Agosto 31st, 2010 Riccardo Fucile
LE COLOMBE FINIANE: “O FINI VIENE LEGITTIMATO AL RUOLO DI CO-FONDATORE DEL PDL CHE GLI COMPETE E LA RIUNIONE DEI PROBIVIRI VIENE ANNULLATA O LA CREAZIONE DI UN NUOVO PARTITO SARA’ INEVITABILE”….”COME SI FA A CHIEDERE IL PROCESSO PENALE BREVE, QUANDO GLI ITALIANI PER IL CIVILE DEVONO ASPETTARE 15 ANNI?”….CRESCE L’ATTESA PER IL DISCORSO DI FINI DOMENICA A MIRABELLO…ALTRA QUERELA DI FINI A “LIBERO”
Con l’apertura della Festa Tricolore di Mirabello, non si smorzano le tensioni all’interno della maggioranza.
Le dichiarazioni di giornata deglI esponenti di “Futuro e Libertà ” sembrano imporre un’accelerazione in vista del nuovo partito dei finiani.
Il viceministro dello Sviluppo, Adolfo Urso, lo lascia intuire chiaramente: “Se il Pdl non resetta tutto, la creazione di un nuovo partito è inevitabile”.
Il nodo della discordia è ancora l’espulsione di Gianfranco Fini, decretata con il documento stilato dall’Ufficio di presidenza del Pdl il 29 luglio.
In attesa di un passo indietro, che per il momento non arriva, Futuro e Libertà sembra orientarsi verso la creazione di una nuova forza politica.
Altra questione delicata: il processo breve.
Sul provvedimento sul quale il Pdl chiede “fedeltà ” agli amici-nemici, “Futuro e Libertà ” esprime ancora molte perplessità . “‘Come fai a chiedere agli italiani il processo breve penale” – dice il finiano Enzo Raisi – “quando per il civile devi aspettare anche 15 anni?”.
Ricomposizione o nuovo partito.
“Se si ricuce lo strappo avvenuto con l’espulsione del confondatore del Pdl, noi restiamo nel Pdl”, è la premessa di Urso.
“Ma se Fini non viene riammesso e legittimato con il ruolo che gli spetta nel Pdl come confondatore, è inevitabile che nasca un nuovo partito che stringa un patto di legislatura con il Pdl e con La Lega”.
Quest’ultima, ribadisce però Urso, “non è la nostra prima opzione. Noi vogliamo la resettatura di tutto, che venga dato a Fini e a noi di Futuro e libertà quello che ci spetta. Se invece si persistesse nello strappo”, avverte il viceministro, “non si può poi pretendere che noi, e gli stessi elettori, restiamo in un partito che non legittima più, che non riconosca cittadinanza politica a Gianfranco Fini”.
Tutti già aspettano il discorso del presidente della Camera che il 5 settembre chiuderà la festa di “Futuro e Libertà “.
“Fini a Mirabello rivolgerà un messaggio ai 4-5 milioni di elettori che lo hanno scelto come leader, ma anche alla nazione – continua Urso – Si rivolgerà a tutti gli italiani che si sentono in causa in questioni come l’interesse generale, l’integrità della nazione e la necessità di rinnovare il Paese”.
“Settembre – avverte il viceministro – sarà il mese della verità come quello d’agosto è stato quello delle aggressioni.
I berlusconiani – ripeto il mio appello – devono dimostrare che vogliono ricomporre la coalizione annullando la riunione dei probiviri del 17 settembre sull’espulsione di Bocchino, Granata e Briguglio.
Se non esprimono chiaramente questa volontà , se dovessero esserci altri strappi come l’espulsione di altri membri del partito, sarà inevitabile rappresentare, nel quadro di un patto che abbiamo con gli elettori, questa parte di centrodestra che rispetta le istituzioni e condivide la stessa visione degli altri partiti di centrodestra europei”.
Sulla stessa linea anche un altro dei finiani di ferro, Fabio Granata.
“A Mirabello Fini parlerà alla nazione, farà un discorso politico rivolto alla società “.
