Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
PRATICANO LA PEGGIORE POLITICA CONTRO I POVERI, TOLGONO I SOSTEGNI SOCIALI AGLI INDIGENTI, REGALANO CONDONI AGLI EVASORI, SONO AL SERVIZIO DEI POTERI FORTI E DELLE LOBBY, GLORIFICANO UN MILIARDARIO COCAINOMANE, RAPPRESENTANO LA PEGGIORE DESTRA ASOCIALE E HANNO ANCORA IL CORAGGIO DI PARLARE DEL MSI CHE ERA PER LA PARTECIPAZIONE DEGLI OPERAI AGLI UTILI DELLE AZIENDE… MA UN PO’ DI VERGOGNA, MAI?
“Se vogliamo andare avanti, e noi certamente vogliamo guardare avanti cioè al futuro, allora arriverà anche il momento di spegnere la Fiamma”. A fare la proposta il ministro per i Rapporti con il Parlamento ed esponente di Fratelli d’Italia, Luca Ciriani, in un colloquio con il quotidiano Il Foglio. La riflessione sta facendo discutere e non tutti sono d’accordo.
“Anche il mondo finirà prima o poi…” ha risposto con una battuta il presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Rampelli: “Fiamma c’è ed è logico lasciarla lì”
La fiamma tricolore? “Una storia antica che ha vinto, diversamente da altre che sono state sotterrate in pochi decenni” dice all’Adnkronos il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, esponente di spicco di Fratelli d’Italia.
“Quasi il 30 per cento degli italiani – ricorda Rampelli – ha messo una croce sul nostro simbolo, che contiene la fiamma tricolore, non mi pare che i cittadini si pongano questo problema. Anzi, forse ci scelgono anche perché abbiamo la fiamma, bella ma nemmeno troppo originale. In tanti la usano nel proprio logo”.
Fratelli d’Italia, osserva Rampelli, “nasce senza fiamma, poi l’abbiamo recuperata, più per stroncare una congiura di alcuni ex colonnelli di An che volevano sabotarci che per convinzione. Ma ora c’è e penso sia logico lasciarla”, rimarca il padre dei ‘Gabbiani’ di Colle Oppio, secondo il quale “nei contenuti” la fiamma “rappresenta un argine a una visione della società indistinta, eguale, mercatista, anti-identitaria, ordo-liberista, materialista. Si tratta della costola sociale del conservatorismo”.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
“IN UMBRIA SARÒ DECISIVO, SONO IL MISTER WOLF DI GIORGIA. POSSO SPOSTARE ANCHE 12MILA VOTI” (SI E’ FERMATO A POCO MENO DI 7 MILA, AL 2,16%)…. IL BACIAMANO ALLA TESEI E IL VOLTAFACCIA IL GIORNO DOPO LA SCONFITTA: “SONO DI CENTRO. SE COMPAGNIA CANTANTE AVESSE CANDIDATO ME INVECE DI QUELLA LÌ, PROIETTI SAREBBE RIMASTA A LAVARE I PIATTI A ASSISI” – IL RINVIO A GIUDIZIO DALLA PROCURA DI ROMA: L’ACCUSA È DI AVER EVASO 13 MILIONI E 885 MILA EURO
E quel baciamano che fece Bandecchi? Avete ragione: c’è ancora quel baciamano da raccontare bene (gesto simbolico, drammatico, fatale: che, volendo, spiega molto di come e perché il centrodestra abbia perso, qui, in Umbria).
Intanto, però, c’è questa chicca assoluta rimasta sugli appunti della campagna elettorale.
E a raccontarla è lui. Avete presente, Stefano Bandecchi, no? È il sindaco di Terni nato a Livorno 63 anni fa, un capoccione pelato («Ma in Italia di vero e grande capoccione pelato ce n’è stato solo uno… Ah ah ah!») e 114 chili di muscoli (dichiarati) parecchio utili nelle risse in consiglio comunale e quando, davanti alle telecamere, alza un’Ape come fosse una bicicletta. Il video diventa virale. C’è l’impazzimento del web. Era il motivo della telefonata. Però lui va oltre.
«L’altro giorno abbiamo fatto pure di peggio e, forse, un voto me lo sono giocato». Continui. «Esco da un ristorante in compagnia di un amico e… beh, insomma: nel parcheggio vediamo una bella Panda 4×4». E allora? «Sai com’è, anche un po’ per scherzare, decidiamo di sollevarla… si fa, no?»
