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ANNI ‘70: IL GIOVANE LA RUSSA E IL CORTEO IN CUI MORÌ L’AGENTE MARINO TRA MANDANTI, PAROLAI E DELATORI

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

NELLE ANALISI ODIERNE DI MOLTI MEDIA SI TENDE SOLO A EVIDENZIARE CHE, IN PASSATO, LA RUSSA NON EBBE SEMPRE LO STESSO SENSO DELLA LEGALITA’ CHE GIOVEDI’ PRETENDEVA DALLO STUDENTE… IL SUO RUOLO NELLA MANIFESTAZIONE DEL 12 APRILE 1973 E LA TESTIMONIANZA DI STAITI: LA RUSSA VIVEVA DELLA LUCE RIFLESSA DEL PADRE… LA FEDERAZIONE DI MILANO FU CONSIDERATA UN COVO DI DELATORI E MOLTI GIOVANI ABBANDONARONO L’MSI

Oggi molti quotidiani ricordano quella data “storica” per l’estrema destra italiana: il 12 aprile 1973.
La rammentano in seguito alla esibizione da macchietta del ministro Ignazio La Russa ad “Anno Zero”, durante la quale ha verbalmente aggredito e insultato uno studente, reo di aver partecipato al corteo romano sfociato nei noti disordini.
Se fosse stata necessario mandare via etere una caricatura disgustosa di un “fascista da operetta”, meglio non si sarebbe potuto trovare sulla piazza.
Da quella esibizione muscolare e senza cervello, ovvio che molti quotidiani e osservatori politici ne abbiano fatto derivare un amarcord sui trascorsi “di piazza” di La Russa nei difficili anni ’70, per poter sottolineare che il ruolo di difensore della legalità  contro i disordini di piazza poco di addice all’attuale ministro della Difesa e altrettanto quello di chi si schiera con le forze dell’ordine.
Che accade il 23 aprile 1973?
A Milano si svolge una manifestazione (non autorizzata) del Msi.
Il corteo, guidato dai dirigenti nazionali Servello e Petronio, si scontra con la polizia.
Nel corso degli scontri, violentissimi, vengono lanciate alcune bombe a mano contro le forze dell’ordine, provocando la morte dell’agente di polizia Antonio Marino.
“Fu proprio lui a volere più d’ogni altro la manifestazione del 12 aprile 1973 in cui fu ammazzato l’agente Antonio Marino”, ricorda oggi al “Fatto Quotidiano” Tomaso Staiti di Cuddia, camerata ed ex parlamentare del Msi.
Allora Ignazio La Russa era un giovane dirigente missino, segretario regionale del Fronte della gioventù .
“A Milano il Msi da tempo non riusciva a fare una manifestazione all’aperto, con corteo”, racconta Staiti, “così La Russa s’impuntò: il 12 aprile dovevamo riuscirci. A tutti i costi. Man mano che la data s’avvicinava, diventava chiaro a tutti che sarebbe stato un massacro. Alla fine il corteo fu vietato dalla questura. Ma Ignazio continuò a insistere: dovevamo scendere in piazza. E così fu”.
Quel pomeriggio gli scontri con la polizia furono durissimi.
Era arrivato a Milano da Reggio Calabria anche Ciccio Franco, il capo dei “boia chi molla”.
Durante la manifestazione (“Contro la violenza rossa”, diceva il manifesto che la convocava), furono lanciate perfino due bombe a mano Srcm.
Una distrusse un’edicola in largo Tricolore.
L’altra, in via Bellotti, uccise il poliziotto Antonio Marino, 22 anni, a cui fu tirata in pieno petto.
Di quel giorno, resta una foto che ritrae La Russa, capelli lunghi, occhi luciferini, assieme a Ciccio Franco, al senatore missino Franco Servello e a tutti i capi del Msi milanese.
“Ma non aspettatevi di trovarlo direttamente coinvolto in azioni violente”, racconta al “Fatto Quotidiano” un altro camerata che chiede di non fare il suo nome.
“Ignazio restava nell’ombra, le cose le faceva fare agli altri. Era già  un politico. E poi diciamolo: non è mai stato un cuor di leone”.
Dopo quel pomeriggio di sangue, Giorgio Almirante, che non amava quel ragazzotto con i capelli troppo lunghi e gli occhi spiritati, sciolse la federazione milanese del Msi e il Fronte della gioventù.
Ma La Russa ricostruì, anzi aumentò, il suo influsso sul partito a Milano, di cui divenne pian piano il padrone.
