Destra di Popolo.net

E’ L’ORA DEI SERVI SCIOCCHI: LA RAI VIETA LA PARTECIPAZIONE DI FINI E BERSANI A “VIENI VIA CON ME”

Novembre 12th, 2010 Riccardo Fucile

ERANO STATI INVITATI DA FAZIO E SAVIANO PER RACCONTARE I VALORI DELLA DESTRA E DELLA SINISTRA IN UN CONTESTO MENO RIGIDO DEL CLASSICO TALK SHOW E AVEVANO GIA’ ACCETTATO…. ARRIVA LA CIRCOLARE DI MARANO E MASI: “LA PRESENZA DI POLITICI IN TRASMISSIONE NON E’ PREVISTA”… LA PAURA FA NOVANTA: VERGOGNARSI DI TUTTO, DI PIU’

In teoria, sarebbero dovuti intervenire per raccontare i valori della destra e della sinistra.
In teoria, perchè in pratica- decisione del vicedirettore Rai Marano, avallata dal direttore Masi- Fini e Bersani potrebbero limitarsi a guardare la puntata di “Vieni via con me” in tv.
Non appena la notizia della partecipazione dei due leader di partito alla trasmissione condotta da Fazio e Saviano ha iniziato a circolare tra i corridoi di Viale Mazzini è arrivata una nota di servizio al direttore di rete Paolo Ruffini: «La presenza di politici nella trasmissione non è prevista».
La presenza di Bersani e Fini, fanno notare in Rai, risulta in contrasto sia con la direttiva del direttore generale dello scorso mese di agosto, sia con la direttiva della commissione di Vigilanza del marzo del 2003 che con quella del precedente dg, Claudio Cappon, del gennaio del 2009.
Marano avrebbe inoltre ricordato che anche la presenza del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ospite del programma lunedì scorso, non ci sarebbe dovuta essere.
Che strano: se ne è accorto ora.
Vendola non dava forse fastidio al manovratore, Fini e Bersani evidentemente sì: in questo particolare momento politico essere ospiti di una trasmissione di successo potrebbe far guadagnare consensi ai due protagonisti della vita politica italiana e quindi meglio ricorrere a pretestuosi motivi per farli tacere.
Fini e Bersani non sarebbero intervenuti sul modello talk show: entrambi avevano accettato la liturgia di “Vieni via con Me”, che vede gli ospiti intervenire su un tema, eventualmente anche leggendo un testo.
Fonti della rete avevano in precedenza fatto sapere che i due uomini politici sarebbero intervenuti sui valori della destra e della sinistra nello ‘spirito’ della trasmissione.
Lo avrebbero fatto con due monologhi separati: il primo a prendere la parola sarebbe stato l’ex leader di Alleanza nazionale, poi il segretario democratico. Fra i due, assicurano gli autori, non ci sarebbero stati quindi momenti di confronto, ma soltanto interventi separati.
Da notare che il presidente della Camera sarebbe stato ospite della trasmissione il giorno della probabile uscita della delegazione di Futuro e libertà    dal governo.
Ora la polemica divampa e nelle prossime ore si saprà  il destino della loro partecipazione nella Tv di un Paese sempre più simile alla Repubblica delle banale o del Bunga Bunga.

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FELTRI, SOSPESO DALL’ORDINE, PENSA A MOLLARE SILVIO E A FARE UN NUOVO GIORNALE

Novembre 12th, 2010 Riccardo Fucile

DAI 15 MILIONI DI EURO DI INGAGGIO AL CASO BOFFO E ALLA CASA DI MONTECARLO: ORA FELTRI   HA CAPITO CHE E’ TEMPO DI CAMBIARE ARIA, SALLUSTI E’ PIU’ AZIENDALISTA… IL PROGETTO DI UN NUOVO GIORNALE: NELL’IMPRESA CI SAREBBERO ANCHE BELPIETRO E MULE’…L’ARTICOLO DI LUCA TELESE