Salvo colpi di scena, Futuro e Libertà si trasformerà in un vero e proprio partito. Continua »
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Agosto 31st, 2010 Riccardo Fucile
IL LEADER LIBICO E IL PREMIER ITALIANO IN SOCIETA’, ATTRAVERSO FININVEST E LAFITRADE, IN QUINTA COMMUNICATIONS, LA SOCIETA’ DI COMUNICAZIONI DI BEN AMMAR… LA LIBIA HA SPESO 2,5 MILIARDI PER ENTRARE IN UNICREDIT, HA L’1% DI ENI, IL 14,8% DI RETETIL, LAVORA CON ANSALDO, FINMECCANICA, IMPREGILO…. E COSI’ SILVIO PUO’ ENTRARE NEI SALOTTI BUONI DELLA FINANZA
La visita di Gheddafi in Italia è continuata anche ieri tra le polemiche e le provocazioni del leader libico e il silenzio interessato del nostro governo. Gheddafi, non pago dei 5 miliardi regalatigli dall’Italia per fare il lavoro sporco di affogamento dei profughi, ha sostenuto che anche l’Europa gli deve dare 5 miliardi di euro l’anno per porre un freno al fenomeno migratorio.
Ha poi sostenuto che “le donne in Libia sono più libere che in Occidente” perchè possono stare a casa a preparare il pranzo ai mariti e anche a fare la calzetta, per concludere in serata con l’apologia di chi ha “giustiziato Mussolini” senza processo.
Detto da un assassino di studenti e oppositori, nonchè da un finanziatore del terrorismo internazionale, è indubbio che il soggetto avesse sicuramente tutte le credenziali per sostenere una tesi del genere.
Nel corso della cena con 800 invitati era stato persino severamente vietato porre al leader libico domande sui diritti umani e la tutela dei profughi in Libia. “Chi non capisce appartiene al passato”, ha spiegato il premier.
L’idea di islamizzare l’Europa non lo turba, in fondo basta che resista all’assedio il perimetro di Villa Certosa e sia garantito il pass alle veline in tubino nero.
Del resto sai che gliene frega.
Se poi i giudici, una volta islamizzati, non portassero a fondo i suoi processi ancora meglio, si convertirebbe subito all’Islam.
I più seri, in fondo, si sono dimostrati i carabininieri che hanno preteso per il loro tradizionale Carosello di non avere “nessun contatto” con la sceneggiata berbera.
Mentre molti, anche nella maggioranza, hanno parlato di una sceneggiata ignobile a danno del nostro Paese, è continuato il pellegrinaggio degli imprenditori alla tenda di Gheddafi ( in realtà dorme in un comodo letto all’ambasciata libica).
Perchè sono gli affari il vero motivo dell’amicizia tra il leader libico e Berlusconi.
Vediamo di approfondire quali.
Gli affari diretti ufficiali sono pochi. Gheddafi ha un tesoretto personale di 65 miliardi di dollari, sottratti al popolo libico evidentemente, visto che si tratta di petrodollari e non c’è scritto da nessuna parte che a lui spettino per la carica che ricopre in modo dittatoriale.
Attraverso Fininvest e Lafitrade, Gheddafi e Berlusconi, hanno una bella quota entrambi di Quinta Communications, società di produzione cinematografica di Tarak Ben Ammar, l’imprenditore franco-tunisino socio di Silvio in parecchie iniziative.
In realtà l’interesse è reciproco: Silvio ha sdoganato la Libia sui mercati internazionali e ne ha pilotato gli investimenti ad uso e consumo dei suoi interessi, politici e imprenditoriali, in Italia. Continua »
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Agosto 31st, 2010 Riccardo Fucile
IN ESCLUSIVA: IL NUOVO INNO NAZIONALE CANTATO DA APICELLA PER LA VISITA DEL SOSTENITORE DEL TERRORISMO GHEDDAFI A ROMA…ALLAH ALLAH ALLAH, MA CHI T’HA FFATTO FA’…. L’ITALIA DEL CARAVASERRAGLIO DI CENTRODESTRA SI PROSTA AI PIEDI DEL DITTATORE CHE VIOLA I DIRITTI UMANI, VUOLE ISLAMIZZARE L’EUROPA E PAGA LE COMPARSE
Caravan petrol, caravan petrol,
caravan petrol, caravan petrol,
caravan…
M’aggio affittato nu camello,
m’aggio accattato nu turbante,
nu turbante a’ Rinascente
cu o pennacchio rosso e blu…
Comme sì bello
a cavallo a stu camello
cu o binocolo a tracolla,
cu o turbante e o narghilè…
Uè, si curiuso mentre scave stu pertuso,
scordatello, nun è cosa:
cà o petrolio nun ce sta…
Allah! Allah! Allah!
