Destra di Popolo.net

LA GIUNTA LEGHISTA IN PIEMONTE SI ALZA LO STIPENDIO DI MILLE EURO

Febbraio 8th, 2020 Riccardo Fucile

SEIMILA EURO AL MESE NON GLI BASTANO (E VOGLIONO L’AUTO BLU)

La giunta leghista che guida il Piemonte si alza di mille euro lo stipendio. La Repubblica Torino racconta che in Regione un progetto di legge a prima firma Alberto Preioni, capogruppo della Lega a Palazzo Lascaris, punta a rimpolpare i salari degli assessori, messi a dieta nel 2012 quando sull’onda di Rimborsopoli si decise che chi, nella giunta e nell’ufficio di presidenza del Consiglio, utilizzava l’auto blu con relativo autista, avrebbe avuto una decurtazione nello stipendio di un terzo sulla parte relativa al rimborso spese: 3 mila e 500 euro che gli assessori dotati di chauffeur si sono trovati, finora, ridotta a seconda dei mesi, tra i 1200 e i 1700
Con la nuova norma il rimborso tornerebbe integrale e l’auto blu a disposizione. L’opposizione Pd-5stelle promette battaglia contro «l’ennesimo regalo alla casta», come lo definiscono i grillini e contro «una norma che va nella direzione opposta al lavoro degli anni scorsi che ha portato il Piemonte ad avere il Consiglio regionale meno pagato d’Italia» chiosa il capogruppo dei dem Domenico Ravetti.
La logica, a suo tempo, era stata quella del risparmio: chi usa l’auto blu ha diritto a un rimborso inferiore. Chi si muove con mezzi propri ha invece il rimborso pieno per l’usura e la manutenzione del veicolo e per i costi sostenuti per benzina e autostrade.
Il teorema reggeva, salvo il paradosso dei consiglieri regionali, soprattutto i capigruppo o presidenti di commissione che non hanno diritto all’autista, che grazie all’interno rimborso spese finivano per guadagnare come o più del presidente della giunta o degli assessori.
Secondo i cedolini pubblicati sul sito del Consiglio regionale, il presidente Cirio a gennaio ha percepito un compenso lordo di 9 mila e 33 euro, e un netto di 6 mila 700, il suo vice presidente e gli assessori 8 mila 583, sempre lordi (5 mila 9 netti) a fronte degli 8500 euro che spettano a un consigliere regionale senza incarichi, ai 9250 di chi presiede una commissione e dei 9500 del capogruppo: tra i 6,8 e i 7 mila 200 netti, secondo i mesi e le trattenute.
Con la legge di Preioni presidente e assessore guadagneranno circa mille euro in più rispetto a ora, riequilibrando il divario con gli eletti a Palazzo Lascaris.

(da “NextQuotidiano“)

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LA MELONI IRRIDE LA CRAVATTA DI DI MAIO, MA LEI NON LASCIO’ LA POLTRONA QUANDO VOTO’ LA FIDUCIA A MONTI

Gennaio 24th, 2020 Riccardo Fucile

DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA SUI “POLTRONISTI”

