Dicembre 31st, 2010 Riccardo Fucile
IL TERRORISTA POTRA’ RESTARE IN BRASILE NON COME RIFUGIATO POLITICO MA COME SEMPLICE IMMIGRATO CHE DOVRA’ CHIEDERE IL PERMESSO DI SOGGIORNO….UN ESCAMOTAGE PER EVITARE IL CONTRASTO CON IL TRIBUNALE SUPREMO CHE ORA DOVREBBE SOLO ESEGUIRE L’ORDINE DI SCARCERAZIONE… SCONFITTA DELLA POLITICA ESTERA DEL PREMIER
E ora per “l’immigrato” Battisti si riaprono le porte della libertà Cesare Battisti
Le relazioni fra Italia e Brasile sono tornate ad essere quelle del gennaio del 2009, quando il ministro della Giustizia Genro concesse l’asilo politico a Cesare Battisti e Frattini richiamò l’ambasciatore a Brasilia.
Due o tre settimane di fuoco e qualche mese di rapporti diplomatici freddini.
Oggi la situazione è un po’ più complicata soprattutto perchè nel respingere la richiesta di estradizione il presidente brasiliano ha usato nella sostanza lo stesso argomento di Tarso Genro.
Secondo i brasiliani che per negare l’estradizione citano l’articolo 3 del Trattato in vigore con l’Italia “la condizione personale di Battisti sarebbe aggravata in Italia per il suo passato marcato da attività politica di intensa rilevanza”.
Nella sostanza è come se tutta la vicenda fosse tornata indietro di due anni.
Ma con una novità importante: Battisti non rimarrà in Brasile come “rifugiato politico” ma come semplice “immigrato” e dovrà chiedere il permesso di soggiorno.
Un intelligente escamotage che prova a spazzare il campo dallo scontro con il Tribunale supremo che proprio alla concessione dell’asilo politico si era opposto. Ma non finisce qui perchè nell’interpretazione del governo brasiliano: il Tribunale deve solo eseguire l’ordine di scarcerazione, non discuterlo.
Ma il presidente del Stf, Cezar Peluso, ha detto che non darà un trattamento urgente al caso e che non può pronunciarsi da solo: dunque è tutto rinviato a febbraio quando il Stf tornerà a riunirsiin seduta plenaria.
Lo scontro tra Corte e presidenza continua.
Dopo aver consegnato la sua decisione al ministro degli Esteri, Lula non ha chiamato Berlusconi e neppure Napolitano, lasciando ad Amorin il compito di rispondere alle proteste italiane.
Il ministro ha detto che non si tratta di un “affronto” all’Italia perchè è una decisione tecnica che si basa sulle norme di un Trattato vigente.
Poi ha attaccato la nota inviata ieri da Palazzo Chigi che definiva “inaccettabile” un no all’estradizione.
Per Amorin quella brasiliana è una “scelta sovrana” che rispetta la legge e non può essere contestata dall’Italia.
Cosa possa succedere adesso non è facile da prevedere.
I brasiliani sono convinti che quella del governo italiano non sia altro che “una sceneggiata” per placare le anime radicali del Pdl.
Frattini ha subito richiamato l’ambasciatore ma che altro può fare?
Dopo aver perso mesi preziosi nei quali si poteva provare a convincere il governo brasiliano che Cesare Battisti non è un piccolo Che Guevara ma solo un assassino, che vuol dire boicottare il Brasile?
Non comprare il mango, come scherzano a Brasilia, o complicare le relazioni commerciali, ambito nel quale l’Italia avrebbe solo da perdere.
Nelle prossime ore l’avvocato Bulhoes, lo stesso che ha difeso le ragioni dell’Italia al Tribunale supremo, giocherà l’ultima carta: il ricorso.
Considerazione finale: il premier che pensava di risolvere tutto con la politica estera delle “pacche sulle spalle” ora ha ricevuto un vigoroso e meritato calcio nel sedere.
L’INFORMAZIONE ARRIVA DALL’ESPONENTE IDV D’AGATA: TUTTO SAREBBE PARTITO DA UN ESPOSTO PRESENTATO DA UN AZIONISTA DI MINORANZA DI ALITALIA, DANNEGGIATO DALL’OPERAZIONE VOLUTA DAL PREMIER…LE ACCUSE SONO DI INSIDE TRADING, AGGIOTAGGIO E TRUFFA
Lo ha annunciato Giovanni D’Agata, componente del dipartimento tematico “Tutela del consumatore” dell’Italia dei Valori e fondatore dello “sportello dei diritti”.
