Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
MARINE E’ STATA LA BOIA DI SE’ STESSA. IN UN SISTEMA DI GIUSTIZIA IPERGIACOBINO, LE PEN SI VEDE SBARRATA LA STRADA PER L’ELISEO PER UN AUTOMATISMO GIUDIZIARIO-POLITICO, L’INELEGGIBILITÀ, DA LEI STESSA INVOCATO E VOTATO
La ghigliottina è uscita dalla rotaia e ha tagliato la testa a una tricoteuse, Marine Le
Pen. Le tricoteuses erano le donne che facevano la maglia sotto il patibolo eretto per eliminare i nemici della democrazia giacobina tagliateste.
Il vero punto debole della normalizzazione democratica del Front national, divenuto
con lei Rassemblement national (una normalizzazione più o meno presuntiva ma politicamente vincente) è la giustizia o, meglio, il giustizialismo. Il voto di protesta equivoca del Rn si è trasformato in un voto di adesione equivoca ma istituzionalmente ineccepibile, facendo di quel partito escluso dall’Assemblea nazionale di Palais Bourbon il primo nel favore popolare.
Undici milioni di francesi, che non è una quisquilia, hanno scelto Le Pen e l’hanno virtualmente candidata all’Eliseo, nella prospettiva del 2027.
Ma il suo attacco giustizialista alle immunità della classe dirigente, che in Europa hanno funzionato come baluardo della divisione dei poteri e della preminenza del fattore elettorale, specie in certi sistemi di stato di diritto in cui la magistratura ha acquisito un suo potere indipendente, pericolosissimo; e l’invocazione di pene automatiche, immediate, inappellabili e un atteggiamento sbrigativo nel considerare vincolante l’applicazione del populismo panpenalista: tutto questo fa pensare che la decapitazione di una candidata di primo piano all’Eliseo sia una sorta di nemesi, Marine boia di Marine.
Non è sano che un tribunale decida al posto del popolo, ma non è sano nemmeno che in nome del popolo si invochi una giustizia priva di garanzie vere per deboli e forti. In un sistema ipergarantista come quello americano, Trump, che ha tentato di rovesciare con la forza anti istituzionale un risultato elettorale legittimo, se l’è cavata malgrado una condanna penale ed è riuscito a tornare alla Casa Bianca per attuare un programma che al garantismo vuole tagliare le ali. In un sistema di giustizia ipergiacobino, Le Pen si vede sbarrata la strada per l’Eliseo (salvo sorprese che devono passare per una porta molto stretta) per un automatismo giudiziario-politico, l’ineleggibilità, da lei stessa invocato e votato.
Una decisione simile da parte di un tribunale è una perdita per il sistema democratico, non ci sono dubbi in proposito. Ma è il caso di dire: tu l’as voulu, George Dandin oppure, in dialetto abruzzese, “come te fai lu lietto così ti c’accucci”. Una volta Berlusconi in un suo discorso celebre e criticatissimo, che ricordo molto bene, disse che aveva il diritto di essere giudicato in prima istanza dai suoi “pari”.
Lo accusarono di volere un privilegio di casta. Invece richiamava il principio, sancito nella Costituzione italiana da fior di delinquenti come Moro, Nenni, Togliatti, De Gasperi, Calamandrei e molti altri, dell’immunità parlamentare, principio travolto dall’ondata giustizialista dei primi anni Novanta. Si deve distinguere tra eletti e cittadini comuni, è l’unica distinzione giurisdizionale lecita in una democrazia liberale. In caso contrario il rischio è che i tribunali taglino la testa al popolo (caso Le Pen) o che il popolo tagli la testa ai tribunali (caso Trump).
(da Il Foglio)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
COSÌ CHE SI DEMOLISCONO LE DEMOCRAZIE
Ogni sei mesi devo fare la mia terapia di Ocrelizumab per la Sclerosi Multipla. E ogni sei mesi devo ripetere una lunga serie di analisi e la risonanza magnetica per vedere se questa stronza di malattia è ferma oppure no.