“A parole era tutt’altro che un moderato: era un fascista con la bava alla bocca”, racconta Staiti. “Quando divenni deputato del Msi, tentò di emarginarmi. Alle riunioni della segreteria provinciale non m’invitava. Io partecipavo ugualmente e lui cominciava così: ‘Saluto i camerati e anche Staiti che non è stato invitato’. Alla quarta volta mi alzai e gli allungai quattro ceffoni: ‘Io l’invito me lo sono preso, e tu ti tieni le sberle’”.
In quei turbolenti anni Settanta, Ignazio s’impossessò di Radio University, un’emittente di destra che trasmetteva da Milano.
“Il potere che Ignazio aveva nel Msi non gli derivava però dalla militanza, ma dalla famiglia”, continua Staiti.
Il padre, Antonino La Russa, ex federale fascista di Paternò e poi senatore missino, era arrivato a Milano dalla Sicilia con una dote di rapporti pesanti.
Con Michelangelo Virgillito innanzitutto, suo compaesano, cognato e grande corsaro di Borsa.
E con Raffaele Ursini, l’uomo che ereditò da Virgillito il gruppo Liquigas.
“Il vecchio patriarca Antonino era invisibile, ma potentissimo nel partito: era lui a trovare i soldi per finanziarlo”.
È anche l’uomo che pilota le eredità . Convogliando rapporti, soldi, affari e azioni verso un giovane di bottega, arrivato anch’egli da Paternò, che diventa, non senza qualche conflitto, l’erede del potere dei La Russa-Virgillito-Ursini: è Salvatore Ligresti.
Don Totò è cresciuto insieme con Ignazio, tra busti del duce e scorribande in Borsa.
E non dimentica la fonte del suo potere e della sua ricchezza, tanto da riservare sempre ai La Russa qualche poltrona nei consigli d’amministrazione delle sue aziende.
“Con Almirante”, dice Staiti, “Ignazio ricucì il rapporto quando fece dare a un figlio di donna Assunta, che aveva fatto fallire la sua concessionaria d’automobili, la gestione di un’agenzia romana della Sai, la compagnia d’assicurazioni di Ligresti”.
Oggi prevale il senso pratico di Ignazio, amico di Ligresti, sostenitore di Berlusconi, ministro della Repubblica e ospite dei talk-show.
Ma fondamentalmente per l’ambiente rimane una macchietta.
Un estremista verbale che nella piazza dell’estrema destra milanese degli anni ’70 contava nulla, ma che nella federazione missina aveva un ruolo importante.
E diciamo anche quello che oggi i giornali non dicono, forse perchè non conoscono.
La morte dell’agente Marino, per chi era un giovane di destra in quei tempi, ha segnato anche un momento preciso nei rapporti con le strutture del partito.
A seguito di quel corteo e degli incidenti successivi, l’immagine legalitaria e di forza d’ordine del Msi era stata irrimediabilmente incrinata.
I dirigenti missini, nel tentativo di recuperare un’immagine rispettabile per il movimento, denunciarono i presunti autori dell’attentato (riconosciuti poi colpevoli), sperando di dimostrare, in tal modo, l’estraneità  del partito alle violenze.
Fu   infatti la federazione milanese a fare i nomi dei colpevoli (Murelli e Loi), che appartenevano al gruppo milanese La Fenice.
Furono migliaia i ragazzi che si staccarono dal Msi che aderire ad altre organizzioni sentendosi considerati “carne da macello” per i dirigenti del partito.
Utili quando c’era da fare propaganda elettorale per qualcuno, scaricati anche solo quando si difendevano da aggressioni.
Erano i tempi dei comunicati stampa ciclostilati: “Tizio? mai stato iscritto al partito”.
E la federazione milanese era cosiderata da questi giovani, proprio nei suoi massimi dirigenti, un covo di delatori, di soggetti che segnalavano alla questura i nominativi di chi aveva lasciato il Msi per poter così contare su una sorta di protezione da parte dei vertici dello   Stato.
Nella valutazione di quei fatti e di quei dirigenti da parte dei media oggi manca questo tassello fondamentale: l’analisi e la distinzione tra parolai, mandanti e delatori.
E spesso i ruoli coincidono.

