Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
I GRILLINI DURI E PURI AVEVANO L’ALTERNATIVA DI NICOLA MORRA (CHE HA OTTENUTO 5MILA VOTI)… MOLTI, COMPRESO LO STESSO GRILLO, SI SONO ASTENUTI. ALLA FINE IL MOVIMENTO DI CONTE RAGGIUNGE A FATICA IL 4,6%: 2 PUNTI IN MENO DI AVS. IL PD VALE SEI VOLTE DI PIÙ
Il peso della sconfitta in Liguria è sulle spalle di Giuseppe Conte. Il Movimento 5 stelle dimezza i suoi voti rispetto alle elezioni europee, quando aveva preso il 10%, mentre in queste Regionali resta sotto al 5%.
E lo fa dopo che l’ex premier ha imposto alla coalizione di centrosinistra la sua linea del “no a Renzi”, ottenendo l’esclusione dalla squadra del simbolo e dei candidati di Italia Viva. Quindi, ha preteso di rinunciare ai voti dei renziani, ritenendoli marginali, ma poi non è stato in grado di garantire i suoi.
Il Movimento va malissimo nella regione in cui ha radici profonde, quella dove risiede Beppe Grillo, che durante la campagna elettorale si è fatto vedere insieme a Marco Bucci e che, tra ieri e oggi, non ha trovato il tempo di andare a votare per Andrea Orlando.
Grillo che, nel suo ultimo video pubblicato sabato sul blog, a poche ore dall’apertura dei seggi, ha criticato aspramente la scelta dei candidati in Liguria: “Chi li ha votati? Sono stati catapultati dall’alto, i soliti giochi della vecchia politica – le sue parole – Questa non è democrazia dal basso, ma bassa democrazia”.
Un attacco inserito in un discorso più ampio, in cui il garante ha chiesto l’“estinzione” del Movimento, ritenendolo “evaporato”. Non proprio il modo migliore per motivare gli elettori pentastellati e, in particolare, quelli più squisitamente grillini. Ai quali, d’altra parte, era stato offerto un altro candidato da poter votare, cioè Nicola Morra, ex parlamentare M5s
Risultato: Morra ha sfiorato l’1% e preso quasi cinquemila voti, che, almeno in parte, sarebbero finiti al Movimento e ad Orlando. Decisivi per l’esito delle elezioni liguri, tanto quanto gli astenuti, che hanno preferito restare a casa piuttosto che votare di nuovo per i 5 stelle. Così si è consumata la vendetta di Grillo su Conte, che esce a pezzi dalla partita ligure, guardato malissimo dai dem e sbeffeggiato dai renziani.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
SFIDA APERTA IN UMBRIA, NETTAMENTE IN TESTA IL CENTROSINISTRA IN EMILIA-ROMAGNA
La sfida si ripeterà. Con modalità simili, ma contesti completamente diversi. La tornata di elezioni regionali si è aperta in Liguria ma vedrà una prossima – doppia – tappa il 17 e 18 novembre, quando saranno chiamati a votare i cittadini di Emilia-Romagna e Umbria. Due sfide molto diverse da quelle della Liguria, dove si è trattato di elezioni anticipate. In Emilia-Romagna si elegge il successore di Stefano Bonaccini (Pd), in Umbria il centrosinistra lancia la sfida alla presidente uscente, Donatella Tesei.
Il centrosinistra tornerà in campo con una formazione leggermente diversa rispetto a quella della Liguria: gli esponenti di Italia Viva saranno presenti in liste civiche a sostegno dei candidati del campo largo. A cambiare sarà poi anche il contesto al di fuori delle regioni. A novembre saremo nel pieno della discussione sulla manovra in Parlamento, ma anche della formazione della nuova Commissione europea, con le audizioni di conferma dei commissari (tra cui l’italiano Raffaelle Fitto) già avvenute. E poi ci saranno anche i risultati delle elezioni statunitensi. Tutti elementi esterni che spesso hanno poco a che fare con le elezioni regionali, ma che potrebbero avere comunque un peso.