ma chi t’ ha ffatto fa’?
Comme sì bello
a cavallo a stu camello
cu o binocolo a tracolla
cu o turbante e o narghilè!
Cu o fiasco ‘mmano e cu o camello,
cu e gguardie annanze e a folla arreto
‘rrevutà faccio Tuleto:
nun se pò cchiù cammenà …Jammo, è arrivato o pazzariello!
s’è travestito ‘a Menelicche,
mmesca o ppepe cu o ttabbacco…
chi sarrà st’Alì Babbà ?
Comme sì bello
a cavallo a stu camello
cu o binocolo a tracolla,
cu o turbante e o narghilè…
Comme so’ bello
a cavallo a stu camello,
cu o binocolo a tracolla,
cu o turbante e o narghilè!
Allah! Allah! Allah!
ma chi t’ ha ffatto fa’?
Caravan petrol, caravan petrol,
caravan petrol, caravan petrol,
caravan…
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Agosto 31st, 2010 Riccardo Fucile
ARREDI D’ORO, CORREDI PER LE RONDE, FUMETTI STORICI PIENI DI ERRORI, PENNE AL PEPERONCINO, PROPAGANDA PERSONALE COI SOLDI PUBBLICI…MOGLI SISTEMATE, APPALTI RADDOPPIATI, TRIPLI INCARICHI: COME LA LEGA SPRECA I SOLDI DEI CITTADINI
Ferisce più la penna della spada. Se poi è satinata con punta extrafine è dannatamente pericolosa.
Si tratta dell’ultima trovata propagandistica della Lega nel suo feudo del Nord-est.
Centinaia di biro griffate con il “Sole delle Alpi”, che sparano litri di peperoncino sugli immigrati pericolosi.
E soprattutto fanno campagna elettorale nelle borsette firmate delle elettrici. Le donne non devono più temere, perchè nel lungo elenco di sprechi targati Carroccio c’è pure questo sofisticato arnese. Il veleno è un estratto di pepe rosso in percentuali conformi alla normativa comunitaria, recitano le istruzioni. Il getto spara fino a due metri con precisione svizzera. E come al solito, a pagare ci penserà Pantalone.
Che mai volete che sia qualche migliaia di euro magari tagliati dai bilanci della polizia, se nel corpo a corpo con l’aggressore si potrà sfoderare l’arma con le insegne di Bossi?
C’è di tutto nelle pieghe dei bilanci targati Lega Nord.
E il colpo di grazia lo danno quasi sempre i capitoli caldi del gergo padano: cultura, prodotti locali e sicurezza.
Che non scatenano solo le polemiche, come nel caso dell’Inno di Mameli sostituito in Veneto con il Va’ Pensiero.
Ma soprattutto esborsi di soldi. Sempre pubblici.
Gli scolari lombardi forse non sanno che il fumetto camuffato da libro di storia che si sono visti distribuire qualche tempo fa è costato alla Regione 105 mila euro per 10 mila copie.
Un bell’elenco di refusi storici, forse non voluti, ma pagati a caro prezzo: le incisioni rupestri dei Camuni datate 3000 dopo Cristo, un passaggio che sembra attribuire la strage di piazza Fontana ai sessantottini, i galli che cantano “we are the padan cocks” e Garibaldi che scompare dalla storia dell’Unità d’Italia.
A Trieste c’erano arrivati per primi con una legge ad hoc sulle origini celtiche del popolo friulano, costata 6 miliardi di vecchie lire e documentari etnici da 200 mila euro a botta.