Di solito, si evita. Però prosegua. «Ci mettiamo là e cominciamo: batadam, batadam… finché non s’apre uno sportello e spunta la testa di una signora, che urla terrorizzata…». Lo credo bene. «Eh… ma noi si voleva solo giocare un po’».
Lui accetta, gongola: «Hanno un tremendo bisogno di me». Cita il mitico personaggio del film Pulp Fiction, di Quentin Tarantino: «Sono il Mister Wolf di Giorgia: sono quello che le risolve i problemi». E garantisce: «In Umbria sarò decisivo come lo è stato Scajola in Liguria. Io posso spostare anche dodicimila voti» (si fermerà a poco meno di 7 mila, al 2,16%).
E così arriviamo a quel baciamano. È lo scorso 5 ottobre: siamo al centro fiere di Bastia Umbra, dove la coalizione di centrodestra apre ufficialmente la corsa elettorale, con la Tesei che promette più scuole, più ospedali, più treni, più tutto, e lui che di colpo, dopo aver dato un’occhiata ai fotografi, le prende la mano e gliela bacia inginocchiandosi con sorprendente agilità; del resto, è un ex paracadutista della Folgore (comincia a diventare un po’ curioso che a certi della Folgore — pensate pure al generale Vannacci — ogni tanto, scatti una molla: e dopo essersi buttati dalla nuvole, sentano di doversi buttare in politica).
Comunque: il problema della Tesei è che il gentiluomo del baciamano, pochi giorni dopo, viene rinviato a giudizio dalla Procura di Roma. L’accusa è di aver evaso 13 milioni e 885 mila euro, somma non versata tra il 2018 e il 2022, come amministratore unico dell’università telematica Unicusano. Perché poi Bandecchi è pure dentro una certa ricchezza, diciamo così. L’ultimo reddito dichiarato prima di diventare sindaco fu di quattro milioni d’euro all’anno. Più una Ferrari e una Rolls Royce in garage, più uno yacht di 55 metri ancorato in località segreta.
Sicura, presidente Tesei, che uno così porti consenso? La Tesei non rispondeva, annusava il pericolo, metteva su un sorriso livido. Lo sapeva anche lei che Bandecchi rischiava di scatenare indignazione, fastidio, e di portare al voto anche chi, nel centrosinistra, non ne avrebbe avuto voglia.
Lui, però, come in una specie di delirio. Crescente. Inarrestabile. Restano frasi come questa: «Comunisti di merda! Mi fate sempre più schifo». Poi, democraticamente: «Io i voti non li elemosino di certo… al massimo li compro o li prendo di prepotenza. Io ho sempre elemosinato solo la f…». Il principe del baciamano.
Che poi era pure fasullo. Proprio il gesto. Non ci credeva nemmeno lui.
Il giorno dopo la sconfitta è il giorno delle macerie, e delle miserie. Umane e politiche. Sapete cosa dice, adesso, Bandecchi? «Se Giorgina e compagnia cantante avessero candidato il sottoscritto invece di quella lì, il centrodestra avrebbe vinto. E la Proietti sarebbe rimasta a lavare i piatti nella sua bella casuccia di Assisi… Intendiamoci: io le porto rispetto, però mi stia alla larga».
Sono parole ruvide. «Ma io sono così: onesto dentro. Dico quello che penso. Come quando ammisi che se fossi vissuto ai tempi di Mussolini, forse sarei stato fascista. E che quel 25 aprile, probabilmente, mi sarei trovato dalla parte sbagliata. Oggi, comunque, sono di centro».
Certo Bandecchi, certo.
(da Corriere della Sera )
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
COME SI FA A SCAMBIARE PER ANTISEMITISMO UNA LEGITTIMA OSSERVAZIONE CRITICA DI FRONTE AL MASSACRO IN CORSO? COME PUÒ TACERE DI FRONTE A 45MILA MORTI?
L’infallibilità papale è un dogma per i cristiani, non lo è per gli ebrei. Ciò nonostante, al pontefice bisognerebbe portare rispetto pur professando una fede diversa.
Le sue parole sulla guerra in Medioriente (“A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”) hanno innescato reazioni scomposte da parte della comunità ebraica.