Dunque, siccome pago le tasse e vivo in un paese in cui le cure sono garantite a tutti per Costituzione, mi avvalgo dei mezzi a disposizione della me-cittadina e chiamo il CUP della mia regione per avere un appuntamento, la cui spesa dovrebbe essere coperta dallo Stato.
Per giorni il messaggio pre-registrato mi dice che le linee sono intasate e dunque suggerisce di richiamare ‘in un altro momento’. Oggi, finalmente, rispondono. La
prima risonanza magnetica disponibile è a luglio 2025 a Frosinone, in un’altra provincia, a 90 chilometri da casa mia.
Per le due strutture dove di solito faccio le risonanze non c’è proprio disponibilità e non si sa per quanto. Così ho chiamato la clinica dove ho fatto la prima risonanza magnetica e un po’ delle successive, ho detto “Buongiorno, ho la sclerosi multipla, l’esenzione e blablabla. So che non c’è posto per noi malati che godiamo di un diritto (l’esenzione), ma se prenoto privatamente quanto costa e quando c’è posto?”
Costa 680 euro e c’è posto dopodomani, mi hanno risposto con la cortesia che si riserva a chi paga. E quindi ho preso appuntamento. Perché ne ho bisogno, perché è urgente, perché ho la fortuna di potermelo permettere. E’ così che si demoliscono le democrazie.
Dando l’illusione che i diritti siano per sempre protetti, dal diritto e dalla Costituzione, mentre vengono quotidianamente erosi dalla politica che non è all’altezza del presente. Tina Anselmi, a cui si deve il Servizio Sanitario Nazionale, nel 2006 scrisse in ‘Storia di una passione politica’ che la democrazia ‘è un bene delicato, fragile e deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni precedentemente concimati attraverso la responsabilità di un popolo’.
La responsabilità di un popolo, come dice la Costituzione. Art. 32 della Costituzione Italiana “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.”
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL TELE-POPULISMO DI RETE4 (DEL DEBBIO, PORRO, GIORDANO) E’ ORMAI AI PIEDI DI GIORGIA MELONI – PER AVERE DI NUOVO UN PALCOSCENICO TV, SALVINI OFFRE IN CAMBIO LO STOP AL TAGLIO AL CANONE RAI, UNA MISURA CHE, SE APPROVATA, COSTRINGEREBBE IL BISCIONE A RINUNCIARE A UNA FETTA DI INTROITI PUBBLICITARI
L’auto del ministro Matteo Salvini e quella della sua scorta non passano inosservate. E
così ieri pomeriggio, intorno alle 15, molti si sono chiesti che cosa ci facessero parcheggiate davanti al numero 3 di via Paleocapa, a due passi dal Castello Sforzesco di Milano.
E’ uno di quegli indirizzi che a Milano conoscono tutti: è la sede di Fininvest e Mediaset, il palazzo che ospita gli uffici di Marina Berlusconi e di Fedele Confalonieri. Ed è proprio da quest’ultimo – secondo quanto ha ricostruito La Stampa attraverso fonti aziendali e politiche – che sarebbe andato a bussare Salvini, all’inizio di una settimana per lui importantissima che si concluderà sabato e domenica a Firenze con la celebrazione del congresso federale della Lega (e con la sua incoronazione senza avversari a contendergli il trono).
Il motivo dell’incontro è articolato. Salvini sta soffrendo di mancanza di visibilità sui canali Mediaset. I programmi a trazione populista – quelli che si alternano quotidianamente su Rete4 – gli dedicano meno attenzione di un tempo, molto più concentrati ad assecondare la narrazione trionfalistica di Giorgia Meloni.
Nel derby a destra viene premiata la premier, che gode di stima e amicizia di molti conduttori, e che ha l’ex compagno e padre di sua figlia, Andrea Giambruno, inquadrato come dipendente dell’azienda. Salvini ha bisogno di ritrovare un palcoscenico che sembra snobbarlo, e non solo perché tra pochi giorni sarà confermato segretario e vuole garantirsi il massimo della vetrina.
