Luglio 26th, 2016 Riccardo Fucile NEL MEZZOGIORNO GLI IMPIANTI SCARSEGGIANO E L’IMMONDIZIA EMIGRA A SPESE DEI CITTADINI
Alle 8 del mattino del 7 gennaio 2012, al molo 44 del porto di Napoli l’attracco della nave olandese
Nordstream portò sollievo all’intera città .
La nave avrebbe infatti trasportato all’inceneritore di Rotterdam qualcosa come 250mila tonnellate di rifiuti così liberando l’area vesuviana da un’emergenza che durava da anni. Ma a che prezzo?
Le indiscrezioni dell’epoca parlarono di 100 euro a tonnellata. In tutto un contratto da 25 milioni tra l’amministrazione comunale e la società olandese.
Molti gridarono al successo: i 100 euro erano quasi la metà dei 173 a tonnellata pagati all’epoca per trasferire la stessa immondizia in Emilia o in Puglia.
Il turismo dei rifiuti, da allora, non si è certo fermato ed è un ottimo indicatore per misurare il tasso di inefficienza e di populismo della classe politica italiana.
Risale ad appena due settimane fa un accordo tra le Regioni Puglia ed Emilia Romagna per portare da Sud a Nord 20mila tonnellate di rifiuti al costo di 192 euro a tonnellata.
Di quel costo, 60 euro sono per il trasporto, 118 andranno agli inceneritori di Bologna e Ferrara che smaltiranno il rifiuto e altri 14 euro a tonnellata saranno destinati ai due Comuni che ospitano gli impianti.
Che cosa giustifica i lunghi viaggi dei rifiuti attraverso l’Italia? E chi ci guadagna?
I casi più recenti sono quelli di Puglia e Sicilia.
In ambedue le Regioni la chiusura di discariche, private delle autorizzazioni necessarie per problemi ambientali, ha fatto crescere il livello di allarme.
“Non farò la fine di Bassolino”, ha promesso il governatore pugliese, Michele Emiliano, evocando proprio l’emergenza rifiuti a Napoli nei primi anni Duemila.
Se l’Emilia accoglierà (e si farà pagare) i rifiuti pugliesi, Toscana e Piemonte sono i candidati più probabili per trattare quelli siciliani.
Filippo Brandolini, romagnolo, presidente nazionale di Federambiente, l’associazione delle società che trattano i rifiuti, spiega che “in generale i problemi sono legati al fatto che nel Sud gli impianti di smaltimento sono meno numerosi che al Nord”. “Basta molto poco – aggiunge – perchè il sistema vada in crisi. La scarsità di impianti è legata al fatto che spesso le amministrazioni locali preferiscono portare altrove i rifiuti, pagando, piuttosto che affrontare le proteste dei cittadini per la realizzazione degli impianti di smaltimento. L’emergenza maggiore oggi è quella dei rifiuti organici che derivano dalla raccolta differenziata. Un recente inconveniente proprio a un impianto pugliese ha finito per mettere in difficoltà l’intera rete italiana”.
Ormai, sottolinea Federambiente, dei trenta milioni di tonnellate di rifiuti che ogni anno produce in media la Penisola, la parte maggiore, 13,5 milioni, proviene dalla raccolta differenzata.
Dodici milioni di tonnellate finiscono invece in discarica. Gli inceneritori bruciano circa 5 milioni di tonnellate.
Sono infine 300mila le tonnellate che ogni anno finiscono all’estero, anche partendo da Regioni del Nord: “Si tratta di un residuo secco che viene ridotto in coriandoli e diventa combustibile”, spiega Brandolini.
Il sistema italiano è particolarmente frammentato. La raccolta e lo smaltimento sono affidati a 463 aziende sul territorio nazionale, ma a queste vanno aggiunti circa 1.000 Comuni che smaltiscono in proprio, su terreni talvolta demaniali ma spesso di proprietà di privati.
La frammentazione è molto spinta, al punto che il 4 per cento delle 463 aziende realizza il 40 per cento del fatturato del settore.
Uno dei risultati della grande dispersione di aziende, anche qui soprattutto al Sud, è l’aumento dei costi a carico dei cittadini.
Non solo perchè gli oneri industriali aumentano, ma anche perchè aziende con limitata capacità di trattamento finiscono per conferire nelle discariche o creare le condizioni per dover trasferire altrove i rifiuti, con un ulteriore aumento della spesa.
Senza considerare l’effetto ricatto di quei privati che, proprietari di un terreno in un piccolo Comune, possono proporre tariffe fuori mercato sapendo che l’amministrazione non ha alternative.
Così, nel 2015, la spesa media italiana per i rifuti in una famiglia di tre persone che vive in un appartamento di 80 metri quadrati è stata di 271 euro. Ma si tratta di una media. Perchè la stessa famiglia al Nord ha speso 239 euro, al Centro 279 e al Sud addirittura 317.
La strada per abbattere i costi dovrebbe essere quella della concentrazione delle aziende e di una migliore distribuzione geografica degli impianti alternativi alle discariche.
Secondo i dati del rapporto Ispra, nel 2014, dei 44 inceneritori italiani, 29 erano al Nord, otto al centro e sette al Sud.
Insomma, tutto fa pensare che il “turismo dei rifiuti” sia destinato a proseguire anche negli anni a venire.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 19th, 2015 Riccardo Fucile LA QUANTITA’ DI RIFIUTI E’ SCESA, LE TASSE PER UNA FAMIGLIA TIPO AUMENTATE DI 75 EURO
Tra il 2010 e il 2015 una famiglia con 4 componenti che vive in un casa da 120 metri quadrati ha
subito un aumento del prelievo relativo all’asporto rifiuti del 25,5%, pari, in termini assoluti, ad un aggravio di 75 euro.
Quest’anno dovrà versare al proprio Comune 368 euro di Tari. Lo rileva uno studio della Cgia di Mestre.
Una famiglia di 3 componenti, che abita in un appartamento da 100 mq – secondo la Cgia – ha invece subito un aumento del 23,5% (+57 euro).
Nel 2015 dovrà versare quasi 300 euro. Un nucleo di 3 persone che risiede in un’abitazione da 80 mq, invece, ha dovuto pagare il 18,2% in più (+35 euro).
In questo caso, l’importo complessivo che dovrà pagare per i rifiuti sarà pari a poco più di 227 euro.
Per le attività economiche, le cose sono andate anche peggio. Nonostante la forte riduzione del giro d’affari, ristoranti, pizzerie e pub con una superficie di 200 mq hanno subito un incremento medio del prelievo del 47,4%, pari, in termini assoluti, a +1.414 euro.
Un negozio di ortofrutta di 70 mq, invece, ha registrato un incremento del 42% (+ 560 euro), mentre un bar di 60 mq ha dovuto versare il 35,2% in più, pari ad un aggravio di 272 euro.
