Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
UN DITTATORE OSPITE DI UN GOVERNO CHE SOPPORTA ANCHE I SUOI PROCLAMI ALL’ISLAMIZZAZIONE DELL’EUROPA E LE COMPARSE A 100 EURO A TESTA… SILENZIO DEL PDL E DELLA LEGA CHE VENDONO I VALORI EUROPEI PER BUSINESS PRIVATI E PER IL LAVORO SPORCO DEI RESPINGIMENTI
Soldatesse da cinema, espressione da film e grugno maschile da una parte.
Ben 486 ragazze arruolate, per circondare il dittatore, da una società specializzata in casting dall’altra.
Non siamo a Cinecittà e neanche negli studi Mediaset per le prove del Grande Fratello, ma alla visita in Italia del colonnello Gheddafi.
Niente tubino nero necessario per avere accesso a Palazzo Grazioli, ma tute mimetiche marroni e blu o acconciatura sobria con poco trucco, vietata qualsiasi dichiarazione ai giornalisti.
Tra amazzoni e veline va in onda a Roma la sceneggiata della visita del leader libico, noto difensore dei diritti umani, al nostro Paese.
Con le solite cafonate dei ritardi, dei cambiamenti di programma, degli assaggiatori di cibo, delle tende piazzata sui prati, salvo poi dormire in un comodo letto.
Con gli affari privati da gestire in segreto, gli incontri riservati da centellinare, i venditori di tappeti che chiedono udienza e attendono in anticamera.
E gli schiaffi al Paese che lo ospita per i quali possiamo ringraziare chi sta al governo che li definisce solo “folklore”, come Silvio, o tace per convenienza, come Bossi.
Ieri Gheddafi ha convocato a pagamento 486 ragazze, di cui tre presunte convertire all’Islam sul posto, per comunicarci che “l’Islam diventerà la religione d’Europa e che Maometto è l’ultimo profeta”.
Il primo passo per l’islamizzazione del Vecchi Continente, ci ha gentilmente spiegato Gheddafi, sarà l’ingresso della Turchia nella Ue.
Quindi ha dissertato per ore in una lezione coranica di fronte a un pubblico pagato a uso e consumo della Tv libica, presentandosi al suo popolo come colui che converte sulla via dell’amatriciana.
Tre comparse su 486 era stato stabilito che dovessero convertirsi all’Islam e sono state dotate del velo d’ordinanza, mentre Gheddafi bonfonchiava parole di rito.
Per 100 euro (qualcuna sostiene solo 70) quelle povere vestali si erano fatte una lunga selezione, con lezioni di postura e di silenzio e un misero buffet.
Qualcuna è scappata per dignità : “Sono scioccata, non è possibile che la gente venga pagata per sentire queste assurdità . La gente fuori deve sapere quello che è successo. Gheddafi non può venire in Italia a dirci di convertirci all’Islam e che dovremmo sposare un libico, io mi sono sentita offesa”.
Beata innocenza: per Silvio è stato solo folklore, la Lega, baluardo della Cristianità , tace per non compromettere gli affogamenti dei profughi nel canale di Sicilia da parte dei libici. Continua »
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Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
LA STORIA DELLA PRESENZA ITALIANA IN LIBIA….20.000 ITALIANI CACCIATI NEL 1970 DA GHEDDAFI, IN VIOLAZIONE DELLE LEGGI INTERNAZIONALI: CONFISCATI BENI PARI A 5 MILIARDI ATTUALI DI EURO… NOI REGALIAMO 5 MILIARDI ALLA LIBIA, LORO NON PAGANO QUELLO CHE HANNO RUBATO
Ospitiamo un interessante intervento di “Nuova Destra Sociale” sulla visita di Gheddafi nel nostro Paese
La colonizzazione italiana della Libia fu avviata dal Governo Giolitti, sotto l’egidia della monarchia italiana e sotto la pressione lobbistica delle industrie di armi e dei gruppi finanziari che stavano investendo nel territorio nord-africano.