Un indizio sui motivi del confronto con Confalonieri arriva dagli accompagnatori del leader: il suo staff della comunicazione e Armando Siri, ex senatore e sottosegretario leghista, ideatore della Flat tax, oggi consigliere per le politiche economiche del vicepremier e direttore della scuola di formazione del partito, ma soprattutto ex giornalista Mediaset da sempre stimato dal clan Berlusconi.
I due, stando a quanto confermano fonti della Lega e di Forza Italia, hanno sempre avuto un buon rapporto, che per ovvie ragioni si era rafforzato all’epoca dell’exploit leghista prima del Papeete, nell’agosto 2019, che segnò l’inizio della parabola discendente di Salvini. Non che si vedano così spesso, all’incirca una volta l’anno, oppure se c’è un’urgenza.
Di sicuro, Confalonieri è l’uomo ai vertici di Mediaset con il quale ha a che fare il vicepremier. Perché non risultano rapporti di frequentazione né con Marina né con Piersilvio Berlusconi. I figli del fondatore di Forza Italia e di Fininvest si considerano molto distanti dalle politiche della Lega, soprattutto sui diritti civili
Inoltre, hanno già manifestato il loro forte disappunto nei confronti di Salvini, quando, a fine novembre, il leader ha provato a imporre al governo il taglio del canone Rai, una misura che avrebbe costretto il Biscione a rinunciare a una fetta di introito pubblicitario a favore della tv pubblica.
La Lega adesso parla di una “tregua” ma è pronta a ritirare fuori il provvedimento (o perlomeno periodicamente torna a minacciare di farlo), usando come leva Giancarlo Giorgetti, numero due del partito e a capo del ministero dell’Economia, che ha in mano il controllo finanziario sul canone di Viale Mazzini. Non è inverosimile pensare che Salvini e Confalonieri ne abbiano parlato. Come è possibile che abbiano dedicato qualche minuto agli scontri ormai quotidiani tra il leghista e l’altro vicepremier, il leader di FI Antonio Tajani.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
QUANDO POGLIESE ERA SINDACO DI CATANIA CHIAMÒ PROPRIO FATUZZO A GUIDARE LA PARTECIPATA IDRICA….LA CONSULENZA AD
ANTONIO POGLIESE, ATTUALMENTE A PROCESSO PER BANCAROTTA, FORMALMENTE PASSA DA SOGESID, LA SOCIETÀ PARTECIPATA INTERAMENTE DAL MINISTERO DELLE FINANZE
«Formazione, affiancamento e assistenza nella gestione di tutte le attività sotto il profilo finanziario, tributario e societario». È l’oggetto dell’incarico assegnato ad Antonio Pogliese, il padre del senatore di Fratelli d’Italia, Salvo Pogliese, dal commissario unico per la depurazione Fabio Fatuzzo.
La consulenza, iniziata a settembre e che andrà avanti fino ad agosto del prossimo anno, rappresenta l’ennesimo caso di affidamenti a favore di uomini che in Sicilia orbitano intorno al partito di Giorgia Meloni.
Nei mesi scorsi, Domani aveva scritto degli incarichi che dal governo regionale, in cui Fratelli d’Italia vanta una nutrita rappresentanza, sono andati a soggetti con un passato di militanza negli ambienti di destra.
Stavolta in ballo ci sono, da una parte, la struttura incaricata di gestire i finanziamenti necessari a superare le infrazioni attivate dall’Ue nei confronti dell’Italia per la mancata depurazione dei reflui, e dall’altra un professionista che deve la propria notorietà alla lunga carriera da commercialista ma anche al legame parentale con una delle figure più in vista di Fdi in Sicilia. Salvo Pogliese, prima di diventare senatore, è stato infatti sindaco di Catania e, fino poche settimane fa, anche uno dei coordinatori del partito nell’isola.
Un incarico da cui è stato sollevato – al pari di Giampiero Cannella – per lasciare spazio a Luca Sbardella, il deputato romano scelto da Meloni per neutralizzare i veleni che da qualche tempo scorrono, neanche in modo troppo sotterraneo, tra i potentati su cui poggia Fratelli d’Italia nell’isola.