Più contenuto, ma altrettanto pesante, l’aumento subito dal titolare di un negozio di parrucchiere (+23,2%), dai proprietari degli alberghi (+17) e da un carrozziere (+15,8).
Questi risultati, sottolinea la Cgia, sono stati ottenuti dopo aver preso in esame le tariffe sui rifiuti applicate alle famiglie e alle imprese nei principali Comuni capoluogo di regione.
Nel corso degli ultimi anni sono state numerose le novità che hanno riguardato il prelievo sui rifiuti. Fino a qualche anno fa pagavamo la Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), anche se molti Comuni l’avevano rimpiazzata con la Tia (Tariffa di igiene ambientale). Nel 2013 il legislatore ha introdotto la Tares (Tassa sui rifiuti e servizi), mentre dal 2014 quest’ultima ha lasciato il posto alla Tari (Tassa sui rifiuti).
La Tari è stata introdotta con la Legge di Stabilità 2014, in ossequio al principio comunitario “chi inquina paga”: in buona sostanza si è voluto sancire la corrispondenza tra la quantità di rifiuti prodotti e l’ammontare della tassa.
Con l’introduzione della Tari, è stato ulteriormente confermato il principio che il costo del servizio in capo all’azienda che raccoglie i rifiuti dev’essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento della tassa. E il problema sta proprio qui.
“Queste aziende, di fatto, operano in condizioni di monopolio – afferma Paolo Zabeo per gli Artigiani di Mestre – con dei costi spesso fuori mercato che famiglie e imprese, nonostante la produzione dei rifiuti sia diminuita e la qualità del servizio offerto non sia migliorata, sono chiamate a coprire con importi che in molti casi sono del tutto ingiustificati. Proprio per evitare che il costo delle inefficienze gestionali vengano scaricate sui cittadini, la legge di Stabilità del 2014 ha ancorato, dal 2016, la determinazione delle tariffe ai fabbisogni standard. Grazie all’applicazione di questa nuova modalità , è probabile che dall’anno prossimo la tassa sui rifiuti diminuisca”.
Sebbene in questi ultimi anni il costo economico sulle famiglie sia decisamente aumentato, dall’inizio della crisi ad oggi la produzione dei rifiuti urbani ha subito una forte contrazione.
Se nel 2007 ogni cittadino italiano ne “produceva” quasi 557 kg, nel 2013 (ultimo dato disponibile) la quantità è scesa a poco più di 491 kg per abitante. “In buona sostanza – conclude Zabeo – nonostante abbiamo prodotto meno rifiuti, la raccolta e lo smaltimento ci sono costati di più”.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile BONELLI: “SE LO PUO’ FARE LA CALIFORNIA, PUO’ ANCHE L’ITALIA”
San Francisco, in California, è una città che ha più di 800mila abitanti e fa parte di un distretto metropolitano che ne conta 7 milioni.
Ha un obiettivo: raggiungere, nel 2020, il livello “Zero Waste”, rifiuti zero.
In poche parole, attraverso politiche mirate, cerca di non produrre più rifiuti, far somparire le discariche, impiegare in altro modo tutta l’immondizia non riciclabile (dalla vendita alla seconda vita) senza ricorrere ad alcun inceneritore.
“Se ci riesce una città come San Francisco, che già nel 2010 aveva portato la raccolta differenziata al 78 per cento, perchè non dovrebbero riuscirci anche le città italiane?”, chiede Angelo Bonelli, coportavoce dei Verdi.
Bonelli, ce lo chiediamo anche noi. L’Italia può essere un Paese “zero rifiuti”?
No, finchè il governo sceglierà di privilegiare i profitti di chi costruirà e gestirà gli inceneritori. Non capisce che con una raccolta differenziata spinta si creerebbero fino a 180mila nuovi posti di lavoro. E si innescherebbe quel ciclo virtuoso che solo una riforma seria e coraggiosa potrebbe affrontare.
Come si arriva all’obiettivo “Rifiuti Zero”?
Prima di tutto ci vuole un provvedimento che imponga la riduzione della creazione e della distribuzione degli imballaggi. Meno imballaggi, meno scarto e meno rifiuto da trattare: regole che si impongono a monte della produzione industriale, con il risparmio del consumo energetico e delle risorse. E può essere tranquillamente fatto per legge.
E come si continua?
Raccolta differenziata spinta, riuso degli oggetti ancora utili, riciclo dei materiali scartati e recupero di energia. Per ognuno di questi punti devono essere costruite filiere industriali ed economiche. Centri per il riuso, porta a porta per la differenziata con tariffazione puntuale e politiche locali di prevenzione. Poi impianti innovativi della valorizzazione dell’organico-dagli ecodistretti alle cosiddette fabbriche dei materiali — tutto per favorire la massimizzazione del riciclaggio, anche delle frazioni fino ad oggi avviate a incenerimento e smaltimento.
Tutto questo richiede una rivoluzione del ciclo dei rifiuti italiano?
Grazie all’innovazione gestionale e impiantistica, si potrebbe uscire dall’era degli impianti di smaltimento. È su questi piani che dovrebbero concentrarsi i finanziamenti. Per raggiungere l’obiettivo zero rifiuti, poi,basterebbero poche regole:chi smaltisce in discarica deve pagare di più a vantaggio di chi ci va sempre meno,si dovrebbero utilizzare i proventi dell’ecotassa per le politiche di prevenzione, riuso e riciclo, premiare le popolazioni e i comuni virtuosi, eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti, incentivare il riciclaggio perchè diventi più conveniente del recupero energetico , completare la rete impiantistica per il riciclaggio e il riuso dei rifiuti, decidere che “chi inquina paga”. E soprattutto approvare una legge per agevolare la realizzazione di impianti di riciclaggio e riuso.
E invece?
Il ministro dell’Ambiente Galletti rende strategici, quasi obbligatori, gli inceneritori e nella bozza di regolamento sulle energie rinnovabili quello dello Sviluppo economico Guidi destina finanziamenti anche agli impianti di incenerimento. Avrebbe potuto rendere obbligatori gli impianti di stoccaggio e riciclaggio , come pure la stessa differenziata. O dire alle Regioni: si può arrivare al 75 per cento e poi ricorrere allo smaltimento a freddo. Un provvedimento serio avrebbe detto: “Care regioni e comuni, se non siete stati in grado di fare questo, vi commissariamo e lo facciamo noi al vostro posto”.
E invece fanno gli inceneritori.
Dicono che siano per quello che avanza dalla differenziata, che l’alternativa sarebbe la discarica. Perchè non hanno pensato alle tecnologie di smaltimento a freddo? Non producono diossina, hanno trattamenti alternativi e sono efficientissime. E poi non è vero che gli inceneritori eliminano le discariche. In natura niente scompare. Bruciando, si producono ceneri tossiche e per loro si dovranno trovare nuove discariche. Senza contare le emissioni di diossina e anidridi: gli inceneritori sono l’opposto di quanto stabilito dal protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas serra.