Aveva detto, solennemente: “Se l’ordine mi condannerà  per me sarebbe una grande delusione. E in questo caso potrei lasciare Il Giornale”.
Ebbene: ieri, dopo una seduta incredibilmente lunga e battagliata, l’Ordine dei giornalisti, riunito all’Hotel D’Azeglio di Roma ha confermato quella condanna. Ridotta da sei a tre mesi, certo, ma pur sempre confermata nella sua conseguenza più dura: non poter firmare un quotidiano.
Quindi da domani Vittorio Feltri potrebbe davvero lasciare il giornale per fondarne un altro, “Un fatto anarchico e di centrodestra”, per usare le sue parole.
Un’ipotesi a cui, come vedremo, sta lavorando da tempo, in grande segretezza.
Chi sentendo questa notizia pensasse che si tratti solo di una nota per addetti ai lavori sbaglia.
L’addio di Feltri e la nascita di un nuovo quotidiano sarebbero, per il berlusconismo, l’equivalente di una bomba atomica.
Perchè la rappresentazione del potere in questi anni è stata tutta giocata sull’edificazione dei simboli e, soprattutto, perchè le grandi scelte politiche sono state prese tutte sull’onda di grandi campagne giornalistiche.
Infine, perchè il ritorno di Feltri a Il Giornale segnò l’apertura dell’ultima (se non altro in ordine di tempo) resurrezione comunicativa del Cavaliere dopo il baratro sfiorato del Noemi gate.
Adesso Feltri se ne va, senza sbattere la porta con polemiche fratricide, ma distinguendosi nettamente dal suo compagno di battaglie Alessandro Sallusti. Se ne va e lo fa marcando il territorio sul nodo incandescente (per i media di centrodestra) del giudizio sul berlusconismo: “Arrivo al giornale e mi dicono: ‘Bisogna difendere Berlusconi…’. Bisognerà  pure difenderlo, ma anche dire che non ha mantenuto le sue promesse e che ci si può rompere le balle delle sue veline”.
Non è un caso quindi che ieri, dalla lontana Seul, letta l’intervista a Feltri, Berlusconi abbia tramutato il possibile addio del direttore in un affare di Stato, dettando ai suoi referenti politici italiani, allo stesso Sallusti e al gruppo di comando della società  Europea edizioni (quella che controlla il quotidiano di famiglia) una parola d’ordine sorprendente: “Bisogna tenere Vittorio a tutti i costi!”.
Facile a dirsi, meno da realizzare.
Il retroscena di questo dissidio, infatti, è il logoramento del rapporto Sallusti-Feltri che non è avvenuto sul piano dei rapporti personali (“Io con Alessandro ci sono andato a cena anche la settimana scorsa, come professionista lo stimo”).
Ma proprio sul nodo decisivo della gestione del giornale.
Qualcuno aveva pensato che Feltri approfittasse della sentenza di primo grado (la sospensione di sei mesi e l’obbligo di togliere il suo nome dal colofon) per trasformarsi in un editorialista di peso, come era accaduto tra Mario Cervi e Belpietro, senza conflitti.
Invece Feltri non aveva mollato il campo, siglando per giunta un editoriale di critica dopo il caso Ruby.
Un altro test sulla differenza tra i “due” direttori c’era stato nel giorno del giro di Berlusconi in Veneto.