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IGNAZIO LA RISSA, L’ASSALTO AD ANNO ZERO: E IL GIORNO DOPO ANCORA MINACCIA: SO CHI E’ QUEL GIOVANE”

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

AGGREDISCE A FAVORE DI TELECAMERA UNO STUDENTE, GLI DA’ DEL VIGLIACCO E GLI INTIMA DI STARE ZITTO, UNA PENOSA FIGURA DA MACCHIETTA… FA FINTA DI DIFENDERE GLI AGENTI MA DIMENTICA CHE LE FORZE DELL’ORDINE IL GIORNO PRIMA GLI HANNO DATO DEL BUFFONE…E IL FIGLIO GERONIMO ENTRA NEL CD DELL’ ACI

Nome, cognome ed eventuali precedenti.
Attenzione a mettersi contro il ministro della Difesa Ignazio La Russa, attenzione a contraddirlo: lui si informa, non dimentica.
L’abbiamo provato martedì sulla nostra pelle quando ci ha aggredito in Transatlantico, o visto tante volte in Parlamento durante i lavori.
E ancora nelle trasmissioni televisive, pronto a saltare alla giugulare degli avversari. Ma l’ultima ha del clamoroso.
Giovedì sera durante Annozero si è scagliato contro Luca Cafagna, rappresentante del Collettivo di Scienze politiche di Roma, reo di aver cercato di spiegare le ragioni della manifestazione del 14 dicembre.
La tecnica? Sempre la stessa: alza la voce, dà  sfogo alla sua raucedine, porta il petto in avanti e “gioca” sulle punte.
Paonazzo sgrana gli occhi e mostra i denti.
Ragionare con lui, impossibile.
Così giovedì eccolo protagonista mentre attacca a colpi di “vigliacchi-vigliacco” ripetuto all’ossesso, “fifone” detto a mo’ di sfida, “incapace” come accusa preventiva, quasi provocatoria.
E ancora “la tua è apologia di reato”, tanto per dare forma a un’accusa, fino a “la polizia avrebbe potuto spazzarvi via”, pronunciato con un tono vicino al rammarico.
Quindi il dito portato al naso corredato da un classico “stai zit-to!!!”.
Lo ordina il ministro.
Chi era presente non ha dubbi: “Sembrava un uomo poco in sè, uno che non stava proprio bene”, il commento di uno dei ragazzi, anonimo, perchè ora ha paura. Una scena inedita, mai vista da parte di un rappresentante delle istituzioni, con lo stesso Nicola Porro allibito e pronto a vestire il ruolo del paciere, con frasi del tipo “stai tranquillo, resta qui, se te ne vai sbagli”.
“È stato incredibile — ricorda lo stesso Cafagna —, non ho mai visto un ministro comportarsi così, mai visto uno con il suo ruolo saltare in piedi e bloccare la trasmissione con un atteggiamento intimidatorio”.
Non solo un atteggiamento.
Il giorno dopo di La Russa è anche peggio del precedente, se possibile, visto che dal Senato lancia nuove accuse allo studente: “Sapevo chi era quel ragazzo, conosco il suo nome e cognome e cosa fa, so che si è distinto contro ragazzi inermi”.
Quindi “l’ho chiamato vigliacco — aggiunge il ministro — perchè difendeva chi ha colpito proditoriamente uomini delle forze dell’ordine nel corso degli scontri di martedì, ma anche per qualche episodio universitario”.
