare, gli islamici.
Sarebbe come sostenere che tutti i media italiani sono demenziali solo perchè due testate istigano all’odio per vendere due copie in più nei reparti di psichiatria.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2017 Riccardo Fucile “OGGI NASCE QUALCOSA DI NUOVO”
“Un maestro ci ha lasciato ma oggi nasce qualcosa di nuovo. Abbiamo il dovere di portarci nel dna il suo testamento politico: l’invito per la sinistra a rinascere con spirito inclusivo e intento costruttivo”.
Articolo uno, movimento democratico e progressista presenta il suo simbolo e affida a Massimo D’Alema il ricordo di Alfredo Reichlin, l’ultimo patriarca della sinistra mancato la notte scorsa a 91 anni.
Per ora niente simbolo elettorale, solo un logo tutto in lettere, con i colori verde, bianco e rosso, il richiamo al principio fondante della comunità repubblicana e democratica.
Al tempio di Adriano a due passi da Montecitorio il clima non è della festa e dei brindisi: è mancato chi poteva essere ancora il padre nobile del nuovo soggetto politico nato dalla rottura nel Pd. Reichlin, che ha riconosciuto le ragioni della scelta ma, fino all’ultimo, ha ribadito la sua avversione al settarismo, riaffermando le ragioni del dialogo e della comprensione.
Testamento e insegnamenti, senza paternalismi, passione politica e persuasione. I giovani quarantenni Speranza, Scotto, D’Attorre, La Forgia, prendono il testimone per “il nuovo inizio e ripartire dai fondamentali”.
In prima fila c’è chi ha l’esperienza e qualche anno in più: D’Alema e Bersani, Vincenzo Visco e Enrico Rossi, Guglielmo Epifani e la capogruppo al senato Maria Cecilia Guerra.
E poi in sala tutti i delusi dal Pd targato Renzi, quelli “stanchi della stagione dell’arroganza” per dirla con il leader in pectore Roberto Speranza. Niente bandiere rosse o nostalgie se non quella del lavoro che manca e mette in crisi la democrazia. Simbolo e nome del primo articolo della Costituzione sono piazzati lì come un manifesto politico.
Concetti spiegati da Mario Dogliani e Anna Falcone, che negli ultimi mesi si è guadagnata la ribalta come pasionaria del no alla riforma costituzionale. “Il lavoro come principale fattore di emancipazione e dignità dei cittadini” dice, ricordando il concetto che la carta del ’48 ha messo in maniera così solenne e significante.
In sala si legge il verbale dell’approvazione della seduta di quel lontano 22 marzo 1947. L’articolo uno oggi compie settant’anni ma i numeri che la crisi rovescia giorno dopo giorno, lasciano la sua attuazione ancora lontana. Soprattutto nei primi articoli “è il momento che la Costituzione italiana diventi prescrittiva” dice Falcone , “nulla può essere al di sopra” e nessuna libera interpretazione si giustifica: “stabilire il prezzo di un licenziamento non è compatibile con questi principi”.
Dagli applausi si capisce che la giurista che cita Gramsci, incitando il nuovo soggetto a perseguire “studio e passione”, ha un futuro politico non troppo lontano.
“Per non lasciare la sinistra sotto le macerie” il lascito di Reichlin alle giovani leve. Così nasce Articolo Uno, movimento dei progressisti e democratici. Il prestito di una Costituzione, frutto dell’incontro tra le culture politiche dell’Italia ricostruita, deve però essere onorato.
Perchè tutto non si riduca solo a un nuovo partito a sinistra.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 3rd, 2017 Riccardo Fucile SERGEI STANISHEV, LEADER PSE, ACCUSA D’ALEMA: “TOTALE MANCANZA DI LEALTA'”
Per Mdp “non ci può essere spazio” nel Pse. Lo afferma in un’intervista all’Unità Sergei Stanishev,
leader del Pse, ex premier bulgaro, chiudendo le porte al Movimento dei Democrativi e Progressisti nato per iniziativa di Roberto Speranza, Enrico Rossi e Arturo Scotto dalle scissioni interne al Partito Democratico e a Sinistra Italiana.
“Secondo noi la decisione di alcuni membri del Pd di lasciare il partito è un errore storico […] Dispiace vedere criticato uno dei più avanzati progetti politici che è stato finora un modello di successo per diverse ragioni: la fusione e la sinergia fra culture politiche democratiche, l’apertura alla società civile e la pratica delle primarie molto partecipate. Vedere tutto questo messo in discussione per un conflitto interno è molto difficile da capire dal di fuori […] Non ci può essere spazio nella nostra famiglia per forze politiche che minano l’unità del nostro movimento”.