Con il Giornale che spende un titolo tranquillizzante per la corrispondenza dell’inviato Stefano Filippi, e Libero che invece si smarca con un resoconto del suo cronista Francesco Specchia in cui la musica è tutt’altra: il Cavaliere ha subito micro-contestazioni, e ha deciso di non incontrare gli imprenditori alluvionati del nord est temendo l’incidente fatale per la sua immagine.
Fatte le debite proporzioni, è come se Totti andasse a Trigoria ma si rifiutasse di salutare i tifosi giallorossi.
Pesa su tutto questo l’asimmetria del rapporto con il Cavaliere: Berlusconi parla tutti i giorni con Sallusti, Feltri non lo fa mai.
Tutti pensavano fosse un gioco delle parti o una divisione di ruoli.
Ma strada facendo è diventata una differenza: “Non sono mai andato a una sua festa — spiega ai suoi Feltri — non solo perchè non mi ha invitato, ma perchè non sono il tipo da feste con Papi. Una volta ho accettato di prendere il suo aereo privato. Volevo andare a vedere il mio cavallo correre, e fare lo sborone con mia moglie…”.
Sallusti al contrario è molto più risoluto: “I lettori de Il Giornale ci chiedono di fare quadrato nel momento della difficoltà ”.
Insomma, partendo da questa situazione, dentro la testa di Feltri prende forma un progetto che il fedele amministratore delegato Di Giore traduce in numeri: un nuovo giornale per andare in pareggio dove avere massimo 25 redattori e vendere minimo 25 mila copie.
Con prudenza circospetta si sono persino registrati dei possibili nomi: Libero Giornale, Il giornale libero (notare il doppio gioco di parole concorrenziale su due fronti).
E infine un’altra ipotesi: Fuori dal coro.
Ma il colpo di scena è un altro. Feltri, anche se sospeso, potrebbe firmare il sito.
Lui nella sua intervista aveva parole solo per un altro fratello-coltello di sempre, Maurizio Belpietro: “Ha dato due mazzate a Berlusconi”.
Citazione non casuale.
In una ipotesi clamorosa, Belpietro (che ci sta pensando) potrebbe lasciarsi coinvolgere nel progetto. Il che creerebbe una battaglia fra due sole testate nel campo del centrodestra: il nuovo giornale “corsaro”, e quello ortodosso, controllato da Sallusti.
Una ipotesi che mette i brividi visto gli scontri fra titani che si sono celebrati questi anni: Feltri (a Libero) contro Belpietro (al Giornale), Belpietro Sallusti e Feltri (al Giornale) contro Belpietro (stavolta a Libero).
Di certo c’è che Feltri è uno dei pochissimi giornalisti in Italia che dispone di un pacchetto di mischia: ventimila lettori che lo seguono anche in capo al mondo.
E per di più al giornale ci fu un’avvisaglia: migliaia di lettori che telefonavano e scrivevano inferociti quando circolò la voce che potesse dimettersi per le polemiche con Fini.
Anche su questo retroscena che era rimasto coperto, non a caso, Feltri ha ricordato in queste ore la sua verità : “Scrissi una lettera a Berlusconi. Se ti sono d’impiccio basta che me lo dici e mi dimetto senza scrivere una riga. Lui mi chiamò e — in una delle nostre rare conversazioni e mi disse: Resta”. Come dire: la campagna contro Fini era gradita al premier.
L’ultima stoccata: affettuosa e ferocissima.
Ma l’altra notizia clamorosa è che anche il direttore di Panorama, Giorgio Mulè, potrebbe essere interessato all’impresa.
Praticamente, uno scisma dentro la Chiesa berlusconiana.