Insomma, ha cercato sue informazioni. E i canali non gli mancano.
“Sembra quasi una minaccia — continua uno stupito e preoccupato Cafagna —, una minaccia inquietante. Voglio precisare una cosa: sono incensurato, non ho alcun precedente, faccio parte di un collettivo e il massimo delle mie colpe è stato di aver organizzato qualche manifestazione non autorizzata. Basta. E pensare che ieri, alla fine della trasmissione, si è anche avvicinato per giustificare la sua reazione”.
Dopo lo schiaffo, la carezza: si è alzato, è andato dai ragazzi e gli ha detto di non avercela con loro.
La reazione? “Un deciso rifiuto — spiega uno degli universitari presenti —, inammissibile: ci ha accusato di cose vergognose, di avercela con le forze dell’ordine, di essere dei delinquenti. Poi quel paragone con i suoi figli e quelli di Casini, così bravi da non scendere in piazza…”.
Già , polizia e prole.
Partiamo dalla prima: l’ex colonnello di aenne ha accusato Michele Santoro di non aver invitato nessun rappresentante delle forze dell’ordine. Nessuno a difenderli.
Eppure, interpellati da “il Fatto” i sindacati di polizia, ci hanno spiegato che la serata di Annozero non era la loro priorità , a differenza “degli ulteriori tagli apportati con l’ultima Finanziaria al comparto sicurezza e difesa: una cifra vicina ai due miliardi e mezzo di euro”.
Tradotto vuol dire: tetto agli straordinari, nessun riordino delle carriere, quindi meno sicurezza per i cittadini. Auto ferme per mancanza di benzina o manutenzione, caserme fatiscenti o dismesse, fino alla mancanza di fogli per ricevere le denunce.
Proprio lunedì 13, nel primo giorno di discussione in Parlamento per la fiducia a Berlusconi, abbiamo intercettato i sindacati di polizia mentre manifestavano davanti a Montecitorio, urlare “buffone” e “bruttone” allo stesso La Russa mentre attraversava la piazza.
Lui non li ha degnati di uno sguardo, spalle contro, più attento a rilasciare interviste. Questo il bilancio.
Secondo aspetto: i figli maschi del ministro si chiamano Geronimo, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache.
Gli ultimi due sono appena maggiorenni, Geronimo, avvocato con velleità  da notaio (ha partecipato all’ultimo concorso annullato per irregolarità ) è uno dei più introdotti nel belvivere milanese, tanto da sedere nel cda di Premafin, la holding del gruppo Ligresti.
Vuol dire serie A della finanza, altro che disoccupazione.
Appendice alla serata di Annozero: ieri La Russa ha incontrato Di Pietro, anche lui presente in trasmissione, davanti Montecitorio: il ministro l’ha salutato, il leader dell’Idv gli ha risposto “fascista”, e testimoni raccontano che, ancora una volta, la reazione di La Russa è stata a dir poco stupefacente.
Come sempre.