Virginia Della Sala
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 23rd, 2014 Riccardo Fucile INTERVISTA IN CARCERE AL PENTITO GAETANO VASSALLO, “MINISTRO” DEI CASALESI
“Quando aprimmo la cisterna il liquido bruciava ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano. Abbiamo
scaricato milioni di tonnellate di rifiuti tossici ovunque possibile. Non ho mai messo un telo di protezione, non ho mai avuto un controllo, pagavamo e vincevamo sempre noi”.
Un racconto freddo, tanto chirurgico quanto inquietante.
Poche parole: la fotografia del disastro di una terra.
A parlare al Fatto Quotidiano è il pentito Gaetano Vassallo, ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi, protagonista di quei traffici illeciti che, per anni, hanno trasformato aree della Campania in pattumiera del Paese.
C’è un primo equivoco da chiarire e Vassallo aiuta a farlo: “Quando è arrivato il commissariato di governo per gestire l’emergenza rifiuti, nel 1994, la musica non è cambiata”.
E ricorda: “Venne a parlarmi il boss Feliciano Mallardo e mi disse: ‘Cumpariè dobbiamo fare i lavori presso la discarica di Giugliano, volete lavorare?’; io rifiutai e scelsero un’altra ditta del clan”.
Di imprenditoria criminale in imprenditoria criminale, una linea di continuità anche quando lo Stato si commissaria per escludere la camorra dal ciclo.
Da metà anni 80 al 2005, vent’anni di veleni tossici disseminati ovunque e di gestione criminale del ciclo dei rifiuti urbani e industriali.
Il ventre della terra ha digerito ogni cosa: fanghi industriali, ceneri degli inceneritori, residui farmaceutici, acidi, calce spenta, scarti di bonifica, veleni a milioni di tonnellate.
In due decenni un fiume di pattume si è riversato nel cuore fertile della terra campana.
Ma questa è la storia criminale di un ex agente dello Stato, ritrovatosi imprenditore in una terra senza legge, in un settore senza controllo, dove i soldi tracimavano a valle.
Dal nulla diventato referente dell’imprenditoria affaristica per abbattere i costi di smaltimento degli scarti industriali del nord produttivo.
Vassallo, con le sue dichiarazioni, consegnate ai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Giovanni Conzo, Maria Cristina Ribera, Alessandro Milita — il pool coordinato dall’aggiunto Giuseppe Borrelli — descrive l’inferno, le coperture politiche, i rapporti con la massoneria di una cricca di imprenditori al soldo della camorra.
Vassallo è il grande accusatore di Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario all’Economia di Forza Italia, finito sotto processo per camorra, e di Luigi Cesaro, deputato di Forza Italia, destinatario di una misura cautelare, annullata dal Riesame.
Incontriamo il pentito in carcere, accompagnato dall’avvocato Sabina Esposito.
Il collaboratore sta scontando una condanna per l’affare Ce4, il consorzio di bacino che aveva come braccio imprenditoriale i fratelli Orsi, legati ai Casalesi, e referente politico Nicola Cosentino.
E la politica piaceva tanto anche a Vassallo.
“Io negli anni ottanta ero del partito socialista, facevo le riunioni con Giulio Di Donato, organizzavamo le campagne elettorali. Io, quando potevo finanziavo il Psi. Come imprenditore vicino al partito ho fatto anche incontri a Roma alla presenza di Bettino Craxi. Furono gli anni in cui conobbi Luigi Cesaro, Giggino ‘a purpetta. Eravamo della stessa corrente”.
Finito il sogno socialista, Vassallo cambia bandiera: “Passo a Forza Italia, sono stato anche iscritto al partito, ho fatto tessere, sostenuto campagne elettorali, ma noi facevamo affari con tutti, destra e sinistra”. I partiti a Vassallo son sempre piaciuti, perchè questa storia è anche e soprattutto la fotografia di un intreccio tra clan, impresa, professioni e mondo politico.
Ma è un racconto che inizia da lontano.
L’agente che diventa imprenditore
Vassallo si è deciso a parlare dopo aver ascoltato ex collaboratori e altre figure, raccontare questa storia per sentito dire infarcita di strafalcioni e false piste.
“Io ho visto tutta la schifezza che abbiamo sputato nella terra. Una volta scaricammo fanghi, liquidi che erano scarti di lavorazione di un’industria farmaceutica.
Poco dopo i ratti si sono estinti, sono spariti”. Immagini dall’orrore. Un’organizzazione criminale che ha risolto la crisi rifiuti toscana prima, della provincia di Roma poi e offerto soluzioni economiche alle imprese del nord, agli impianti che dovevano smaltire.
Il capitalismo aveva trovato nell’imprenditoria di camorra lo sbocco per ridurre i costi di smaltimento del pattume industriale.
A prezzo della salute di un popolo, in un’area quella di Giugliano, in provincia di Napoli, dove una perizia consegnata alla Procura, fissa per il 2064 la morte di ogni forma di vita.
“Mi vergogno, avrei dovuto pentirmi prima”. Lo fa nell’aprile del 2008.
“Avevo paura. Quando il killer Giuseppe Setola è uscito su Castel Volturno ha cominciato a fare i morti. Un componente del clan mi disse che non era controllabile. Così mi sono pentito. Non ce la facevo più. Ho cambiato vita, allo Stato ho consegnato tutte le mie ricchezze”.
In quell’anno Setola e il suo gruppo di fuoco hanno ammazzato anche Michele Orsi, imprenditore che aveva iniziato a fare dichiarazioni ai pubblici ministeri, ma non era un pentito. “Sergio e Michele Orsi erano legati al clan. Prima dell’ omicidio di Michele avevo detto agli inquirenti che sia Sergio che Michele erano stati designati perchè non avevano mantenuto gli accordi con la camorra. Il clan gli aveva fatto la cartella (aveva stabilito di doverli ammazzare, ndr). Dovevano morire e il clan mantiene gli impegni. Gli Orsi avevano tanti amici, funzionari, imprenditori, erano in rapporti anche con un magistrato”.
Vassallo ricorda l’inizio di questo horror didistruzione,morteeterrastuprata. “Ha iniziato mio padre, non sapeva neanche scrivere. Le carte le compilavano gli amici sul comune. Teneva la cava di pozzolana, rimanevano grosse buche. Un conoscente gli ha suggerito di buttarci i rifiuti. In quel periodo io facevo l’agente di polizia penitenziaria, l’ausiliare, mi sono congedato nel 1980, l’anno della strage di Bologna. Tornai a casa”.
È l’inizio della grande mattanza
“Dopo due anni fondai la prima società . Fino ad allora, abbiamo gestito appalti con gli enti pubblici per svariati milioni al mese senza partita iva, senza ditta, senza niente”.
Le discariche, non solo la sua, venivano gestite così: “Non abbiamo mai messo un telo di protezione, il percolato finiva in falda, non c’era neanche una vasca di raccolta, bruciavamo i rifiuti per liberare spazio, facevamo quello che volevamo”.