Luca Telese
(da “il Fatto Quotidiano“)

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FINI : “SE BERLUSCONI NON SI DIMETTE, LO FACCIAMO DIMETTERE NOI”

Novembre 12th, 2010 Riccardo Fucile

“NON VOTEREMO MAI UNA MOZIONE DI SFIDUCIA DEL PD, LA PRESENTEREMO NOI E CE NE PRENDEREMO LA RESPONSABILITA”… LUNEDI IL RITIRO DEI MINISTRI, POI VOTO FAVOREVOLE ALLA LEGGE DI STABILITA’, MA ASTENSIONE SULLA FIDUCIA COLLEGATA E A DICEMBRE MOZIONE DI SFIDUCIA… FINI “TENTA” LA LEGA CON L’IPOTESI TREMONTI

Fini non vuole solo un altro governo, ma vuole anche un altro premier: “potete dire a Silvio che se non si dimette, lo facciamo dimettere noi” ha detto ieri Gianfranco Fini a Bossi, Calderoli e Maroni.
La missione da “ultima spiaggia” tentata dalla delegazione leghista nello studio al primo piano di Montecitorio, nella trincea “nemica”, finisce così, col presidente della Camera che notifica l’intenzione di far presentare ai suoi una mozione di sfiducia, se il Cavaliere non si rassegnerà  a fare “l’inevitabile” passo indietro.
Da lunedì, sarà  un’escalation.
Il ritiro del ministro Ronchi e dei sottosegretari di Fli dal governo; poi l’astensione sulla fiducia che Tremonti porrà  alla legge di Stabilità  (ma con voto favorevole sul merito della norma salva-conti); infine, appunto, la sfiducia.
“Perchè noi non voteremo mai una mozione presentata dalle opposizioni, ci assumeremo la responsabilità  di firmarne una nostra” scandisce il leader dei futuristi al cospetto dei suoi.
Sarà  dicembre, a quel punto, e tutto allora passerà  nelle mani del capo dello Stato.
Non che il Senatur non le abbia provate tutte, nel pur breve incontro con l’ex alleato alla Camera.
“L’ingresso dell’Udc nel governo per noi è inaccettabile – ha premesso Bossi – Ma si può aprire una crisi pilotata, questo sì, con la garanzia che Berlusconi, andando al Quirinale a rassegnare le dimissioni, ne esca con un nuovo incarico, com’è già  avvenuto in passato”.
Ma sta proprio qui il punto.
“Eh no, lui si dimetta, poi vediamo cosa succede, non possiamo imporre paletti di questo genere al presidente della Repubblica” ribatte Fini agli uomini del Carroccio.
È a quel punto, nel vertice di mezzogiorno di ieri durato meno di un’ora, che il leader leghista con i due ministri al fianco, prova a offrire al presidente della Camera quel che fino a ieri era impensabile.
“Se voi accettate un Berlusconi bis – insiste Bossi rivolto a Fini – nel nuovo governo ci sarebbe spazio per un numero maggiore di vostri ministri, anche con portafogli. Si può aprire un dialogo per la riforma parziale della legge elettorale. E Silvio potrebbe sacrificare gli ex colonnelli di An” accenna con chiaro riferimento a La Russa e Gasparri, ormai tra i più ostinati avversari dei futuristi. Ecco, tutto questo “offre” Bossi nell’ultima trattativa, a patto che a guidare l’esecutivo sia ancora l’amico Silvio.
“Forse non è ancora chiaro, a me non interessano le poltrone” ribatte Fini, che poi incalza: “Ma voi escludete davvero che un governo possa essere presieduto da qualcun altro? Non pensate anche voi che questo ciclo sia finito?”
E Fini butta sul tavolo il nome di Tremonti.
Il Senatur traballa, cerca di resistere tentando la mediazione pro-Berlusconi, poi capisce che è tutto inutile e diventa pragmatico.
Ci si può pensare e nel pomeriggio un deputato leghista commenta: “una cosa è l’amicizia, un’altra cosa la politica” .
La Lega si rende conto che siamo alla fine del “ciclo Berlusconi” e cerca di uscire dalla palude senza troppe ammaccature.
Bossi si sarebbe spinto a ipotizzare un governo senza “l’amico Silvio”, pur di portare a casa l’unica moneta che gli resta da spendere al nord, il miraggio del federalismo.
Anche perchè lo scontento della base padana si fa ogni giorno più preoccupante e i sondaggi cominciano a dare segnali negativi.
E un deputato leghista ieri confidava a un esponente finiano: “c’è qualcosa che non funziona più nella mente di Berlusconi: dobbiamo uscirne prima di rimanere sotto le macerie”
Ora non resterebbe che convincere il premier a farsi da parte: da Seoul ha già  detto “non mi dimetterò mai”, ma nel Pdl la componente di Liberamente comincia a “rifletterci”.
E non solo loro.

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LA “ROVINA” DELLE ROVINE DI POMPEI: LA PRIORITA’ ERA LA DIVISA DELL’AUTISTA COSTATA 1.700 EURO

Novembre 12th, 2010 Riccardo Fucile

UN’INCHIESTA DEL SETTIMANALE “L’ESPRESSO” RIVELA L’ALLEGRA GESTIONE DEL SITO ARCHEOLOGICO…. 195.000 EURO PER RIMUOVERE GLI ARREDI DI UN RISTORANTE ABUSIVO, 12.000 EURO PER 19 PALI DELLA LUCE, 11.000 EURO DI PULIZIE PER UNA VISITA DEL PREMIER CHE NON C’E’ MAI STATA, 72.000 EURO PER “INDAGINI CONOSCITIVE SUL PUBBLICO”

