Agosto 30th, 2012 Riccardo Fucile TERRITORIO E BENI COMUNI… IL “MOSTRO” POLACCO E’ IL PIU’ PERICOLOSO
Alcuni mostri si aggirano per l’Europa. Più che muoversi stanno fermi ma la loro presenza si percepisce anche a centinaia di kilometri di distanza.
Stiamo parlando delle centrali termoelettriche a carbone.
Se la pericolosità delle centrali nucleari si misura nel rapporto tra i benefici di un sistema più o meno efficiente e i costi altissimi di eventuali incidenti agli impianti, l’inquinamento generato dalla combustione di carbone (in tutte le sue forme) è visibile a distanza, è percepibile immediatamente dentro i polmoni, è quantificabile nelle emissioni di anidride carbonica.
È un inquinamento quotidiano, a cui da tempo si sarebbe dovuto porre un argine: le mastodontiche dimensioni degli apparati produttivi, le ingentissime risorse finanziarie che servirebbero per una riconversione ecologica, la volontà degli Stati di mantenere un certo autonomo margine di manovra in campo energetico, vari tipi di interesse delle grandi multinazionali sono solo alcuni fattori che rendono evidente la difficoltà di ammodernare un comparto vitale per il nostro futuro.
Eppure l’Europa si era data obiettivi ambiziosi sulla riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020.
Traguardo arduo da raggiungere.
Anche perchè la “disunione europea” non si manifesta soltanto nel persistere di interessi nazionali, come dimostra il modo in cui si sta affrontando la crisi dei debiti sovrani, ma anche nella pressochè totale assenza di una politica energetica comune.
Al di là della retorica infatti c’è chi spinge per un rapporto univoco e diretto con la Russia (vedi la Germania), chi sogna l’autosufficienza puntando sulla nuova futuribile tecnologia di fusione dell’idrogeno (vedi Francia), chi non sa che pesci pigliare e raccatta tutto il gas a disposizione (vedi Italia) e chi mantiene un obsoleto settore di produzione di energia non curandosi dell’impatto ambientale (vedi i paesi dell’ex blocco comunista con l’eccezione della Lettonia).
I costi di questa mancata strategia continentale, oltre che economici e strategici, riguardano la salute nostra e del pianeta.
Le cifre fornite dall’Agenzia europea per l’ambiente sono incontrovertibili.
Come riporta il quotidiano La Stampa: “Le emissioni di agenti inquinanti nel 2009 pesavano tra i 102 e i 169 miliardi l’anno, ovvero dai 200 ai 330 euro a persona. Quel che colpisce di più è che ben il 50 per cento dei costi aggiuntivi (tra 51 e 85 miliardi) sono generati da soltanto 191 impianti. è il 2% del totale di quelli censiti, quelli più «sporchi» in assoluto. Il 75% del totale delle emissioni è prodotto da soli 622 siti industriali.
A guidare la classifica – che è calcolata sui dati del 2009 – sono le centrali termoelettriche, in particolare a carbone o a olio combustibile; il discutibile primato di industria più inquinante in assoluto d’Europa se lo aggiudica la famigerata centrale elettrica di Belchatow, in Polonia, una «bestia» alimentata a lignite (un carbone di particolare bassa qualità ) da 5.000 MW nei pressi della città di Lodz.
Tra le prime venti però troviamo anche la centrale termoelettrica Enel Federico II di Brindisi, che da sola genera costi connessi ad inquinamento tra i 536 e i 707 milioni di euro l’anno.
E al 52esimo posto c’è l’acciaieria Ilva di Taranto, che ci costa dai 283 ai 463 milioni l’anno”.
Il mostro polacco è quello più pericoloso.
La storia di Belchatow comincia negli anni ’70: occorreva sfruttare le miniere di carbone limitrofe, ed ecco una centrale a lignite, una delle forme più elementari e grezze (quindi più inquinanti) del carbone.
Persino una brochure auto celebrativa della centrale, ora di proprietà dell’azienda polacca PGE e della multinazionale francese Alstom, descrive la situazione fino agli anni ’90: “Il progetto originario non aveva previsto nessuna misura per limitare le emissioni di ossidi di zolfo perchè a quel tempo le tecnologie di desolforizzazione dei gas erano praticamente sconosciute o soltanto in una fase di sviluppo”.
Le migliorie apportate successivamente non migliorarono l’impatto inquinante delle 12 unità che compongono la centrale, se pensiamo che nel 2008 sono state emesse 31 milioni di tonnellate di CO2 per una produzione di energia di 28 TWh (il 20% dell’intero fabbisogno del paese).
Si è così progettato un piano generale di ammodernamento.
Così descriveva la situazione nel 2009 Greenreport: “Il responsabile della centrale di Belchatow, Jacek Kaczorowski, non si scompone più di tanto e in una intervista alla Reuters ha detto che «Le nostre emissioni nei prossimi anni, nel periodo contabile 2008-2012, resteranno a livelli simili. Così, in breve, alla fine di tutto il periodo, ci vorranno circa 14 – 20 milioni di tonnellate di quote di emissioni di CO2».
Per rientrare nei limiti europei con l’ampliamento la centrale pensa di risolvere la cosa ricorrendo allo stoccaggio sotterraneo delle emissioni di CO2.
Quindi la Polonia non intende rinunciare alle sue super-inquinanti centrali a carbone, ma chiede all’Unione europea di finanziare la ricerca e la tecnologia per la Carbon caputre storage (Ccs) per poter “imprigionare” un terzo dei gas serra prodotti dal nuovo blocco produttivo.
«Ma anche se non avremo i soldi dell’Unione europea, dovremo andare avanti con il progetto a causa della necessità di ridurre le emissioni – ammette Kaczorowski. Dobbiamo andare verso lo sviluppo delle tecnologie Ccs per rimanere competitivi»“.
Belchatow non lascia ma raddoppia costruendo un’altra unità da più di 800 MW, sulla carta molto meno inquinante del complesso della centrale, e chiudendo i camini più vecchi.