«Individuato dal commissario unico straordinario per la depurazione per la particolare preparazione e specializzazione», si legge nell’estratto che raccoglie gli estremi dell’affidamento ad Antonio Pogliese, la cui consulenza varrà «51.700 euro, al lordo delle ritenute fiscali e contributive su base annua».
Anche Fatuzzo, commissario unico per la depurazione, è tutt’altro che lontano dal mondo della destra siciliana: cresciuto nel Movimento sociale italiano, a inizio anni Duemila è stato deputato nazionale con Alleanza Nazionale per poi in tempi più recenti avvicinarsi a Fratelli d’Italia.
Nel 2019, quando a indossare la fascia da sindaco a Catania era proprio Salvo Pogliese, Fatuzzo fu chiamato a guidare Sidra, la partecipata comunale che si occupa del servizio idrico. Ruolo che l’attuale commissario nazionale per la depurazione ha mantenuto fino a dicembre scorso. Nelle vesti di presidente di Sidra, Fatuzzo è stato più volte oggetto di critiche per l’intenso ricorso alle consulenze esterne, che in più di
un caso sono andate a professionisti vicini alla destra, ma che il diretto interessato ha sempre motivato facendo riferimento alle carenze in pianta organica.
La consulenza ad Antonio Pogliese formalmente passa da Sogesid, società partecipata interamente dal ministero delle Finanze che si occupa di servizi di ingegneria. Con Sogesid, così come altre società come nel caso di Enea e Invitalia, la struttura commissariale ha stipulato accordi di partnership.
«Il commissario unico – si legge nel Dpcm che nel 2023 portò alla nomina di Fatuzzo – si avvale di società in house delle amministrazioni centrali dello Stato, dotate di specifica competenza tecnica, degli enti del sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e degli enti pubblici che operano nelle aree di intervento, nonché del gestore del servizio idrico integrato territorialmente competente, utilizzando le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Il curriculum di Pogliese è ricco di incarichi in enti pubblici e società private, compreso quello che, nel 1982, lo rese – citando le stesse parole del commercialista – «primo professionista in Italia a essere nominato amministratore antimafia», in seguito al sequestro di beni della Pam Car srl, la società del padrino di Cosa nostra, Nitto Santapaola, che era titolare di una concessionaria di auto passata alla storia per essere stata inaugurata alla presenza delle massime autorità cittadine.
Nel recente passato, Antonio Pogliese è finito all’attenzione del tribunale nelle vesti di indagato: nel 2019, il commercialista e altri professionisti dello studio di cui è titolare furono ritenuti coinvolti in una serie di bancarotte di cui avrebbero beneficiato imprese che volevano sottrarsi agli obblighi nei confronti dell’Erario.
(da editorialedomani.it)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
SI PARTIRA’ CON 384 POSTI LETTO, DISTRIBUITI IN 9 ISTITUTI, AL PREZZO DI BEN 32 MILIONI DI EURO …MA SINDACATI E ASSOCIAZIONI DENUNCIANO: “SONO DISUMANE. SARANNO UN INFERNO D’ESTATE, GELIDE IN INVERNO. E COSTANO 83MILA EURO A DETENUTO”
È prevista il 10 aprile la gara per le aziende che presenteranno le proposte per la
realizzazione dei moduli prefabbricati, che serviranno ad ampliare le carceri
e ridurre il sovraffollamento. Lo si apprende da fonti di governo. Il progetto dei moduli carcerari è anticipato oggi da Repubblica.
Nelle previsioni, saranno realizzati gradualmente i primi 1.500 moduli con l’installazione già di 400 in via sperimentale. In questo senso sono stati effettuati sopralluoghi negli istituti ad Opera e Voghera. Si tratta di una soluzione edilizia già adottata in altri Paesi europei che permetterebbe di affrontare con maggiore rapidità la questione dell’ampliamento delle strutture carcerarie.