Prima di fare ironia si dovrebbe conoscere la storia. Se non quella di tutti, almeno quella personale.
E, invece, Giorgia Meloni ha voluto irridere il ricordo del Movimento 5 Stelle — quella cravatta Di Maio che l’ex capo politico si è simbolicamente tolto nell’annunciare il proprio passo indietro — sottolineando (su Twitter) come al fianco di quella immagine manchi quella della ‘poltrona’.
Eppure la leader di Fratelli d’Italia, in passato, è stata maestra del ‘dissenso’ (dichiarato postumo) senza abbandonare la propria poltrona. E lo dice la sua storia.
Partiamo dalla fine. Sul profilo Twitter del Movimento 5 Stelle è stata pubblicata, nella giornata di giovedì 23 gennaio, l’immagine di quella cravatta Di Maio. Quel simbolo di un disimpegno da un ruolo di primo piano posto sopra ‘lo scrigno’ che conteneva la prima card del reddito di cittadinanza.
Insomma, un ricordo romantico accompagnato dalla scritta: «Pezzi della nostra storia che ci proiettano verso il futuro. Avanti tutta». E Giorgia Meloni ha ironizzato: «Manca la poltrona».
Eppure la storia recente, con tanto di confessione fatta qualche settimana fa da Lilli Gruber a Otto e Mezzo, era stata la stessa leader di Giorgia Meloni a ripercorrere una tappa fondamentale della propria carriera. Quel voto di fiducia al governo Monti che, poi, ha iniziato a contestare. Ma il suo via libera a quell’esecutivo tecnico ci fu e servì per non tornare alle urne e, magari, rischiare di perdere la poltrona.
Parlò di vincolo di mandato, che non esiste, per giustificare il fatto che lei — all’epoca deputata con Il Popolo delle Libertà  — fu costretta a votare la fiducia al governo Monti e la legge Fornero.
Insomma, ammise che la poltrona andava portata in salvo, come l’antico vaso di una nota pubblicità  di un altrettanto noto amaro.
Ora, però, la sua fedina parlamentare vuole apparire pulita e ironizza sulla cravatta Di Maio. Certo, si può fare, ma il pulpito da cui viene una predica dovrebbe esser sempre lindo e pinto.

(da agenzie)

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IL BARBATRUCCO DI SALVINI SULLA GREGORETTI NON LO SALVERA’

Gennaio 20th, 2020 Riccardo Fucile

PRIMA NO, POI SI’, IN AULA CHISSA’: TUTTI GLI ESCAMOTAGE PER SFUGGIRE ALLA GIUSTIZIA E AFFERMARE CHE LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI

«Amici, ho deciso. Domani chiederò a chi è chiamato a farlo, e anche ai senatori della Lega, di votare per mandarmi a processo»: Matteo Salvini a Cervia ha annunciato di aver cambiato idea per la miliardesima volta sulla nave Gregoretti e sul voto che oggi nella Giunta per le autorizzazioni a procedere certificherà  l’orientamento dell’organo preposto in attesa che il Senato si esprima sull’accusa di sequestro di persona.
Riassunto delle puntate precedenti: la maggioranza ha chiesto a più riprese di rimandare il voto sulla Gregoretti di una settimana per evitare di far fare al Capitano la scena della vittima prima delle elezioni in Emilia-Romagna. Un voto ha però sancito che si sarebbe votato oggi alle 17 grazie alla presidente del Senato Elisabetta Casellati, che si è presentata a votare nonostante l’irritualità  della procedura.
A questo punto i senatori della maggioranza avevano deciso di disertare il voto di oggi in Giunta, lasciando Salvini a farsi salvare dalla Casta. A questo punto che succederà  in giunta? Servono 8 senatori su 23 per avere il numero legale. E ci saranno, contando il presidente Maurizio Gasparri di Forza Italia e gli altri tre colleghi del suo gruppo, i 5 della Lega e l’esponente di Fdl.
Restano fuori Rossomando, i tre renziani, i sei M5S, Grasso. Forse De Falco. Non ci sarà  perchè ammalato l’altoatesino Durnwalder.
Ma Salvini, come ha annunciato ieri, chiederà  ai senatori della Lega di votare sì. E allora come cambiano i calcoli?
Lo spiega oggi Liana Milella su Repubblica:
Siamo a 5 voti per il no all’autorizzazione, cui si contrappongono i 5 sì della Lega. In condizioni di parità , la proposta del relatore viene bocciata. Ma basterebbe un voto, quello di De Falco se decidesse di partecipare e votare sì, per fare la differenza. Poi toccherà  all’aula l’ultima parola. Lì la Lega sarà  costretta a chiedere il sì all’autorizzazione.
Se in giunta vince il sì al processo, l’aula prende atto e non vota più, a meno che 20 senatori non presentino un ordine del giorno per chiedere il voto.
Se invece prevale il no alla richiesta dei giudici, allora l’aula deve votare di nuovo.
In realtà  nulla vieta alla Lega di votare sì all’autorizzazione oggi e cambiare idea in Aula se e quando si voterà .
Nel senso che i leghisti sono capaci di fregarsene dell’evidente contraddizione politica e provare comunque a salvare il loro Capitano in Aula, dove i numeri sono comunque ballerini.
Intanto però la decisione di Salvini, presa senza consultare gli alleati sul cambio di marcia, mette in imbarazzo Fratelli d’Italia e Forza Italia, che si erano in precedenza espressi per il no.
Gasparri andrà  avanti: «Come presidente devo rispettare le procedure e votare entro mezzanotte. Come relatore ho scritto quello che pensavo il 9 gennaio, e di certo non cambio nè idea, nè il voto». La capogruppo di Fi Anna Maria Bernini ha già  detto come la pensa: «La nostra linea è garantista, votiamo sì alla relazione di Gasparri, quindi no all’autorizzazione, come abbiamo fatto per la Diciotti. Di certo non possiamo votare contro noi stessi». Idem il partito della Meloni.
Ma, ricorda oggi Il Fatto, al Senato le giravolte possono costare caro: evocando la sfiducia al governo, ad agosto, Salvini aveva innescato loshowdowndel Conte I. Aveva provato a ricucire ma ormai la frittata era fatta. E il gioco (per la Lega) è finito malissimo.
Inutile poi ricordare che Salvini fece lo stesso identico proclama anche l’anno scorso, di fronte alla richiesta di autorizzazione a procedere per il blocco della nave Diciotti, salvo poi approfittare della disponibilità  grillina per sgattaiolare e sottrarsi al giudizio della magistratura.
Stavolta però qualunque barbatrucco non lo salverà , come ricorda oggi Gad Lerner su Repubblica:
Salvini che pretende un’assoluzione a furor di popolo dagli spalti di uno stadio, fuori dalle aule del tribunale, è il portavoce di un tribalismo xenofobo che mira a travolgere le regole dello Stato democratico. Non sarà  certo un’azione giudiziaria a fermare l’offensiva della destra, ma c’è da sperare che gli italiani se ne accorgano in tempo.