Dinanzi a Camera e Senato, dopo il crollo della casa dei gladiatori di Pompei, il ministro Bondi ha elencato i mali che affliggevano il sito archeologico prima del suo intervento: “Sporcizia, mancanza di servizi igienici, cani randagi, guide non autorizzate, ristoranti abusivi”.
Uno dei primi interventi del commissario delegato, infatti, fu lo smantellamento di un ristorante.
Dopo averlo abbattuto, però, andavano rimossi anche gli arredi e le suppellettili: quanto è costata ai cittadini italiani questa operazione?
La “miseria” di 195 mila euro: a tanto ammonta la commessa, affidata alla società  Minopoli che, per lavori di pulizie e facchinaggio, in totale, s’è aggiudicata appalti per circa 800 mila euro.
Perchè smantellare un ristorante abusivo, al costo di quasi 200 mila euro, debba pesare sulle spalle dei contribuenti e non di chi lo gestiva abusivamente, è un ulteriore mistero che Bondi dovrebbe chiarire.
Soprattutto perchè — sempre dinanzi a Camera e Senato — ha sostenuto che “il problema dei fondi a disposizione appare legato, più che al loro ammontare complessivo, a un corretto utilizzo”.
E proprio riguardo il “corretto utilizzo” si potrebbe aggiungere una spesa di 11 mila euro, per i lavori di pulizia delle aree che avrebbe dovuto visitare il presidente del Consiglio.
Visita che non è mai avvenuta — scrive “L’Espresso”, in un articolo a firma di Emiliano Fittipaldi e Claudio Pappaianni — e costata, in totale, circa 80 mila euro.
Tra le spese incriminate scovate dal settimanale compaiono i 12 mila euro pagati per la seguente operazione: rimuovere 19 pali della luce.
Altri 185 mila, invece, sono stati pagati per il progetto PompeiViva: a chi sono finiti?
Alla onlus romana “CO2 Crisis Opportunity”, scrive il settimanale, “fondata da Giulia Minoli, figlia di Gianni e Matilde Bernabei, che ha avuto Gianni Letta come testimone di nozze.
Lo sposo? Salvo Nastasi, direttore generale del ministero dei Beni culturali.
Al piano di valorizzazione è stata chiamata anche Wind: importo previsto , 3,1 milioni di euro.
Parecchi soldi, poi, sono stati investiti per progetti di ricerca: 72 mila, per un’indagine conoscitiva sul pubblico, sono stati versati all’associazione “Mecenate 90”: il presidente onorario è Gianni Letta, il presidente Alain Elkann.
Per uno studio sulla “sviluppo delle tecnologie sostenibili” sono stati pagati, all’università  di Tor Vergata, 724 mila euro.
Qualche spesa per l’ufficio e il personale del commissario delegato, Marcello Fiori, che spende 1.668 euro per l’arredo del suo ufficio, 1.700 per la divisa del suo autista e 4 mila per la sua “parete attrezzata”.
E per i “rimborsi delle spese dimissione”, sempre Fiori, nell’ottobre 2009 ha autorizzato la ricarica delle carte di credito per ben 185 mila euro.
Indispensabili, infine, quei 42 mila euro investiti in alcuni volumi di storia, o le televisioni Lcd, costate 17 mila euro.
A fronte di tutte queste spese, però, l’emergenza non è riuscita a prevenire il crollo della Casa dei gladiatori, patrimonio dell’umanità , dal valore inestimabile.