Edith Bruck, scrittrice sopravvissuta ai lager nazisti, si è spinta addirittura a censurare Bergoglio: “Il Papa ha sbagliato. È stato superficiale. È sbagliato usare la parola ‘genocidio’ con questa facilità, mi chiedo se il Papa e i suoi collaboratori si siano resi conto della pesantezza di questa affermazione. La shoah è il vero genocidio”.
Ruth Dureghello, ex presidente della Comunità ebraica di Roma, oggi ci ha messo il carico: “Le parole del pontefice sono insidiose, perché legittimano una propaganda anti-israeliana che ha effetti reali sull’aumento dell’antisemitismo”.
In realtà, la posizione di Papa Francesco non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo, ma è una legittima osservazione critica di fronte al massacro in corso a Gaza. Porre un dubbio, chiedendo un approfondimento sulle morti nella Striscia, non vuol dire equiparare le bombe israeliane alle camere a gas.
Il Papa ha sempre riconosciuto il diritto all’autodifesa di Israele, ma non resta indifferente di fronte alla durezza di Netanyahu e alle decisioni militari del suo Governo. Come può la più alta autorità morale del mondo tacere di fronte ai 45mila morti palestinesi, di cui solo una minima parte terroristi?
Come si fa a tacciare per antisemitismo la legittima domanda di chi si chiede: c’è una proporzione tra i 1200 morti nel brutale attentato di Hamas del 7 ottobre 2023 e le decine di migliaia di cadaveri a Gaza totalmente distrutta?
Quello che Bergoglio ha chiesto è di indagare se dietro la irremovibile fermezza di Netanyahu non ci sia un disegno di “genocidio”, cioè, secondo la definizione dell’Onu, “gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
In ogni sua omelia, Papa Francesco chiede la pace in Palestina e in Israele, riconoscendo implicitamente il diritto di entrambi ad esistere e a co-esistere. Le critiche arrivate al Pontefice evidenziano un nervo scoperto nella comunità ebraica italiana e internazionale che spinge a scambiare per antisemitismo legittime critiche al Governo di Israele.
(da Dagoreport)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
“UN 30% DI ASTENSIONISTI E’ ORMAI CRONICO, UN ALTRO 20% PARTECIPA SOLO SE IN BALLO C’E’ QUALCOSA CHE GLI INTERESSA”
In Emilia-Romagna e in Umbria il cdx ha raccolto percentuali più o meno identiche a quelle di politiche ed europee. Che cosa non ha funzionato allora e cosa bisogna aspettarsi dalle prossime regionali del 2025? Ne abbiamo parlato con Salvatore Vassallo, direttore dell’Istituto Cattaneo, che ha analizzato i flussi elettorali.
Le tornate in Emilia-Romagna e Umbria hanno assegnato la vittoria al centrosinistra, che ha vinto anche dove la partita era più contendibile. “Grosso modo vengono confermati gli equilibri registrati al politiche e alle europee”, ma ci sono delle “variazioni che dipendono dalla qualità dei candidati dalla composizione della coalizione e che hanno fatto una differenza nelle Regioni in bilico”, spiega a Fanpage.it Salvatore Vassallo, direttore della Fondazione di ricerca Istituto Cattaneo, che ha analizzato i flussi elettorali.
Certamente, i risultati delle Regionali non possono essere interpretati “come un segnale definitivo che ci sia un’onda a favore di un determinato schieramento”.
Lo stesso discorso vale per i risultati ottenuti dalle liste di partito. Sia in Emilia-Romagna che in Umbria, il Partito democratico è arrivato primo, rispettivamente al 42,9% e al 30,2%, ma in generale in tutte le regionali – osserva Vassallo – i dem sono cresciuti in maniera significativa. Perché? “Perché gli elettori del Pd vanno tutti a votare, mentre gli elettori di altri partiti hanno una certa quota di astensionismo”, spiega.
Probabilmente, dietro la maggiore mobilitazione dell’elettorato dem c’è “il merito dell’attuale dirigenza che riesce a motivare, ma anche una propensione strutturale di quegli elettori a votare in maniera più continuativa”. Se domani si tornasse a votare per le politiche però, “non possiamo prevedere che la percentuale di voto del Pd risulti così alta”, precisa.
Che cosa non ha funzionato nel centrodestra
Dall’altra parte, dalle serie storiche realizzate dall’Istituto Cattaneo, si evince che le percentuali del centrodestra sia in Emilia-Romagna (40,7%) sia in Umbria (46%) risultano pressoché identiche a quelle raggiunte alle politiche, alle europee e alle altre regionali del 2024.