(da “NextQuotidiano”)

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LEGA E FRATELLI D’ITALIA LITIGANO PER UNA POLTRONA IN UMBRIA

Gennaio 11th, 2020 Riccardo Fucile

IL PARTITO DELLA MELONI, ESCLUSO DALLA SPARTIZIONE DELLE POLTRONE, RIVENDICA L’ASSESSORATO ALLA SANITA’ FINITO A UN LEGHISTA (CHE VIENE DAL VENETO)

“Il nostro partito non può restare senza un assessore in giunta”: a dirlo, racconta oggi Il Fatto Quotidiano, è stato il senatore e coordinatore regionale di Fratelli d’Italia Franco Zaffini. E la dichiarazione di guerra ha un obiettivo ben preciso: la poltrona della Sanità , che la Lega ha voluto per Luca Coletto, già  sottosegretario del governo gialloverde imposto in giunta da Matteo Salvini.
L’Umbria, come la Sicilia e l’Abruzzo, è in esercizio provvisorio perchè l’amministrazione della leghista Donatella Tesei non è riuscita ad approvare il bilancio.
Nelmirino del partito di Giorgia Meloni è finito l’assessore alla Sanità  Luca Coletto, già  sottosegretario del governo gialloverde imposto in giunta da Matteo Salvini. Tema: i tagli sui fondi alle famiglie con disabili che non sarebbero stati ripristinati dal neo assessore alla Sanità : “Sono ormai mesi che continuo a ricevere segnalazioni da parte di famiglie in difficoltà  che lamentano la sospensione, senza preavviso, dell’ero gazione dei fondi per assistere i familiari disabili —ha detto il presidente del consiglio regionale di Fratelli d’Italia, Marco Squarta —l’assessore alla Sanità  si attivi”.
Ma fonti della maggioranza fanno sapere che dietro l’uscita improvvisa di Squarta ci sia il primo atto di una guerra politica nata dopo che il partito di Giorgia Meloni è stato escluso dalla giunta.
Nelle more c’è la spartizione di poltrone in giunta:
La Lega si è presa due assessori e uno a testa sono andati alle altre liste (tranne FdI) con il leader del Carroccio che ha imposto un nome esterno, il veneto Luca Coletto, per dare una “svolta” alla Sanità  umbra.
Ma la prima patata bollente della giunta Tesei doveva essere il bilancio da approvare entro il 31 dicembre. E invece no, perchè, nonostante il poco tempo a disposizione, la governatrice ha rinunciato ad aprire il confronto tra gli alleati approvando, lo scorso 4 dicembre, il bilancio provvisorio. Tutto rinviato a fine febbraio.