Senza contare lo studio della lingua locale nelle scuole, costato finora oltre 35 milioni anche grazie ai baracconi come l’Arlef, l’Agenzia regionale che lo gestisce, dove fra presidente e cda le poltrone sono cinque volte i dipendenti, per un costo mensile di quasi 100 mila euro.
In Veneto le polemiche sono esplose lo scorso marzo in piena campagna elettorale. Nemmeno l’ex ministro leghista Luca Zaia, eletto governatore a furor di popolo, lesinava in quanto a spesa pubblica proprio nei giorni in cui il Senatùr tuonava da Gemonio ordinando ai suoi di “portare le forbici in Regione per tagliare gli sprechi”.
Chi ha sfogliato la rivista “Il Welfare”, stampata da Buonitalia spa (società partecipata dal ministero delle Politiche agricole) e costata alle casse pubbliche 5 milioni di euro, avrà di certo apprezzato il book fotografico del nuovo Doge, distribuito a migliaia di famiglie venete.
Ritraeva Zaia in differenti mise: dal gessato allo sportivo, fra bottiglie di vino, formaggi e salumi.
Se poi qualcuno non l’avesse ricevuto, bastava dare un’occhiata al portale del ministero.
Fino alla notte del 18 marzo, denuncia un esposto alla Procura di Padova, vi comparivano i manifesti elettorali del ministro.
Cliccandoci sopra, poi, l’utente-navigatore veniva collegato al sito della campagna elettorale sotto lo slogan “Prima il Veneto”.
Sempre al ministero, gli statali in orario di lavoro garantivano la visione in rete di spot elettorali, messaggi politici, materiali personali del candidato leghista. Caricati dall’utente “Mipaaf”, che altro non è che la sigla del dicastero romano.
C’è pure un taglio del nastro che ha scatenato la bufera.
Quello, sempre voluto dalla Lega, del faraonico palazzo della Provincia di Treviso all’ex manicomio di Sant’Artemio.
Un appalto che doveva costare 35 milioni di euro, ma che è lievitato fino a 80 milioni.
E se qualcuno ripete che sono aumenti fisiologici, lo scontrino degli arredi parla chiaro: 12.840 euro sonanti per un solo tavolo e 531.426 euro per le sedie.
Fino agli incarichi ai parenti: promozioni e aumenti di stipendio per mogli, fratelli e amici. Tutto targato Carroccio.
Stefania Villanova, la consorte del sindaco di Verona Flavio Tosi fu nominata a capo della segreteria dell’assessorato alla sanità della Regione senza concorso, ma a stipendio triplo. Continua »
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Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
UN DITTATORE OSPITE DI UN GOVERNO CHE SOPPORTA ANCHE I SUOI PROCLAMI ALL’ISLAMIZZAZIONE DELL’EUROPA E LE COMPARSE A 100 EURO A TESTA… SILENZIO DEL PDL E DELLA LEGA CHE VENDONO I VALORI EUROPEI PER BUSINESS PRIVATI E PER IL LAVORO SPORCO DEI RESPINGIMENTI
Soldatesse da cinema, espressione da film e grugno maschile da una parte.
Ben 486 ragazze arruolate, per circondare il dittatore, da una società specializzata in casting dall’altra.
Non siamo a Cinecittà e neanche negli studi Mediaset per le prove del Grande Fratello, ma alla visita in Italia del colonnello Gheddafi.
Niente tubino nero necessario per avere accesso a Palazzo Grazioli, ma tute mimetiche marroni e blu o acconciatura sobria con poco trucco, vietata qualsiasi dichiarazione ai giornalisti.
Tra amazzoni e veline va in onda a Roma la sceneggiata della visita del leader libico, noto difensore dei diritti umani, al nostro Paese.
Con le solite cafonate dei ritardi, dei cambiamenti di programma, degli assaggiatori di cibo, delle tende piazzata sui prati, salvo poi dormire in un comodo letto.
Con gli affari privati da gestire in segreto, gli incontri riservati da centellinare, i venditori di tappeti che chiedono udienza e attendono in anticamera.