Il progetto viene portato a termine nei tempi prestabiliti e proprio in questi giorni vengono inaugurate le strutture.
L’obiettivo di diminuire le emissioni è però ancora lontano.
Mancano soldi e soprattutto volontà politica.
Il carbone resta una materia prima a basso costo e in Europa si sta pensando a nuove centrali.
Una strada che contraddice ogni istanza ambientale.
Pierluigi Cattani
(da “Unimondo.org“)
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Agosto 8th, 2012 Riccardo Fucile DAI TAGLI DELLA P.A. AGLI AIUTI PER IL SISMA DELL’EMILIA, I PROVVEDIMENTI VARATI DAL GOVERNO
Tagli alla spesa pubblica che toccano, tra l’altro, ospedali, statali e province.
Con il via libera definitivo da parte della Camera diventa legge la ‘cura dimagrantè dello Stato che consentirà di evitare l’aumento dell’Iva ad ottobre, ma anche di ampliare le tutele ad altri 55.000 esodati, e di aiutare i comuni colpiti dal sisma dell’Emilia.
Un intervento non solo di tagli, ma anche di aggravi fiscali, dall’Irpef di 8 regioni con i conti in rosso per la sanità alle università .
Ecco le misure principali.
STOP AUMENTO IVA
Il temuto aumento dal prossimo ottobre di un punto delle due aliquote dell’10% e del 21% slitta a luglio 2013. Costa 3,28 miliardi nel 2012. –
ESODATI
Altri 55.000 privi sia di lavoro che di pensione potranno accdere a questa con le vecchie regole.
SISMA EMILIA
Arrivano risorse per 6 miliardi per le zonec colpite dal sisma nell’Emilia. Possibilità per i comuni e per il commissariato regionale di fare assunzioni a tempo determinato per affrontare le emergenze. Risorse anche per l’Abruzzo (23 milioni) per la raccolta dei rifiuti
PROVINCE
Saranno «riordinate» in modo da averne solo con almeno 350.000 abitanti e un territorio di 2.500 chilometri quadrati. Avranno per il 2012 un contributo di 100 milioni per la riduzione del debito. –
ORGANICI P.A.
riduzione del 20% dei dirigenti pubblici, -10% del personale non dirigente. Buono pasto non oltre 7 euro.
OSPEDALI
Entro novembre le Regioni dovranno tagliare circa 7mila posti letto arrivando a 3,7 ogni 1000 abitanti (oggi è 4). Tagli anche alle remunerazioni che ricevono i convenzionati.
ADDIZIONALE IRPEF
Le 8 regioni in disavanzo sanitario (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) potranno anticipare al 2013 la maggiorazione dell’addizionale regionale Irpef, dallo 0,5% all’1,1%.
TASSE UNIVERSITARIE
Aumentano quelle per gli studenti fuori corso: +25% per redditi sotto 90.000 euro, +100% oltre 150.000 euro. Stop aumenti per chi è in regola e sotto i 40.000 euro
MINISTERI
Risparmi di 1,7 mld nel 2013,1,5 nel 2014 e 2015.
REGIONI
sforbiciata ai trasferimenti: -700 milioni nel 2012; – un miliardo i successivi due anni.
TAGLI ACQUISTI P.A
Le amministrazioni centrali dovranno ridurre dall’anno in corso le spese per acquisti di beni e servizi. Tra i tagli, 5 milioni in meno per le intercettazioni.
PREFETTURE
Risparmi dagli uffici statali sul territorio. Accorpati nelle Prefetture.
AUTO BLU
tutte le amministrazioni, compresa Bankitalia, taglieranno la spesa del 50%. –
SCUOLA
Dal prossimo anno le iscrizioni alle scuole statali avverranno solo on line; pagelle, registri e comunicazioni alle famiglie e agli alunni saranno in formato elettronico.
ENTI SOPPRESSI
Prima tagliati, poi salvati: tra loro il Centro sperimentale di cinematografia e la Cineteca nazionale.
800 MLN A COMUNI
Arrivano attraverso le Regioni. Le risorse verranno prese da quelle destinate ai Comuni virtuosi (300 mln) e ai rimborsi fiscali (500).
VIA FARMACI GRIFFATI
Nella ricetta dopo la prima diagnosi va indicato il principio attivo del farmaco. Il medico può indicare anche la marca, accompagnata da spiegazione, che diventa vincolante per i farmacisti.
FARMACIE
Gli sconti a carico delle farmacie vengono fissati al 2,25, mentre quelli a carico delle aziende al 4,1% per l’anno in corso. Dal 2013 arriverà il nuovo «sistema di remunerazione della filiera»
STIPENDI MANAGER
Tetto di 300.000 euro per la retribuzione a manager e dipendenti delle aziende partecipate dallo Stato, non quotate, Rai compresa. Ma dal prossimo contratto.
CITTà€ METROPOLITANE
Arriva una Conferenza in ciascuna delle dieci province trasformate in Città metropolitane.
SOCIETà€ IN HOUSE
Saranno chiuse ma non automaticamente. Regioni, Province e Comuni non saranno obbligate a sopprimere o accorpare i propri enti ed agenzie, a patto che realizzino un risparmio del 20% per la loro gestione.
CARABINIERI E GDF
Dal primo gennaio 2013 sono rideterminati gli organici degli ufficiali di ciascuna forza armata ed è ridotto il numero delle promozioni, esclusi Carabinieri, Gdf, Capitanerie di porto e Polizia penitenziaria.
MINISTERI INTERNI E ESTERI
Sei mesi in più per la riduzione dei dirigenti e del personale sia per il personale dell’amministrazione civile dell’Interno sia per i diplomatici in servizio all’estero del ministero degli Affari esteri.
AFFITTI UFFICI PA
Slitta di due anni l’obbligo del taglio del 15% degli affitti per immobili in uso alle amministrazioni.