(da “NextQuotidiano”)

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PERCHE’ ANCHE NEL 2020 GIORGIA MELONI NON CAMBIERA’ PROPRIO UN BEL NULLA

Gennaio 2nd, 2020 Riccardo Fucile

QUELLO CHE IL TIMES NON DICE DI GIORGIA MELONI

Se la fine dell’anno è tempo di bilanci l’inizio di quello nuovo è il momento delle previsioni. Di solito nessuno le azzecca mai, ma è tradizione farle.
E così i giornalisti delle più prestigiose testate internazionali si dilettano nel proporre vaticini ai lettori indagando nelle viscere dei quotidiani dei mesi scorsi e interpretando numero di like e condivisioni. In buona sostanza è la versione giornalistica del calendario di Frate Indovino, ma senza le fasi lunari (almeno quelle le azzecca).
Il Times oggi pubblica uno di questi pronostici in un articolo dal titolo Rising stars: Twenty faces to look out for in 2020.
Tra questi venti volti “nuovi” troviamo anche l’orgoglio nazionale, la donna-mamma-cristiana che tutto il mondo ci invidia e vorrebbe copiarci: Giorgia Meloni.
Le ragioni per cui la leader di Fratelli d’Italia è finita in una lista assieme al diciannovenne David Hogg — sopravvissuto alla strage della Stoneman Douglas High School di Parkland e diventato attivista per il gun control — alla quattordicenne principessa Leonor di Spagna al leader delle proteste di Hong Kong e attivista per i diritti LGBT Jimmy Sham?
Non perchè è giovane, non perchè è donna, non perchè è una mamma e nemmeno perchè è cristiana. O meglio: ci è finita grazie a queste ultime tre cose assieme visto che il Times scrive che è nata una stella quando il remix di io sono Giorgia è diventato virale.
Questo successo ha poco a che fare con la capacità  politica della Meloni alla quale va senz’altro dato atto di aver lavorato duramente negli ultimi anni per diventare un meme vivente. Certo: la leader di FdI ha saputo capitalizzare il suo successo pop per presentarsi come quella tipa simpatica che fa politica con le cose buffe (dal cavalcare draghi di cartapesta a prestarsi a diventare un personaggio di un anime). Sarebbe stato sufficiente dire che la Meloni è l’unica donna alla guida di un partito in Italia.
Ma non di soli meme vive l’elettore sovranista il Times scrive che sì, Giorgia Meloni sta raccogliendo sempre più consensi e che sta togliendo voti alla Lega di Matteo Salvini.
Tant’è che è pure andata alla convention dei conservatori USA, ma forse il leader del Carroccio preferisce frequentare il Cremlino. Ed infatti la Meloni è la preferita di Steve Bannon, già  consigliere di Trump che definì “fascisti” quelli di Fratelli d’Italia.
I sondaggi e i risultati delle regionali dimostrano senz’altro una crescita del partito.
Ma parallelamente ci sono gli scandali che travolgono gli eletti di FdI: in pochi mesi cinque sono stati indagati per rapporti con la ‘Ndrangheta.
L’ultimo è stato l’ex assessore regionale del Piemonte Roberto Rosso. Segno che forse che nella selezione della classe dirigente il partito in espansione sta incontrando qualche problema.
In tutto questo il partito di Giorgia Meloni è composto in larga parte da persone che provengono da altri partiti (insomma, non è mica il M5S che diamine) o che hanno una lunga storia politica alle spalle (i vari La Russa e così via).
Questo il Times evita accuratamente di dirlo.
Ma in mezzo a tanti volti nuovi nella lista del Times Giorgia Meloni spicca per essere quello più vecchio. Non anagraficamente (anche se è dura competere con una quattordicenne) ma in quanto ad esperienza politica.
Giorgia Meloni ha dalla sua una storia politica ventennale di tutto rispetto. Nel 2008 è stata ministro della gioventù del Governo Berlusconi.
Ma il suo anno magico è stato il 2011 con il suo voto alla missione militare in Libia, la fiducia al governo Monti ma anche quello a favore del limite per i pagamenti in contanti a mille euro e della Legge Fornero ed altre “dimenticanze” come quella di quando votò l’aumento delle accise.
Giusto per citare provvedimenti non proprio amatissimi dal Popolo. Nemmeno dal suo stesso elettorato. E anche certi leit motiv meloniani non sono propriamente nuovi quanto i remix dance: l’utilizzo di slogan e parole d’ordine dei suprematisti bianchi come ad esempio “sostituzione etnica“, rischia di rendere davvero poco cool e simpatica oltremanica Giorgia Meloni.
Ma per fortuna nessuno ha fatto un remix di tutte le cose che ha detto la Meloni sugli immigrati (ad esempio la proposta di “affondare le navi delle ONG”).
Così come si evita di parlare del fatto che pure lei è finanziata dalle famigerate lobby. Però è davvero difficile dare un giudizio all’operato politico di Giorgia Meloni che oggi non sa spiegare cos’è il MES quando era ministro si batteva contro l’omofobia e le discriminazioni nei confronti dei giovani omosessuali e oggi canticchia Genitore 1-Genitore 2.
Perchè un politico si giudica sui fatti. E chi un giorno vota la fiducia a Monti e alla Fornero un altro attacca i governi tecnici non eletti dal Popolo di credibilità  da spendere ne ha poca.
O meglio: ha quella che hanno tutti gli altri politici.