Ma cosa dobbiamo aspettarci da questi due voti? A darci una mano ci sono alcuni sondaggi, partendo da quelli sull’Umbria. Secondo una recente rilevazione di Bidimedia per Perugia e Terni Today l’uscente del centrodestra, Donatella Tesei, sarebbe avanti con il 48,2%, con Stefania Proietti (centrosinistra) al 47,7%. Tra i partiti primo sarebbe Fratelli d’Italia con il 26,7%, secondo il Pd al 25,3%. Un altro sondaggio di TechnoConsumer per il Corriere dell’Umbria conferma questo trend: Tesei tra il 42,3% e il 47,3% e Proietti tra il 40,7% e il 45,7%.
Più definita la sfida in Emilia-Romagna, stando al sondaggio di Bidimedia per Citynews: Michele De Pascale, del centrosinistra, si attesta al 55,9%. Più indietro la candidata del centrodestra Elena Ugolini al 42,5%. Per quanto riguarda le liste, il Pd si attesta al 35,7% contro il 24,7% di Fratelli d’Italia. Questi dati vengono confermati da un sondaggio di inizio settembre realizzato da Quorum YouTrend per il Pd, secondo il quale De Pascale sarebbe al 56,6% e Ugolini al 43,2%. Qui il vantaggio sembra quindi netto. Ma fino al 17 novembre c’è ancora tempo, tanto in Umbria quanto in Emilia-Romagna.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
IL PARTITO CROLLA IN 4 MESI E ORA SI TEME PER IL CAPOLUOGO
Alle 21, Giorgia Meloni fa le congratulazioni al vincitore e aggiunge: “I cittadini danno fiducia al centrodestra unito”. A Palazzo Chigi c’è aria di festa: la vittoria di Marco Bucci in Regione Liguria viene considerata un merito personale della premier che ha voluto fortemente e convinto il sindaco di Genova a candidarsi. Tanto più che l’arresto di Giovanni Toti aveva fatto pensare a una vittoria scontata del centrosinistra. Non è un caso che il primo a commentare sia Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia: “La sinistra ha sbandierato il 3 a 0 e la crisi del governo Meloni mentre il campo largo si è schiantato contro la realtà”.
Adesso la partita politica si sposta nelle altre due Regioni al voto a novembre: l’Emilia-Romagna viene considerata persa e anche l’Umbria della leghista Donatella Tesei non è facile da mantenere. A ogni modo, spiegano fonti di Fratelli d’Italia, la vittoria in Liguria permetterà al centrodestra di aver evitato la sconfitta alle Regionali. Anche se il conteggio finale fosse 2-1 per il centrosinistra.
Un voto che però si porta dietro anche delle ombre per il partito di Meloni. In primis, il voto di lista: se gli alleati di Lega (8,5%) e Forza Italia (8,4%) reggono rispetto alle elezioni di giugno, a crollare è la lista di Fratelli d’Italia che ottiene il 14,8% rispetto al 26,8% delle Europee. In termini assoluti significa circa 100 mila voti persi in 4 mesi, da 167 mila del 9 giugno scorso ai 74 mila di ieri.
I vertici di Fratelli d’Italia fanno sapere che il calo si spiegherebbe col fatto che alle Regionali, rispetto alle Europee, sono state le liste civiche a portare via voti al partito di Meloni. Nello specifico quella legata a Bucci che ha ottenuto il 9,3% dei voti, 48 mila. In realtà 100 mila voti persi sono troppi per essere compensati con i voti delle civiche (ne mancherebbero in assoluto 25 mila), ma soprattutto non è scontato che i consensi alle liste civiche per Bucci provengano automaticamente da Fratelli d’Italia.
L’altro timore, che circola nei piani alti del governo, riguarda le elezioni amministrative a Genova: la scelta di Bucci è stata azzeccata ma il vantaggio di Orlando rischia di portare a una sconfitta tra tre mesi, quando si voterà per il capoluogo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
SEQUESTRATO UN PATRIMONIO AZIENDALE PER UN VALORE DI OLTRE 27 MILIONI DI EURO… SONO I PRENDITORI CHE PIACCIONO AI SOVRANISTI
Pagava i propri dipendenti 4 euro all’ora a fronte di una prestazione di oltre 50 ore alla settimana, sottraeva una parte della paga, limitava il godimento delle ferie ed in caso di infortunio sul lavoro lo faceva passare come infortunio domestico. Per tale ragione un imprenditore titolare di cinque supermercati a Montepaone, Soverato e Chiaravalle Centrale, insieme ad altre due persone, è stato arrestato dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro che hanno anche sequestrato 6 attività commerciali con un patrimonio aziendale per un valore di oltre 27 milioni di euro.