Il percolato, liquido inquinante, risultato della decomposizione dei rifiuti organici, inquina le falde, stupra la carne viva della terra.
“Presto cominciammo anche con gli speciali, la Regione mi autorizzò allo smaltimento anche di quelli”. È l’inizio dell’eldorado quando la consorteria criminale scopre il business dei rifiuti dal nord, prima quelli dei Comuni, poi quelli industriali. La discarica di Vassallo, a Giugliano, Comune in provincia di Napoli, si trasforma in un girone dell’inferno così come gli altri buchi, nei dintorni, sotto l’egida assoluta dei clan.
E i controlli? “Ci davano tutte le autorizzazioni di cui avevamo bisogno, chi doveva controllare era a nostro libro paga”.
L’assenza totale di verifiche e monitoraggi
“In provincia le autorizzazioni le dava l’assessore Raffaele Perrone Capano dei liberali (arrestato nel 1993, condannato in primo grado, poi assolto per falso e prescritto per corruzione e abuso d’ufficio, dal 2001 è stato reintegrato come professore alla Federico II). Ci dava indicazioni che non rispettavamo mai. Io davo i soldi a Perrone Capano, i contributi per il suo partito. A volte li davo a lui, altre volte al suo autista”.
I boss benedicono l’affare
L’ombra della P2 “Io sono stato l’imprenditore dei rifiuti per conto di Francesco Bidognetti”. Gaetano Vassallo era il ministro dei rifiuti dei Casalesi, il responsabile degli scarichi tossici agli ordini di Bidognetti, Cicciotto ‘e mezzanotte, il capo assoluto del clan, oggi rinchiuso al 41 bis. L’ex agente, diventato imprenditore, conosce la camorra in quegli anni di gloria.
“La faccia della camorra l’ho conosciuta con Santo Flagiello, che faceva la latitanza a casa mia. Poi il primo incontro con il boss Francesco Bidognetti. Mi disse: ‘Tu mi rappresenti in questo affare’”.
La struttura organizzativa era molto semplice. “C’erano le società commerciali che si occupavano dell’intermediazione e del trasporto tutte controllate da Gaetano Cerci, camorrista, nipote del boss Francesco Bidognetti, che aveva la società Ecologia 89. Poi c’erano tre imprenditori, io, Luca Avolio e Cipriano Chianese che avevamo le discariche”.
I colletti bianchi dei Casalesi, proprio Gaetano Cerci è stato nuovamente arrestato qualche giorno fa con l’accusa di estorsione.
Vassallo continua: “Utilizzavamo le certificazioni che avevamo, anche se le discariche erano esaurite. I rifiuti ufficialmente venivamo smaltiti nei nostri impianti, ma finivano nei campi, sotto la Nola-Villa Literno, nei terreni incolti, in altre cave. Tutto senza controllo”.
La rete era estesa. Vassallo ricorda un’altra presenza costante in questo affare: la massoneria. “Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli, mi spiegò che Gelli era un procacciatore di imprenditori del nord che potevano inviarci i rifiuti”.
Nel 2006 la procura di Napoli chiese addirittura l’arresto di Licio Gelli, il gip Umberto Antico negò la misura.
I pm scrivevano: “I rapporti preferenziali tra Gaetano Cerci e Licio Gelli appaiono poi assolutamente certi, essendo riferiti da Schiavone, De Simone, la Torre, Quadrano, Di Dona, sia de relato che per scienza diretta”.
Ora arrivarono anche le parole di Vassallo, ma Gelli da quella indagine ne è uscito pulito.
Un altro che conta era Cipriano Chianese, avvocato, imprenditore, sotto processo per disastro ambientale e collusione con i clan. Chianese, nel 1994, si candidò con Forza Italia, ma non fu eletto.
“Chianese è stato l’ideatore dell’organizzazione. Aveva conoscenze importanti, era amico di un generale dei carabinieri . A Chianese lo stato ha preso solo una parte dei beni, molti soldi li ha macchiati (nascosti, ndr)”.
Il sistema rodato era soldi in cambio dell’appalto.
A Vassallo chiediamo se negli anni di rapporto con i politici, tra mazzette e collusioni, ne ha mai trovato uno che si è opposto. “No, non ho visto nessuno opporsi”.
Milioni e veleni anche dal Nord
E dal nord produttivo, dalle aziende del Paese arrivava di tutto. “Abbiamo scaricato le ceneri degli inceneritori del nord, gli scarti dell’Italsider di Taranto, la calce spenta dell’Enel di Brindisi e di Napoli, i fanghi industriali, gli scarti tossici proveniente dalla bonifica dell’Acna di Cengio, gli acidi, tonnellate di rifiuti dalle aziende del settentrione.
Di certo posso dire: non abbiamo scaricato i rifiuti nucleari”.
E cita le aziende come “i Bruscino che trasportavano gli scarti di lavorazione dell’Enel, la ditta Perna Ecologia”, un lungo elenco di aziende che hanno scaricato veleni per anni. Le imprese produttrici non si preoccupavano di dove andava, a prezzo stracciato, il loro pattume tossico. Contattavano gli intermediari, i trasportatori, e i carichi partivano.
Quando gli chiedi l’ammontare dei rifiuti scaricati, Vassallo allarga le braccia e scuote la testa.
Il principio ispiratore era uno soltanto: non si rischiavano niente in un Paese, l’Italia, dove a distanza di anni la maggior parte dei processi per delitti contro l’ambiente finisce in prescrizione. Basso rischio e palate di soldi. Vassallo spiega: “Io solo per il trasporto dei rifiuti dalla Toscana, andavo a prendere 700 milioni di lire al mese. In Campania guadagnavo 10 miliardi di lire ogni anno solo per l’affare dei rifiuti solidi urbani, raccolti nei comuni dell’hinterland”.
Poi c’era il traffico dei rifiuti tossici, occultati sotto quelli domestici.
“Un pozzo senza fine. Guadagnavo 5 milioni di lire a carico, al clan davo 10 lire al kg, ma li fottevo sul peso e sugli arrivi. Ogni giorno arrivavano anche 30 camion . Una cosa come 150 milioni di lire ogni santo giorno. Si iniziava a scaricare alle 4 del mattino, c’era una fila di camion dalla discarica fino alla strada”.
Fotteva i clan Vassallo e, quando occorreva, usava le buche di Stato grazie a buoni amici. Vassallo ricorda quello che poteva diventare lo spartiacque, il momento di cesura di questo orrendo spartito criminale: il 1993.
“Fummo arrestati tutti nell’inchiesta Adelphi proprio per i traffici di rifiuti . Io fui prosciolto, ma ero colpevole. Se fosse andato diversamente quel processo, la Campania si sarebbe risparmiata altri 15 anni di veleni”.
E ricorda un particolare. “Venne un magistrato per chiedermi di collaborare. Il nostro accusatore era Nunzio Perrella, un boss di Napoli che si era pentito. Io ci pensai, ma poi in carcere ebbi un colloquio con mio padre”.