L’intervento militare contro i Turchi, che occupavano parte della Libia, ebbe inizio nell’ottobre 1911 concludendosi, dopo circa un anno, con gli Accordi di pace di Losanna e obbligando i Turchi a lasciare il territorio libico (in particolare la fascia costiera tra Zuara e Tobruk) sotto il dominio italiano.
Dal 1912 iniziò quindi un progressivo “processo di colonizzazione” istituzionale, demografico e territoriale della Libia, che fu amplificato con l’avvento in Italia del governo di Mussolini ed ebbe il suo culmine negli anni ’30, quando dall’Italia verso la Libia si registrò un fenomeno migratorio di massa, con ingenti spostamenti di popolazioni provenienti soprattutto dal Veneto, dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Basilicata.
Il comportamento dell’Italia in Libia, così come nelle altre colonie di “dominio diretto”, non fu affatto dissimile da quello delle altre potenze coloniali presenti in Africa e in Asia: Francia, Inghilterra, Germania, ovvero l’esproprio dei terreni, la confisca dei beni dei “ribelli”, il ricorso al lavoro forzato, fino alle pratiche di trasferimento coatto delle popolazioni indigene e la deportazione e segregazione in campi di internamento delle popolazioni “ribelli” capeggiate da Omar el-Mukhtà r.
Il Generale Badoglio – monarchico, quello dell’8 Settembre italiano – in una lettera a Graziani del 20 Giugno 1930, giustificò le deportazioni perchè “occorre creare un distacco territoriale tra le formazioni ribelli e le popolazioni sottomesse, onde impedire alle seconde di sostentare le prime…, ed urge far refluire in uno spazio ristretto, lontano dalle loro terre originarie, tutta la popolazione sottomessa, in modo che vi sia uno spazio di assoluto rispetto tra essa e i ribelli”.
Nel 1939, la comunità italiana aveva ormai raggiunto il 13% della popolazione complessiva.
Il “fenomeno migratorio” italiano verso la Libia cessò quasi del tutto nel 1940 con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale e si concluse definitivamente nel Gennaio 1943, quando la Libia venne occupata dalle truppe degli Alleati (anglofrancesi) per passare poi sotto il dominio (“protettorato”) inglese, cui seguì una dura “repressione” nei confronti dei civili “fascisti italiani” e “collaborazionisti arabi”.
Molti furono gli Italiani e i “collaborazionisti” internati nei campi di concentramento inglesi.
Ciò nonostante ed anche a seguito della fine del “colonialismo inglese”, molti Italiani decisero comunque di rimanere in Libia per motivi di natura commerciale e finanziaria: nel 1962, gli Italiani residenti in Libia erano ancora 35.000.
Il 7 Ottobre 1970, a seguito del colpo di Stato del colonnello Gheddafi del 1969, circa 20.000 Italiani residenti in Libia furono espulsi dal Paese, con il diritto di portare una sola valigia e tutti i loro beni vennero confiscati in violazione del trattato italo-libico del 1956, stipulato sulla base della Risoluzione Onu del 1950 che condizionava la nascita della Monarchia libica indipendente al rispetto dei diritti e degli interessi delle minoranze residenti nel Paese.
Il valore dei beni immobiliari confiscati venne calcolato, con valuta al 1970, dal Governo Italiano in 200 miliardi di lire.
Ai beni confiscati andavano inclusi i depositi bancari e le varie attività imprenditoriali e artigianali con relativo avviamento: questa cifra superava i 400 miliardi di lire che, attualizzati al 2010, significherebbe circa 5 miliardi di euro.
