“ALLE REGIONALI RENZI LA PAGHERÀ CARA”: L’IRA DEGLI INSEGNANTI IN PIAZZA
INTANTO LA MAGGIORANZA VOTA SPEDITA LA BUONA SCUOLA (E VA SOTTO)
La parola d’ordine che circola in piazza del Pantheon, a Roma, dove Cgil, Cisl e Uil hanno convocato un sit-in, è netta: “Stavolta alle Regionali il Pd deve pagarla”.
Non si tratta di estremisti o di funzionari sindacali.
Sono insegnanti, magari i più presenti in tutte le iniziative di piazza, ma insegnanti.
Il sit-in è stato convocato dalle rappresentanze regionali dei sindacati che hanno indetto lo sciopero del 5 maggio ed è stato utilizzato come occasione per incontrare i parlamentari nelle stesse ore in cui sono impegnati a votare il ddl che riforma la scuola.
Ieri, le votazioni sono andate avanti spedite e sono stati approvati i primi articoli. In serata, dopo il sit-in, la votazione è proseguita anche se la maggioranza è andata in confusione su un emendamento tecnico, facendo andare sotto il governo.
Da parte sua, in mattinata, Matteo Renzi, ha ribadito la linea del dialogo che non modifica nulla ribadendo il “no” allo stralcio di un decreto per assumere subito i precari e rinviare la parte generale della riforma.
In piazza si fanno vedere le opposizioni: Sel, con il capogruppo Arturo Scotto, il M5S con il suo Alessandro Di Battista rincorso da fotografi e tv, Paolo Ferrero del Prc ma, soprattutto, la minoranza Pd.
Presente in massa con Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre, Guglielmo Epifani, Barbara Pollastrini, Nico Stumpo e altri.
C’è “l’autonomo” Pippo Civati, anch’egli bersagliato dalle telecamere. E ci sono due inviate della maggioranza Anna Ascani e Simona Malpezzi.
Quest’ultima viene assediata da diversi docenti e contestata animatamente. Lei risponde, da sotto il palco, ma non prende la parola in piazza e dopo dieci minuti dall’inizio della manifestazione va via.
Eppure da quella piazza il Pd è stato ampiamente votato. Non si tratta di estremisti ma, come dice il segretario regionale della Cisl dal palco, di una categoria “letteralmente inferocita”.
Che abbiano creduto nel Pd lo si capisce dalla fatica che fa Alessandro Di Battista a difendersi dall’accusa di non aver appoggiato il tentativo di Pier Luigi Bersani nel 2013 oppure, paradossalmente, di essersi “fatto espellere dall’aula” e, quindi, di non aver potuto votare contro i provvedimenti del governo.
“Non prendetevela con me, prendetevela con il vostro partito” risponde lui quasi seccato, ma il dialogo restituisce il paradosso di questa piazza.
Un’altra insegnante di avvicina a Fassina: “Questa legge è invotabile”. E lui: “Infatti, non la voto”. “E poi, che facciamo?”. Fassina la sua scelta l’ha già fatta e la ripete ai Tg: “Se non ci saranno modifiche a questa legge non la voterò e uscirò dal Pd”.
E allora la docente abbassa la voce e gli dice in faccia: “Va bene, usciamo, ma deve essere una cosa ben organizzata”.
Le varie opposizioni che si ritrovano attorno alla chiamata dei sindacati di organizzazione non ne dimostrano molta.
La piazza sembra una sorta di Hyde Park, a ogni angolo c’è un leader in gestazione — Civati, Fassina o Di Battista — che anima intorno un piccolo talk show.
Tra loro, però, non si parlano. A un certo punto passa anche Marco Pannella, la sede dei radicali è dietro l’angolo, si ferma a parlare con gli insegnanti e ad ascoltare i comizi.
Dal palco si alternano le voci degli insegnanti, dei sindacalisti e dei politici. La convergenza sul merito è totale: questa legge andrebbe ritirata e riscritta da capo, ascoltando davvero gli insegnanti.
Invece, in aula, si va spediti come un treno. Ieri sono stati approvati i primi tre articoli e di aperture alle minoranze non se ne sono viste. La parte più delicata deve ancora venire.
Fassina, ad esempio, ha presentato tre emendamenti-chiave sulla chiamata diretta dei docenti, sul piano pluriennale per le docenze e sul 5 per mille.
Questo potrebbe essere il punto che, almeno fino ad oggi, il governo potrebbe rivedere per andare incontro alle richieste di chi dice che finanziare le singole scuole significherebbe creare istituti di serie A e di serie B.
Ma anche per andare incontro alle proteste delle associazioni no-profit che si vedrebbero togliere una parte dei loro finanziamenti.
Dal fronte sindacale viene assicurata continuità nella mobilitazione.
Già lunedì 18 maggio si terranno assemblee nelle scuole e cortei nelle varie città al pomeriggio. Il 19, poi, ci sarà un appuntamento, che si annuncia “rumoroso” davanti a Montecitorio.
Il sindacato sembra non spaventarsi nemmeno davanti alle minacce di precettazione che sono giunte in relazione all’eventuale blocco degli scrutini.
“Noi sciopereremo anche nel periodo degli scrutini”, dice Mimmo Pantaleo, segretario della Flc-Cgil. Come proseguirà la mobilitazione, in ogni caso, sarà definito dopo il voto delle Regionali.
Lì si vedrà se l’effetto della protesta degli insegnanti sarà stato rilevante e se Matteo Renzi avrà o meno l’intenzione di ascoltarlo.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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