E il padre gli portò i saluti dei Casalesi. “Mi disse che lo aveva avvicinato Francesco Bidognetti per rassicurarlo sulla copertura economica”. Tutto ricominciò. Dopo gli arresti arrivò lo Stato. “Noi ci dedicammo solo ai traffici di rifiuti industriali. Nel 1994 la gestione dei rifiuti solidi urbani viene affidata al commissariato di governo. Aveva l’obiettivo di avviare un ciclo di gestione ed estromettere la camorra dal pattume”.
Non cambiò nulla, l’imprenditoria dei clan era l’unica a lavorare. “Il commissariato mi ha dato un paio di milioni di euro, loro ci lasciarono una parte della cava, dovevamo fare la messa in sicurezza, ma noi facevamo finta e continuavamo a scaricare”.
Il business era redditizio. “Arrivavano le motrici con i fanghi che fintamente venivano trattati negli impianti di compostaggio dei fratelli Roma. Facemmo un macello, li abbiamo scaricati nei terreni dei contadini . A Lusciano, a Villa Literno, a Parete, a Casal di Principe. Poi dopo aver scaricato passavamo con il trattore per muovere la terra”.
Con l’arrivo del commissariato, la camorra raddoppia. In particolare Vassallo ricorda: “Giuseppe Carandente Tartaglia, era emanazione, prima dei Mallardo e poi del boss Michele Zagaria. Me lo disse Raffaele ‘o puffo, il figlio di Francesco Bidognetti. L’azienda di Carandente Tartaglia ha lavorato prima in sub-appalto per il consorzio Napoli 1 e dopo per Fibe (la società del gruppo Impregilo che aveva vinto l’appalto per la gestione dei rifiuti in Campania, ndr). Carandente Tartaglia si vantava di avere un rapporto da anni anche con un ingegnere importante di Fibe, al quale garantiva la copertura della camorra, ma non ricordo il nome”. Nel 2008 quelle sigle societarie, già operative nel ’95, realizzeranno la discarica di Chiaiano per conto del commissariato di governo.
Cattura di Zagaria e Iovine: l’incontro con gli 007
Sul ruolo nell’emergenza rifiuti di Antonio Iovine e Michele Zagaria, per 15 anni latitanti, e poi catturati, Vassallo non ha dubbi. “I terreni dove sono stoccate le balle di rifiuti (dalla Fibe grazie a un’ordinanza commissariale, ndr), sono di soggetti legati al boss Zagaria”.
In questo cammino criminale, Vassallo è sempre stato in prima linea, prima come protagonista della mattanza ambientale, poi offrendo il supporto quando necessario ai fratelli Orsi nell’affare Ce4. Era nella cabina di regia con i boss di primo ordine.
Così gli chiediamo di eventuali rapporti di Zagaria e Iovine con pezzi dello Stato . E lui racconta un particolare inedito che apre interrogativi. “Ho incontrato agenti dei servizi segreti nel periodo 2006-2007. Mi hanno contattato perchè volevano arrestare Iovine e Zagaria. Un mio amico carabiniere di Roma venne da me insieme a due persone che presentò come agenti dei servizi. Ci sono stati tre incontri, due in un albergo e un altro all’uscita autostradale di Cassino. Potevo incontrare Iovine, ‘o ninno, e Zagaria in qualsiasi momento. Li conoscevo, io ero imprenditore del clan. Il patto era di fargli arrestare i due latitanti in cambio di mezzo milione di euro, 200 mila euro per Iovine, 300 mila per Zagaria. Io chiesi anche la garanzia della libertà per me, ma non accettarono. L’accordo saltò”. Iovine, oggi collaboratore di giustizia, viene arrestato nel 2010, dopo 14 anni di latitanza, e Zagaria nel 2011, dopo 16 anni.
Il racconto del pentito pone una domanda: si potevano arrestare prima? Gaetano Vassallo aspetta di uscire dal carcere per tornare alla sua nuova vita: dipendente di un supermercato. Mentre si alza ripensa alla mattanza ambientale. “Non si può fare niente. Io parlo dell’area dove smaltivamo io e Chianese.
È impossibile bonificare”. È una peste, un inferno senza fine.
Nello Trocchia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 6th, 2014 Riccardo Fucile LITE TRA LO STABILIMENTO MODELLO E IL COMUNE
A «Munnezzopoli» i cittadini «ricicloni» sono sgraditi.
Con la raccolta differenziata, evidentemente, disturbano il business dell’immondizia, dei camion stracarichi, delle discariche nauseabonde ma redditizie.
Lo dice la guerra di carte bollate tra uno stabilimento balneare che ricicla tutto e il Comune di Castel Volturno. A due passi dal più grande deposito di ecoballe del pianeta.
Per capire l’assurdità di questa guerra occorre capire il contesto.
Castel Volturno, al confine tra la provincia di Caserta e quella di Napoli, sulla costa Domiziana descritta un tempo con parole estasiate da grandi viaggiatori come Goethe e Dickens, è a pochi chilometri dall’area più «nera» nella mappa dei siti inquinati dell’urbanista Aldo Loris Rossi, dalla famigerata Taverna del Re che è grande quanto Procida e ospita milioni di ecoballe, da Casal di Principe e dalla Terra dei Fuochi.
Fu lì, al pronto soccorso di Castel Volturno che si presentò vent’anni fa il camionista Mario Tamburrino il quale, dopo avere sversato in mezzo alla campagna il suo carico di bidoni tossici portati da Cuneo, singhiozzava disperato: «Aiuto! Sto diventando cieco!».
Un panorama desolante. Segnato dal degrado immondo di interi quartieri come Pineta Mare, Bagnara e Villaggio Saraceno.
Degrado ignorato al punto tale che, dopo la strage di immigrati del 2008 l’allora sindaco Francesco Nuzzo si spinse a dire che «senza camorra e immigrati Castel Volturno potrebbe diventare la Malibù d’Italia».
Un’affermazione avventurosa fino al ridicolo, data la devastazione del paesaggio urbano. Unica verità : la presenza molto pesante dei Casalesi.
Tanto che il Comune è oggi nelle mani di tre commissari dopo essere stato sciolto per infiltrazioni camorriste.
Va da sè che i rifiuti sono un affare per tutti, tranne gli abitanti. In una provincia che dopo esser stata avvelenata dai peggiori veleni portati dal Nord ha visto salire la raccolta differenziata al 40% con comuni che arrivano come Sessa Aurunca al 70%, Castel Volturno arranca in coda al 9%.
La peggiore in assoluto dopo Casal di Principe dei Casalesi.
Risultato: buttare in discarica l’immondizia dei 24mila residenti della cittadina è costato nel 2013 poco meno di 10 milioni di euro. Cioè 2 milioni e mezzo in più di quelli spesi in totale da Padova. La quale ha dieci volte più abitanti. Fate voi i conti.