I finanzieri, in esecuzione di un’ordinanza del gip su richiesta della Procura di Catanzaro, hanno anche arrestato e posto ai domiciliari un consulente del lavoro e una responsabile amministrativa dell’azienda mentre per due responsabili dei punti vendita è stata disposta la misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza. I cinque sono indagati per associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro, alle estorsioni e ai reati di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Le società di capitali che gestivano le attività commerciali sono state affidate ad amministratori giudiziari nominati con lo stesso provvedimento.
I provvedimenti cautelari scaturiscono dall’attività svolta dal Gruppo investigazione criminalità organizzata del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Catanzaro che si è articolata in attività di intercettazione e di perquisizioni.
Dalle indagini sarebbe emerso che i cinque indagati, sotto le direttive del titolare delle imprese ed approfittando della condizione di necessità e vulnerabilità derivante da precarietà economica, avevano imposto condizioni di lavoro degradanti e pericolose sul luogo di lavoro ad oltre 60 dipendenti, violando sistematicamente la normativa sull’orario di lavoro e corrispondendo una retribuzione palesemente inadeguata o comunque insufficiente rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto (4,00 euro all’ora, a fronte di una prestazione di attività lavorativa di oltre 50 ore a settimana) o sottraendo parte della retribuzione (con restituzione in contanti). Inoltre ai dipendenti sarebbe stato limitato il godimento dei giorni di riposo settimanale e delle ferie annuali, garantiti dalla legge, con sole due settimane di ferie all’anno e sarebbero stati costretti ad operare in ambienti che non rispettavano le norme di sicurezza.
I cinque, secondo l’accusa, inoltre, non avrebbero dichiarando gli infortuni sul lavoro come tali, ma indicandoli come incidente domestico, impedendo così di ottenere le necessarie tutele previdenziali e risarcitorie previste dalla legge. Il consulente del lavoro e la responsabile amministrativa, che coadiuvavano attivamente l’imprenditore, secondo gli investigatori avevano il compito, rispettivamente, di redigere contratti di lavoro apparentemente part-time e false buste paga non riportanti le reali ore lavorate e di occuparsi della gestione contabile delle attività, collaborando nella redazione dei contratti di lavoro;
i responsabili dei punti vendita erano delegati al controllo dei dipendenti, cui chiedevano l’effettuazione di turni massacranti negando la possibilità di usufruire di parte delle ferie cui avevano diritto. Inoltre, in occasione della verificazione di infortuni sul lavoro, accompagnavano i lavoratori in ospedale per costringerli a rendere dichiarazioni false in merito alla dinamica dell’incidente
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
UNA POLIZIA SPECIALE CONTRO LE RPESE PER IL CULO DEI POLITICI?
Da quando Lollobrigida è uscito dalle grazie di Giorgia e Arianna, e quindi dalle sorti della Nazione, siamo in cerca di un degno sostituto. Forse l’abbiamo trovato: Federico Mollicone, “deputato di Fratelli d’Italia, comunicatore, quasi filosofo, creativo”, almeno stando alla biografia che s’è scritto da solo su X. Ieri, di colpo famoso perché secondo alcuni è stato lui ad alimentare il tirassegno contro Giuli (ha pure baccagliato con Arianna), ha dato un’intervista a Repubblica (come a dire: io non c’entro). Innanzitutto ha redarguito duramente Report e i media che fanno “character assassination, una tecnica giornalistica per distruggere la credibilità dei politici”, come se non ci riuscissero benissimo da soli, come se a Sangiuliano la “influencer del wedding” gliel’avesse fatta conoscere Report. Poi biasima il fatto che “il giornalismo parlamentare è diventato giornalismo satirico, sembrano tutti autori di Crozza o del Bagaglino”. Povere stelle. Hanno la fiamma nel simbolo, le aquile tatuate e i busti di Mussolini, e gli fanno paura gli sfottò da Bagaglino? No, è che “ormai lo sport preferito sui giornali è prendere per i fondelli Tizio e Caio, con toni diffamatori e derisori. Una cosa a cui bisogna porre rimedio”. Mollicone non dice come intende farlo: un decreto che introduca il reato di perculamento di parlamentare? Ci fa arrestare? Più avanti Molly (che ha solo il diploma di liceo linguistico ergo è presidente della Commissione Cultura) ci fa volare: “Quando si parla di un deputato o di un senatore, tutelati dall’art 68 della Costituzione, si devono usare toni rispettosi”.