CASE ENTI
Gli inquilini che vogliono comprare la casa dell’ente previdenziale in cui abitano hanno un tempo che non può essere inferiore a 120 giorni dal ricevimento dell’offerta
PENSIONI PROF
Gli insegnanti che entro il 31 agosto di quest’anno matureranno i requisiti per andare in pensione dal 1 settembre 2013 vanno in pensione con regole pre-Fornero.
INDENNITà€ PROFESSORI UNIVERSITARI
Stop al trascinamento di indennità per i professori universitari che, dopo un incarico in un ente o in una istituzione, tornano ad insegnare.
MULTE SCIOPERI SERVIZI PUBBLICI
Raddoppiano, nel passaggio dalle vecchie lire all’euro, le sanzioni comminate dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
CONSIP
Le amministrazioni pubbliche potranno fare i loro approvvigionamenti di energia, gas, carburanti e telefonia anche al di fuori delle convenzioni Consip a condizione che siano previsti corrispettivi inferiori a quelli indicati.
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Maggio 7th, 2012 Riccardo Fucile SI SEGUE LA PISTA DELL’EVERSIONE…L’AGGUATO SOTTO CASO AD OPERA DI DUE PERSONE A BORDO DI UNO SCOOTER
Gambizzato l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi.
L’hanno atteso all’uscita da casa, in via Montello in zona Marassi, stamani, poco prima delle otto e mezza.
Un colpo di pistola alla gamba destra.
Il manager è stato trasportato all’ospedale in “codice giallo”. Presto sarà operato nel centro di traumatologia del San Martino.
Il proiettile è rimasto trattenuto nella gamba fratturando in maniera non grave l’osso della tibia.
Adinolfi, 60 anni, è stato avvicinato da due persone a bordo di uno scooter, con il viso coperto dai caschi, una delle quali ha fatto fuoco colpendolo all’altezza del ginocchio. L’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, soccorso, non è in pericolo di vita.
La dinamica dell’attentato “suggerisce una matrice di tipo eversivo”.
E’ una prima valutazione degli inquirenti chiamati a fare luce sul ferimento.
Viene precisato, tuttavia, “non si escludono altri moventi, come motivi privati”.
Al momento non sarebbe giunta alcuna rivendicazione per l’attentato.
“Sono cose che non si commentano”, sono state le prime parole del ministro del Lavoro, Elsa Fornero a margine di un convegno sull’apprendistato organizzato dalla Regione Piemonte.
L’Ansaldo Nucleare è una società di Ansaldo Energia del gruppo Finmeccanica.
Ha chiuso il bilancio 2011 con i conti in utile e non avanza problemi di recessione nè ha prospettato prossimi licenziamenti.
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile IL QUADRO DEGLI STOCCAGGI VEDE UN UTILIZZO ARRIVATO AL 60% DEL TOTALE, CON UNA RIMANENZA DI 4 MILIARDI MI MC, CUI SI AGGIUNGONO 5 MILIARDI DI MC DI STRATEGICO
L’Europa è nella morsa del gelo e la Russia non riesce a far fronte alla domanda crescente di gas per il riscaldamento.
Per questo l’Italia stacca la spina alle aziende che hanno contratti di gas di tipo interrompibile.
Loro pagano una bolletta ridotta, ma sono consapevoli che possa accadere di ricevere meno gas del necessario. Nessuna riduzione per i condomini, assicura Corrado Passera.
Torniamo per un attimo in Russia, sabato 4 febbraio.
In tutto il Paese, malgrado il gelo si svolgono manifestazioni di piazza. A Mosca, con meno 20°C, ci sono 40mila contro e 140 mila pro-Putin.
“Non abbiamo paura del freddo”, scandiscono i manifestanti. Sono sicuri che quando torneranno nelle loro case dentro ci saranno 23 gradi.
Ovviamente sopra lo zero.
La Tv fa vedere tutte e due le manifestazioni. E anche la riunione del premier Vladimir Putin con il suo vice per l’energia — il potente Igor Sechin — e i vertici di Gazprom. Manca il capo, Alexey Miller (probabilmente ammalato), ma sono presenti i suoi due vice, Alexander Medvedev e Andrey Kruglov.
Sul tavolo, emergenza freddo e forniture di gas a russi e clienti esteri.
“Per il momento Gazprom non può fornire i volumi supplementari che i nostri partner dell’Europa occidentale ci chiedono”, ha dichiarato Kruglov. “Nei giorni scorsi si è verificato un calo del 10% delle forniture, ma i volumi forniti sono ora ritornati ai livelli normali”.
A Gazprom lo stesso primo ministro Vladimir Putin ha chiesto di “fare tutti gli sforzi per soddisfare le necessità dei nostri partner stranieri”, pur ricordando che “l’obiettivo principale della compagnia deve essere di rispondere ai bisogni interni della Russia”.
Una mossa naturale, e non solo pre-elettorale, visto che ci sono zone della Russia dove le temperature sono scese a -50.
Alla domanda di Putin — perchè l’Europa non compra il gas mancante sul mercato spot — Alexander Medvedev ha ribadito che il “mercato spot è piuttosto virtuale, esiste solo quando non serve tanto gas, e quando serve non riesce a soddisfare le esigenze”.
Ciò permette a Putin di attaccare l’Europa (“sarebbe da ricordare adesso chi rallentava la costruzione di Nord Stream”), e confermare la necessità di nuovi gasdotti, come la seconda linea di Nord Stream e di South Stream.
Nonostante le rassicurazioni di Putin, le agenzie di stampa di mezza Europa sono andate in tilt. I Tg europei e italiani aprono con i titoli “Putin riduce le forniture gas all’Europa”. E a rincarare la dose ci si è messo anche Paolo Scaroni. “Siamo in emergenza e abbiamo reagito all’emergenza aumentando le importazioni di gas dall’Algeria e dal nord Europa attraverso la Svizzera. Quindi non abbiamo problemi fino a mercoledì”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Eni. “Ma da giovedì ci attendiamo un’altra ondata di freddo, e non sappiamo come si comporterà Gazprom”.