Secondo l’esponente dell’Italia dei Valori, il premier sarebbe indagato con numero di registro generale 13360/2010.
Il tutto partirebbe da un dettagliato esposto presentato da un azionista di minoranza di Alitalia, l’avvocato Francesco Toto, per denunciare “la sciagurata operazione che aveva riguardato l’ex compagnia di Stato e la condotta tenuta dall’onorevole Berlusconi, allora candidato in pectore, e dal ministro dell’Economia e Finanze”.
Il tutto, spiega Toto, per tutelare l’interesse suo (che tra il 2007 e il 2008 aveva acquistato 380.000 azioni della compagni aerea di Stato e per quest’operazione al momento ci ha rimesso 500mila euro), degli altri azionisti di minoranza, degli obbligazionisti, dei creditori e di tutti quei soggetti danneggiati dalla vicenda Alitalia.
La storia è partita agli inizi del novembre 2009, quando l’avvocato Francesco Toto ha presentato al Tribunale di Lecce un’azione civile di risarcimento a cui, in brevissimo tempo, avrebbero aderito tantissimi altri azionisti di minoranza della compagnia.
Anche perchè i rimborsi promessi dal governo per risarcire chi era stato privato delle azioni, non più scambiabili in borsa dopo il passaggio del controllo a Cai, tardavano ad arrivare.
Il procedimento civile sarebbe proseguito in maniera anomala, con uno “spacchettamento” dello stesso e con l’estromissione degli altri azionisti di minoranza.
Questi ultimi hanno fatto ricorso alla Corte d’Appello.
L’avvocato Francesco Toto, invece, ha messo in moto un’azione penale contro berlusconi e il ministro Giulio Tremonti, accusandoli di aver portato a termine un’operazione sciagurata a svantaggio di azionisti e consumatori. L’esposto di Toto parla di aggiotaggio, insider trading, truffa.
IL PREMIER: “BATTISTI? UNA PERSONA ORRIBILE, STIA LA'”, POI LA RETROMARCIA…LA PAURA DI MANDARE IN FUMO GLI AFFARI CON IL BRASILE…ORA RICHIAMEREMO L’AMBASCIATORE PER FARE UN PO’ DI SCENA, LA RUSSA FARA’ LA VOCE GROSSA, POI TUTTI FARANNO FINTA DI NON ESSERSELO PRESO IN QUEL POSTO E AMEN
Il Cavaliere deve correre ai ripari, stavolta la diplomazia delle pacche sulle spalle non ha funzionato.
“Io e Lula siamo fatti allo stesso modo, ci capiamo al volo”, sparò Berlusconi nell’ultimo incontro con il presidente brasiliano a San Paolo.
Ma questa strategia del business e del sorriso alle telecamere rischia di andare in pezzi di fronte alla durezza del caso Battisti.
Per questo da ieri il governo italiano, in consultazione stretta con il Quirinale, ha iniziato ad alzare i toni, preparandosi a reagire al più sonoro degli schiaffi. Lo stesso Napolitano ha seguito personalmente la vicenda, dando la sua disponibilità a telefonare a Lula per fare pressioni.
Dopo aver sottovalutato il caso, Berlusconi si trova a dover gestire un affare scottante, politicamente doloroso soprattutto per gli ex An della maggioranza. L’ultima volta che il premier italiano vide faccia a faccia Lula fu alla fine di giugno, in occasione di un forum economico italo-brasiliano.
I presenti ricordano che non ci fu alcun accenno da parte del Cavaliere al caso Battisti. “Eravamo una decina e Berlusconi non gliene parlò – ricorda Adolfo Urso, allora viceministro – ma non posso escludere che gliene abbia parlato altrove, magari in ascensore”.
In realtà sembra che un segnale in quella occasione il premier lo mandò, ma in punta dei piedi.
La corte suprema brasiliana aveva già dato il via libera all’estradizione, mancava però la firma di Lula. Berlusconi, sottovoce, glielo fece presente: “Confidiamo che la decisione della vostra Corte suprema sia applicata”. Niente di più.
Così come, mesi prima a Washington, a margine del summit sulla sicurezza nucleare, Berlusconi andò all’ambasciata brasiliana per incontrare Lula e firmare l’accordo di partenariato strategico tra i due paesi.