Per chi non lo sapesse: l’art. 68 dice che i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni e che occorre l’autorizzazione della Camera per arrestarli, perquisirli o intercettarli. Come fa a leggerci un diritto del parlamentare a non essere preso in giro, lo sa solo lui.
Prima che istituiscano la polizia speciale contro le prese per il culo di onorevoli e senatori: Mollicone è colui che montò tutta una polemica no-gender contro Peppa Pig perché in una puntata compariva una famiglia di orsi gay. Rischi dell’esser filosofi, o quasi (in caso ci appelliamo all’art. 21, che almeno c’entra qualcosa).
(da La Repubblica)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
L’INSOFFERENZA DELLO ZOCCOLO DURO E PURO DI FDI VERSO I GIULI, I CROSETTO, I FITTO È UNA SOMMOSSA SCOMPOSTA CHE SI MUOVE TRA LE CHAT E LE STANZE DÌ MONTECITORIO E GENERA ATTRITI E CASI ISTITUZIONALI
Governare logora. Vale per tutti e ancor di più per Giorgia Meloni che ha sempre indicato un orizzonte di legislatura.
Quando è esploso il caso Sangiuliano, Meloni aveva due strade davanti a sé: quella che ha preso, e cioè la sostituzione del singolo ministro dimissionario; oppure un rimpasto più rischioso sul piano degli equilibri politici, ma che le avrebbe permesso di rivedere molte caselle soprattutto legate al suo partito.
La sostituzione di Gennaro Sangiuliano non ha risolto tutti i problemi del ministero della Cultura, ma non si può nemmeno passare il tempo a crocifiggere il neo nominato Alessandro Giuli. Un ministro ha il dovere di scegliersi i collaboratori diretti che ritiene migliori al di là delle appartenenze politiche.
Poteva esserci forse maggior cautela sul profilo del capo di gabinetto, ma questo non giustifica la reazione sguaiata di Fratelli d’Italia che ha concorso alle dimissioni di Francesco Spano e agli attacchi a Giuli.
Nel partito dovrebbero invece domandarsi perché al ministero della Cultura la presidente del Consiglio abbia scelto per due volte personalità esterne a Fratelli d’Italia e rispondersi che la premier evidentemente non ritiene nessuno dei suoi parlamentari all’altezza del ruolo.
È un caso che si aggiunge ai già numerosi imbarazzi che Fratelli d’Italia crea a Meloni. Freddezza tra partito e ministro sembra esserci, e non da oggi, anche nel caso della Difesa. Ma Guido Crosetto, che non ha probabilmente nella diplomazia la sua miglior qualità, resta comunque uno pedina molto importante per i rapporti internazionali ed economici e nella trasformazione di un settore che è centrale per il futuro della politica estera.
Importante è anche il posto che a breve lascerà Raffaele Fitto, dominus del Pnrr, su cui non c’è certezza di futuro. Si ipotizza una divisione dei compiti, ma può un ruolo così delicato che riguarda la fase finale dell’attuazione del Piano rimanere senza leadership?
È uno scenario che mostra una mancanza assoluta di risorse nel partito della presidente del Consiglio. Si è detto spesso che Meloni viva nella paura di complotti e congiure, presunte macchinazioni ordite principalmente dalla magistratura e dall’alta dirigenza pubblica. Un meccanismo che la porta a non fidarsi di nessuno e a fare della parentela il veicolo principale della fiducia.