Ma siamo veramente in emergenza? Dai numeri, non sembrerebbe.
Al momento il quadro degli stoccaggi vede un utilizzo arrivato al 60% circa del totale del working gas, con una rimanenza di circa 4 miliardi di metri cubi cui si aggiungono i 5 miliardi di metri cubi di strategico.
Nei tempi peggiori della guerra del gas russo-ucraina, siamo arrivati a prosciugare gli stoccaggi (non strategici).
Se facciamo il calcolo della mancanza di rifornimenti, glissata anche dalla commissione europea, arriviamo a piena primavera.
Anche Antonio Urbano, amministratore delegato di Puraction, concorda: “Capita periodicamente che quando fa freddo ci siano problemi temporanei di rifornimento di gas. Questo si supera normalmente sfruttando le flessibilità dei tubi dall’Algeria e dalla Libia e ricorrendo a gas in stoccaggio (in questo periodo più disponibile del solito grazie all’inverno fin qui caldo).
Quando serve si sfruttano i contratti interrompibili di consumatori industriali, che già ricevono un compenso per aver fornito questa loro disponibilità a fare da cuscinetto.
Pur tuttavia ogni volta che ci sono questi problemi si mettono le mani avanti per richiamare l’interesse politico e dell’opinione pubblica sulla necessità di nuove infrastrutture di trasporto o sulla importanza e strategicità delle strutture esistenti.”
Ma sembra che con il freddo anche i rigassificatori non funzionino bene.
Ad esempio, quello di Rovigo va solo al 20%.
L’unica soluzione reale è avere più stoccaggi, e pomparli con il gas a buon prezzo d’estate, per usarle nelle emergenze invernali.
Facile dire che il freddo conviene a Putin.
In questo modo Gazprom vende più gas all’Europa e si arricchisce di più. Non esattamente.
Gazprom vorrebbe vendere più gas all’Europa, sarebbe il suo sogno prima di portare il gas in Cina, ma con contratti stabili, definiti, senza emergenza, quello che fa di solito.
E Paolo Scaroni immagina come si comporterà Gazprom giovedì.
Solo che ci sono in corso negoziazioni di contratti con il monopolista russo (e non solo di Eni, ma anche di altri operatori europei), e un po’ di rumore intorno non guasta.
Da ricordare, nella prima guerra di gas, nel 2006, quando i rubinetti del gasdotto russo-ucraino sono stati semplicemente chiusi, che anche alcune aziende italiane avevano guadagnato vendendo l’elettricità prodotta dal gas (mancante) e rivendendola a prezzi alti ai paesi vicini.
Mauro Meggiolaro ed Evgeny Utkin
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 8th, 2012 Riccardo Fucile L’ITALIA E LA DIPENDENZA STORICA: VIENE IMPORTATA IL 90% DELL’ENERGIA…. PETROLIO E GAS COPRONO QUASI L’80% DEL FABBISOGNO NAZIONALE
Il gas mancherà o non mancherà ? 
L’inverno del 2012 passerà alla storia come un anno critico per le sorti energetiche del Paese.
Ma per avere una ragionevole certezza del «lieto fine» bisognerà che una regola non scritta sia rispettata: quella secondo la quale è altamente auspicabile che non vada fuori uso più di una linea di rifornimento alla volta.
Gli esperti, nel loro gergo, parlano di «enne meno uno», e con il gasdotto della Russia che perde colpi e il rigassificatore dell’Alto Adriatico bloccato dal maltempo (onde fino a 5 metri che impediscono l’attracco delle navi metaniere) ci siamo sostanzialmente arrivati.
Per un Paese come l’Italia, che per la sua energia dipende al 90% dall’estero e che copre il 40% dei suoi bisogni civili e industriali con il gas naturale (un altro 40% è petrolio, cosa che di certo non rassicura), una prescrizione come questa diventa fondamentale.
Un’occhiata alla mappa dei gasdotti e alle rotte marittime interessate permette di comprendere la situazione più di mille parole.
Le arterie principali che nutrono la fame di energia dell’ottava economia del mondo arrivano da Algeria e Russia.
L’interruzione totale di una sola delle due metterebbe in ginocchio il sistema di approvvigionamento.
Su base giornaliera, se ci riferiamo allo scorso 2 febbraio, verrebbero a mancare 80-90 milioni di metri cubi su 420. Finora non ci si è mai arrivati, ma negli anni scorsi ci si è andati vicini.
Ad esempio nell’inverno 2005-06 e nel 2008 con le «guerre del gas» Russia-Ucraina. Mentre pochi ricordano che nel dicembre 2008 l’ancora di una nave strappò una delle 5 condotte del tubo dall’Algeria nello stretto di Messina, bloccando per settimane il flusso di gas.
Ma andiamo avanti: subito dopo i due gasdotti principali arrivano quello dal Nord Europa e il libico Greenstream, pari rispettivamente a 35-40 e 16-18 milioni di metri cubi al giorno.
Quello libico, è storia recente, ha ricominciato a trasportare metano solo da pochi mesi, e a prezzo di enormi sforzi degli uomini dell’Eni.
Ma è rimasto fermo per mesi dopo la rivoluzione anti-Gheddafi della primavera 2011. E l’inverno precedente, tanto per rimettere in fila tutti gli eventi «sfortunati», una frana nel Canton Berna aveva bloccato per mesi il tubo proveniente dal Nord Europa.
Tutti fatti imprevedibili, è vero.
Per di più – in un momento di bassi consumi generalizzati come negli ultimi anni – accolti persino con favore da clienti che hanno potuto invocare una «causa di forza maggiore» per non pagare forniture altrimenti inutilizzabili.
Ma la casistica delle disavventure, mai avvenute in contemporanea tanto da indurre a qualche scongiuro, serve a mettere in evidenza la fragilità di un sistema che probabilmente non si è mai diversificato abbastanza.