E gli schiaffi al Paese che lo ospita per i quali possiamo ringraziare chi sta al governo che li definisce solo “folklore”, come Silvio, o tace per convenienza, come Bossi.
Ieri Gheddafi ha convocato a pagamento 486 ragazze, di cui tre presunte convertire all’Islam sul posto, per comunicarci che “l’Islam diventerà la religione d’Europa e che Maometto è l’ultimo profeta”.
Il primo passo per l’islamizzazione del Vecchi Continente, ci ha gentilmente spiegato Gheddafi, sarà l’ingresso della Turchia nella Ue.
Quindi ha dissertato per ore in una lezione coranica di fronte a un pubblico pagato a uso e consumo della Tv libica, presentandosi al suo popolo come colui che converte sulla via dell’amatriciana.
Tre comparse su 486 era stato stabilito che dovessero convertirsi all’Islam e sono state dotate del velo d’ordinanza, mentre Gheddafi bonfonchiava parole di rito.
Per 100 euro (qualcuna sostiene solo 70) quelle povere vestali si erano fatte una lunga selezione, con lezioni di postura e di silenzio e un misero buffet.
Qualcuna è scappata per dignità : “Sono scioccata, non è possibile che la gente venga pagata per sentire queste assurdità . La gente fuori deve sapere quello che è successo. Gheddafi non può venire in Italia a dirci di convertirci all’Islam e che dovremmo sposare un libico, io mi sono sentita offesa”.
Beata innocenza: per Silvio è stato solo folklore, la Lega, baluardo della Cristianità , tace per non compromettere gli affogamenti dei profughi nel canale di Sicilia da parte dei libici. Continua »
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Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
LA STORIA DELLA PRESENZA ITALIANA IN LIBIA….20.000 ITALIANI CACCIATI NEL 1970 DA GHEDDAFI, IN VIOLAZIONE DELLE LEGGI INTERNAZIONALI: CONFISCATI BENI PARI A 5 MILIARDI ATTUALI DI EURO… NOI REGALIAMO 5 MILIARDI ALLA LIBIA, LORO NON PAGANO QUELLO CHE HANNO RUBATO
Ospitiamo un interessante intervento di “Nuova Destra Sociale” sulla visita di Gheddafi nel nostro Paese
La colonizzazione italiana della Libia fu avviata dal Governo Giolitti, sotto l’egidia della monarchia italiana e sotto la pressione lobbistica delle industrie di armi e dei gruppi finanziari che stavano investendo nel territorio nord-africano.
L’intervento militare contro i Turchi, che occupavano parte della Libia, ebbe inizio nell’ottobre 1911 concludendosi, dopo circa un anno, con gli Accordi di pace di Losanna e obbligando i Turchi a lasciare il territorio libico (in particolare la fascia costiera tra Zuara e Tobruk) sotto il dominio italiano.
Dal 1912 iniziò quindi un progressivo “processo di colonizzazione” istituzionale, demografico e territoriale della Libia, che fu amplificato con l’avvento in Italia del governo di Mussolini ed ebbe il suo culmine negli anni ’30, quando dall’Italia verso la Libia si registrò un fenomeno migratorio di massa, con ingenti spostamenti di popolazioni provenienti soprattutto dal Veneto, dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Basilicata.
Il comportamento dell’Italia in Libia, così come nelle altre colonie di “dominio diretto”, non fu affatto dissimile da quello delle altre potenze coloniali presenti in Africa e in Asia: Francia, Inghilterra, Germania, ovvero l’esproprio dei terreni, la confisca dei beni dei “ribelli”, il ricorso al lavoro forzato, fino alle pratiche di trasferimento coatto delle popolazioni indigene e la deportazione e segregazione in campi di internamento delle popolazioni “ribelli” capeggiate da Omar el-Mukhtà r.
Il Generale Badoglio – monarchico, quello dell’8 Settembre italiano – in una lettera a Graziani del 20 Giugno 1930, giustificò le deportazioni perchè “occorre creare un distacco territoriale tra le formazioni ribelli e le popolazioni sottomesse, onde impedire alle seconde di sostentare le prime…, ed urge far refluire in uno spazio ristretto, lontano dalle loro terre originarie, tutta la popolazione sottomessa, in modo che vi sia uno spazio di assoluto rispetto tra essa e i ribelli”.