Anche ad aprile, in quell’occasione, poche parole su Battisti. Il Cavaliere si limitò ad esprimere “fiducia” nei confronti delle autorità brasiliane. E Lula se la cavò senza prendere alcun impegno: “Aspettiamo le motivazione della sentenza sull’estradizione, vi terrò informati”.
Il fatto è che in ballo, tra Italia e Brasile, ci sono miliardi di commesse che interessano le più importanti aziende italiane.
A San Paolo insieme al premier c’erano 60 imprenditori, tra cui “big player” come Fincantieri, Finmeccanica, Piaggio, Ferrovie, Telecom, Impregilo.
Non a caso ieri a palazzo Chigi c’era chi commentava con una punta di fastidio la sparata di Ignazio La Russa sul possibile boicottaggio del Brasile a seguito di una decisione sfavorevole.
“A rimetterci saremmo soltanto noi: il Brasile può andare avanti senza l’Italia, ma le nostre imprese posso fare a meno di un’economia che galoppa a ritmi cinesi?”.
Ecco il vero cruccio del premier, l’idea che mesi di faticose trattative commerciali possano saltare per “colpa” di un ex terrorista riemerso dal bianco e nero degli anni Settanta.
“Battisti è un personaggio orribile – confidò Berlusconi a un ministro qualche mese fa – e non capisco perchè dovremmo fare i salti di gioia alla prospettiva di doverlo mantenere noi per anni nelle nostre galere”.
Quando a settembre, dietro il palco di Atreju, Giorgia Meloni gli presentò Alberto Torreggiani, figlio del gioielliere ucciso nel ’79 da un commando dei Pac di Cesare Battisti, il premier non si sbilanciò ma promise un interessamento: “Conosco bene la vicenda, la stiamo seguendo da vicino”. Poi più nulla, a muoversi sono stati i diplomatici e gli avvocati.
Si tratta ora di approntare una linea di difesa per capire come fronteggiare l’emergenza.
La prima mossa sarà quella di richiamare a Roma “per consultazioni” l’ambasciatore d’Italia Gherardo La Francesca.
Un gesto per segnalare tutto il “disappunto” del governo e preparare il ricorso all’alta corte brasiliana.
Nel frattempo anche la politica non starà a guardare.
Ai primi di gennaio ci sarà una manifestazione sotto l’ambasciata brasiliana a piazza Navona e parteciperà lo stesso Torreggiani.
Forse anche La Russa. Sicuramente ci sarà Daniela Santanchè, visto che Torreggiani è un dirigente del suo “Movimento per l’Italia”: “Chiederò al presidente Berlusconi di incontrarlo”.
Più di questo, ammettono nel governo, non si può fare.
D’altronde seguire le procedure legali e rispettare il diritto sovrano brasiliano è sempre stata la linea impostata dai ministri Alfano e Frattini. Almeno finora. Perchè nel Pdl in molti già pensano a far saltare la ratifica dell’accordo Italia-Brasile in materia di difesa, quando a gennaio arriverà al voto della Camera.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
L’INTERVISTA DI LUCA TELESE AL MANAGER BINI SMAGHI LA CUI LISTA PER IL CDA DELL’ACI NON E’ STATA NEPPURE AMMESSA PER FARE SPAZIO AD UN ODONTOTECNICO, FIDANZATO DELLA BRAMBILLA… UNA SERIE INFINITA DI CONFLITTI DI INTERESSE E DI ANOMALIE
Iacopo Bini Smaghi non se l’aspettava.
Manager, 50 anni, una lunga esperienza all’Altea (società dell’indotto auto) tutto immaginava, quando ha presentato la sua lista per il Cda Aci di Milano, tranne che sarebbe stato eliminata, favorendo quella di un odontotecnico.
Che ha una dote: è il compagno del ministro Brambilla.
Quando inizia questa storia?
Più o meno un anno fa: quando le dimissioni “sospette” di alcuni consiglieri impongono la necessità di nuove elezioni.
Perchè usa questo vocabolo?
Vede, l’Aci club di Milano gestisce la Sias. E la Sias ha in mano il Gp di Monza, un affare da 50 milioni di euro. Sa cosa significa? Chi gestisce l’Aci Milano ha in mano quella partita.
Tutto interessante. Ma non ha risposto alla domanda…
Dimissioni “sospette” perchè permettono al nuovo ministro di entrare nella partita del nuovo Cda. Infatti la Brambilla nomina un commissario straordinario, Massimiliano Ermolli.
Questa nomina non va bene?