E che con questa sua rigidità di fondo ha anche mancato di cogliere delle «occasioni» favorevoli: con qualche rigassificatore in più (un investimento che forse i consumatori accetterebbero di sostenere in bolletta) si sarebbe potuto pagare il gas ai prezzi più favorevoli del mercato «spot», risparmiando fino al 20%.
Ora invece, oltre che sulla buona sorte, bisognerà fare conto soprattutto sulle riserve immagazzinate negli «stoccaggi» (i vecchi giacimenti esauriti da tempo che si trovano soprattutto nella Pianura Padana) e nelle contromisure d’emergenza prese dal Comitato per la Sicurezza.
Gli stoccaggi, però, funzionano con il «principio del palloncino».
Quando sono pieni e in pressione, all’inizio dell’inverno, possono arrivare a fornire fino a 260-270 milioni di metri cubi al giorno, ma alla fine della stagione, quando sono un po’ più «spompati», si scende a 150 milioni.
Nel 2006, l’anno difficile della crisi ucraina, erano pari a 12,9 miliardi di metri cubi. Ora, dopo 6 anni, siamo saliti a 14,7 miliardi, compresi 5,1 miliardi di «riserve strategiche», quelle che la leader di Confindustria Emma Marcegaglia vorrebbe utilizzare subito.
Un incremento non proprio spettacolare, verrebbe da dire, nella speranza che non ci sia da pentirsene.
Sempre nel 2006 si applicarono le medesime contromosse decise ieri, e il distacco degli «interrompibili» durò quasi un mese, dal 23 gennaio al 22 febbraio.
Fu autorizzata l’entrata in funzione delle più inquinanti centrali a olio combustibile per risparmiare il prezioso gas. Un terzo delle riserve strategiche fu intaccato.
Nulla, tuttavia, è a costo zero.
Allora, per le tasche degli italiani, l’emergenza si tradusse in una ulteriore tassa di 400 milioni di euro.
L’Autorità presieduta da Alessandro Ortis dovette riconoscere 66 milioni di euro all’Enel come reintegrazione per i maggiori oneri sostenuti con l’uso delle centrali a olio. Ci fu il tempo persino per qualche battuta salace in vista delle elezioni: «Il gas non è mancato grazie alla mia amicizia con Putin», disse Berlusconi.
«Mi chiedo di quale gas Berlusconi abbia parlato con Putin», rispose il Ds Massimo D’Alema.
Stefano Agnoli
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile IN SCADENZA LA CARICA DI PROCURATORE ANTIMAFIA DI PIERO GRASSO… NELLA CAPITALE DOVREBBE FINIRE PIGNATONE, OGGI CAPO DELLA PROCURA DI REGGIO CALABRIA
Due procure importanti, quella di Roma e quella di Napoli, nelle prossime settimane avranno nuovi capi, nominati dal Consiglio superiore della magistratura.
E presto dovrebbe esserci un cambio, voluto dal ministro della Giustizia, Paola Severino, alla direzione del Dap (il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), guidato da Franco Ionta.
In autunno, invece, se si voterà nell’aprile 2013 dovrebbe aprirsi la partita alla successione di Piero Grasso a capo della Procura nazionale antimafia.
Le indiscrezioni tra Palermo e Roma dicono, infatti, che entrerà in politica. D’altronde, lui stesso in un’intervista al Giornale di Sicilia del 5 gennaio l’ha fatto capire: “Non guardo a un’eventuale esperienza politica sotto forma di schieramento con un partito, cosa che è estranea al mio ruolo, alla mia funzione e alla mia cultura. Penserei piuttosto a quella che ho definito una lista civica nazionale”.
In effetti, ha rifiutato l’offerta di una parte del Pd di candidarsi a sindaco di Palermo.
La nomina più sicura, a oggi, è quella del procuratore di Roma: al Csm c’è una convergenza su Giuseppe Pignatone, attuale capo della Procura di Reggio Calabria.
Ci sono pareri favorevoli e trasversali sul magistrato che da 4 anni guida una procura difficilissima come quella di Reggio Calabria.
Con l’arrivo da Palermo di Pignatone e del procuratore aggiunto, Michele Prestipino, sono decollate indagini contro la ‘ndrangheta e le sue collusioni anche in stretta collaborazione con la Procura di Milano.
Il posto di procuratore capo di Roma l’avrebbe tanto voluto l’attuale reggente, il procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo.
Di chance ne aveva molte, ma un pranzo quanto meno inopportuno l’ha fatto cadere in disgrazia.
Nel dicembre 2010 è stato ospite a casa dell’avvocato Luigi Fischetti, legale del figlio, con a tavola l’allora ministro Giulio Tremonti e il suo braccio destro, il deputato del Pdl, Marco Milanese, indagato a Napoli e in quel periodo già “attenzionato” dalla Procura di Roma che lo avrebbe messo sotto inchiesta nelle settimane successive.
Per quel banchetto la Prima commissione del Csm ha aperto un fascicolo.
Il nuovo procuratore di Roma, che dovrebbe insediarsi al massimo tra un mese e mezzo, dovrà dare prova di resistenza alle pressioni che nell’ufficio soprannominato “il porto delle nebbie” sono sempre state fortissime. Sono in corso indagini delicatissime sulla corruzione.
Dalla mega inchiesta con tanti rivoli di Finmeccanica, a Sogei, Enav, un filone della P4, un filone di Mediatrade, Rai cinema e Rai spa.
Anche il prossimo procuratore di Napoli si ritrova un ufficio al centro di inchieste importanti e che hanno provocato polemiche a non finire.
Non solo quelle sulla camorra, sul clan dei casalesi in particolare, che vede indagato, tra gli altri, il deputato del Pdl, Nicola Cosentino, ma anche l’inchiesta su Valter Lavitola e la corruzione internazionale.
La partita per la direzione di Napoli è ancora aperta.
Sono 16 i candidati alla successione di Giandomenico Lepore, procuratore partenopeo fino al 15 dicembre scorso.