Se la speranza, per quanto provvisoria, di una risposta al sovraffollamento è aggrappata all’arrivo dei cosiddetti “blocchi detenzione” – cubi di cemento che aggiungeranno solo 384 posti letto, distribuiti in 9 istituti, al prezzo di ben 32 milioni di euro – la soluzione rischia di aggravare ulteriormente disagio e sofferenza nelle carceri.
Meno trenta giorni, al netto di ostacoli e rinvii che hanno rallentato già altre promesse, al via del progetto voluto dal ministro Carlo Nordio. In estrema sintesi: è l’operazione celle da container. Ciascuna misurerà 6 metri per 5, compreso un bagno di tre metri quadri. «Un inferno d’estate, gelide in inverno», sottolineano sindacati e
associazioni. In ultimo, i conti: «Non solo disumane, costano anche 83mila euro a detenuto».
Il documento di Invitalia, dopo l’annuncio del commissario straordinario Marco Doglio di pochi giorni fa per il via al bando, prevede l’installazione di 16 strutture, i “blocchi”: prefabbricati in calcestruzzo standardizzati, gli stessi usati per realizzare i neo Cpr in Albania.
Ciascun blocco sarà allestito nel (residuo) spazio aperto degli istituti penitenziari e dispone su un lato, di 6 celle per 24 detenuti in tutto e sull’altro, mini spazi per biblioteca, barberia, sala psicologo. Un progetto che non convince né attivisti ed ong che si occupano di diritti umani, né i rappresentanti della polizia penitenziaria.
«La misura tampone è ancor più disumana della situazione che da anni è sotto gli occhi di tutti», analizza con Repubblica l’architetto Cesare Burdese, esperto di edilizia penitenziaria, autore negli anni di report e analisi tecniche. «Vuole sapere perché l’idea dei blocchi è controproducente e rischiosa? Stiamo parlando di container, poco più che baracche di cantiere. Ovvero, recinti. Aggiungiamo il dato che in Italia un detenuto passa all’aria, in un giorno, solo 4 ore se va benissimo, altrimenti 2».
Ragiona Burdese: «Se già tenere in gabbia degli animali vuol dire esasperarli, farlo con gli esseri umani, al di là delle gravi violazioni della Carta Costituzionale, produrrà l’aumento di aggressività, violenze e ribellioni». È la negazione di quella tutela della dignità umana su cui, più volte, è intervenuto Mattarella.
C’è poi l’altro dato messo in risalto da Gennarino De Fazio, il segretario della UilPa, della penitenziaria: «Ammesso che questo progetto aumenti la capienza di qualche posto letto, a scapito di spazi aperti e trattamento per i detenuti, dove sono i nuovi ingressi di personale della penitenziaria?».
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
“THE ECONOMIST” HA RIVELATO CHE IL PRESIDENTE UCRAINO SI STAREBBE PREPARANDO A UNA TORNATA ELETTORALE
«Da quel giorno nessuno al mondo può dire di non sapere cosa sta difendendo l’Ucraina: la vita del suo popolo». Nel terzo anniversario della liberazione di Bucha, la cittadina nei pressi di Kyiv che ha pagato un mese di occupazione russa con le vite di 637 suoi abitanti civili torturati e uccisi, Volodymyr Zelensky rilancia il suo appello agli alleati europei a fermare insieme la Russia putiniana, «un sistema che si alimenta di vite umane».
Accanto al presidente ucraino e sua moglie, a commemorare la tragedia-simbolo di questa guerra c’erano i presidenti dei parlamenti di 22 Paesi europei, un altro segno dello spostamento delle alleanze da Washington verso il Vecchio continente
Donald Trump ieri è tornato a minacciare «grandi problemi» per l’Ucraina se non firma l’accordo sulle terre rare, la cui ennesima versione è appena stata rispedita da Zelensky al mittente perché conteneva richieste di controllo praticamente su tutte le risorse nazionali.
E anche se il padrone della Casa Bianca sta mostrando segni di irritazione pure con Vladimir Putin, che continua a procrastinare i negoziati sulla tregua, la missione di Zelensky rimane quella di mantenere un equilibrio da funambolo, costruendo la “coalizione dei volenterosi” europei senza inimicarsi intanto definitivamente Washington, contando che il tempo sia dalla sua parte.