Alessandro Ferrucci
da “Il Fatto Quotidiano“

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CONTRO LA RUSSA, NOVELLO CARADONNA: CON GLI STUDENTI, RIBELLI MA NON VIOLENTI, BISOGNA SAPER DIALOGARE

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

I GIOVANI MANIFESTANO CONTRO UN SISTEMA DI POTERE CHE LI IGNORA E COSTRUISCE CONSENSO SULLA LORO PELLE… NON TUTTI, COME IL FIGLIO DI LA RUSSA, ARRIVANO AI VERTICI DELL’ACI PER NOMINA DALL’ALTO…NON SI ENTRA A PIEDI UNITI CONTRO I GIOVANI SENZA ASCOLTARLI, LA DESTRA NON HA BISOGNO DI ALTRI CARADONNA

Ricordate Giulio Caradonna?
Per i più giovani, si trattava di un deputato del Movimento Sociale Italiano, noto, tra l’altro, per aver guidato le pattuglie dei 200 missini e “volontari nazionali” che fecero irruzione all’Università  “La Sapienza” nel 1968 per mettere fine, con metodi non certo ortodossi, all’occupazione studentesca. Scelta che, anche all’interno della destra di allora, aveva provocato qualche malumore soprattutto tra i più giovani, perchè chiudeva definitivamente le porte di quell’occasione storica di ribellismo giovanile alla parte non di sinistra di quella generazione.
Ecco, giovedì Caradonna si è reincarnato in Ignazio La Russa, ministro della Difesa del governo Berlusconi, che ospite di Santoro ad Annozero si è scagliato con una violenza verbale inaudita contro un rappresentate del movimento studentesco che stava esponendo la propria opinione, con qualche ragione e altrettanti torti, sui fatti del 14 dicembre che hanno messo a ferro e fuoco Roma.
Ecco, su quegli atti violenti, si è già  espresso Filippo Rossi su Farefuturo e Roberto Saviano su quelle di Repubblica.
E non c’è molto da aggiungere.
Violenza mai, ribellismo non violento magari.
Ma sull’atteggiamento della destra dei Caradonna di oggi ci sarebbe molto da dire.
C’è da dire, ad esempio, che mentre migliaia e migliaia di giovani manifestano legittimamente e pacificamente contro un sistema di potere che li ignora e costruisce consenso e clientele sulla loro pelle, altri giovani, magari figli proprio di un ministro, arrivano ai vertici dell’Aci di Milano per nomina dall’alto.
Ecco perchè quei figli, forse, non erano in piazza.
Perchè quei figli hanno il sedere coperto e non hanno certo bisogno di contestare chicchessia.
Ma l’atteggiamento di una certa destra nei confronti del ribellismo giovanile è un cancro che ha provocato mostri, proprio perchè nessuno ascoltava le ragioni di una protesta, condivisibile o meno, di intere generazioni abbandonate e smarrite.
Ecco, non abbiamo bisogno di altri Caradonna, che entrano a piedi uniti contro i giovani senza ascoltarli e prendendoli solo a manganellate (anche solo verbali).
C’è bisogno di ascoltare le ragioni di questa generazione smarrita e tradita, proprio per evitare che si rifugi nel ventre di una violenza senza senso, alla ricerca di risposte estreme e inconcludenti che alla fine rafforzano proprio il sistema che vuole i giovani fuori da tutto.
Ecco perchè La Russa, novello Caradonna, rappresenta l’atteggiamento peggiore nei confronti dell’improcrastinabile questione giovanile.
Ecco perchè, se proprio dobbiamo, scegliamo di stare con i giovani, contro un ministro della Repubblica che non lascia parlare un ventenne e lo attacca con parole offensive e vigliacche.
Ecco perchè, se Ignazio La Russa farà  quello che ha fatto Caradonna, noi saremo lì, con i giovani, ad aspettarlo.

Domenico Naso
Farefuturoweb

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COSA VOGLIONO QUEI RAGAZZI

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

“TRA DIECI ANNI POTREMMO PENTIRCI DI NON AVER ASCOLTATO LE RAGIONI DEGLI STUDENTI ITALIANI, UNA PROTESTA CONTRO IL DECLINO DEL PAESE, UNA BATTAGLIA CHE DOVREBBE RIGUARDARE TUTTI, DESTRA E SINISTRA”… “ANCHE I RAGAZZI IN DIVISA NE SONO VITTIME: HANNO STUDIATO DI PIU’ PER AVERE DI MENO”…. LA PROTESTA STUDENTESCA NON PUO’ ESSERE RIDOTTA A UN PROBLEMA DI ORDINE PUBBLICO”… L’ANALISI DI CURZIO MALTESE