Fra loro hanno fatto domanda al Csm quattro procuratori aggiunti di Napoli: Francesco Greco, Rosario Cantelmo, Federico Cafiero de Raho e Sandro Pennasilico. C’è anche il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello.
Ci sono poi diversi procuratori che vorrebbero guidare l’ufficio napoletano.
Fra loro, Paolo Mancuso, procuratore di Nola.
A Napoli, fra l’altro, ha coordinato le inchieste che portarono alla collaborazione dei boss Carmine Alfieri e Pasquale Galasso; Corrado Lembo, procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Giovanni Colangelo, procuratore di Potenza e Francesco De Leo, procuratore di Livorno.
In questo momento i favoriti sembrano essere Colangelo, Mancuso e De Leo.
La nomina imminente, però, sembra essere quella del capo del Dap.
La poltrona di Franco Ionta, ex procuratore aggiunto di Roma e fino a poche settimane fa anche commissario straordinario per il piano carceri, traballa.
Nominato dal governo precedente, Ionta è criticato dall’alto e dal basso. Secondo quanto risulta a Il Fatto Quotidiano, quando ancora Berlusconi era premier, c’è stata una sollecitazione scritta del Quirinale perchè venisse affrontato il problema carceri, ma Ionta, pare che non abbia neppure risposto.
E giovedì scorso il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha parlato di “scarsi risultati” del piano carceri.
Diversi dirigenti dell’ufficio di Ionta e una larga fetta della polizia penitenziaria lamentano l’assenza di una politica carceraria.
Il ministro Severino ha tempo fino a metà febbraio per confermarlo o revocarlo.
Le voci di via Arenula danno il capo del Dap in uscita anche se l’operazione non è facile, essendo Ionta un protetto di Gianni Letta.
Ma già circolano nomi su chi potrebbe prendere il suo posto: Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, Paolo Mancuso, che concorre, come detto, alla Procura di Napoli e che è già stato vicedirettore del Dap, Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, una vita spesa per avere un sistema penitenziario civile.
Anche Maisto è stato un magistrato distaccato al Dap.
Nei corridoi del ministero della Giustizia girano, inoltre, i nomi di Giovanni Tamburino, presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma e Angelica Di Giovanni, ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli.
Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 15th, 2012 Riccardo Fucile IL DIETROFRONT DEL GOVERNO SULLA SEPARAZIONE TRA ENI E SNAM
Basterà la politica della concorrenza a ridurre i prezzi dell’energia elettrica e del gas, cruciali per il rilancio dell’economia, o ci vuole dell’altro?
La risposta è: certo, ben venga più concorrenza, ma senza una forte politica industriale non andremo da nessuna parte.
E a dettarla non saranno nè l’Antitrust nè l’Autorità per l’energia.
Dettarla toccherà al governo, azionista di Eni, Enel e Terna e autorevole suggeritore delle maggiori ex municipalizzate, stabilire chi fa che cosa.
Il settore elettrico è già stato liberalizzato.
Dall’ex monopolista Enel viene oggi solo il 28% della produzione nazionale, tre concorrenti (le ex municipalizzate A2A e Iren, Edison e l’Eni) stanno sopra il 10%, il resto è frazionato tra soggetti comunque forti, spesso legati a operatori esteri.
La Borsa elettrica è decente.
La rete degli elettrodotti in alta e altissima tensione è stata affidata a Terna, una società indipendente, controllata dalla Cassa depositi e prestiti.
E Terna ha quintuplicato gli investimenti, grazie alla libertà dall’Enel e alla remunerazione in tariffa, generosa, ma non superiore alla media europea del 3%.
Eppure, l’energia elettrica resta più cara della media europea tranne che per le famiglie a bassi consumi e le imprese energivore, cui vanno 1,3 miliardi di sussidi pagati dagli altri consumatori.
Per le altre famiglie la bolletta è più alta del 12%, al lordo delle imposte, per le imprese del 26%. Il fatto è che l’Italia dilapida sussidi e usa le fonti più costose.
Ha chiuso il nucleare prima di ammortizzare le centrali atomiche, anticipando di decenni gli oneri miliardari di smantellamento.
Nel 1992 ha varato il Cip 6 che, per le fonti assimilate (il gas trattato come una fonte rinnovabile), finirà per costare 20 miliardi di euro di incentivi in bolletta, lungo i 15-20 anni di esercizio.
Nel 2007, l’Autorità , presidente Alessandro Ortis, riuscì a imporre un taglio di 600 milioni l’anno interpretando in modo rigoroso la componente tariffaria del costo evitato di combustibile.
Ma è durata due anni. Poi, il consiglio di Stato ha accolto i ricorsi dei grandi gruppi, che avevano fatto incetta delle risorse pubbliche. È dunque in arrivo la stangata di ritorno.
Nel 2012 stanno andando a regime gli aiuti alle rinnovabili, 160-170 miliardi nel trentennio 2005-2034, con una concentrazione in questo decennio.
Un salasso in bolletta senza nemmeno costruire una forte industria manifatturiera nazionale di settore come, invece, si è fatto prima in Germania e poi in Cina.
L’ex ministro dell’Industria, Alberto Clò, calcola che nei 12 mesi compresi tra il settembre 2010 e l’agosto 2011 le importazioni di apparati per il fotovoltaico siano ammontate a 11 miliardi, mangiandosi un quinto del saldo manifatturiero.
Se si rapporta questo deficit all’energia utile prodotta, dice ancora Clò, l’equilibrio economico si avrebbe con il petrolio a 670 dollari il barile, che salirebbero oltre i mille aggiungendo i sussidi di cui sopra. Nel 2011 la media del barile è stata di 111 dollari.
Che può fare la concorrenza davanti agli errori di politica industriale? Può il governo limitarsi a dire pacta sunt servanda ?
Magari deve, ma perchè per taxi e pensioni non lo sono?