In quarant’anni non vi è mai stato un provvedimento ad hoc che prevedesse l’adeguato risarcimento per la confisca del 1970. Continua »
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Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
SECONDO ROSANNA SAPORI, GIORNALISTA DI RADIO PADANIA, IL CARROCCIO ERA A UN PASSO DALLA BANCAROTTA E IL PREMIER AVREBBE FINANZIATO LA LEGA IN CAMBIO DELLA TITOLARITA’ DEL LOGO DEL PARTITO…. LA CLAMOROSA INTERVISTA AL “RIFORMISTA” SPIEGHEREBBE PERCHE’ BOSSI E’ IL FEDELE ALLEATO DI BERLUSCONI
“Umberto Bossi vuole le elezioni? Alla fine dovrà fare quello che gli dice Silvio Berlusconi. Anche perchè già da qualche anno il simbolo della Lega Nord appartiene al Cavaliere”.
La storia non è nuova.
Un’indiscrezione che gira da tempo a Palazzo: nel 2005 il premier avrebbe finanziato il Carroccio, a un passo dalla bancarotta.
In cambio, avrebbe chiesto e ottenuto la titolarità del logo del partito, lo «spadone» di Alberto da Giussano.
A confermare la vicenda è Rosanna Sapori, già consigliere comunale della Lega, membro del direttivo provinciale di Bergamo e, soprattutto, (ormai ex) celebre giornalista di Radio Padania Libera.
“Nessuna invenzione – spiega la diretta interessata – l’ho detto più volte, anche in tv. E finora nessuno si è mai permesso di smentirmi”.
E dire che fino a pochi anni fa Rosanna Sapori e Umberto Bossi erano grandi amici. «Con lui – continua la giornalista – ho sempre avuto un rapporto bellissimo. Una relazione che, a differenza di altre donne all’interno della Lega, non aveva alcuna implicazione sessuale».
Il legame tra i due termina nel 2004, quando Rosanna viene cacciata da Radio Padania.
Alla base di quella epurazione, racconta lei, ci sarebbe proprio il legame con il Senatur. «La nostra amicizia aveva creato molta invidia a via Bellerio. Non è un caso che mi licenziarono proprio durante la sua malattia».
Nonostante tutto, Rosanna Sapori conserva un ottimo ricordo del leader della Lega, un politico di razza.
Ma anche un padre padrone. «Era un profondo conoscitore della psiche umana e del linguaggio del corpo. I suoi erano terrorizzati. Se ne prendeva di mira uno, lo massacrava. Lo insultava, lo umiliava. Godeva nel vederli prostrati davanti a lui».
La presunta compravendita del simbolo? A sentire la Sapori, i problemi per la Lega iniziarono con la creazione di Credieuronord. «Per carità – rivela la giornalista, che ha raccontato questa vicenda nel libro “L’unto del Signore” di Ferruccio Pinotti – probabilmente quell’istituto di credito è nato con tante buone intenzioni. Anche se Bossi non ci ha mai creduto più di tanto».
In realtà , in quegli anni il maggior sponsor di Credieuronord è proprio il Senatur. È Bossi a scrivere una lettera in cui invita i vertici del partito a sottoscrivere le quote della banca.
«Sarà – continua la Sapori – ma lui in quel progetto ci mise solo 20 milioni di lire. Calderoli, per esempio, investì 50 milioni. Ricordo che molti parlamentari, anche per paura di non essere più ricandidati, ci buttarono un sacco di soldi».
Il sogno bancario della Lega sfuma in poco tempo. Il bilancio 2003 dell’istituto di credito si chiude con 8 milioni di perdite.
Nello stesso anno, un’ispezione di Bankitalia fa emergere il dissesto.
«A quel punto Bossi, che forse aveva perso il controllo della banca – continua la Sapori – chiamò Giancarlo Giorgetti, suo confidente in materia finanziaria. Lo ricordo benissimo.
Gli chiese: “Fammi capire cosa sta succedendo”.
Giorgetti si recò nella sede della banca, a due passi da via Bellerio, entrò e non ne uscì per una settimana.
Quando portò i conti a Bossi, gli disse molto chiaramente che rischiavano di andare tutti in galera».