Cominciamo…. Massimiliano è consigliere di Sinergetica, società di pianificazione aziendale di famiglia, di cui è presidente il padre Bruno che svolge attività di consulenza per l’Aci, con appalti da centinaia di milioni di euro. Un conflitto di interessi in contrasto con lo statuto.
C’è dell’altro?
Eccome. Ermolli indice le elezioni, con annuncio all’ultimo giorno utile. Poi lui, che doveva essere il garante della regolarità della competizione si candida in una lista. Curioso, no?
Altro conflitto di interessi?
Basta il buonsenso per capirlo. Di più. Nella lista Ermolli c’è Eros Maggioni.
Il signor Brambilla?
Curiosamente Maggioni si è iscritto all’Aci, a Milano, malgrado risieda a Lecco, due giorni prima del termine utile. Curiosamente fa l’odontotecnico.
Voi, la lista concorrente dove vi eravate iscritti?
A Milano, facevamo parte del cosiddetto Aci club. Una tessera che secondo lo statuto equivale a tutti gli effetti alle altre.
Perchè mi dice questo?
Perchè una commissione, sotto la responsabilità dell’Ermolli commissario, ci contesta il diritto a partecipare alle elezioni contro l’Ermolli candidato.
E poi che succede?
La commissione che fa capo dell’Ermolli commissario non ammette la nostra lista, spianando la strada all’Ermolli candidato.
E voi che fate?
Si arriva alla farsa di elezioni bulgare. C’è solo una lista in campo, quella degli amici e del compagno del ministro. Ovviamente vince. Non ha concorrenti!
Protestate?
Di più: facciamo due esposti alla procura e uno al Tar.
Il ministero dice che quello al Tar è stato bocciato.
Non è vero. Avevamo chiesto l’annullamento della nostra cancellazione dalla competizione, ma il giudizio è arrivato dopo il voto: il Tar dice, come è ovvio, non possiamo più intervenire su quella controversia.
Quindi partita chiusa?
Per nulla. Bisogna rivotare.
Perchè mai?
C’è una norma che impone un Cda di 5 membri. In questo caso sono 9. Se quattro non si dimettono, e ne dubito, l’attuale Cda decade, e si deve rivotare.
Pazzesco…
Ermolli ha favorito una lista in cui lui stesso, e il compagno della ministra che l’ha nominato, erano candidati! Si tratta di un intervento fuori di qualsiasi norma. Ma non è finita….
C’è dell’altro?
A parte il fatto che tra i consiglieri l’unico che ha una qualche esperienza in materia è Geronimo La Russa, figlio del ministro: ha fatto il pilota!!….
A parte questo?
Tra loro c’è il dottor Bongiardino, presidente della Camera di commercio, che ha sede in uno dei palazzi di proprietà dell’Aci! Come Presidente della Camera di commercio chiede di comprarlo. Cosa si risponderà come consigliere Aci?
Altro conflitto di interesse?
Plateale. Ma c’è di peggio.
Mi dica…
Il Cda ha designato dei consiglieri nella Sias. Tra cui Fabrizio Turci, direttore Aci di Milano.
Come è possibile?
Non lo so. Va chiesto alla Brambilla come si possa essere sia controllore che controllato!
C’è dell’altro?
Ciliegina sulla torta. Pier Fausto Giuliani, altro membro del Cda. Sa il suo precedente lavoro?
Quale?
Tesoriere dei Circoli della libertà la ministra l’ha definito uno dei miei “13 uomini d’oro”.
Morale della favola?
Il Cda in cui siede il marito del ministro nomina alla Sias uno dei principali collaboratori del ministro. Mica male.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano“)
NON CI SONO I FONDI MINISTERIALI PER I SERVIZI INFORMATICI, SI RISCHIA IL BLOCCO DI MILIONI DI ATTI GIUDIZIARI… UNA SCONFITTA PER I CITTADINI CHE HANNO DIRITTO ALLA GIUSTIZIA
Con l’anno nuovo i tribunali e le procure di tutta Italia dovranno tirare fuori dalla soffitta i vecchi archivi cartacei e rimettere in sesto le fotocopiatrici: i servizi di manutenzione e assistenza ai sistemi informatici sono sospesi. Questo il contenuto di una circolare che il ministero della Giustizia ha inviato a presidenti di Corti di Appello e procuratori generali.
E che rischia di bloccare milioni di atti giudiziari.
Il motivo?
Semplicissimo: i soldi non ci sono.