Ad esempio, in Umbria il centrodestra si è attestato attorno al 46,2% alle elezioni del 2022 e al 47,8% a quelle per il Parlamento Ue. Che cosa ha penalizzato allora, Meloni e i suoi alleati, specie lì dove l’esito era più in bilico? “C’era una candidata presidente uscente, Tesei, che non aveva brillato e su cui c’erano state anche delle polemiche interne al centrodestra poi superate per quieto vivere. Al contrario la candidata di centrosinistra, Proietti, da molto tempo si è messa in moto per costruire una coalizione molto ampia ed è riuscita che questo obiettivo”, chiarisce Vassallo.
Così come in Emilia Romagna, “De Pascale ha lavorato sul riconosciuto consenso costruito intorno ai due mandate di Bonaccini, proponendosi non come continuatore, ma comunque con lo stesso stile di lavoro che che è stato apprezzato dall’elettorato. A destra invece c’era una candidata non particolarmente nota (Elena Ugolini, ndr.)”, aggiunge.
Per quanto riguarda Fratelli d’Italia nello specifico, il partito in termini percentuali rimane il primo nel centrodestra, ma vede ridotta la sua percentuale di voto. Il motivo secondo Vassallo, è che “contrariamente a quello che si può immaginare pensando a Giorgia Meloni e alla sua opposizione politica e culturale, si può dire che abbia un elettorato di opinione, che si è spostato da Berlusconi a Salvini, a Meloni e anche alle Regionali in una quota non marginale si è spostato sulle liste civiche del presidente e in una piccola parte è anche andato verso l’astensione”.
Tra gli alleati di FdI, invece, per quanto sia vero che la Lega ha registrato una certa flessione rispetto alla buona tenuta di Forza Italia, “resta difficile desumere sulla base delle regionali, che hanno tutte storie molto particolari e in cui le liste civiche hanno avuto un certo successo, di più di quello che si ricava dai sondaggi nazionali”, aggiunge il politologo.
Perché alle regionali 2025 il M5s può fare la differenza nel csx anche se è andato male
Quel che è certo è che a portare a casa il bottino più sostanzioso in termini di preferenze sono stati i due principali partiti del Paese, posizionati ben distanti dai loro partner di coalizione, tanto da spingere la maggior parte degli analisti a certificare a tutti gli effetti un ritorno del bipolarismo in Italia. “È la cosa più evidente di tutta la tornata 2024. La dinamica è nettamente tornata nettamente bipolare”, conferma anche Vassallo.
Questo consente al centrosinistra di “tornare ad essere competitivo almeno in alcune Regioni e ovviamente pone un problema ai 5 Stelle che dovrà discuterne a breve”. Il M5s infatti, ha preso appena il 3,5% in Emilia-Romagna e il 4,7% in Umbria.
Anche in questo caso però, precisa Vassallo. occorre tenere conto di alcune specificità dell’elettorato pentastellato. “Così come gli elettori Pd sono più identificati con la politica e con le istituzioni, quelli dei 5Stelle si identificano di più con la categoria che vota quando pensa che sia in gioco qualcosa che considera rilevante, ad esempio il reddito di cittadinanza”.
Non è da escludere quindi, che alle tornata di Regionali del 2025 (che riguarderanno Campania, Veneto Toscana Puglia Marche e Valle d’Aosta) il Movimento possa ancora pesare all’interno del campolargo a trazione Pd. “Come tutte queste elezioni stanno mostrando, a parte il caso del dell’Emilia Romagna, ogni piccola componente del centrosinistra, può fare la differenza. Considerando sia la dimensione dell’elettorato 5 Stelle a livello nazionale che il consenso del Movimento soprattutto in alcune Regioni, è difficile pensare che che il Pd, per quanto baricentro della coalizione, possa decidere di privilegiare altri e escludere loro. Il vero quesito starà in capo a Conte, Grillo e gli altri dirigenti”, dice il professore.
Si conferma il crollo dell’affluenza: tutte le ragioni dell’astensionismo
Un altro dato inequivocabile è la conferma del preoccupante crollo dell’affluenza alle urne, che in Umbria ha di poco superato il 52% mentre in Emilia-Romagna si è fermato al 46,4%.