Ma la realtà è ben più grave di qualche paranoia complottista: i primi di cui non sembra fidarsi affatto la presidente del Consiglio sono gli uomini del suo partito, quella “generazione Atreju” che non è stata promossa ai ranghi superiori del governo e che oggi fatica a restare al suo posto tra chat convulse, attacchi a ministri non allineati, gaffe tollerabili forse quando il partito era all’opposizione con 5 per cento e non al governo con il 30 per cento dei consensi.
E quello a cui si è assistito nelle ultime settimane non è soltanto una forma di pressappochismo politico ma una lotta di potere interna a Fratelli d’Italia che Meloni è costretta a gestire. Un pezzo dei parlamentari di Fratelli d’Italia è evidentemente maldisposta, dopo due anni di governo, a recitare soltanto il ruolo di peones.
La generazione Atreju si vede scavalcata, nelle poltrone che contano al governo, da giornalisti, tecnici, uomini della stagione berlusconiana, ex colonnelli finiani. E questo stato di cose inizia a stare stretto a un partito, una comunità chiusa ancora nella sua identità, che vorrebbe invece entrare nelle stanze che contano. Da qui l’insofferenza verso i Giuli, i Crosetto, i Mantovano.
È per ora una sommossa scomposta che si muove tra WhatsApp e le stanze dì Montecitorio, che non ha un regista all’altezza in grado di incalzare la premier, ma che genera attriti e casi istituzionali. Nei prossimi mesi Meloni dovrà cercare di gestire questa dinamica, di frenare l’assalto alla diligenza dei suoi parlamentari. Difendere con decisione gli attuali ministri, per quanto anche essi non privi di debolezze, diviene fondamentale per evitare faide interne su cui il governo può farsi male.
(da Domani)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
LE SITUAZIONI PEGGIORI SI REGISTRANO OVVIAMENTE IN QUEL SUD ITALIA ABBANDONATO A SE STESSO: IN SICILIA, CAMPANIA E CALABRIA OLTRE IL 35% DELLA POPOLAZIONE È A RISCHIO POVERTÀ CONTRO UNA MEDIA EUROPEA DEL 21.4% – NELLA CLASSIFICA DI EUROSTAT IL NOSTRO PAESE È DAVANTI SOLO A BULGARIA E ROMANIA
La povertà in Italia non solo è al suo massimo storico: 5,7 milioni di persone, di cui 1,3 milioni di minori. Ma persiste tra le generazioni. Si eredita, meglio e più dei patrimoni. Il riscatto sociale non si innesca dalle nostre parti.
Tante le cause. L’abbandono precoce degli studi. Il lavoro intermittente, mal retribuito, in settori a basso valore aggiunto come servizi e commercio. La nascita di uno o più figli. L’affitto di casa. La nazionalità straniera.
Lo racconta, da anni, Istat. Lo testimonia ogni giorno la Caritas. Lo ripete anche Eurostat che colloca l’Italia terza dopo Bulgaria e Romania tra i Paesi Ue che registrano adulti tra 25 e 59 anni nel bisogno come quando avevano 14 anni: il 20% nella media Ue, il 48% a Sofia, il 42% a Bucarest, il 34% a Roma dal 31% del pre-Covid. Poveri da bambini e ragazzi. Poveri da grandi, come genitori o coppie.
I numeri, relativi al 2023, non devono sorprendere. Specie se messi a specchio con gli altri, sempre di Eurostat, sull’Italia ultima per occupazione di diplomati e laureati (67 contro 83%), i più protetti dal rischio povertà. Se fanno fatica loro, figuriamoci i meno istruiti.
Non a caso il 72% dei beneficiari del vecchio Reddito di cittadinanza non aveva neanche il diploma di scuola media. Tantissimi senza quello delle elementari. Il basso o assente titolo di studio e la nascita di un figlio sono tra le principali cause di povertà. Il governo di destra non se ne preoccupa.
Ha abolito il Reddito, sostituendolo con l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro. Le famiglie coperte sono state dimezzate a neanche 700 mila. Escluse quelle in affitto e quanti, per età, sono sulla carta “occupabili” perché sotto i 60 anni. La social card da mezzo miliardo del ministro Francesco Lollobrigida manca il bersaglio. Perché va a famiglie non poverissime, con Isee doppio rispetto a quelle el Reddito e dell’Assegno di inclusione.