La comunicazione, che porta la firma di Stefano Aprile, direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di via Arenula, parla di “mancata assegnazione delle risorse finanziarie” che rende “necessario procedere alla revoca”.
Un’altra tegola per la giustizia italiana, spesso accusata di essere lenta.
Che ora si ritrova a dover abbandonare le tastiere e riprende in mano la penna. Nel segno della modernità .
La lista di “aiuti” via computer di cui si servono i magistrati è lunga.
E ormai imprescindibile.
Si va dal Re.Ge, il registro penale in cui approdano tutte le notizie di reato, ai vari software per coordinare i lavori tra organi inquirenti, giudicanti e avvocati. Tutto sospeso: via Arenula non può più pagare le aziende che forniscono il servizio.
L’unico modo per risolvere eventuali guasti sarà quello di chiamare un numero verde e, si legge nella circolare, “compatibilmente alle risorse umane disponibili e al livello know how posseduto sulla singola applicazione” si provvederà a pianificare gli interventi”.
Niente più servizi in tempo reale, niente più tecnici in sede. Il che, secondo le toghe, vuole dire blocco.
Preoccupato il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara: “Questa decisione – dice – rischia di provocare gravissimi problemi di funzionalità e di collegamento tra la polizia giudiziaria, i pm, i giudici e gli avvocati. A questo punto non siamo più certi di poter continuare a garantire lo stesso servizio ai cittadini”.
Così anche il procuratore di Napoli, Giandomenico Lepore: “Ci domandiamo come si potrà fare, perchè in queste condizioni è inutile andare a lavorare. Se si vuole far camminare la giustizia, bisogna spendere soldi. Si possono fare tutti i proclami che si vogliono sul tema, ma bisogna anche rendersi conto di quando il Governo si mette di traverso all’amministrazione giudiziaria”.
Molte le Procure che hanno già scritto al ministero per protestare, molte quelle che lo faranno oggi.
Sul piede di guerra anche l’Anm. Il presidente Luca Palamara esprime “preoccupazione, stupore, allarme. C’è il concreto rischio che la giustizia possa subire un altro colpo ferale a causa degli ulteriori disservizi che potranno crearsi. Da tempo sosteniamo la necessità di considerare il settore giudiziario un settore strategico per il Paese, invece dobbiamo amaramente constatare come avvenga sistematicamente il contrario. Se l’informatizzazione dovesse venire meno, il principale sconfitto sarebbe il cittadino”.
Il governo pensa al legittimo impedimento, ma i veri impediti ad ottenere giustizia alla fine sono i cittadini.
LA DENUNCIA VIVE DELLA VERITA’, LA DIFFAMAZIONE DELL’ILLEGALITA’: NON DIMOSTRA, INSINUA…CASO BELPIETRO: CHI VUOLE UNA MEZZA VERITA’, SE LA FALSITA’ TOTALE SUONA MEGLIO?… L’ANALISI DI LUCIA ANNUNZIATA
Maria Antonietta non ordinò mai la famosa collana di diamanti, e non disse mai di dare da mangiare al popolo brioche.
Ma per ristabilire queste verità sono stati necessari almeno un paio di secoli, e nel frattempo, come dire, Maria Antonietta, dal suo aldilà , di questa verità non sa esattamente più che farsene: non saranno un po’ di storici a recuperarle una reputazione che i libelli anti regime le hanno in ogni caso rovinato in eterno.
La macchina del fango è una cosa seria, e quella che abbiamo visto al lavoro, indefessamente, negli ultimi anni in Italia, è ancora ben poca cosa.
Ha dunque ampiamente tempo e occasione per crescere, se i suoi apprendisti stregoni lo vorranno.
Una certezza infatti abbiamo su questo strumento: la macchina della delegittimazione è straordinariamente efficace, ed è sicuramente irreversibile.
E’ una tesi, d’altra parte, già sostenuta in un libro scritto un po’ di anni fa, nel 1996 (nel 1997 pubblicato in Italia da Mondadori), e che val la pena rileggere nel clima che si respira oggi in Italia.
In «Libri proibiti. Pornografia, satira e utopia all’origine della Rivoluzione francese», il noto storico di Harvard, Robert Darnton (autore di un altro libro culto degli Anni Ottanta, «The Great Cat Massacre and Other Episodes in French Cultural History», 1984) racconta come la libellistica settecentesca francese, con le sue opere erotiche e di diffamazione politica, abbia contribuito a preparare la Rivoluzione tanto quanto il possente lavoro intellettuale degli illuministi.