Il calo della partecipazione elettorale, peraltro, rende sempre piuttosto complicato leggere i risultati elettorali, sia quando si parla di pesante sconfitta che di schiacciante vittoria. Le ragioni dell’astensionismo sono molteplici e spesso interconnesse: dalla crescente sfiducia alla perdita di percezione del voto come dovere civico, fino alla mancanza di modalità di voto più agevoli, ad esempio in via telematica.
Ma per Vassallo sono due le principali componenti dell’astensionismo. “Una strutturale, cioè circa un 30% dell’elettorato che non vota, in maniera abbastanza stabile nel tempo. Si tratta di elettori che si sentono completamente estranei al circuito della rappresentanza politico-istituzionale, perlopiù persone che sono economicamente in difficoltà o con bassi titoli di studio o che comunque non si identificano con l’asse sinistra-destra e hanno un basso grado di fiducia verso la politica e i partiti”, spiega.
Poi c’è una seconda componente, ovvero “quella di chi vota alle elezioni politiche nazionali e vota nelle circostanze nelle quali percepisce che c’è una posta in palio di cui riconosce il significato e in cui vede a confronto delle cose tra cui scegliere che gli sembrano rilevanti e che però non partecipa in altre occasioni. Come per esempio alle Regionali, alle amministrative o alle europee. Parliamo di circa un 15-20% dell’elettorato, che è cresciuto rapidamente negli ultimi 10 anni”, precisa.
In altre parole, si tratta di cittadini che decidono di volta in volta se recarsi alle urne oppure no. “Sono elettori in un certo senso pragmatici. Non hanno più né un senso di appartenenza forte verso un partito, né la percezione che il voto sia un dovere civico che deve essere esercitato a prescindere, ma vanno a votare quando capiscono che c’è qualcosa in gioco”, conclude.
(da Fanpage)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE: “SEMBRAVA UN GIRONE DANTESCO”
Portavano i detenuti con problemi psichiatrici o psicologici in un reparto isolato. Qui li deridevano, insultavano e percuotevano. Sono venticinque i poliziotti penitenziari del carcere Pietro Cerulli di Trapani accusati, a vario titolo, di concorso di tortura, abuso d’autorità contro detenuti e falso ideologico.
Gli agenti sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive: 11 di loro sono agli arresti domiciliari mentre 14 sono stati sospesi dal pubblico ufficio. La procura di Trapani ha emesso anche decreti di perquisizione nei confronti di 46 indagati, ma secondo il procuratore di Trapani Gabriele Paci circa 55 agenti sarebbero coinvolti. L’indagine risale al 2021 ed è scattata dopo alcune denunce effettuate dai detenuti del penitenziario trapanese. Alcuni di loro avrebbero subìto maltrattamenti in luoghi privi di telecamere. Una volta installate, di nascosto in fase di indagine, avrebbero registrato violenze reiterate da parte di agenti nei confronti dei detenuti.
La violenza «non episodica»
La violenza, ha spiegato il procuratore durante la conferenza stampa sull’inchiesta, «non era episodica», bensì «una sorta di metodo per garantire l’ordine». Sono circa venti i casi scoperti nel carcere di Trapani, tutti accaduti nel «reparto blu» di isolamento che per regolamento non era dotato di telecamere (se non quelle installate durante le indagini). Quello che si è presentato agli inquirenti tra il 2021 e il 2023 – quando il reparto blu è stato chiuso per le condizioni fatiscenti – è stata «una sorta di girone dantesco, in cui sembrava leggere parti dei Miserabili di Victor Hugo». E le vittime erano i detenuti considerati «problematici», per lo più con la semi infermità mentale.
Un detenuto denudato e schernito
I detenuti in isolamento «subivano violenze e torture», ha spiegato ancora Gabriele Paci. «A volte venivano fatti spogliare, investiti da lanci d’acqua mista a urina e praticata violenza quasi di gruppo, gratuita e inconcepibile».
In un caso un detenuto marocchino sarebbe stato portato nell’ufficio dell’isolamento, davanti a una decina di agenti penitenziari. Lì lo avrebbero denudato e schernito per le dimensioni dei genitali, per poi fargli percorrere il corridoio della sezione completamente nudo. Questo evento avrebbe «causato un verificabile trauma psichico» al detenuto.