Nel 1939, la comunità italiana aveva ormai raggiunto il 13% della popolazione complessiva.
Il “fenomeno migratorio” italiano verso la Libia cessò quasi del tutto nel 1940 con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale e si concluse definitivamente nel Gennaio 1943, quando la Libia venne occupata dalle truppe degli Alleati (anglofrancesi) per passare poi sotto il dominio (“protettorato”) inglese, cui seguì una dura “repressione” nei confronti dei civili “fascisti italiani” e “collaborazionisti arabi”.
Molti furono gli Italiani e i “collaborazionisti” internati nei campi di concentramento inglesi.
Ciò nonostante ed anche a seguito della fine del “colonialismo inglese”, molti Italiani decisero comunque di rimanere in Libia per motivi di natura commerciale e finanziaria: nel 1962, gli Italiani residenti in Libia erano ancora 35.000.
Il 7 Ottobre 1970, a seguito del colpo di Stato del colonnello Gheddafi del 1969, circa 20.000 Italiani residenti in Libia furono espulsi dal Paese, con il diritto di portare una sola valigia e tutti i loro beni vennero confiscati in violazione del trattato italo-libico del 1956, stipulato sulla base della Risoluzione Onu del 1950 che condizionava la nascita della Monarchia libica indipendente al rispetto dei diritti e degli interessi delle minoranze residenti nel Paese.
Il valore dei beni immobiliari confiscati venne calcolato, con valuta al 1970, dal Governo Italiano in 200 miliardi di lire.
Ai beni confiscati andavano inclusi i depositi bancari e le varie attività imprenditoriali e artigianali con relativo avviamento: questa cifra superava i 400 miliardi di lire che, attualizzati al 2010, significherebbe circa 5 miliardi di euro.
In quarant’anni non vi è mai stato un provvedimento ad hoc che prevedesse l’adeguato risarcimento per la confisca del 1970. Continua »
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Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
SECONDO ROSANNA SAPORI, GIORNALISTA DI RADIO PADANIA, IL CARROCCIO ERA A UN PASSO DALLA BANCAROTTA E IL PREMIER AVREBBE FINANZIATO LA LEGA IN CAMBIO DELLA TITOLARITA’ DEL LOGO DEL PARTITO…. LA CLAMOROSA INTERVISTA AL “RIFORMISTA” SPIEGHEREBBE PERCHE’ BOSSI E’ IL FEDELE ALLEATO DI BERLUSCONI
“Umberto Bossi vuole le elezioni? Alla fine dovrà fare quello che gli dice Silvio Berlusconi. Anche perchè già da qualche anno il simbolo della Lega Nord appartiene al Cavaliere”.
La storia non è nuova.
Un’indiscrezione che gira da tempo a Palazzo: nel 2005 il premier avrebbe finanziato il Carroccio, a un passo dalla bancarotta.
In cambio, avrebbe chiesto e ottenuto la titolarità del logo del partito, lo «spadone» di Alberto da Giussano.
A confermare la vicenda è Rosanna Sapori, già consigliere comunale della Lega, membro del direttivo provinciale di Bergamo e, soprattutto, (ormai ex) celebre giornalista di Radio Padania Libera.
“Nessuna invenzione – spiega la diretta interessata – l’ho detto più volte, anche in tv. E finora nessuno si è mai permesso di smentirmi”.
E dire che fino a pochi anni fa Rosanna Sapori e Umberto Bossi erano grandi amici. «Con lui – continua la giornalista – ho sempre avuto un rapporto bellissimo. Una relazione che, a differenza di altre donne all’interno della Lega, non aveva alcuna implicazione sessuale».
Il legame tra i due termina nel 2004, quando Rosanna viene cacciata da Radio Padania.
Alla base di quella epurazione, racconta lei, ci sarebbe proprio il legame con il Senatur. «La nostra amicizia aveva creato molta invidia a via Bellerio. Non è un caso che mi licenziarono proprio durante la sua malattia».