(da “NextQuotidiano“)

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PARAGONE STRILLA AL VENTO: “DEVONO PORTARMI VIA CON LA FORZA”, MA NON TROVA IL SOSTEGNO SPERATO

Gennaio 2nd, 2020 Riccardo Fucile

VERTICI M5S PIU’ PREOCCUPATI PER IL GRUPPO FIORAMONTI

La lettera d’espulsione è arrivata il 31 sera, poco prima dello scoccare del nuovo anno. Per i probiviri del Movimento 5 Stelle, Gianluigi Paragone è fuori per non aver votato la legge di Bilancio, ma il senatore grillino non ne vuol sapere. Risponde al telefono ed è una furia: “Dal mio gruppo non me ne vado, dovranno sbattermi via con la forza, io resto lì seduto. Nel mio scranno”.
Il 2020 nel mondo pentastellato inizia così. Con una battaglia che può diventare giudiziaria perchè l’ex conduttore televisivo ha intenzione anche di rivolgersi alla magistratura
La rabbia di Paragone è incontenibile. Prima di tutto chiede di essere ascoltato dai probiviri. “Neanche mi hanno convocato, prima di tutto voglio essere sentito, mi voglio opporre. I probiviri sono il nulla e sono guidati da uno che è il nulla”. Leggasi Luigi Di Maio.
Di fatto immagina una rivolta interna. Per adesso ha ricevuto la solidarietà  di Alessandro Di Battista per il quale Paragone “è più grillino di tanti altri”. I due sono molto amici, tanto da essere andati insieme a cena quando i senatori erano riuniti con Beppe Grillo. Segnale evidente di un malessere.
Alla voce di Di Battista si è aggiunta quella della senatrice Barbara Lezzi, l’ex ministra del Sud delusa per la mancata riconferma: “È sbagliato espellere gli anticorpi. Paragone è e resta un mio collega”
Restano per il momento voci piuttosto isolate. Il senatore espulso per adesso smentisce ogni tipo di avvicinamento alla Lega e anche la formazione di una componente del gruppo Misto. Ribadisce che intende restare nel Movimento e farà  di tutto per ribaltare la sentenza dei probivir
I vertici grillini minimizzano. Per loro non ci sarà  alcuna scissione, nè Paragone avrà  la forza e i numeri per formare una componente in Senato. Piuttosto “lui e Di Battista potrebbero avere dalla loro parte un po’ di attivisti, ma nulla più”.
A preoccupare i piani alti è la possibile scissione guidata dall’ex ministro Lorenzo Fioramonti. Nelle prossime settimane una decina di deputati potrebbe seguirlo, numeri non ancora sufficienti per formare un gruppo autonomo ma potrebbe essere l’inizio.
Già  a metà  mese potrebbe nascere una componente dal nome “Eco”, il cui nome riprenderebbe ecologia ed economia.
Tra i nomi che potrebbero seguirlo ci sono Roberto Cataldi, Nadia Aprile, Andrea Vallascas, Rachele Silvestri, Massimiliano De Toma. A loro potrebbero unirsi i tre ex 5Stelle che già  hanno abbandonato il gruppo: Cunial, Cecconi e Vizzini.
Per adesso si tratta di rumors. Ma sono rumors che non fanno stare tranquilli i vertici M5s che bollano come “scissione degli attivisti” quella che Paragone potrebbe portare avanti e come invece “qualcosa di serio e preoccupante per le sorti del Movimento e del governo” quella di Fioramonti.