In questo contesto allucinante, l’architetto Antonio Cècoro, figlio della titolare del Lido delle Sirene (Clementina Della Vecchia) e gestore dello stabilimento balneare che conta su 150 metri di spiaggia e arriva a ospitare nei giorni di piena fino a 1.500 bagnanti, si aspettava un premio: ovunque, tra gli ombrelloni, sono sparpagliate piccole «isole ecologiche» con quattro cesti ciascuna e l’immondizia viene poi controllata e ripartita in quattro enormi contenitori gestiti da un addetto appositamente pagato.
Così che praticamente tutto viene consegnato per il riciclo a una ditta specializzata, la Sri, società recupero imballaggi.
La stessa che tre anni fa, nel pieno dell’emergenza rifiuti, quando le foto con le montagne di immondizia campeggiavano sulle prime pagine dei giornali internazionali, denunciava che gli mancavano materiali da lavorare perchè, cose da pazzi, finiva tutto in discarica.
Non bastasse l’esperienza personale, l’architetto Cècoro, presidente regionale dell’Assobalneari-Confapi e del Distretto turistico Litorale Domitio, era riuscito a convincere via via molti colleghi, stufi di aspettare le iniziative pubbliche in ritardo di decenni (pensate che tutti i comuni dovrebbero stare oggi al 65%!) a farsi la differenziata in casa.
Anzi, per smaltire in modo corretto anche l’«umido», aveva speso un sacco di soldi per comprare in Gran Bretagna, d’appoggio a quella tradizionale, una compostiera elettronica: «Il compost lo usiamo tutto noi stessi, nei giardini e nelle aiuole».
A quel punto, per legge, lui e gli altri promotori della «differenziata» autonoma avevano diritto a un forte abbattimento della tassa sui rifiuti.
Dice infatti il comma 10 dell’articolo 238 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152: «Alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi».
Il solito linguaggio insopportabilmente burocratese, ma in ogni caso è tutto chiaro: meno rifiuti porta via il Comune, meno tasse sui rifiuti si devono pagare. Macchè.
Come ha scritto sul Corriere del Mezzogiorno Eleonora Puntillo, il municipio di Castel Volturno non vuol sentire ragioni.
E invece che mandare una torta con i complimenti ad Antonio Cècoro e sua madre Clementina, continua a mandare ai titolari del Lido delle Sirene i bollettini da pagare. «Ma come, se dal 2000 facciamo tutto da soli e non passa un camion della raccolta rifiuti!». Niente da fare. Il Comune insiste.
Indifferente alla realtà dei fatti e alla legge. E soprattutto sordo ai richiami di quei suoi cittadini alle regole fissate dal Parlamento.
Per anni l’architetto e sua madre fanno buon viso a cattivo gioco e pagano, nonostante l’ingiustizia, quanto richiesto. Finchè chiedono all’avvocato Luigi Roma di presentare un ricorso al Tar: è giusto che gli uffici municipali ignorino la legge e non si degnino manco di rispondere? Il Tar dà loro ragione.
E poco prima del Natale 2013 ordina al Comune di applicare la legge e lo condanna a pagare le spese processuali.
Caso chiuso? Macchè!
A metà gennaio il responsabile Ufficio tributi risponde alla sentenza che «l’istanza di esenzione non può e non poteva essere accolta» sulla base del «vigente regolamento per la gestione dei rifiuti urbani approvato con deliberazione del consiglio comunale del 30.11.2005».
Ma come: le regole municipali prevalgono sulla legge italiana e sulle sentenze del Tar?
Il «Sovraordinato responsabile del Servizio ecologia dott. Giuseppe De Rosa», a fine gennaio, conferma: «l’intenzione di gestire in proprio il servizio di igiene ambientale- utenza non domestica (…) sostanzia, di fatto, una forma di contestazione al criterio di tassazione fissato dal competente settore Finanziario e Tributario del Comune di Castel Volturno, in base al quale, i titolari di concessioni demaniali marittime per la gestione di strutture turistico ricettive sono obbligati al pagamento della tassa comunale per i rifiuti».
Dunque la legge dello Stato non è in vigore a Castel Volturno? No, risponde il Comune a dispetto della sentenza: il Comune «garantisce quotidianamente il servizio di igiene ambientale» quindi lo stabilimento balneare non ci provi neppure a «procedere in proprio alla gestione del servizio di igiene ambientale».
Sennò? Sennò rischia la «revoca definitiva della Concessione demaniale».
Il caso, adesso, è al centro di un nuovo ricorso al Tribunale amministrativo.
Nel frattempo, per essere dei «bravi cittadini», i nostri dovrebbero ricominciare a buttare la spazzatura, tutta insieme, nei bidoni di quel Comune che nel 2014 non ricicla ancora nulla.
E lancia minacce burocratiche, presumibilmente tra gli applausi dei camorristi, mentre butta tutto in discarica.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 26th, 2013 Riccardo Fucile UN BEL BIGLIETTO DA VISITA PER IL NOSTRO PAESE
«Come in India, peggio che in India. Vicino a Boccea, una mandria di maiali grufola nella monnezza non ritirata da giorni. Ci aggiorniamo per le epidemie: arriveranno!». Così sul blog «Roma fa Schifo» vengono annunciate una serie di foto, inviate da alcuni residenti della zona di Boccea, alla periferia Nord di Roma in pieno agro romano, che immortalano alcuni maiali che frugano tra i rifiuti, in strada durante il giorno di Natale.
ALLA RICERCA DI CIBO
I cassonetti in via Domenico Montagnana sono stracolmi e tra i sacchetti di rifiuti gettati a terra i maiali sono andati alla ricerca di cibo.
«Una squadra di Ama ha già verificato l’accaduto e ha ripristinato la normalità » rassicura l’assessore ai Rifiuti di Roma Capitale, Estella Marino.
«È in corso anche un ulteriore approfondimento sui motivi per cui degli animali d’allevamento fossero in libertà in quella zona: le autorità competenti procederanno con le opportune azioni e provvedimenti». aggiunge.
RACCOLTA A RILENTO
Ma al di là dei maiali, a Roma si segnalano diversi problemi con la raccolta dei rifiuti durante le feste. In quasi tutta la città da piazza Re di Roma all’Eur, dall’Esquilino all’Ostiense i residenti hanno visto cassonetti traboccanti, spesso con sacchi dell’immondizia lasciati in strada.
«La situazione della raccolta dei rifiuti è arrivata a un livello di tale caos che ho pensato di lanciare un concorso sulla mia pagina Facebook per scegliere la foto più raccapricciante. Le invieremo tutte al sindaco Ignazio Marino, unite ai commenti dei cittadini» attacca Sveva Belviso, già vicesindaco nella giunta Alemanno e ora capogruppo Ncd in Campidoglio.