Le false relazioni di servizio
Non solo violenze fisiche. Secondo gli inquirenti risulterebbero anche false relazioni di servizio, create ad arte per calunniare i detenuti e al contempo coprire le aggressioni e gli abusi. «Una violenza sproporzionata», così l’ha definita il comandante del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria. Che dimostra «il disprezzo verso chi è già in una condizione di estrema debolezza». Alcuni agenti, presenti durante le violenze, «non solo non sono intervenuti, ma non li hanno neanche denunciati. Il problema si è allargato a macchia d’olio». Orrori, ha specificato il procuratore, che si sono protratti per due anni in una struttura in completo degrado e in una situazione di stress generale per gli agenti: «Ma questo non legittima assolutamente le violenze».
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
COLPA DELLE CENTRALI A CARBONE E DELLA LENTEZZA SULLE RINNOVABILI…BENE DANIMARCA E REGNO UNITO, MALE STATI UNITI E CINA
Le politiche del governo italiano per far fronte alla crisi climatica sono «fortemente inadeguate» e «poco ambiziose». Il giudizio, piuttosto severo, arriva dalla classifica mondiale di performance climatica, un indice stilato ogni anno da tre associazioni: Germanwatch, Climate Action Network e New Climate Institute. Il rapporto è stato presentato a Baku, in Azerbaigian, dove è in corso la Cop29, la conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il quadro che emerge dallo studio non fa certo sorridere l’Italia, che si piazza al 43° posto nel mondo per performance climatiche, in leggero miglioramento rispetto al 2023 (44ª posizione) ma ancora in forte calo rispetto al 2022. Se si restringe il campo ai soli Paesi dell’Unione europea, il confronto è ancora più spietato: tra i 27 paesi membri, l’Italia occupa il 20esimo posto della classifica.
Cos’è l’indice di performance climatica
L’indice di performance climatica viene misurato sulla base di quattro indicatori: il trend delle emissioni di gas a effetto serra (che pesa per il 40% del punteggio complessivo), lo sviluppo delle rinnovabili (20%), l’efficienza energetica (20%) e le politiche per il clima (20%). Il rapporto presentato alla Cop29 di Baku prende in considerazione 63 Paesi (più l’Unione europea nel suo complesso), che insieme sono responsabili per oltre il 90% delle emissioni globali. Anche quest’anno, come ormai da tradizione, le prime tre posizioni della classifica sono rimaste vuote. Un segnale piuttosto chiaro del fatto che, almeno secondo gli autori del rapporto, nessun Paese sta davvero facendo abbastanza per far fronte alla crisi climatica.
Danimarca prima della classe, balzo in avanti del Regno Unito
Al quarto posto, il più alto della classifica, c’è la Danimarca, seguita da Olanda e Regno Unito. Quest’ultimo è il Paese che ha guadagnato più posizioni rispetto allo scorso anno, passando dal 20° al 6° posto. Il merito, spiegano gli autori del report, va ricercato nella chiusura definitiva delle centrali a carbone ma anche in alcune azioni introdotte dal nuovo governo laburista di Keir Starmer, a partire dalla revoca del divieto sui progetti eolici offshore e dai massicci investimenti nel trasporto pubblico. Il «perdente dell’anno» è invece l’Argentina di Javier Milei. Il suo governo, si legge nel report, «nega l’esistenza dei cambiamenti climatici» e ha rimosso «ogni riferimento alla crisi climatica dai documenti ufficiali dello Stato», sulla falsa riga di quanto fece Donald Trump nel 2016 non appena si insediò alla Casa Bianca. Cina e Stati Uniti si trovano rispettivamente al 55° e 57° posto, mentre l’Unione europea si piazza in 17ª posizione. Chiudono la classifica i principali Paesi esportatori di combustibili fossili: Emirati Arabi Uniti (65), Arabia Saudita (66) e Iran (ultimo al 67° posto).
Il giudizio sull’Italia
L’Italia, come detto, si piazza in 43ª posizione per performance climatica. Gli autori del report contestano al governo di Giorgia Meloni la decisione di posticipare dal 2025 al 2029 la chiusura delle centrali a carbone, così come lo sviluppo ancora troppo lento delle rinnovabili. «Non esiste – si legge nel rapporto – un piano d’azione per porre fine ai sussidi ai combustibili fossili. L’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale afferma che i sussidi ai combustibili fossili del Paese ammontano a 63 miliardi di dollari». Per quanto riguarda il confronto con gli altri Paesi Ue, l’Italia fa peggio di: Danimarca (4° posto), Paesi Bassi (5), Svezia (11), Lussemburgo (13), Estonia (14), Portogallo (15), Germania (16), Lituania (18), Spagna (19), Grecia (22), Austria (23), Francia (25), Irlanda (29), Slovenia (30), Romania (32), Malta (34), Belgio (35), Lettonia (36), Finlandia (37) e Croazia (40). Solo sei Paesi Ue fanno peggio dell’Italia: Cipro (44), Ungheria (45), Slovacchia (46), Polonia (47), Repubblica Ceca (49), Bulgaria (50).