Il presidente ucraino è ben consapevole di continuare a non essere un interlocutore gradito per Trump, e di essere nel mirino di Putin. Un funzionario della presidenza russa ha raccontato ieri al Moscow Times, ovviamente a condizioni di anonimato, che il Cremlino ha posto come obiettivo quello di provocare Washington per ottenere «una pressione intollerabile» su Zelensky, per costringerlo a indire nuove elezioni.
Il dittatore russo non vuole fare alcun gesto di distensione in vista dei negoziati: «Qualunque concessione sembrerebbe un regalo per Zelensky, e non per Trump, e ciò è inacettabile», spiega un diplomatico di Mosca, aggiungendo che Putin prova una «antipatia personale» verso il leader ucraino, che «gli ha lanciato una sfida». La fonte del Moscow Times non nasconde che la campagna sulla presunta illegittimità di Zelensky viene «promossa metodicamente» da Mosca, convinta che in caso di un ritorno alle urne non riuscirà a mantenere la sua carica.
Difficile capire da dove nasce questa certezza, visto che dopo lo scontro con Trump nello Studio Ovale Zelensky ha quasi raddoppiato i suoi consensi, e secondo i sondaggi più di 7 ucraini su 10 lo appoggiano e l’80% è contrario a nuove elezioni durante la guerra.
The Economist ha rivelato nei giorni scorsi che Zelensky avrebbe convocato una riunione segreta per cominciare i preparativi a una campagna elettorale da far partire a sorpresa nei prossimi giorni, in modo da arrivare alle urne a luglio, mentre i suoi consensi sono ancora al massimo.
La presidenza ucraina ieri ha smentito il fatto stesso della riunione, e dell’esistenza di progetti elettorali. In effetti, anche nel caso di una pace immediata – che attualmente non appare nemmeno all’orizzonte – l’organizzazione delle operazioni di scrutinio in un Paese con milioni di cittadini fuggiti dalla guerra in altre città o all’estero, un milione di soldati al fronte e altri milioni di cittadini rimasti nei territori occupati dalla Russia (e spesso costretti a prendere la cittadinanza russa) appare troppo problematica per venire attuata in tempi brevi.
Zelensky ora appare saldamente in sella, superando nei sondaggi con grande distacco anche il generale Valery Zaluzhny, ex comandante delle Forze armate, l’unico rispetto al quale potenzialmente rischiava di perdere nelle urne, fino alla scena nello Studio Ovale. Zaluzhny, licenziato dal presidente un anno fa dopo una serie di scontri sulle strategie militari e della mobilitazione degli ucraini, oggi è l’ambasciatore di Kyiv a Londra, e si sta muovendo con molta prudenza.
L’impressione però è che a Kyiv ci si stia preparando comunque al ritorno della concorrenza politica, almeno a giudicare dalla quantità di indiscrezioni che le varie “fonti anonime” stanno riversando nei giornali internazionali. Il New York Times ha rivelato, per esempio, che alcuni ufficiali ucraini imputano a Zelensky la scelta, nel
2022-23, di difendere Bakhmut, preferendo il piano proposto dal generale Oleksandr Syrsky, che successivamente ha sostituito Zaluzhny al comando dopo lo scontro di quest’ultimo con il presidente.
(da La Stampa)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL COATTISSIMO CANTANTE SI È PRESENTATO ALL’INCONTRO CON UN COMPLETO ROSSO DI STRASS, CON UN MOTIVO A BANDIERA AMERICANA, E UN CAPPELLO DI PAGLIA (I TRUMPIANI HANNO ROTTO IL CAZZO A ZELESNKY PER UNA POLO E TACCIONO SU QUESTO ARLECCHINO BUZZURRO?)
l presidente Donald Trump ha invitato Kid Rock nello Studio Ovale lunedì e ha firmato
un ordine esecutivo che, a suo dire, contribuirà a ridurre il fenomeno del bagarinaggio e introdurrà cambiamenti “di buon senso” nel modo in cui vengono determinati i prezzi degli eventi dal vivo.