Nonostante tutto, Rosanna Sapori conserva un ottimo ricordo del leader della Lega, un politico di razza.
Ma anche un padre padrone. «Era un profondo conoscitore della psiche umana e del linguaggio del corpo. I suoi erano terrorizzati. Se ne prendeva di mira uno, lo massacrava. Lo insultava, lo umiliava. Godeva nel vederli prostrati davanti a lui».
La presunta compravendita del simbolo? A sentire la Sapori, i problemi per la Lega iniziarono con la creazione di Credieuronord. «Per carità – rivela la giornalista, che ha raccontato questa vicenda nel libro “L’unto del Signore” di Ferruccio Pinotti – probabilmente quell’istituto di credito è nato con tante buone intenzioni. Anche se Bossi non ci ha mai creduto più di tanto».
In realtà , in quegli anni il maggior sponsor di Credieuronord è proprio il Senatur. È Bossi a scrivere una lettera in cui invita i vertici del partito a sottoscrivere le quote della banca.
«Sarà – continua la Sapori – ma lui in quel progetto ci mise solo 20 milioni di lire. Calderoli, per esempio, investì 50 milioni. Ricordo che molti parlamentari, anche per paura di non essere più ricandidati, ci buttarono un sacco di soldi».
Il sogno bancario della Lega sfuma in poco tempo. Il bilancio 2003 dell’istituto di credito si chiude con 8 milioni di perdite.
Nello stesso anno, un’ispezione di Bankitalia fa emergere il dissesto.
«A quel punto Bossi, che forse aveva perso il controllo della banca – continua la Sapori – chiamò Giancarlo Giorgetti, suo confidente in materia finanziaria. Lo ricordo benissimo.
Gli chiese: “Fammi capire cosa sta succedendo”.
Giorgetti si recò nella sede della banca, a due passi da via Bellerio, entrò e non ne uscì per una settimana.
Quando portò i conti a Bossi, gli disse molto chiaramente che rischiavano di andare tutti in galera».
Misteriosamente, la Lega trova una via d’uscita.
Nel 2005, la Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani interviene per rilevare Credieuronord.
E Silvio Berlusconi cosa c’entra in tutta questa storia?
«Fu lui a permettere l’intervento di Fiorani – spiega la Sapori -. In ogni caso i conti dissestati della Lega non derivavano mica solo dalla banca. C’erano già i problemi finanziari dell’Editoriale Nord, l’azienda cui facevano capo la radio, la tv e il giornale di partito. Il primo creditore di Bossi, poi, era proprio il presidente Berlusconi. Le innumerevoli querele per diffamazione che gli aveva fatto dopo il ribaltone del ’94, le aveva vinte quasi tutte. La Lega era piena di debiti. Si era imbarcata in un’interminabile serie di fantasiosi e poco redditizi progetti come il circo padano, l’orchestra padana. Non riuscivano a pagare i fornitori delle manifestazioni. Ricordo che allora erano sotto sequestro le rotative del giornale e i mobili di via Bellerio».
Così, secondo il racconto della Sapori, il Cavaliere decide di ripianare i debiti del Carroccio. Facendosi dare, in cambio, la titolarità del simbolo del partito.
«Glielo suggerì Aldo Brancher – ricorda la Sapori -. La titolarità del logo di Alberto da Giussano era di Umberto Bossi, della moglie Manuela Marrone e del senatore Giuseppe Leoni. Furono loro a firmare la cessione del simbolo. È tutto ratificato da un notaio».
E aggiunge: «Fini questa storia la conosce benissimo – taglia corto la Sapori -. Qualche anno fa lui e il premier si incontrarono a cena a Milano. C’erano anche altri parlamentari del centrodestra. Quando qualcuno si lamentò del comportamento della Lega, il Cavaliere si alzò in piedi e annunciò: “Non preoccupatevi di Bossi, lui non tradirà più. Lo spadone è mio”».