Misteriosamente, la Lega trova una via d’uscita.
Nel 2005, la Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani interviene per rilevare Credieuronord.
E Silvio Berlusconi cosa c’entra in tutta questa storia?
«Fu lui a permettere l’intervento di Fiorani – spiega la Sapori -. In ogni caso i conti dissestati della Lega non derivavano mica solo dalla banca. C’erano già i problemi finanziari dell’Editoriale Nord, l’azienda cui facevano capo la radio, la tv e il giornale di partito. Il primo creditore di Bossi, poi, era proprio il presidente Berlusconi. Le innumerevoli querele per diffamazione che gli aveva fatto dopo il ribaltone del ’94, le aveva vinte quasi tutte. La Lega era piena di debiti. Si era imbarcata in un’interminabile serie di fantasiosi e poco redditizi progetti come il circo padano, l’orchestra padana. Non riuscivano a pagare i fornitori delle manifestazioni. Ricordo che allora erano sotto sequestro le rotative del giornale e i mobili di via Bellerio».
Così, secondo il racconto della Sapori, il Cavaliere decide di ripianare i debiti del Carroccio. Facendosi dare, in cambio, la titolarità del simbolo del partito.
«Glielo suggerì Aldo Brancher – ricorda la Sapori -. La titolarità del logo di Alberto da Giussano era di Umberto Bossi, della moglie Manuela Marrone e del senatore Giuseppe Leoni. Furono loro a firmare la cessione del simbolo. È tutto ratificato da un notaio».
E aggiunge: «Fini questa storia la conosce benissimo – taglia corto la Sapori -. Qualche anno fa lui e il premier si incontrarono a cena a Milano. C’erano anche altri parlamentari del centrodestra. Quando qualcuno si lamentò del comportamento della Lega, il Cavaliere si alzò in piedi e annunciò: “Non preoccupatevi di Bossi, lui non tradirà più. Lo spadone è mio”».
Secondo indiscrezioni, il simbolo del Carroccio costò a Berlusconi circa 70 miliardi di lire. Continua »
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Agosto 30th, 2010 Riccardo Fucile
MENTRE IN ITALIA IL GOVERNO PENSA A IMPEDIRE AI GIORNALI DI PUBBLICARE LE INTERCETTAZIONI SCOMODE AL POTERE, IN GERMANIA UN GOVERNO DI DESTRA BLINDA LA LIBERTA’ DI STAMPA…CAMBIATO IL CODICE PENALE PER SOTTRARRE I GIORNALISTI ALLE PENE
Per il centrodestra tedesco di Angela Merkel, la libertà di stampa è un valore costitutivo della democrazia, e quindi non solo va difesa ma anche rafforzata.
Il governo ha approvato un disegno di legge volto appunto a proteggere maggiormente i giornalisti, in particolare quando diffondono informazioni riservate o segreti istruttori.
La nuova legge stabilisce con chiarezza inequivocabile che solo le fonti che passano le informazioni riservate, ma non i giornalisti stessi, possono essere perseguite in base al diritto penale.
Il disegno di legge approvato prevede, con un emendamento al codice penale, che non sia più possibile per la magistratura perseguire i giornalisti per concorso nella violazione del segreto su notizie riservate.
L’esecutivo della Merkel ha deciso di privilegiare il diritto dei media a informare liberamente, e quello dell’opinione pubblica a informarsi ed essere informata.
Una decisione, quella tedesca, che va in direzione diametralmente opposta rispetto agli orientamenti del centrodestra italiano.
E’ uno strappo anche con le frequenti passate abitudini dell’establishment tedesco, sia dei conservatori sia a volte della Spd, quando era al potere, di cercare di controllare o condizionare la libertà dei media.
La nuova legge federale voluta dalla Merkel e dal ministro della Giustizia, la liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, introduce una importante modifica, inserendo un emendamento correttivo all’articolo 335b del codice penale. Continua »
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