Il 34% dei poveri adulti italiani lo erano anche da adolescenti, dunque. Solo il 14,4% ha peggiorato la propria condizione, dopo un’infanzia tranquilla. In Spagna queste due percentuali sono 23 e 16,6. Peggio in Grecia (26 e 15). Solo in Danimarca si equivalgono, anzi i poveri solo da adulti sono poco sopra agli altri.
In Francia siamo a 14,4 e 12,4: la forchetta stretta racconta una dinamica più naturale nella trasmissibilità della povertà che ha quasi una stessa probabilità di derivare dal disagio o meno della famiglia di origine. Quello che non succede all’Italia, con ben venti punti di distanza, contro otto della media Ue (20 e 12,4%). Una divaricazione che parla di disagio profondo.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
I PAESI DELL’UE SONO RESPONSABILI DI UN TERZO DEL MANCATO GETTITO FISCALE
L’Europa è il “paradiso dei paradisi fiscali“. Svizzera, Olanda, isola di Jersey, Irlanda e Lussemburgo sono infatti tra i primi dieci Paesi al mondo “amici” di multinazionali, grandi imprese, ricchi professionisti, affaristi e malavitosi che vogliono evadere il fisco. Lo riporta FiscoEquo in un articolo a firma di Luciano Cerasa. I paesi dell’Unione europea sono responsabili di un terzo del mancato gettito fiscale.
La situazione, rispetto al 2021, è peggiorata “grazie”, si fa per dire, all’Irlanda che è entrata nella top ten dei paradisi fiscali. Lo Stato, già considerato un “paradiso” non ha infatti cambiato le proprie leggi anti-abuso fiscale, motivo per cui è rimasto indietro rispetto ad altri paesi.
In testa alla classifica mondiale restano le Isole vergini britanniche, seguite poi dalle Isole Cayman e da Bermuda al terzo posto. Già al quarto troviamo poi uno stato europeo, la Svizzera, seguito da Singapore, Hong Kong, Olanda e Jersey. La new entry Irlanda è al nono posto, mentre il Lussemburgo al decimo. E l’Italia? Il Belpaese si trova alla 29ma posizione della classifica su 70 Paesi che offrono agevolazioni fiscali a non residenti, preceduta da Panama e seguita da Curaçao.
Il nuovo Corporate tax haven index, tramite il quale è possibile stilare la classifica, è stato compilato dall’organizzazione non governativa Tax justice network, che da anni monitora le giurisdizioni fiscali di tutto il mondo e ne valuta gli effetti sull’economia. Secondo gli esperti dell’organizzazione, due terzi delle violazioni fiscali che vengono realizzati ogni anno nel mondo sono commessi da multinazionali che trasferiscono i loro profitti all’estero.
Secondo lo studio di Tax justice network attraverso i primi dieci paesi della classifica transita il 44,6% degli investimenti esteri diretti effettuati dalle multinazionali nei 70 Stati monitorati. Si tratta di fondi “fantasma” che transitano senza lasciare impronte nei conti degli Stati di provenienza e di destinazione. Tax justice network ha calcolato che le 70 giurisdizioni considerate nel Corporate tax haven index rappresentano l’86,67% di tutti gli investimenti diretti esteri globali. Gli Stati Uniti hanno la quota più grande con il 13,5%, seguiti dai Paesi Bassi con il 9,6% e dal Lussemburgo con il 7,6%.
I primi tre paesi della classifica, cioè le Isole vergini britanniche, le Cayman e Bermuda restano i peggiori alleati per le casse pubbliche degli altri paesi. I tre paradisi fiscali hanno infatti ottenuto i peggiori punteggi possibili in tutti i 18 indicatori utilizzati.
Le isole vergini britanniche e le Cayman non prevedono imposte sulle imprese mentre Bermuda prevedono una leggera tassa minima che si applica solo alle imprese che fanno parte di una multinazionale con almeno 750 milioni di euro di fatturato consolidato.