D’altra parte, l’altra causa dell’alto prezzo dell’energia è il gas, che sale per ragioni in apparenza misteriose.
Oggi sul mercato spot all’ingrosso al valico del Tarvisio costa 32 euro al MWh (come ora si misura anche il gas) contro i 23-24 al confine austro-slovacco di Baumgarten. Il tubo è lo stesso, il gas russo idem.
La differenza di prezzo dà margini all’Eni, dominus delle importazioni all’ingrosso, e copre qualche perdita sui contratti take or pay .
L’Eni ha ceduto la sua quota di questa infrastruttura estera alla Cassa depositi e prestiti: la Ue l’aveva costretto a disfarsene. Ma ha conservato i diritti di passaggio.
E così i tubi sono solo parzialmente saturati. Secondo la Ref-E di Pia Saraceno, il Tag, il gasdotto che viene dalla Russia, è sfruttato al 68% nel 2011, il tubo algerino al 60%, quello libico al 20%, il tubo dall’Olanda al 50%.
Colpa anche delle rivolte in Tunisia, del conflitto in Libia e delle frane sulle Alpi, ma anche l’anno prima l’infrastruttura era andata a scartamento ridotto. E il rigassificatore di Panigaglia funziona al 40%.
Se le infrastrutture e i diritti di passaggio fossero gestiti da una Snam Rete Gas indipendente, anzichè controllata dall’Eni, sarebbero forse utilizzati più intensamente. D’altro canto, oggi la rete è sufficiente e addirittura abbondante perchè l’economia è ferma e i consumi di gas sono regrediti, ma con la ripresa e i consumi a 100 miliardi di metri cubi si rischia di nuovo la strozzatura.
La separazione delle reti dal servizio non è un dogma di fede. Dipende dalla tecnologia e dai conti.
Nel gas è utile o no? Paolo Scaroni, capo dell’Eni, si dice possibilista da un paio d’anni. Ma preferisce la soluzione dell’ unbundling , l’affitto controllato della rete consentito dalla Ue. Il governo Monti e l’Antitrust di Pitruzzella sembravano voler fare di più.
E così erano addirittura cominciati gli esercizi per individuare soluzioni.
Dalle parti di Terna si era addirittura ipotizzata la possibilità di acquistare dall’Eni il 29,9% di Snam Rete Gas, così da evitare l’Opa.
L’idea di una società unica delle reti energetiche presenta sinergie limitate sul piano industriale, più interessanti su quello finanziario.
Sulla carta Terna verserebbe 3-4 miliardi all’Eni che, con l’occasione, potrebbe ricavarne altri 2,5 cedendo ad terzi anche il 22% residuo e potrebbe infine deconsolidare 11 miliardi di debito.
Un beneficio consistente, utilizzabile sia per remunerare i soci (tra cui il Tesoro) sia per aumentare gli investimenti nel settore minerario, il core business del cane a sei zampe. Terna potrebbe finanziarsi senza chiedere nulla ai soci ma cedendo a fondi infrastrutturali parti della sua rete, una volta che l’Autorità ne abbia fissato il rendimento, e tuttavia conservandone la gestione.
Poi potrebbe sostenere gli investimenti di Snam ricollocandone le attività commerciali come Italgas.
Ma questo è altri progetti sono al momento destinati a restare mere esercitazioni. Il governo Monti ha fatto marcia indietro e l’Antitrust, ieri, si è allineata.
Per il sottosegretario Antonio Catricalà , il caso Snam non è una priorità ; esistono altre soluzioni per le imprese energivore.
Ma, scrive Diego Gavagnin sul Quotidiano Energia , «di altri rimedi ne esiste uno solo: far pagare di più agli altri».
Massimo Mucchetti
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 17th, 2011 Riccardo Fucile AD ANNUNCIARLO E’ NOMISMA ENERGIA NELLE SUE STIME, IN ATTESA DELL’AGGIORNAMENTO DELL’AUTHORITY PER L’ENERGIA PREVISTO PER FINE ANNO…LA SPESA ANNUA POTREBBE CRESCERE DI 53 EURO
Dal primo gennaio le tariffe elettriche dovrebbero crescere del 4,8%, con un aumento di 0,8 centesimi al chilowattora che – spiega Davide Tabarelli, esperto tariffario di Nomisma Energia – per una famiglia ‘tipo’ (2.400 chilowattora consumati l’anno e 3 kw di potenza impegnata) si tradurrebbero in un aumento di 21,5 euro su base annua.
Per il gas, invece, è atteso un aumento del 2,7%. Vale a dire 2,3 centesimi al metro cubo che per la stessa famiglia ‘tipo’ (1.400 metri cubi di metano consumati in un anno) comporterà un aggravio di quasi 32 euro annui.
Un aggravio quello atteso per la luce nel primo trimestre dell’anno che, sommato a quello previsto per la luce, rischia di tradursi in una vera e propria stangata pari a oltre 53 euro l’anno per le famiglie, spiega Tabarelli sottolineando che a ‘spingere’ i nuovi rincari giocano le quotazioni del greggio – schizzate negli ultimi mesi ai record di 110 dollari al barile – ma anche dai maggiori costi legati alle fonti rinnovabili e ai prezzi di trasmissione.
“Dopo la stangata sui prezzi della benzina, che l’hanno spinta nei distributori italiani ai massimi d’Europa, arriva un’altra batosta con le tariffe di luce e gas, a conferma che l’Energia è il bene più tartassato per i consumatori finali”, aggiunge l’esperto di Nomisma Energia, sottolineando che se le previsioni trovassero conferma nell’aggiornamento tariffario dell’Autority per l’Energia per il primo trimestre 2012, atteso entro fine mese, si tratterebbe del quinto aumento trimestrale consecutivo per il gas e del terzo rincaro delle bollette elettriche in un anno.
Le stime – ricorda – si basano, per quanto riguarda il gas, sul “calcolo automatico e fissato dalle regole dell’Autorità che sconta gli aumenti dei mesi scorsi del greggio a cui si sommano alcune nuove componenti per il trasporto”.