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TRA LE SPESE DI RAPPRESENTANZA RAI DI MINZOLINI ESCE FUORI ANCHE UNA GRANDE SUITE ALLE TERME DI SATURNIA DI 75MQ

Novembre 12th, 2010 Riccardo Fucile

OTTENNE UN PREZZO DI FAVORE: 550 EURO A NOTTE, UN TERZO DEL LISTINO, SEMPRE A CARICO RAI… MA QUALCHE GIORNO PRIMA IL TG1 AVEVA MANDATO IN ONDA UN SERVIZIO “PROMOZIONALE” SULLE TERME, CON INTERVISTA ALLA RESPONSABILE MARKETING DELL’ALBERGO… UNA STRANA COINCIDENZA

L’ultima fiamma di Augusto Minzolini è una Porsche bianca decappottabile. L’hanno vista scorrazzare nei viali di Saxa Rubra, un lusso permesso grazie al suo lauto stipendio (550.000 euro annui).
Il direttorissimo ama la bella vita e i lunghi viaggi. E non guarda ai prezzi, che siano soldi suoi o soldi pubblici: con la carta di credito aziendale ha speso dieci volte in più di Mario Orfeo (Tg2): 64 mila euro in dodici mesi contro i 6 mila di Orfeo.
Un consigliere di minoranza ha chiesto un consuntivo a Mauro Masi che — come anticipato dal Secolo XIX — mercoledì pomeriggio ha snocciolato le cifre nel Cda di viale Mazzini.
E stupito i colleghi di maggioranza: il direttore generale e il presidente hanno a disposizione 35 mila euro l’anno (al massimo), Minzolini da solo, per rappresentare l’azienda, ne ha spesi quasi il doppio.
Il confronto con Antonio Preziosi, direttore di Radio Uno e del Giornale Radio Uno è impietoso: l’estate scorsa Preziosi oscillava tra i duecento e i trecento euro al mese, Minzolini svettava oltre i seimila.
Da tempo funzionari e dirigenti hanno osservato la battaglia clandestina sulla carta di credito tra il direttore generale e l’ex cronista politico: in più di un’occasione Masi ha rispedito al mittente i rimborsi firmati da Minzolini: troppo. E forse un articolo di una sua recente circolare, taglio del 30 per cento per le spese di rappresentanza, era scritto su misura per contenere l’eccesso di Minzolini.
Un eccesso che sarà  valutato da Luciano Calamaro, il magistrato della Corte dei Conti che partecipa ai Consigli di viale Mazzini. Calamaro vuole conoscere le singole voci e le singole strisciate di carta che fanno sfiorare i 70 mila euro annuali.
Anche il Collegio dei sindaci, in tempi di crisi e sacrifici (ordinati da Masi stesso), vuole capire perchè il direttore del Tg1 sia un dipendente speciale.
E il consigliere di opposizione ha scritto a Masi per approfondire l’argomento con un’indagine interna per far luce sulle spese di trasferta che, senza lasciare traccia a viale Mazzini, transitano per le segreterie di Saxa Rubra, sede dei telegiornali Rai.
Il Fatto Quotidiano ha consultato un foglio di trasferta a nome di Minzolini: un fine settimana in provincia di Grosseto, tra agosto e settembre, nello sfarzo delle Terme di Saturnia Resort.
Minzolini ha soggiornato in stanze “Grandsuite”, il massimo offerto da un albergo esclusivo: “Dedicato a chi cerca sempre l’eccellenza, Terme di Saturnia Spa & Golf Resort riserva due “GrandSuite” di recente realizzazione. Eleganza, design e ricercatezza nei dettagli caratterizzano queste suite di 75 metri quadrati ciascuna, composte da un ampio salotto con sala da pranzo, camera da letto matrimoniale, due cabine armadio e due bagni in marmo e travertino”.
Chissà  se la Rai ha approvato la fattura di Minzolini, di certo il direttorissimo ha ricevuto un prezzo di favore: 550 euro a notte, un terzo di una tariffa a listino con bagni turchi e sauna.
“Il signor Minzolini ha usufruito di una tariffa speciale, pattuita con l’amministrazione. Sono strappi alle regole che difficilmente possono ripetersi”, dicono dall’albergo.
L’ex squalo de La Stampa, famoso per le sue spiate a Montecitorio, stavolta ha chiuso un affare.
Forse avrà  influito un servizio mieloso sulleTerme di Saturnia , in onda il 20 aprile scorso all’interno del Tg1: “Un paradiso in cui ritrovare serenità  e la giusta armonia, decisivo per avere un viso perfetto”.
Una bella cartolina arricchita con un’intervista a Beatrice Zanchi, responsabile marketing proprio del resort.
Minzolini mai rinuncia a un albergo caro e comodo.
Per il Festival del Cinema di Venezia, famoso per le adunate oceaniche di dipendenti Rai, il direttorissimo aveva adocchiato una cameretta in Laguna da mille euro a notte.
Quella sì che era rappresentanza, al netto di una gita Rai ben organizzata, ma mille euro erano troppi: Masi in persona ha   ordinato dicercare più umile e compita sistemazione.
E per la sua vacanza-lavoro di cinque giorni, Minzolini ha ubbidito.
Poi leggende narrano di numerosi mordi e fuggi all’estero sul conto di viale Mazzini, o meglio sul foglio viaggio nella segreteria di direzione di Saxa Rubra.
Il direttorissimo mai ha risparmiato nè con la carta di credito nè con le spese di trasferta e neppure con le gratifiche in busta paga o nomine e promozioni: il Tg1 ha cinque caporedattori centrali, il Tg2 e il Tg3 uno soltanto.
Per la nuova sigla e la scenografia del telegiornale, a differenza di Orfeo e Bianca Berlinguer, Minzolini ha preteso un appalto esterno costato circa 300 mila euro.
Nonostante Masi abbia annunciato un piano di lacrime e sangue per scongiurare guai con banche e creditori, da qui ai prossimi tre anni, il direttorissimo non bada a spese.
Con i soldi degli altri.