Anzi, sottolinea Darnton, il lavoro filosofico dei Lumi diventa tanto più efficace perchè reinterpretato e popolarizzato attraverso la letteratura erotico-diffamatoria. Il più alto esempio di questa commistione è, secondo lo studioso, «Les Bijoux indiscrets», uscito dalla penna di Denis Diderot, il più libertario dei grandi illuministi francesi.
L’accostamento fra il clima prerivoluzionazio francese e gli schizzi italiani odierni sembra – mi rendo conto – pretenzioso oltre che forzato.
In realtà , se è vero che la diffamazione è sempre stata, nei secoli – dall’impero romano ai regimi autoritari del Novecento, quali fascismo e comunismo -, uno strumento politico per eccellenza, è durante la rivoluzione francese che assume i caratteri di quel mix tutto a noi contemporaneo di sesso, politica e comunicazione di massa.
Un esempio che parla bene al nostro orecchio è il best seller prerivoluzionario «Anecdotes sur Mme la Comtesse Du Barry», del 1775, in cui si racconta l’ascesa di Marie-Jeanne Bèen, contessa Du Barry, dal bordello dove esercitava la sua professione di prostituta al letto del re di Francia, e dunque al potere.
Una scalata che fa leva sulle debolezze del corpo del re, sessuali o meno che esse fossero.
Un corpo concepito nella tradizione come sacro, e che viene invece materialmente avvilito dai suoi stessi bisogni, al punto da far risultare un’associazione imperdibile, secondo Darnton, cioè che lo scettro «non è più solido del pene del re».
Il libro contribuì così a creare una forte impressione, il luogo comune che «una masnada di farabutti si era impadronita dello Stato, aveva dissanguato il Paese e trasformato la monarchia in dispotismo».
Naturalmente, osserva Darnton, la verità storica è ben lontana da tutti questi racconti; ma la verità , appunto, arriva troppo tardi.
Detto questo, va aggiunto che è ovvio (e anche lo storico non intende sostenere nulla di diverso) che la rivoluzione francese è un evento più grande della libellistica che aiutò a prepararla; ma lo studio sull’efficacia della manipolazione pubblica vale, si è visto poi, per altre cause, altri travolgimenti storici, di segno anche perfettamente contrari tra loro.
Molto rilevanti dunque per l’oggi sono le conclusioni che Darnton trae in merito: «Le nostre fonti ci consentono di stabilire un nesso tra la circolazione della letteratura illegale da un lato, e la radicalizzazione dell’opinione pubblica dall’altro».
Frase, quest’ultima, che è la chiave giusta per capire la distinzione fra denuncia e diffamazione: la prima vive della verità , ed è dunque provabile e provata, la seconda vive dell’illegalità , e dunque non solo può ma deve vivere di falsità , di mancanza di prove.
La forza d’impatto della diffamazione è proprio nella sua capacità di insinuare, non di dimostrare.
Come si vede, che abbiano o meno letto i libri citati, gli operatori a tempo pieno della macchina del fango del nostro Paese hanno delle ottime ascendenze, e sanno cosa fanno.
Una denuncia funziona tanto più se non ha certezza, è tanto più efficace se non provata.
La scelta del direttore di Libero, Maurizio Belpietro, di scrivere storie sentite e non verificate, di dare voce a sospetti come se fossero verità , è perfettamente allineata con queste regole.
Eppure, nello scrivere queste parole, non tutto torna.
Maurizio Belpietro non è l’ultimo arrivato del giornalismo italiano. Sa bene cosa scrive, ne calcola gli effetti, e conosce meglio di chiunque, essendo da tanti anni direttore, le regole della verifica delle fonti.
Se un giornalista di questo livello passa al prossimo stadio del «senza fonti», ci dobbiamo chiedere non tanto perchè lo fa, ma cosa registra.
In effetti, la sua scelta registra per tutti noi, non tanto una nuova fase nella battaglia politica interna al centrodestra, quanto la presa d’atto che si è entrati in nuove condizioni politico-temporali: se è vero che la delegittimazione funziona perchè offre un’immagine, dà un suggerimento, solleva, come si sarebbe detto una volta, in un’altra sinistra, «un’emozione», allora forse non vale nemmeno più la pena di mascherarla con prove posticce o servizi giornalistici sbilenchi.
Insomma, chi vuole una mezza verità se la falsità totale suona tanto meglio?
La nuova fase della macchina del fango è questa: ce la segnala Belpietro con il suo solito andare alla «sostanza» delle cose, com’è nel suo stile sincero.