(da “Huffingtonpost”)

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ISRAELE, CUOR DI LEONE NETANYAHU SI NASCONDERA’ DIETRO L’IMMUNITA’ PARLAMENTARE

Gennaio 2nd, 2020 Riccardo Fucile

UN ALTRO EROE SOVRANISTA: INCRIMINATO PER CORRUZIONE, FRODE E ABUSO D’UFFICIO SCAPPA DAL PROCESSO

Benjamin Netanyahu, ha annunciato in tv che si avvarrà  dell’immunità  parlamentare. Il premier israeliano è incriminato per tre casi – corruzione, frode e abuso di ufficio.
“La legge sulla immunità  – ha affermato Netanyahu – è stata intesa per proteggere i rappresentanti del popolo da indagini pretestuose, da incriminazioni di carattere politico il cui scopo è di andare contro il volere del popolo. La legge intende garantire ai rappresentanti del popolo di poter agire per il popolo secondo la sua volontà ”.
Secondo il premier nei suoi confronti c’è stata “una applicazione selettiva” della legge, accompagnata da “fughe di notizie continue e tendenziose, e da un lavaggio collettivo del cervello per creare una sorta di tribunale da campo”.
Immediata la reazione dei principali rivali. Benny Gantz, leader del partito centrista Blu Bianco, ha detto che farà  tutto il possibile alla Knesset per impedire che a Netanyahu sia concessa l’immunità .
Analoga la posizione di Avigdor Lieberman, leader del partito nazionalista.

(da agenzie)

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TROVATE UN POSTO ANCHE AL BAGNINO DEL PAPEETE!

Dicembre 7th, 2019 Riccardo Fucile

NON BASTAVA AVER PIAZZATO IL PROPRIETARIO AMICO DI SALVINI AL PARLAMENTO EUROPEO, ORA ANCHE LA MOGLIE IN REGIONE…A QUANDO UNA POLTRONA ANCHE PER GLI ASSISTENTI DI SPIAGGIA?