La sera del 13 dicembre, vigilia del voto di fiducia e degli scontri di piazza del Popolo, l’ho passata alla Sapienza per discutere con gli studenti che cosa sarebbe successo il giorno dopo.
Soprattutto sul come i media avrebbero trattato la rivolta degli studenti.
La paura era il remake di Genova 2001. Zone rosse, black bloc, infiltrati e no, botte da orbi.
In questo modo le ragioni del movimento sarebbero state completamente oscurate dal dibattito sulla violenza, come poi ha scritto Roberto Saviano.
I media si sarebbero volentieri accodati, alcuni per servilismo, altri per sensazionalismo, altri ancora per il riflesso condizionato di paragonare ogni movimento giovanile al passato.
Nel 2001, fra i fumi dei lacrimogeni veri e gli altri a mezzo stampa, la strategia ha funzionato benissimo e l’Italia ha perso una grande occasione di modernità .
Basta rileggersi i documenti del movimento no global dell’epoca sulla finanza internazionale, le bolle speculative, la privatizzazione dell’acqua, il clima o l’evoluzione del mercato agricolo per capire quanto fossero profetiche, acute, attuali quelle analisi.
Tanto più degne d’attenzione delle quattro fesserie di circostanza e delle mille menzogne esalate durante il G8 da Bush e dagli altri potenti della terra.
Ma si discusse soltanto degli atti di pochi violenti e dei discorsi vacui del potere.
Fra dieci anni potremmo pentirci di non aver ascoltato le ragioni degli studenti italiani, la loro protesta che è anzitutto contro il declino dell’Italia.
Una battaglia che dovrebbe riguardare tutti, giovani e anziani, partiti e sindacati, destra e sinistra, imprenditori e lavoratori.
Riguarda molto gli altri giovani di piazza del Popolo, i ragazzi in divisa, ventenni che spesso non hanno trovato altri lavori e misurano sulla propria pelle che cosa significhi aver studiato più dei colleghi anziani per avere meno soldi in busta paga e minori possibilità  di carriera.
Ragazzi in divisa che infatti, come si vede dai filmati, non avevano alcuna voglia di usare i manganelli.
Il declino non riguarda soltanto l’Italia, ma l’Europa intera.
E infatti la protesta degli studenti esplode in tutte le capitali d’Europa.
La differenza è che soltanto in Italia, la nazione dove il declino è peggiore, si considera la protesta un mero problema di ordine pubblico, una faccenda poliziesca.
Qui non si tratta di una riforma buona o cattiva.
Sarebbe facile smontare i due o tre slogan populisti e volgari sui quali si fonda la difesa della legge Gelmini. La guerra ai baroni?
La riforma concentra il massimo del potere nelle mani dei rettorati, il Gotha del baronato.
La lotta agli sprechi, ai troppi assunti, agli stipendi clientelari che fagocitano tutte le risorse? Su questo punto è difficile rimanere calmi. Il maggior spreco clientelare nella storia della scuola pubblica, il più costoso degli ultimi vent’anni, è stata l’assunzione di massa di ventimila insegnanti di una materia facoltativa, la religione, decisa da un governo Berlusconi per garantirsi l’appoggio dei vescovi.
Spreco, vergogna, insulto alla Costituzione e alla meritocrazia, visto che gli insegnanti di religione non debbono affrontare un concorso, ma soltanto essere segnalati dalla curia. Ma questo è davvero il meno.
Il vero problema è che per la prima volta da secoli in Europa avanza una generazione “meno”.
Una generazione che avrà  meno opportunità , mobilità  sociale, in concreto meno consumi, automobili, case, strade, pensioni, perfino forse aspettative di vita, nonostante i progressi della scienza, di quanto ne abbiano avute i padri. È la questione dell’epoca ed è gigantesca, inedita.
Ed è tanto più evidente in Italia, avanguardia del declino europeo.
La politica, i sindacati, le associazioni industriali e finanche la Chiesa non dovrebbero occuparsi d’altro. Invece si occupano soltanto d’altro.
Tutti dovremmo essere grati a questi ragazzi perchè ci ricordano che abbiamo un futuro e dobbiamo sceglierlo.
Invece molti e forse la maggioranza sono grati all’idiota che picchia un poliziotto a terra, al delinquente che incendia una camionetta o sfonda un bancomat, a chiunque armato di un bastone ci permetta il lusso di non pensare, come ricordava Saviano.
Oggi come nel 2001, dopo Genova.
Dopo Genova ci sono stati i crack finanziari, la peggiore crisi dal dopoguerra, il crollo dei prezzi agricoli, la privatizzazione dei grandi acquedotti.
E adesso, brava gente allevata coi dibattiti televisivi, che cosa deve accadere per svegliarsi?