Per l’elettricità la previsione “è più difficile”, precisa Nomisma Energia. Il quadro lascia comunque “ipotizzare” un “sensibile rincaro, pari al 4,8%”.
Un aumento legato ai maggiori “costi di generazione elettrica sulla borsa, sommati al forte incremento degli oneri per finanziare i pannelli fotovoltaici e l’aumento per il costi di trasporto dell’elettricità “.
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Novembre 16th, 2011 Riccardo Fucile IL LEGAME TRA POLITICA E MALAFFARE: “UN ESEMPIO? LA DISMISSIONE DELLA TIRRENIA, LE IMPRESE CON A CAPO PERSONAGGI RICONDUCIBILI A DEPUTATI VICINI A BERLUSCONI”
È la denuncia di Aldo Di Biagio deputato di Fli, una delle vittime ribellatesi al metodo Verdini del
“dimmi cinque cose che desideri” a cui in cambio della fiducia al governo è stato anche consigliato di farsi una Fondazione dove avrebbero fatto arrivare soldi di Finmeccanica: “Non hanno cancellato l’Ice per sbaglio, altro che crisi, lo hanno fatto perchè non serviva più un Istituto per il Commercio Estero, anzi era ingombrante, tanto a chiudere i contratti per il Sudamerica c’era Lavitola che non accompagna il ministro Frattini e il premier per piacer suo, e per l’Est Europa altri faccendieri”.
Ma il ministro Paolo Romani aveva annunciato di voler fare un passo indietro sulla cancellazione dell’Ice trasformandolo in Ace.
Sì, Romani stava lavorando per inserire nel decreto Sviluppo la creazione dell’Ace, una nuova Agenzia per il commercio estero, che di fatto spogliava l’Ice di tutte le sue funzioni. E pare che avesse già pronta la nomina a Direttore generale per la sua cara amica Francesca Esposito che ha ottenuto un contratto da 150 mila euro l’anno in qualità di portavoce e capo della sua segreteria tecnica. Stipendio, considerato, evidentemente misero, visto che pochi giorni prima della caduta del governo ha cercato di ottenere un aumento.
Chi sarebbero i Lavitola che gestiscono i contratti nell’Est Europa?
In Russia sicuramente il Console Onorario Pierpaolo Lodigiani che risponde all’onorevole del Pdl Valentino Valentini, in pratica l’ombra di Berlusconi.
In base a cosa lo afferma?
Ho partecipato in qualità di capo missione a Krasnodar alla Missione Sistema Italia in Russia. Mentre io partecipavo ai tavoli tematici e incontravo le delegazioni, i contratti li chiudeva Pierpaolo Lodigiani su ordine dell’onorevole Valentino Valentini in qualità di consigliere internazionale dell’ex premier o come lo definisce l’ambasciatore Spogli — nel sito di Assange — “l’intermediario d’affari di Berlusconi in Russia”, socio del console onorario Lodigiani. La missione in Russia, dal 5 al 9 aprile 2009, a cui ha partecipato tutto l’apparato: banche, camere di commercio, ministeri, è costata al Paese diversi milioni di euro, ma si è conclusa con contratti di Eni e Finmeccanica, mentre le migliaia di imprese italiane sono tornate a mani vuote.
Ma in cosa consisterebbe il vantaggio per Berlusconi se i contratti li ha chiusi Eni e Finmeccanica?
Ai contratti chiusi dall’Eni vi partecipa una serie di società offshore di cui, ovviamente, si ignorano i proprietari e i beneficiari dei beni. Non credo sia difficile intuire i loro nomi. Chiediamoci: quale vantaggio ha portato al mercato italiano l’ingresso di Gazprom? Quali benefici ne hanno ricevuto consumatori e le imprese? Altro che interesse nazionale. Guardi la Missione in Russia è stata mortificante. Tutto quello che si svolgeva ufficialmente era di facciata, chi era lì per fare affari li faceva in separata sede poi se ne andava. Anche la presenza delle imprese è stata di facciata e gli imprenditori lo hanno capito e se ne sono lamentati fortemente. Avreste dovuto vedere come il Console Onorario Lodigiani si rivolgeva al governatore di Krasnodar, lo trattava come fosse un suo dipendente. Quando arrivammo a Mosca partecipammo alla visita al Cremlino con una delegazione di imprenditori, c’era anche Scajola che ai tempi era ministro dello Sviluppo economico, il presidente di Finmeccanica Guarguaglini e restai colpito dall’atteggiamento di Paolo Scaroni che è arrivato, si è appartato con Mendev e se n’è andato.
Quello che lei descrive è una sorta di sistema satellite che occupa tutti i gangli dello Stato.
È così. Andate a vedere chi è il Gruppo Maccaferri che ha chiuso l’accordo per le 15 centrali idroelettriche tra Serbia, Bosnia e Montenegro. Maccaferri è legato all’ex ministro dello Sviluppo Scajola. Per non parlare delle Fondazioni.
Cioè?
Prenda la Fondazione Italia-Usa che come tutti sanno fa capo al banchiere, coordinatore del Pdl Denis Verdini presieduta dal suo uomo di fiducia, il deputato del Pdl Rocco Girlanda, amministratore delegato del Gruppo che edita Il Corriere dell’Umbria, di Siena, di Arezzo, della Maremma, di Viterbo e di Rieti, ex componente della commissione bilancio e Giustizia. Sarebbe molto interessante sapere da chi riceve finanziamenti la Fondazione Italia-Usa. Magari, chissà , si scoprirebbe che vi arrivano anche i soldi di Finmeccanica!
Crede che il governo Monti potrà contribuire a ridare dignità allo Stato?
È un primo passo necessario per poi tornare alle urne. Società come Eni, Finmeccanica, Poste, Enel debbono riconquistare il loro ruolo strategico per il bene del Paese e debbono riemergere i veri uomini di Stato soffocati da questa piovra.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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