Il suo editoriale di due giorni fa è il «next step», il futuro prossimo venturo del clima in cui vivremo.
Lucia Annunziata
(da”La Stampa“)
PER LA PROSTITUTA CHE SOSTIENE DI AVER INCONTRATO FINI, GRANDE RISALTO SULLA STAMPA BERLUSCONIANA: GIA’ PRONTO UN CALENDARIO E VARIE INTERVISTE… NON HA ALCUNA PROVA A SOSTEGNO, LA POLIZIA LOCALE NON LA RITIENE CREDIBILE, MA PER IL MANDANTE DELL’OPERAZIONE VA BENE LO STESSO… FINI HA QUERELATO CON AMPIA FACOLTA’ DI PROVA
“Non voglio parlare, chiama il mio agente”.
Mentre si scatena la caccia al video dell’intervista che stando agli annunci di Libero e il Giornale getterebbe fango sul presidente della Camera Gianfranco Fini, la escort più amata dai berluscones lascia delusi clienti, fan e curiosi che da due giorni la stanno cercando al telefono e nel suo appartamento di Reggio Emilia. “
Oggi è scesa a Roma a trovare amici e domani sarà a Milano” rispondeva ieri uno dei suoi agenti, riferendo dei prossimi impegni, “tra cui quello di un calendario”…
Rachele, nome d’arte di questa misteriosa escort sui 30 anni che adesca clienti tramite Internet e sogna il Grande Fratello, dosa le dichiarazioni per far crescere l’attenzione su “rivelazioni” al momento prive di alcuna pezza d’appoggio.
E gli ingredienti per dettare l’agenda mediatica ci sono tutti: le idee di destra e la scelta di farsi chiamare come la moglie di Mussolini, l’ambientazione a Reggio Emilia, cuore della regione rossa in cui esercitava l’antico mestiere Nadia Macrì, la escort che ha fatto scoppiare lo scandalo del “Bunga Bunga” di Berlusconi.
Con una sostanziale differenza: Macrì ha già parlato coi magistrati che indagano per favoreggiamento della prostituzione, fornendo più di un riscontro.
Ed è proprio quando le notizie dei festini del premier avevano già fatto il giro del mondo che, una quindicina di giorni fa, Rachele ha registrato il videotape di 13 minuti in cui sostiene di aver trascorso tre notti con il presidente della Camera.
La prostituta, che secondo gli stessi megafoni a mezzo stampa non prova le sue parole, riferisce di incontri con Fini a Reggio Emilia nel novembre 2009, lo scorso maggio e in settembre.
L’alcova sarebbe nella zona del Tribunale, un appartamentino ad hoc per ricevere i clienti agganciati sul Web. «Ciao sono Rachele, si legge nell’annuncio online, italiana, giovane, elegante, molto sexy e provocante, sono una modella pronta ad esaudire ogni tuo più particolare desiderio, posso riceverti o raggiungerti con un po’ di preavviso”.
Nel messaggio in favor di telecamera invece, sempre secondo quanto riporta Il Giornale, ci sono anche i dettagli di uno degli incontri col presidente della Camera, che “arriva su un’Audi blu accompagnato da quella che sembra essere una guardia del corpo”.
Si parla di iniziali 500 euro e di un totale di duemila che sarebbero comprensivi di un extra “per pagare il suo silenzio”.
La rottura del patto…?
Quando Fini non si sarebbe più fatto vivo e non sarebbero arrivati segnali da chi le avrebbe promesso una partecipazione al programma televisivo “Grande Fratello”.
Le reazioni degli ambienti vicini al presidente della Camera sono state durissime.
Ieri il capo della segreteria politica di Futuro e Libertà Carmelo Briguglio, cogliendo l’occasione delle dichiarazioni del premier sul presunto complotto che ostacolerebbe la rimozione dei rifiuti a Napoli, ha replicato: ”L’unico complotto ormai chiaro a tutti è quello ordito dalla stampa controllata dal premier contro Gianfranco Fini, di cui unico beneficiario è Berlusconi”…
Martedì il capogruppo Italo Bocchino aveva sottolineato che “prima di sparare fandonie sulla escort si doveva verificare attraverso la prefettura se Fini era stato lì nei periodi indicati da chi l’accusa. Invece ecco l’ansia di tirar fuori queste fandonie”.