Curzio Maltese
(da “la Repubblica“)

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RIVOLTA STUDENTESCA: “CHIEDEVAMO IL FUTURO: CI HANNO RIEMPITO DI BOTTE”

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

ALICE, 23 ANNI, LA RAGAZZA ARRESTATA DOPO GLI SCONTRI, OCCHI PESTI E BRACCIO AL COLLO: IN CELLA MINACCIATI E INSULTATI…”HO CAPITO CHE PER LAVORARE ME NE DEVO ANDARE DALL’ITALIA”

“Ci tenevano lì, al gelo, tutti insieme in una cella vuota, senza bere, nè mangiare, nè poter andare al bagno. Chi chiedeva un po’ d’acqua o si lamentava per le ferite aperte veniva aggredito, deriso, minacciato.
Ci avevano detto: ricordatevi di Bolzaneto, ricordatevi di Genova.
Per 14 ore nel centro di identificazione di Tor Cervara abbiamo subito ogni tipo di angheria e di terrorismo psicologico, con la consapevolezza che laggiù, in quella specie di carcere, lontani da tutto e da tutti, ci sarebbe potuta succedere qualunque cosa”.
Alice ricorda e i ricordi fanno male.
Ombre di freddo e di paura. Di scherno e di violenza.
Ha gli occhi pesti, un braccio al collo e una caviglia gonfia.
Ventitrè anni, i capelli e gli occhi scuri, i modi gentili e lo sguardo di chi sa quello vuole.
Seduta nella piccola cucina di una casa da studenti, posti letto a 250 euro l’uno, con il caffè caldo sul tavolo e gli amici intorno, Alice Niffoi, arrestata negli scontri di martedì scorso, ferita a manganellate dalla polizia e poi detenuta con altri 23 ragazzi, racconta la sua vita di ragazza normale sconvolta da un pomeriggio di guerra.
E la sua voce, i suoi desideri, i suoi sogni di studentessa di Scienze Politiche che vuole occuparsi di “Altra economia”, sembrano essere quelli di un’intera generazione, di un movimento che rifiuta la violenza, ma dice Alice, “finchè ci saranno zone rosse noi le violeremo, sono loro i violenti non noi”.
È nata ad Orani Alice, in Sardegna, nel cuore della Barbagia, con una mamma professoressa di Lettere che nel ’77 partecipò alla grande protesta universitaria e un papà  che fa il rappresentante, le superiori al liceo classico “Asproni” di Nuoro, poi quattro anni fa il salto verso Roma, “avevo voglia di vivere in una metropoli, credevo nell’università , oggi ho capito che per fare il mio lavoro me ne dovrò andare, qui per noi non c’è più posto”.
Noi, cioè loro, sono i ragazzi che occupano, che manifestano, e il 22 torneranno in piazza in una Roma che li attende in assetto militare e armato. Suonano i telefoni, il campanello, i vetri sono appannati dal freddo, ma dentro questo appartamento nel quartiere del Pigneto, alle spalle della periferia Casilina, ci sono calore, solidarietà , gli amici entrano, escono, abbracciano Alice, “certo che ti hanno conciato male…”.
“Adesso tutti cercano di darci etichette, ma noi siamo lontani dai partiti, anche dalla sinistra, chiediamo soltanto di poterci costruire vite dignitose, di avere accesso al lavoro, e la risposta del Governo è stata quella di riempici di botte, mentre tremavo dal freddo, scalza, nel seminterrato buio dove ci avevano rinchiusi, ho pensato che quel luogo assomigliava alla “cella del ministero dell’Amore” come nel romanzo 1984 di George Orwell…”.
Ossia il ritrovarsi in un copione assurdo, in un incubo, con l’accusa per Alice di resistenza aggravata. “Rivedo quelle scene in continuazione, ero ben stretta nei cordoni di testa del corteo, non ho tirato pietre, nulla, semplicemente avanzavo mentre la polizia caricava, e così mi hanno presa, trascinata via, picchiata con il manganello sulla testa e sulle spalle, buttata in un cellulare con le manette ai polsi”.
Un salto nel buio, nell’oscurità , la consapevolezza che il gioco si è fatto duro, durissimo, e forse la vita di prima non sarà  più la stessa.
“Faccio teatro, dovevamo mettere in scena un testo di Laforgue, ma lo spettacolo è saltato, mi piace David Bowie, leggo moltissimo, di tutto, gli scrittori sardi, Michela Murgia, Flavio Soriga, ho appena finito un testo di Anna Simone Corpi del reato”.
“Mia madre si è spaventata – mormora Alice – è naturale, però sa che la nostra protesta è giusta. Ma lo sanno in Parlamento che fatica è poter studiare, mai un cinema, un ristorante, al supermercato cerchiamo i cibi meno costosi, comprare i libri è un’impresa. Vogliono schiacciarci? Noi reagiremo, è tutto il movimento che si ribella”.