CONSUETUDINE NEGATIVA
Immediata la replica dell’assessore Marino. «Ama ha assicurato lo svolgimento regolare dei turni di raccolta previsti per questi giorni e che, già da oggi, laddove si siano verificati particolari problemi le squadre lavoreranno per ripristinare la situazione ordinaria – assicura – Sappiamo tutti, purtroppo, che la sovrapproduzione di rifiuti dovuta alla concomitanza delle festività natalizie, come ogni anno, può portare a fenomeni di criticità in alcune zone della città . E stiamo lavorando per cambiare questa consuetudine negativa».
LE SCUSE DI AMA
Anche l’Ama, l’azienda comunale che si occupa della raccolta dei rifiuti, ha assicurato che «sono stati rispettati tutti i turni di pulizia, spazzamento e raccolta dei rifiuti previsti per i giorni della vigilia, Natale e Santo Stefano.
Come succede ogni anno, però, la sovrapproduzione di rifiuti fisiologica, dovuta ai cenoni e allo scambio dei doni, ha causato alcuni accumuli di sacchetti vicino i cassonetti in alcune zone della città . Ama, quindi, sta monitorando la situazione e ha già predisposto dei passaggi straordinari dei propri mezzi per consentire il ritorno alla normalità entro 24/48 ore». L’azienda, in ogni caso, «si scusa per i disagi arrecati».
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 31st, 2012 Riccardo Fucile LA DIFFERENZIATA STENTA E LE DISCARICHE SONO PIENE… L’IMMONDIZIA INVADE LE STRADE MENTRE AUMENTANO LE TASSE PER LO SMALTIMENTO
E’ la classica beffa che arriva dopo il danno.
Dal prossimo aprile, come denunciavano nei giorni scorsi Adusbef e Federconsumatori, la tassa sui rifiuti aumenterà del 25% per cento per le utenze familiari con punte anche del 300% per gli esercizi commerciali.
Una stangata che arriva non a fronte di un miglioramento del servizio, ma di un’emergenza continua che colpisce molte città del sud senza risparmiare la stessa capitale.
Se Napoli e Palermo continuano a dibattersi negli ormai purtroppo consueti problemi, questa volta l’epicentro della crisi si è spostato tra Puglia e Calabria.
Disagi molto forti nei giorni scorsi in particolare a Foggia dove in una situazione di storiche carenze si sono aggiunte le minacce della criminalità organizzata.
La giunta cittadina, dopo che le strade nei giorni di festa sono state invase da alte colonne di rifiuti, garantisce di aver risolto con un’azione di raccolta straordinaria e lo sblocco della vertenza che impediva l’assunzione di nuovi addetti, ma secondo gli ambientalisti si tratta solo di una soluzione di breve respiro in quanto i problemi di fondo rimangono: “L’emergenza nel tempo è stata costituita dall’esaurimento della discarica poi dal fallimento dell’azienda Amica oggi come l’anno scorso dalla raccolta dei rifiuti in città – denuncia Legambiente – Tutto questo lascia pensare ad una vera e propria strategia per far passare quello che non era lecito: allargamento delle discariche e loro funzionamenti in deroga”.
Situazione molto pesante anche a Reggio Calabria, Catanzaro e Lamezia Terme dove nei giorni scorsi le strade sono state sommerse dall’immondizia per la difficoltà delle vecchie discariche di Alli, Pianopoli e della stessa Lamezia Terme ad assorbire i rifiuti prodotti.
Della vicenda si sta occupando ora il Commissario regionale per l’emergenza che ha garantito un rapido ritorno alla normalità nel giro di pochi giorni attraverso “soluzioni di continuità per cercare di dare risposte concrete ad una serie di problematiche che di fatto hanno mandato in tilt quasi l’intero sistema di conferimento dei rifiuti”.
Emergenza nell’emergenza poi a Reggio Calabria, dove lo stesso comune è comissariato per mafia e i dipendenti delle società che si occupano della raccolta sono da tempo senza stipendio, con il risultato che la città , dove la differenziata non funziona, è piena di rifiuti.
Così come le vie di molti municipi della Piana di Gioia Tauro i cui sindaci hanno manifestato ieri davanti al temovalorizzatore di contrada Cicerna.
Non degenera ancora, ma è sempre sul limite di esplodere, la gestione dei rifiuti a Roma.
Nella capitale si va avanti a colpi di deroghe dopo che la gara per esportare l’immondizia all’estero è andata deserta.
L’ultima proroga per continuare a stipare all’inversomile al discarica di Malagrotta è stata concessa dal commissario Goffredo Sottile giovedì scorso, contestualmente alla scelta di Monti Dell’Ortaccio quale sito per il nuovo impianto di conferimento.
Scelta che ha scontentato non solo gli abitanti delle due zona (Malagrotta come Monti dell’Ortaccio), subito scesi in strada per potestare, ma anche il sindaco Alemanno e gli ambientalisti, solitamente schierati su fronti opposti.
Soluzioni tampone varate sempre nella logica dell’emergenza che non serviranno a risolvere in maniera radicale il problema.
Oltre ai disagi sociali, i rischi sanitari, i prezzi elevatissimi della Tarsu, alla voce “costi dei rifiuti” si rischia di dover presto aggiungere anche le salatissime multe che l’Unione Europea si accinge a farci pagare per la nostra incapacità di ridurre drasticamente il ricorso alle discariche e di evitare l’apertura di siti illegali. Il conto è di 56 milioni di euro “cash”, più 256 mila al giorno per ogni giorno di funzionamento delle discariche all’indomani di una seconda sentenza di condanna per Roma da parte della Corte di Lussemburgo.
L’unica vera cura sarebbe quella di spingere al massimo sulla differenziata.
Se a Roma si va avanti con il fallimento delle soluzioni spot, pensate per fini propagandistici ma senza vere ambizioni di successo, qualche raggio di sole arriva da Acerra e Bari.
Il comune campano simbolo dell’emergenza rifiuti è riuscito sorprendentemente a toccare quota 62%, con un incremento annuale del 52%.
Nel capoluogo pugliese, è notizia di ieri, gli albergatori hanno ottenuto invece uno sconto del 60 per cento sulle cartelle della Tarsu grazie a delle cifre record di raccolta differenziata da record: 65 per cento per le strutture con ristorante e 60 per cento per quelle senza.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 12th, 2012 Riccardo Fucile “DAI CASALESI VELENI FINO AL 2080”
Terra avvelenata. 
La contaminazione a rischio cancro durerà almeno fino al 2080.
Tra Giugliano, provincia Nord di Napoli, e le campagne del Casertano, nell’arco di vent’anni sono colate nel terreno 58mila tonnellate di percolato.
Veleni che hanno spaccato lo strato di tufo, unica protezione naturale delle falde acquifere ora cariche di sostanze tossiche che finiscono nei pozzi d’acqua potabile. Rischio per la salute umana e animale.
Pericoli che vengono dall’acqua e dalle coltivazioni. Disastro ambientale. Disastro doloso, perchè sapevano quel che facevano i protagonisti del traffico di rifiuti.