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
L’ACCORDO PREVEDE LA FIRMA DI UN DOCUMENTO, RICHIESTO DAI SOCIALISTI, IN CUI SI RIBADISCE CHE LA MAGGIORANZA A SOSTEGNO DI VON DER LEYEN È COMPOSTA SOLO DA PPE, S&D E RENEW E SI ESCLUDE UN ALLARGAMENTO A ECR (IL GRUPPO DI CUI FA PARTE FRATELLI D’ITALIA)
C’è voluto l’intervento dei premier di Ppe, Pse e Renew per sbloccare la situazione. Ossia di Macron, Tusk e Sánchez. Ora l’accordo per la nuova Commissione sembra a un passo.
Ieri i capigruppo delle tre forze politiche che compongono la maggioranza politica nel Parlamento europeo (i Verdi si sentono ormai fuori dall’intesa) si sono visti ripetutamente per uscire dall’impasse.
Il tedesco Manfred Weber, la spagnola Iratxe García Pérez e la francese Valérie Hayer hanno concordato una via d’uscita per arrivare all’elezione dell’esecutivo europeo nei tempi prefissati.
Quindi se il patto reggerà all’impatto delle assemblee dei tre gruppi parlamentari che si terranno stamattina, nel pomeriggio si dovrebbe tenere la Conferenza dei capigruppo dell’Eurocamera per dare di fatto il via libera contestuale domani ai sei vicepresidenti esecutivi – compreso l’italiano Raffaele Fitto – e al commissario ungherese Oliver Varhelyi (per lui ci potrebbe essere una riduzione delle deleghe).
Si tratterebbe di un voto nelle rispettive commissioni parlamentari con la maggioranza dei due terzi affidata solo ai capidelegazione, una sorta di acclamazione dunque. A quel punto si inserirà nell’ordine del giorno della assemblea plenaria della prossima settimana a Strasburgo il voto sull’intero collegio. Che verrà calendarizzato per mercoledì 27 novembre.
La nuova commissione von der Leyen si insedierebbe così il primo dicembre. La soluzione è stata avviata durante il fine settimana con una serie di colloqui telefonici tra capi di Stato e di governo. Il primo contatto è avvenuto tra la presidente della Commissione e il presidente francese Macron. Che si è fatto carico di una mediazione con il socialista tedesco Scholz, con quello spagnolo Sánchez e il popolare polacco Tusk.
In particolare quest’ultimo è stato molto duro con Weber per come ha gestito il rapporto con la componente spagnola del Ppe. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha parlato con il capogruppo tedesco per convincerlo a imboccare una strada più pacifica. La paura di tutti, infatti, era quella di far cadere l’Ue in un limbo paralizzante per un tempo indefinito.
Proprio mentre si sta per insediare la nuova amministrazione Usa di Trump e mentre gli attacchi russi in Ucraina sono arrivati ad un momento di svolta. «I negoziati sulle nomine nella Commissione europea – ha detto ieri sera il premier spagnolo – avanzano e spero che daranno presto i frutti, perché l’Europa e la Spagna ne hanno bisogno». Sánchez ha anche evitato di polemizzare sulla candidatura italiana precisando che la scelta di Roma non riguarda «l’accordo politico complessivo tra forze pro-europeiste».
Il via libera era saltato la scorsa settimana proprio per lo scontro tra popolari e socialisti spagnoli sulla candidatura di Teresa Ribera. Un attacco che ha portato il Pse a porre il veto sul nome dell’italiano Fitto, dell’Ecr ma fortemente sostenuto dal Ppe. Oggi la ministra Ribera riferirà al Parlamento di Madrid sull’alluvione di Valencia. E a quel punto i popolari iberici si impegnano a porre termine alla loro contestazione.
Lo stesso comportamento terranno i socialisti nei confronti di Fitto che ieri era a Bruxelles per parlare con tutti i capidelegazione della sua commissione parlamentare, la Regi.