Il Fatto racconta oggi che c’è ancora il Papeete nel destino della Lega: alle elezioni regionali in Emilia Romagna si prepara la candidatura di Jenny Incorvaia, moglie di Massimo Casanova, proprietario dello stabilimento da cui Matteo Salvini ha fatto partire la crisi di governo.
Casanova è nel frattempo diventato eurodeputato del Carroccio; ora la moglie potrebbe fare il bis candidandosi a Ravenna:
Alle scorse Europee, Casanova raccolse più di 65 mila preferenze arrivando secondo solo all’ex ministro.
Un bel pacchetto di voti in poco meno di un mese di campagna elettorale lungo la circoscrizione meridionale: in particolare la Puglia dove i Casanova hanno casa, ai piedi del Gargano vicino al lago di Lesina.
Recentemente la tenuta, sui 600 ettari, è stata oggetto di un esposto per presunti abusi edilizi cui è seguita una ispezione da parte della Guardia di Finanza.
Proprio in questa villa, Salvini si sarebbe riposato un paio di giorni in compagnia dell’amico fraterno prima delle Regionali in Abruzzo.
Un rito fortunato che i due potrebbero ripetere a breve.
Sostenitore del Carroccio fin da giovanissimo, ha raccontato più volte che nel 1988 convinse la madre a mettere a disposizione l’albergo familiare per ospitare uno dei primi incontri di Umberto Bossi. Ai tempi in Romagna nessuno voleva accogliere il Senatùr.
I Casanova hanno tre figli,due gemelli e una bambina, e sono cattolici. Incorvaia ha un passato atletico, negli anni Novanta partecipava a competizioni, nazionali ed europee, di ballo boogie woogie.
Da sempre gran sostenitrice del compagno, negli anni ne ha condiviso anche le amicizie: numerosi i selfie con Elisa Isoardi, ex fidanzata del leader della Lega. Lady Papeete e il marito non confermano nè smentiscono, ma sono in tanti a spingere per una sua candidatura nella lista di Ravenna, magari proprio da capolista.

(da “NextQuotidiano”)

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DI MAIO COLPISCE ANCORA: PIAZZA L’EX CONSIGLIERE GIURIDICO AL FONDO NAZIONALE INNOVAZIONE

Novembre 28th, 2019 Riccardo Fucile

DOPO GLI OTTO AMICI SISTEMATI NELLO STAFF AL MINISTERO DEGLI ESTERI

Luigi Di Maio colpisce ancora. Dopo gli otto “amici” piazzati nello staff al ministero degli Esteri oggi tocca all’ex consigliere giuridico, che finisce nel board del Fondo Nazionale Innovazione.
Racconta Il Giornale
Marco Bellezza, ex consigliere giuridico di Palazzo Chigi del vicepremier grillino nel Conte 1, trova una poltrona (grazie a Di Maio) nel board del Fondo Nazionale Innovazione (Invitalia Ventures SGR). Sono ora dieci gli ex amici — consulenti «riciclati» grazie al capo politico dei Cinque stelle nel passaggio dall’esecutivo giallorosso a quello gialloverde. Il reddito di amicizia funziona alla grande.
Dopo gli otto ex staffisti — consiglieri del ministro portati alla Farnesina, e la nomina nel Cda di Anpal (Agenzia Nazionale delle Politiche Attive sul Lavoro) di Giovanni Capizzuto, ex capo della segreteria tecnica del capo politico dei 5 stelle al ministero del Lavoro, è il turno dell’avvocato Bellezza.
L’incarico rientra nel giro di nomine sbloccato due giorni fa dal governo Conte bis. Nei 14 mesi del Conte 1, l’avvocato Bellezza è stato l’uomo ombra del vicepremier Di Maio. Collezionando incarichi su incarichi. Poi Matteo Salvini manda all’aria il governo Conte. E anche la poltrona di Bellezza salta.
In soccorso arriva il navigator Di Maio che subito ricolloca l’ex consigliere giuridico. Ricollocamento avvenuto in tempi record anche per gli ex amici-collaboratori, sistemati nello staff alla Farnesina.
In cima c’è Augusto Rubei, inquadrato come «Consigliere del ministro per gli aspetti legati alla comunicazione, relazioni con i media e soggetti istituzionali», stipendio 140mila euro.
Su Instagram si trovano facilmente le foto del matrimonio di Rubei, ospiti Luigino e fidanzata. Erano assistenti a Palazzo Chigi, e ora lo sono al ministero degli Esteri, altri quattro del cerchietto magico di Di Maio: Pietro Dettori, Sara Mangieri, Daniele Caporale e Alessio Festa.
Dettori è stato sistemato come Consigliere del ministro per la cura delle relazioni conleforze politiche inerenti le attività  istituzionali.

(da “NextQuotidiano”)

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