Un giro milionario ideato dal boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, ma che coinvolge l’ex subcommissario straordinario ai rifiuti per la Regione Campania degli anni del governatore Bassolino, Giulio Facchi (2000-2006), ora indagato per lo stesso reato.
Un grande affare per una ricetta semplice: trasferire e smaltire illegalmente i rifiuti dal Nord Italia.
È il copione di Gomorra, ma nella realtà non è come nel film di Matteo Garrone.
Non ci sono camorristi pieni di rimorsi perchè con il traffico di rifiuti stanno avvelenando la terra in cui sono nati.
Nella realtà c’è solo il grande affare con il Nord.
In testa all’elenco delle aziende che spediscono i rifiuti in Campania c’è la malfamata Acna di Cengio, azienda chimica protagonista di gravi episodi di inquinamento ambientale fino alla chiusura nel 1999.
Ed è indagato un nipote di Bidognetti, Gaetano Cerci, considerato in altre vicende l’ambasciatore dei Casalesi presso il Gran Maestro della Loggia P2 Licio Gelli.
Terra irrecuperabile, secondo la Direzione distrettuale Antimafia napoletana, che notifica una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per il boss a conclusione delle indagini della Dia di Maurizio Vallone.
Ci sono nuovi dati sul danno provocato all’ambiente proprio mentre è in corso davanti al gup, con giudizio abbreviato, il processo a Bidognetti per avvelenamento della falda acquifera.
Primi anni Novanta: il boss fonda la società Ecologia ’89.
È il canale ufficiale dello smaltimento illecito “trans regionale” dei rifiuti.
Dalle produzioni industriali del Nord alle campagne del Sud, per venire interrati senza rispetto dell’ambiente e delle normative.
Le aree destinate a diventare discariche sono gestite dalla Resit spa, l’affare è gestito da Gaetano Cerci e dall’imprenditore Cipriano Chianese.
È lui ad avere il canale aperto con Giulio Facchi, a ottenere autorizzazioni che la Procura di Federico Cafiero de Raho definisce «illecite o abnormi». Realizza quattro discariche a Giugliano, ottiene rimborsi non dovuti per la stessa Resit. Intanto centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti del Nord convogliano sulla Campania.
Gli esperti della Procura fanno i conti e le cifre sono da capogiro.
Nel ventennio sotto inchiesta vengono smaltiti tra Giugliano e il Casertano 807 mila tonnellate di rifiuti a fronte delle 99 mila previste dalle autorizzazioni (abnormi) del subcommissario.
Nel sottosuolo finiscono 58 mila tonnellate di percolato.
E i rifiuti tossici dell’Acna scivolano giù fino a venti metri sotto il piano della campagna. Il picco della contaminazione e dell’avvelenamento della falda acquifera, per gli esperti consulenti della Procura, non è stato ancora raggiunto sulla vasta area di campagna che non è mai stata bonificata.
Quel picco arriverà nel 2064. «Un avvelenamento – scrivono gli inquirenti – di una imponente falda acquifera, disastro dipanatosi in una spirale con esposizione al pericolo per la salute dei minori, le persone maggiormente esposte a subire interamente un danno in relazione alla potenziale assunzione di sostanze cancerogene».
Irene de Arcangelis
(da “La Repubblica“)
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Novembre 22nd, 2012 Riccardo Fucile IN GERMANIA FINISCE SOTTOTERRA SOLO IL 3% DEI RIFIUTI, IN ITALIA IL 50%
Ultimi per crescita economica, occupazione e produttività , ci presentiamo in Europa con un
avvilente primato: quello dell’export dei rifiuti.
Da anni Napoli e la Campania spediscono la spazzatura ai termovalorizzatori sparsi per il continente.
La più recente destinazione conosciuta è l’Olanda, che si offre di bruciarla al modico prezzo di 150 euro la tonnellata.
E adesso tocca persino all’immondizia di Roma finire sul mercato.
L’azienda municipalizzata del Comune ha indetto una gara europea per lo smaltimento di 1.200 tonnellate al giorno: andranno a chi pretenderà la cifra più bassa per trasformarle in energia elettrica.
Da tre anni non si riesce a individuare il sito, dicono provvisorio, per i rifiuti che l’ormai satura discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, non può più accogliere.
Così il Campidoglio si è arreso: la raccolta differenziata è stimata al 25 per cento, 40 punti in meno rispetto al valore da raggiungere in base alle norme europee entro dicembre, e mancano gli inceneritori
A Parma, invece, l’impianto verrà completato ma non brucerà i rifiuti della città . A
l massimo quelli degli altri Comuni del circondario.
Il sindaco Federico Pizzarotti, del Movimento 5 Stelle, non può bloccare l’inceneritore, visto che la competenza è della Provincia, ma intende tener fede alla promessa elettorale. Sarà dunque per paradosso esportata anche la spazzatura dei parmigiani, magari insieme a quella della Valle D’Aosta che con un referendum votato dal 94 per cento dei cittadini domenica ha detto no al «pirogassificatore»?
Nessun altro Paese d’Europa ha una situazione come la nostra.
In Germania finisce sotto terra meno del 3 per cento dei rifiuti urbani.
In Italia oltre il 50 per cento, e poco importa che entro il 2020 le discariche (come pure gli inceneritori) dovranno essere bandite.
Il territorio nazionale ne è disseminato, con devastazioni ambientali inimmaginabili e rischi gravissimi per la salute.
Secondo i magistrati siciliani la discarica di Bellolampo, in cui per anni è stata sversata la spazzatura di Palermo, avrebbe inquinato le falde acquifere nei pressi della quinta città italiana nella più completa indifferenza degli amministratori.
Storie purtroppo tragicamente normali per questa Italia, incapace di affrontare e gestire anche problemi apparentemente semplici per qualunque Paese civile.
Un’Italia dove i livelli decisionali sono troppi, confusi e perennemente in lotta tra di loro. Dove tutto diventa sempre emergenza, generando spinte emotive che la politica, prigioniera di veti incrociati che paralizzano ogni scelta, non è in grado di governare.
E dove quindi cose altrove normalmente realizzabili si rivelano missioni impossibili.
La mediocrità della classe dirigente è insieme causa e conseguenza di questo stato di cose. Il ministro Corrado Passera ha parlato di una situazione causata a Roma da «anni e anni di non azione», durante i quali era molto più facile, e sul momento anche meno costoso, gettare i sacchetti dell’immondizia in discarica anzichè affrontare seriamente il problema. Di volta in volta passando il cerino acceso ai successori.
Bel modo di amministrare.
Come è davvero una bella figura quella che ora facciamo davanti a tutto il continente chiedendo se qualcuno ci può aiutare a smaltire l’immondizia della capitale.
Pensate un po’, proprio nel bel mezzo della «Settimana europea della riduzione dei rifiuti», una campagna sostenuta da Bruxelles per sensibilizzare al problema i cittadini dei 27 Paesi dell’Unione.
Che tempismo…
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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