Carlo Tecce
(da “il Fatto quotidiano“)

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SONDAGGIO CRESPI RICERCHE: PDL IN DISCESA LIBERA AL 26%, FUTURO E LIBERTA’ SPICCA IL VOLO AL 9,2%

Novembre 12th, 2010 Riccardo Fucile

CRESCE VENDOLA AL 5,7%, IN CALO PD AL 23% E LEGA AL 13%… STABILI IDV AL 5,7%, UDV AL 6%, LA DESTRA AL 2,3%… IN RISALITA IL MOVIMENTO 5 STELLE AL 3,1% E PRD-PDCI ALL’1,8%… GLI INDECISI SONO IL 36%….FIDUCIA NEL PREMIER AL 36%, NEL GOVERNO AL 39%… TRA I LEADER DI PARTITO FINI E’ PRIMO CON IL 43%

Il sondaggio settimanale di Crespi Ricerche sulle intenzioni di voto degli italiani segna un ulteriore passo indietro dei due principali partiti.
In Pdl sembra ormai in caduta libera e perde un altro punto in sette giorni, scendendo dal 27%% al 26%, ben lontano al 37/38% delle politiche 2008.
Da luglio ad oggi il Pdl ha perso il 6,7% di consensi.
Futuro e Libertà , dopo la convention di Perugia, registra un bel balzo in avanti, passando dall’8% al 9,2%, il miglior risultato fino ad oggi realizzato.
La Lega scende dal 13,5% al 13% di questa settimana, mentre La Destra dal 2,4% al 2,3%.
Il Pd cala dal 24,5% di sette giorni fa al 23%, l’Idv dal 5,8% al 5,7%, l’Udc dal 6,2% al 6%, tutti e tre i partiti a luglio raccoglievano maggiori consensi.
In crescita invece Sinistra e Libertà  di Nichi Vendola che passa dal 4,8% al 5,7%, così come Prc-Pdci dall’ 1,4% all’ 1,8% e i radicali dall’1% all’1,2%.
Cresce nuovamente il Movimento 5 Stelle di Grillo che passa dal 2,2% al 3,1%.
Scende la percentuale degli indecisi dal 39% al 36%, segno che qualcuno comincia ad avere le idee più chiare.
La fiducia in Berlusconi, che a luglio era del 52,1%, è ora scesa al 37%, mentre il governo dal 47,4% di luglio si attesta ora al 39%.
Infine la classifica della fiducia nei leader di partito vede al primo posto Fini con il 43%, poi Bersani al 33%, Vendola e Casini al 32%, Pannella al 31%, Grillo e Di Pietro al 30%, Bossi al 29%.

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