(da il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
LO SCANDALO DEI DOSSIERAGGI: SI TRATTA DI TRAFFICI DI INFORMAZIONE GESTITI DA PRIVATI PER SODDISFARE INTERESSI ILLECITI E RICATTI
La parola dossieraggio costella la storia della Prima Repubblica e tutt’ora sappiamo poco su come e quanto ne abbia determinato le vicende. Ma quelli erano dossier costruiti e gestiti da uomini dello Stato con la giustificazione (o l’alibi) della Guerra Fredda.
Il dossieraggio dei tempi nuovi, il dossieraggio della Equalize, dei bancari in apparenza innocui, degli hacker capaci di bucare il ministero della Giustizia o la Tim, non può nemmeno ammantarsi di quel sottile velo di ipocrisia.
Sono traffici di informazioni gestiti da privati per soddisfare interessi di cui abbiamo appena percepito le dimensioni e l’appetito: l’ultima inchiesta ruota intorno a ottocentomila rapporti tratti dalle banche dati delle forze dell’ordine, compresi documenti di interesse per la sicurezza nazionale, compresi leak sulle massime cariche dello Stato.
Dobbiamo per forza immaginare che questa enorme massa di accessi illegali abbia avuto committenti o sia stata comunque giudicata commerciabile perché utilizzabile a fini di ricatto.
E dobbiamo per forza chiederci: come è possibile fare politica, governare ma anche fare opposizione, nell’era dei dossieraggi 2.0?
È una domanda che è stata a lungo elusa. Mentre il mercato delle spiate si sviluppava, cresceva, arruolava ex-poliziotti di prestigio, manovalanza con accesso agli schedari di ogni istituzione della sicurezza, l’attenzione della politica è rimasta fissa (stavolta sì, in modo ossessivo) sulle intercettazioni giudiziarie, la branca più sorvegliata e di sicuro più attentamente regolata delle «intromissioni» nelle nostre esistenze. Lì agisce un potere dello Stato.
Lì ci sono regole, autorizzazioni da dare e avere, persone che ne rispondono, e tuttavia almeno da un paio di decenni è solo di questo che si parla, solo su questo si legifera e si agisce. Il resto, la vasta attività di intelligence privata e senza controllo, o è sfuggita ai radar oppure, ed è l’ipotesi più grave, è stata protetta perché giudicata una risorsa in casi di necessità.
I nomi coinvolti nell’affaire milanese e la loro vasta cerchia di relazioni ci dicono che questa seconda possibilità è concreta. Fornivano un servizio aberrante ma di qualità e interessante per molti. Non solo informazioni vere e segrete ma anche dossier falsi, false chat screditanti, false disavventure giudiziarie all’estero, secondo lo stile più classico di «quelli di prima» che con gli stessi sistemi depistarono gli eventi più tragici della notte della Repubblica.
Ma è proprio il paragone con i vecchi tempi, e la consapevolezza del costo che ha avuto per la nostra vita democratica, a obbligare le classi dirigenti e i partiti a una riflessione. Mezzo secolo dopo gli archivi illegali del Sifar di Francesco De Lorenzo o dell’Ufficio I di Umberto D’Amato, vent’anni dopo i veleni di Pio Pompa, un anno dopo il caso di Pasquale Striano e a pochi giorni da questo nuovo ed enorme affaire Equalize, denunciare genericamente i dossieraggi (magari pensando che prima o poi torneranno utili) non basta più.
Bisogna configurare ogni raccolta dati illegale e ogni costruzione privata di dossier, a qualsiasi titolo eseguita, come un reato di prima classe, un atto potenzialmente eversivo, un modus operandi in conflitto con l’essenza stessa della democrazia oltreché dannoso per singoli che ne sono colpiti, ben oltre le blande e confuse norme dell’attuale codice penale.
Serve, insomma, un collettivo sussulto civico oltre le parti, che troppo spesso hanno agito a corrente alternata sul tema, scandalizzandosi quando colpiva gli amici e minimizzando quando colpiva «gli altri».
Fare politica liberamente, decidere, nominare, criticare o difendere una scelta, sotto la potenziale spada di Damocle dei dossier 2. 0 è impossibile per tutti. Tutti dovrebbero prenderne atto e agire finalmente di conseguenza.
(da La Stampa)
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