Secondo indiscrezioni, il simbolo del Carroccio costò a Berlusconi circa 70 miliardi di lire. Continua »
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Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
MENTRE IN ITALIA IL GOVERNO PENSA A IMPEDIRE AI GIORNALI DI PUBBLICARE LE INTERCETTAZIONI SCOMODE AL POTERE, IN GERMANIA UN GOVERNO DI DESTRA BLINDA LA LIBERTA’ DI STAMPA…CAMBIATO IL CODICE PENALE PER SOTTRARRE I GIORNALISTI ALLE PENE
Per il centrodestra tedesco di Angela Merkel, la libertà di stampa è un valore costitutivo della democrazia, e quindi non solo va difesa ma anche rafforzata.
Il governo ha approvato un disegno di legge volto appunto a proteggere maggiormente i giornalisti, in particolare quando diffondono informazioni riservate o segreti istruttori.
La nuova legge stabilisce con chiarezza inequivocabile che solo le fonti che passano le informazioni riservate, ma non i giornalisti stessi, possono essere perseguite in base al diritto penale.
Il disegno di legge approvato prevede, con un emendamento al codice penale, che non sia più possibile per la magistratura perseguire i giornalisti per concorso nella violazione del segreto su notizie riservate.
L’esecutivo della Merkel ha deciso di privilegiare il diritto dei media a informare liberamente, e quello dell’opinione pubblica a informarsi ed essere informata.
Una decisione, quella tedesca, che va in direzione diametralmente opposta rispetto agli orientamenti del centrodestra italiano.
E’ uno strappo anche con le frequenti passate abitudini dell’establishment tedesco, sia dei conservatori sia a volte della Spd, quando era al potere, di cercare di controllare o condizionare la libertà dei media.
La nuova legge federale voluta dalla Merkel e dal ministro della Giustizia, la liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, introduce una importante modifica, inserendo un emendamento correttivo all’articolo 335b del codice penale. Continua »
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Agosto 29th, 2010 Riccardo Fucile
CRITICHE DEL PRINCIPALE QUOTIDIANO FINANZIARIO STATUNITENSE AL NOSTRO PREMIER: “DOVEVA RIDURRE LO STATALISMO, SI E’ PERSO IN VOTI DI FIDUCIA, SCANDALI, STAGNAZIONE ECONOMICA E BUROCRAZIA SCLEROTICA”
E’ abitudine del nostro premier prendersela con la stampa nazionale, rea di mal interpretare sempre le sue parole e le sue iniziative politiche oppure di rimestare nel torbido delle sue frequentazioni private.
Mano a mano, i suoi anatemi hanno raggiunto anche la stampa estera, accusata di fare da cassa di risonanza delle critiche che gli vengono rivolte dai media italiani.
Fino a ipotizzare un complotto internazionale ai suoi danni, ordito da chissà quale centrale politico-finanziaria.
Questa volta però la critica arriva da una fonte insospettabile, ovvero dal principale quotidiano finanziario statunitense, di impronta conservatore tra l’altro, quindi difficilmente accusabile di “connivenza con il nemico”.
Parliamo del quotato Wall Street Journal secondo il quale ” l’Italia sta declinando”.
Il quotidiano va giù pesante: “immaginate che cosa potrebbero ottenere gli italiani se Berlusconi non tenesse le sue promesse di dinamismo ostaggio di una lotta politica senza esclusione di colpi”.
È solo la conclusione di un editoriale che il Wall Street Journal ha dedicato alla crisi politica italiana, intitolato «Circo Romano».
Il quotidiano finanziario formula un giudizio impietoso sulla situazione del nostro Paese, dopo una sintetica ricostruzione della crisi in seno al Popolo della Libertà , con i contrasti tra il premier e il presidente della Camera Gianfranco Fini, e con l’ultimatum di Berlusconi sui cinque punti programmatici per l’esecutivo.
“Intanto – si legge nell’editoriale – l’Italia declina. Gli elettori hanno eletto Berlusconi sulla promessa di ridurre lo Stato. E ciò che hanno ottenuto, invece, è una sfilata senza fine di voti di fiducia, scandali, relativa stagnazione economica e burocrazia sclerotica”. Continua »
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