Stanishev critica direttamente Massimo D’Alema.
“È da molti mesi che vediamo che si comporta con una totale mancanza di lealtà politica nei confronti del Pd e anche nei confronti del Pse. Spesso abbiamo avuto l’impressione che il suo approccio critico fosse dovuto principalmente a dei risentimenti personali”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 2nd, 2017 Riccardo Fucile E SPERANO CHE RENZI VINCA IL CONGRESSO… A NAPOLI SI GUARDA A BASSOLINO
Lavori in corso, scissione lenta e silenziosa. Neppure la diffida sul nome mette ansia alla sinistra uscita dal Pd. Anzi.
L’avviso spedito agli uffici di Camera e Senato sul divieto di utilizzo del nome cade nel vuoto e derubricato con una punta d’ironia.
Con “Articolo 1 — Movimento Democratico e Progressista”, ci occupiamo dei problemi degli italiani — taglia corto Roberto Speranza — non di Ernesto Carbone che invece per gli italiani è un problema”.
Carbone è il renziano che nel 2014 depositò la lista Democratici e Progressisti e ora minaccia di adire le vie legali perchè l’operazione dei bersaniani “rischia di creare confusione”. Già .
Forse però per il Pd non è certo il momento propizio per scomodare le carte bollate su una questione di nomi. Nessuno lo dice ma molti lo pensano.
Intanto le truppe che hanno lasciato il partito si mettono a battere il territorio per spingere l’associazione appena costituita.
Nel frattempo che il Pd si avvelena con il congresso e litiga sul tesseramento, il neo movimento parte dai temi del lavoro e le prime indicazioni sulle correzioni consistenti al Jobs act e sui voucher annunciate dal governo, segnano la prima tacca.
Si ragiona sui contenuti, fanno sapere i big, e la scissione avanza in silenzio, con la consapevolezza che saranno gli elettori di sinistra a premiare la scelta.
Silenziosa e dal basso, e da questo fine settimana sono decine le iniziative locali alle quali i bersaniani parteciperanno a livello locale in Veneto, Liguria, Umbria, Sicilia e Sardegna.
Ma il ragionamento “sui numeri” è che “solo dopo l’esito del congresso del Pd (specie se Renzi dovesse riconquistare la leadership) la scissione prenderà il vento”.
Molti sono restati nel recinto e il tesseramento in aumento (al netto delle operazioni poco chiare al centro delle polemiche) non deve ingannare.
Per ora le giunte regionali dove il partito è forte e strutturato, come in Emilia, non subiscono scossoni arginando le voglie scissioniste.
In Toscana il governatore Enrico Rossi, protagonista della rottura, è sostenuto da una maggioranza di renziani ma la sua poltrona nessuno sembra metterla in discussione. Nelle regioni dove il partito è più debole, saranno le elezioni amministrative a dare il segnale del cambiamento.
Tuttavia, anche nel monolite emiliano dove “la ditta prima di tutto” e dove pesa il fattore affettivo di una separazione, i nomi di Bersani ed Errani fanno proseliti.
“Smottamento consistente e qualitativamente pesante”, fanno sapere dai circoli, dove ricordano che il segnale dell’astensionismo delle ultime regionali (votò solo il 37 %) fu ignorato dal Nazareno.
Stufi di non decidere, di fare solo tortellini alle feste e allestire continui rodei elettorali: in tanti sono pronti a mollare.
Se Bologna resta unita (con il sindaco Merola in bilico verso Giuliano Pisapia), cominciano a vacillare altre roccaforti come Reggio Emilia e Modena.
Qui è stato già costituito il gruppo Mdp con cinque consiglieri comunali. Della giunta fanno parte due assessore molto vicine, e con la lista civica di sinistra potrebbe nascere il primo esperimento locale di “Campo progressista”.
A Piacenza e dintorni, con un Pd allo sbando e zero tessere, Bersani e Migliavacca potrebbero intestarsi addirittura la scissione più consistente di tutta la regione.
Spostamenti pesanti anche in Sardegna dove è data per imminente l’uscita dalla corsa della segreteria regionale di Yuri Marcialis, ex segretario a Cagliari e assessore forte della giunta Zedda.
Mentre infuria la bufera delle tessere, a Napoli tutti guardano alle scelte di Antonio Bassolino.
Negli ultimi giorni lo scambio di telefonate con il leader Mdp Speranza si è fatto intensissimo e, nonostante abbia rinnovato la tessera nei giorni scorsi, molti suoi fedelissimi scommettono sul suo addio al Pd.
