Agosto 7th, 2010 Riccardo Fucile
“NEL PDL C’E’ SOLO LA LEADERSHIP CARISMATICA DEL CAPO: UN PARTITO DOVE CIO’ CHE PIACE AL PRINCIPE HA VALORE DI LEGGE E CHI NON E’ D’ACCORDO VIENE MESSO ALLA PORTA NON PUO’ FUNZIONARE”….”FINI VOLEVA SOLO UN CONFRONTO SUI GRANDI TEMI POLITICI, MA NEL PDL E’ VIETATO DISCUTERE, NEANCHE SI FANNO I CONGRESSI”
L’addio al Pdl in questi giorni è prerogativa non soltanto delle truppe finiane in Parlamento: nella periferia del Paese stanno lasciando il partito tanti esponenti che hanno contribuito a fondarlo, ritenendo ormai irrespirabile l’aria di conformismo e di sudditanza in cui è stato ridotto il partito.
Proprio a Milano, città di cui è stato sindaco, per poi diventare anche parlamentare europeo, Gabriele Albertini, un “berlusconiano di ferro” della prima ora, lascia il Pdl : “Provo una grande difficoltà a uniformarmi alle ultime decisioni prese dal partito, come la cacciata di Fini. Un partito dove l’impietoso calvario del confronto è considerato un’eresia”.
Continua Albertini: “Quando è nato il Pdl mi sembrava il tentativo di allargare la partecipazione democratica per aggregare nuovi consensi. Silvio ha invece costruito un partito dove ciò che piace al principe ha vigore di legge e chi non è d’accordo viene messo alla porta: un partito così a me non piace e non può funzionare. Se si ipotizza un traguardo un po’ più lontano, diventa necessario costruire i meccanismi di democrazia interna propri di tutti i partiti liberali”. Continua »
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Agosto 7th, 2010 Riccardo Fucile
ALLA CAMERA IL PREMIER NON POTRA’ MAI ANDARE OLTRE I 307 VOTI SENZA IL PERMESSO DI FINI CHE TIENE ANCHE IN PUGNO DUE COMMISSIONI VITALI: GIUSTIZIA ALLA CAMERA E FINANZE AL SENATO, OVVERO LEGGI AD PERSONAM E FEDERALISMO…PISANU: “MI OPPORRO’ AL VOTO ANTICIPATO, IN PARLAMENTO TANTISSIMI I CONTRARI”… E SILVIO NON POTREBBE USARE NEANCHE IL SIMBOLO ATTUALE DEL PDL
Si riuniscono spesso, in misura inversamente proporzionale alle possibilità che hanno di uscire dal cul de sac in cui sono andati ad infognarsi.
I vertici di corte non sortiscono effetti, salvo dichiarazioni roboanti dei capibastone, sintonizzate all’unisono sui vecchi 75 giri da bancarella dell’usato insicuro: “il governo ha i numeri”, “al primo ostacolo si andrà alle urne” e via apicellando.
Vediamo di approfondire i vari aspetti:
1) Il governo ha i numeri o li dà ?
Se al Senato (per ora, e sottoliniamo per ora) il governo ha ancora una maggioranza di 2-3 unità , alla Camera il voto su Caliendo ha dimostrato che, in caso di braccio di ferro con i finiani, il centrodestra non potrà mai superare i 305-307 voti, calcolando anche tutti gli assenti di mercoledì scorso, rispetto a quota 316, il minimo previsto per la sopravvivenza.
Quindi o Silvio tratta con Fini o non passa nulla, anche alla luce del fatto che altri deputati sono rimasti coperti finora, ma sono schierati con Fini.
Pertanto la disfatta sarebbe tragica.
2) Altra cosa di non poco conto: i finiani controllano due commissioni, quella della Giustizia alla Camera (presidente la Bongiorno) e quella delle Finanze al Senato (presidente Baldassarri), nel senso che a seconda di come si schierino creano una maggioranza.
E avendo competenza la Commissione Giustizia su leggi tipo il “processo breve” e quella delle Finanze sul federalismo, potete immaginare quali ostacoli potrebbero porre per bloccare tutto.
Non saranno quindi giustizia o federalismo il terreno adatto per Silvio per sfidare Fini, altrimenti viene asfaltato.
3) A questo punto il governo potrebbe a settembre chiedere un voto di fiducia alla Camera: nessun problema, Fini vota a favore e Silvio rimane inchiodato nella foresta vietnamita fin che vuole il Gianfri.
Si dimette lo stesso? Trova un altro pretesto per dimettersi?
Bene, sale da Napolitano che lo invita a sottoporsi al voto di fiducia, come da prassi.
O rinegozia il programma con Fini e si arriva a ad un accordo pesante a favore di Fini o il presidente della Camera può rivotare a favore e Silvio rimane col cerino in mano.
4) Poniamo che alla fine Berlusconi si dimetta irrevocabilmente: non è lui che decide di tornare alle urne, può solo proporlo, ma è Napoltano che decide.
Se esiste una maggioranza che non vuole tornarci (e i numeri dicono che potrebbe esserci) al voto non ci si va.
Se esiste un accordo numericamente adeguato su un governo tecnico si va a un governo tecnico.
A quel punto Silvio resterebbe senza carica ed esposto ai giudizi del tribunale di Milano, qualora la Corte costituzionale a ottobre decidesse per l’incostituzionalità delle norme sul legittimo impedimento. Continua »
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