L’accordo prevede anche la redazione di un documento sottoscritto dai tre capigruppo in cui si ribadisce che la maggioranza politica a sostegno di von der Leyen è composta solo dai loro tre partiti. Sostanzialmente si esclude un allargamento ai Conservatori “meloniani” dell’Ecr. Una richiesta esplicita di S&D e Renew.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
LA TUTELA RAPPRESENTA UNA POSIZIONE UFFICIALE DEL PLENUM…L’ULTIMA RISOLUZIONE DEL GENERE ERA STATA APPROVATA 15 ANNI FA, IN DIFESA DI RAIMONDO MESIANO, ESTENSORE DELLA SENTENZA SUL LODO MONDADORI, ANCHE LUI ATTACCATO DA DESTRA
Il Consiglio superiore della magistratura ha approvato, con una larga maggioranza, la risoluzione per la tutela dei giudici di Bologna, gli stessi che rinviarono alla Corte europea di giustizia il decreto legge sui Paesi sicuri. La tutela non produce alcun effetto giuridico, ma rappresenta una posizione ufficiale del Csm sulla vicenda, stigmatizzando le dure reazioni del governo sui magistrati in merito a quel caso.
È la prima pratica a tutela che sfocia in una risoluzione del plenum negli ultimi 15 anni. Quella precedente risale al 2009 e riguarda il caso Raimondo Mesiano, estensore della sentenza sul lodo Mondadori.
Dopo il 2009 altre due pratiche erano giunte al plenum, nel 2019 e nel 2021, ma non riguardavano i rapporti con la politica ed erano invece in merito a servizi televisivi per vicende di cronaca. La risoluzione è stata approvata con 26 voti favorevoli (tra cui quello di tutte le toghe) e cinque contrari, ovvero quello dei componenti laici di FdI, Lega e Forza Italia. Il vice presidente Pinelli non ha partecipato alla votazione e nessuno si è astenuto.
Secondo la prima Commissione del Csm quel provvedimento era stato oggetto di “dure dichiarazioni da parte di titolari di alte cariche istituzionali non correlate al merito delle argomentazioni giuridiche sviluppate nell’ordinanza, che adombrano un’assenza di imparzialità dell’organo giudicante priva di riscontri obiettivi”.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
TAJANI VUOLE SABOTARE LA RIFORMA DEL CARROCCIO
Sfilano, in Parlamento, i musi lunghi di Fratelli d’Italia e della Lega. La destra è uscita ammaccata dalle Regionali in Umbria ed Emilia-Romagna e c’è una giustificata preoccupazione. Tra i banchi di Forza Italia, invece, l’umore è ottimo, nessuno si tira indietro dall’analisi del voto e, a vederli così, verrebbe quasi il dubbio che gli azzurri abbiano vinto.
Il sorpasso sulla Lega è ormai consolidato e nel mirino finisce l’autonomia differenziata. Il segretario Antonio Tajani venerdì riunirà l’osservatorio del partito, ideato per «monitorare e vigilare» (due verbi che infastidiscono i leghisti) l’attuazione della legge, vista la pressione dei governatori del Mezzogiorno.
Il pronunciamento della Corte costituzionale, che ha affidato al Parlamento il compito di apportare modifiche alla riforma, è l’appiglio che i post berlusconiani (specie quelli del Sud) aspettavano per sabotare il progetto di Roberto Calderoli. Tutto si giocherà sui tempi.
La convinzione dei vertici di Forza Italia è che ormai non si arriverà alla definizione dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni) in tempo per le elezioni venete, previste per l’autunno 2025 o massimo ai primi mesi del ’26.
Niente vessillo per la Lega, quindi, che al massimo potrà fare campagna elettorale, scaricando le colpe su sinistra e giudici. Calderoli, in realtà, va avanti sulle intese con le Regioni.
Ma la vera insidia la Lega ce l’ha dentro la maggioranza. Per Forza Italia, infatti, l’Autonomia che, «a questo punto, conviene portare in Aula dopo le elezioni in Veneto». Tra un anno, quindi.
L’obiettivo di Tajani è spostare il baricentro della coalizione al centro e lo schiaffo più sonoro viene rifilato a Matteo Salvini, già in ginocchio per l’ennesimo risultato deludente sui territori: «Ora i leghisti non avranno la forza di accelerare sull’Autonomia. Sulle materie non-Lep così come sulla revisione del testo dopo la bocciatura della Consulta, devono ascoltare le nostre idee», spiegano dal partito.
(da La Stampa)
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