La Prefettura di Reggio Emilia, contattata ieri dal Fatto Quotidiano, non ha rilasciato dichiarazioni su presenze istituzionali nei periodi indicati dalla escort, che tuttavia non viene ritenuta credibile dalle forze dell’ordine locali. In questa storia con troppi condizionali, dunque, l’unica cosa certa è la querela annunciata da Gianfranco Fini.
Se a Reggio Emilia non sono in corso accertamenti la Procura di Milano, competente territorialmente per l’ipotesi di reato di diffamazione a mezzo stampa, ascolterà probabilmente, oltre a Rachele, tutti coloro che hanno raccolto le sue confidenze.
“Non siamo stati convocati dall’autorità giudiziaria, ha risposto ieri uno dei collaboratori dell’agenzia milanese B&G production che cura l’immagine di Rachele, lei si è rivolta a noi circa un mese fa, poi ha girato il video. Si assume tutte le responsabilità di quanto afferma. Dai dettagli che ha fornito ci ha fatto credere che fosse vero ma non avendo foto degli incontri… Al momento è impegnata ma non si negherà a interviste. Noi ci occupiamo di spettacolo e televisione: Rachele ha già fatto dei backstage, vuole fare un calendario”…
Stefano Santachiara
(da “Il Fatto Quotidiano“)
INTERROGATI PERSONAGGI LEGATI ALLA CRIMINALITA’ PUGLIESE…SI CERCA LA FONTE DELLA PRESUNTA INFORMAZIONE DATA A BELPIETRO CHE NON NE HA RIVELATO IL NOME E SI INDAGA SUI RAPPORTI DI FREQUENTAZIONE DI COSTUI CON IL DIRETTORE DI LIBERO
Le prime verifiche sull`agenda di Gianfranco Fini.
Una raffica di audizioni di personaggi legati alla criminalità organizzata del Nord Barese.
Infine un lavoro meticoloso di intelligence per individuare il fantomatico Mister X che avrebbe raccontato al direttore di Libero, Maurizio Belpietro, i particolari sull`organizzazione di un attentato al presidente della Camera per la prossima primavera ad Andria.
Tassello su tassello, gli investigatori della Digos di Bari, incaricati dal capo della Procura Antonio Laudati, stanno cercando di ricostruire il mosaico del mistero, per svelare i contorni di un possibile complotto oppure di un allarme incauto.
L`ipotesi di reato alla base del fascicolo di inchiesta dell` antimafiadi Bari è “attentato perfinalità terroristiche o di eversione”, essendo il bersaglio la terza carica dello Stato, ma al momento non ci sono nomi iscritti nel registro degli indagati.
Il primo passo è stato l`acquisizione dell`agenda del presidente della Camera allo scopo di monitorarne gli spostamenti futuri, e dalla prima verifica è stato già possibile escludere che fosse stata programmata una sua visita ad Andria, nel mese di aprile.
I dati saranno confermati ufficialmente nelle prossime ore. In ogni caso, assicurano in Questura, saranno intensificati i controlli durante le visite dei politici in Puglia.
Il secondo step degli inquirenti è stato incontrare, ieri mattina, alcuni informatori: pregiudicati che gravitano nel mondo malavitoso della zona di Andria, potenzialmente in grado di stanare il presunto esecutore materiale dell`attentato.
Colui cioè che, nel racconto di Belpietro, avrebbe intascato 200 mila euro per fingere l`agguato aFinà, allo scopo di far ricadere la colpa sul premier Berlusconi.
E ancora. Si riparte dalle dichiarazioni di Belpietro, rese durante il lungo interrogatorio di lunedì scorso a Milano.
Al procuratore aggiunto Armando Spataro non ha fornito il nome della sua fonte, ma ha dato alcune indicazioni utili a identificarlo.
Seguendo i pochi elementi in possesso, gli investigatori in cerca della fonte si muovono su più fronti, spaziando dal Milanese alla Puglia.
E, a supporto della caccia alla talpa, si indaga sui rapporti di frequentazione che lo legherebbero al direttore di Libero.
Gli agenti della Digos, chelavorano in collaborazione con i colleghi di Milano, vogliono infatti capire se l`incontro avuto «prima di Natale», come scritto da Belpietro nell`editoriale, sia avvenuto nella redazione del quotidiano o in circostanze private.
La delega di indagine data dal procuratore Laudati è infatti molto ampia e comprende anche la ricerca del presunto mandante dell`attentato, partendo proprio dalle indicazioni fornite da Maurizio Belpietro.
Mara Chiarelli
(da “Repubblica“)