Un altro capoluogo in ebollizione è Potenza dove hanno lasciato pezzi grossi del partito come il segretario provinciale e il capogruppo in comune portandosi dietro quattro consiglieri.
Ma le fotografie di chi sta sulla porta “aspettando di vedere cosa accade al congresso” sono numerose.
La più nitida è quella di Lecce, dove secondo le denunce dei renziani, D’Alema e i suoi presidiano dall’interno con il mandato di condizionare il congresso.
“ConSenso è una libera associazione nata dai comitati del No”, la replica del leader. Ovvero, anche nella battaglia congressuale, ognuno decide come comportarsi.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 28th, 2017 Riccardo Fucile PRIMA BATTAGLIA: REFERENDUM SUI VOUCHER
“Chiediamo al governo di fissare la data del referendum sui voucher”. Per il Movimento dei
democratici e Progressisti, è questa la prima mossa per declinare l’articolo uno della Costituzione.
Il lavoro è in testa all’agenda dei nuovi gruppi parlamentari, costituiti oggi ufficialmente da 37 deputati e 14 senatori.
I due capigruppo, Francesco Laforgia alla Camera e Cecilia Guerra al Senato, cominciano da qui e fin dalle prime uscite davanti ai cronisti spiegano di voler accompagnare l’esecutivo Gentiloni verso una scelta di correzione profonda del jobs act.
E se questa non dovesse avvenire prima, la posizione non potrà che essere a favore dell’abolizione completa così come previsto dal quesito proposto dalla Cgil.
Al governo “diciamo che non mancherà un solo numero dell’attuale maggioranza — assicura il nuovo capogruppo — ma lo incalzeremo sulle priorità , dal lavoro, allo sviluppo alla scuola”.
Per cambiare marcia nelle politiche per l’occupazione, Cecilia Guerra (che è stata sottosegretaria al lavoro nei governi Letta e Monti) ha annunciato che presto chiederà un incontro con il premier Gentiloni.
E’ questa la strada della discontinuità dal governo Renzi che ha dato le motivazioni per l’abbandono dal Pd.
“I gruppi parlamentari che nascono oggi sono la conseguenza di quello che è già avvenuto nel paese tra la nostra gente” ha detto Roberto Speranza che vuole dare “il marchio dell’operazione politica e dei contenuti” accompagnato dai nuovi gruppi. Un nuovo soggetto anche per le prossime elezioni amministrative? “Prematuro”, intanto c’è un lavoro da fare sul territorio costruire una forza per “ricucire una frattura che c’è stata con il nostro mondo rimasto senza rappresentanza”.
E’ la ragione che ha spinto due esponenti di spicco come Speranza e Scotto (che sono già stati entrambi capigruppo) a mettersi in gioco in una dimensione più esterna, fuori dai palazzi parlamentari.
Dunque alla Camera a guidare la nuova formazione sarà Laforgia, 38 anni pugliese ma milanese di adozione. E’ l’uomo più vicino a Giuliano Pisapia ed è già chiaro il ponte che si vuole indirizzare verso il “campo progressista” che l’ex sindaco ha lanciato e che l’11 marzo farà il suo esordio in una manifestazione nazionale a Roma. “Guardiamo con grande interesse a quell’esperienza – dice Speranza – l’obiettivo di costruire un nuovo centrosinistra è anche il nostro”.
Le ragioni della scelta di lasciare il Pd, certamente dolorosa, si trovano anche in questo orizzonte più ampio che allontani l’ombra di una scissione per il piccolo partitino.
Perciò lo sguardo ai sondaggi è distratto mentre risulta interessante il grado di fiducia che riscuote Pisapia, che tra i leader, secondo Scenari Politici, tallona Renzi sotto di soli due punti.
Per ora si tratta di preparativi, truppe e risorse da disporre “in caso di ogni evenienza” per usare le parole di D’Alema.
L’uscita dal Pd è dunque la prima fase, l’inizio dello show down che si terminerà con il congresso e le primarie del 30 aprile che segneranno il futuro della segreteria Renzi. Per i Democratici e progressisti quell’esito non sarà indifferente e nessuno si sente di escludere che se l’ex premier dovesse riconquistare la leadership allora “la scissione sarà ben più consistente”.
Ed è ancora Speranza a spiegare che ci sono “parlamentari che ci guardano con grande interesse, ma hanno bisogno di un percorso più lungo prima di prendere una decisione”.
(da “Huffingtonpost”)
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