“Chiunque abbia comprato un biglietto per un concerto nell’ultimo decennio, forse negli ultimi vent’anni – indipendentemente dalle proprie idee politiche – sa che è un bel problema”, ha dichiarato Kid Rock, indossando un completo rosso tempestato di strass, con un motivo a bandiera americana, e un cappello di paglia tipo fedora.
L’ordine, pensato per fermare la “speculazione sui prezzi da parte degli intermediari”, incarica il procuratore generale Pam Bondi e il segretario al Tesoro Scott Bessent di garantire che i bagarini che rivendono biglietti a un prezzo superiore al valore nominale rispettino tutte le norme dell’agenzia delle entrate statunitense (IRS).
Inoltre, l’ordine chiede alla Federal Trade Commission di assicurare “trasparenza dei prezzi in tutte le fasi del processo di acquisto dei biglietti” e di “intraprendere azioni contro comportamenti sleali, ingannevoli e anticoncorrenziali nel mercato secondario dei biglietti”, un intervento che – secondo l’amministrazione Trump – può riportare equilibrio e razionalità nel settore.
Trump ha detto di conoscere Kid Rock, suo sostenitore di lunga data, semplicemente come “Bob” (il vero nome dell’artista è Robert James Ritchie).
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA SOGNAVA DI VOLARE A WASHINGTON PER INCONTRARE TRUMP, E INVECE DOVRÀ STARSENE IN ITALIA AD ACCOGLIERE IL NUMERO DUE DEL TYCOON. CHISSÀ SE VANCE VERRÀ A DARCI DEI “PARASSITI”, COME HA FATTO A MONACO DI BAVIERA A FEBBRAIO
Jd Vance sarà a Roma tra il 18 e il 20 aprile. È quanto risulta al Messaggero da fonti incrociate del governo. Il vicepresidente americano sarà in visita nella capitale italiana per incontrare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nei giorni di Pasqua. Un vertice a due con la premier che pochi giorni fa ha difeso il numero due dell’amministrazione americana dalle colonne del Financial Times. Vance sarà ricevuto in Vaticano e cercherà di avere un incontro con papa Francesco. Non sono previsti bilaterali al momento con i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani.
Il vicepresidente americano JD Vance sta programmando una visita in Italia alla fine di aprile. Lo riporta l’agenzia Bloomberg, sottolineando che Vance potrebbe essere a Roma fra il 18 e il 20 aprile. I diplomatici americani hanno chiesto alle controparti italiane di coordinare un incontro con la premier Giorgia Meloni.
(da agenzie)
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Aprile 1st, 2025 Riccardo Fucile
DAL 79% DELLA DANIMARCA AL 56% DELL’ITALIA
La maggioranza degli europei propende per una risposta dell’Ue ai dazi di Donald
Trump. E’ quanto indica un sondaggio condotto da YouGov in sette Paesi europei: Danimarca, Svezia, Francia, Germania, Italia, Spagna Gran Bretagna.
Il minimo comune denominatore è il dirsi favorevole a ritorsioni commerciali di Bruxelles alle nuove, annunciate tariffe americane sui prodotti. Le percentuali, tuttavia, cambiano.
La Danimarca, che sulla vicenda Groenlandia è diplomaticamente ai ferri corti con Washington, registra un 79% a favore delle ritorsioni Ue.
All’altro estremo, la percentuale minore, pari al 56%, si registra in Italia. Gli intervistati in tutti e sette i Paesi si sono espressi a favore di una risposta equivalente agli Usa nonostante i danni che si aspettano dalle tariffe statunitensi alle loro economie nazionali, con il 75% dei tedeschi che ha dichiarato di aspettarsi un impatto “notevole” o “discreto”.
Questa valutazione è stata condivisa dal 71% degli intervistati in Spagna, dal 70% in Francia e in Italia, dal 62% in Svezia, dal 60% nel Regno Unito e dalla metà dei danesi intervistati nel sondaggio, condotto nella seconda e terza settimana di marzo.
(da agenzie)
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