Maria Novella De Luca
(da “la Repubblica“)

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FEDERALISMO SANITARIO: PREZZI TRIPLICATI DA UNA REGIONE ALL’ALTRA E NON SEMPRE IN QUELLE DEL NORD I PREZZI PIU’ BASSI

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA DI ALTROCONSUMO RIVELA UN SISTEMA DI TARIFFE PAZZE: UN ESAME DEL SANGUE COSTA 0,52 EURO IN LAZIO, 6,20 EURO NELLE MARCHE…UNA RADIOGRAFIA AL POLSO 14 EURO IN EMILIA E 28 EURO IN VENETO…UN CONTROLLO DAL GINECOLOGO 16 EURO IN UMBRIA E 30 IN PIEMONTE…QUESTE SONO LE PREMESSE DEL TANTO DECANTATO FEDERALISMO

La sanità  in Italia non è uguale per tutti: cambia l’offerta di servizi, ma soprattutto cambia il costo che il cittadino è chiamato a pagare per avere accesso alle prestazioni di base.
Una giungla di tariffe che trova il suo culmine proprio nell’analisi più comune: quella del sangue, dove la variazione fra una regione e l’altra può superare il mille per cento.
Fare un prelievo in una struttura pubblica o convenzionata del Lazio costa solo 52 centesimi, ma la stessa analisi eseguita in un laboratorio delle Marche viene pagata dal paziente 6 euro e 20 centesimi.
Poco meglio va per i controlli dal ginecologo: le donne umbre, se la cavano con 16 euro a visita, ma le loro amiche piemontesi – per la stessa prestazione – sono chiamate a sborsarne più di 30 (l’aumento è del 82 per cento).
E la radiografia del polso? In Veneto ve la fanno per 28 euro, ma se siete disposti a fare qualche chilometro e a varcare il confine con l’Emilia Romagna pagherete la metà .
La confusione è totale: da un capo all’altro del territorio nazionale variano le tariffe, le esenzioni ammesse, le norme che regolano l’intricata galassia delle ricette, perfino i ticket da versare per accedere ad esami, visite, terapie.
La maggior parte delle regioni chiede 36,15 euro, ma si arriva ai 45 della Calabria e ai 46,15 della Sardegna.
A compiere questo lungo viaggio nell’Italia delle mille differenze è un’indagine di Altroconsumo (“Il prezzo della salute”) che passando al setaccio i tariffari 2009 delle varie regioni ha scoperto come in Italia i pazienti non siano tutti uguali: al di là  delle differenze qualitative dei servizi offerti, vi sono anche notevoli varietà  nelle tariffe che sono chiamati a versare.
Oggetto dell’indagine sono state le 31 prestazioni ambulatoriali più richieste divise fra visite specialistiche, esami di laboratorio e diagnostici.
Il risultato si presta a paragoni sconcertanti: i principali esami di laboratorio in Puglia costano in media il 56 per cento in più rispetto all’Emilia Romagna, le visite specialistiche in Piemonte sono più care dell’82 per cento rispetto all’Umbria.
E non è detto che nelle classifiche dei prezzi, il Sud sia sempre maglia nera: in realtà , riguardo agli esami di laboratorio la palma della regione più esosa va alle Marche, che però diventa la più virtuosa quanto a visite ed esami diagnostici.
Campi in cui le tariffe più alte si registrano invece in Piemonte, Friuli e Veneto.
A cosa è dovuta questa rete di diseguaglianze?
Al federalismo sanitario che – per le prestazioni elencate nel cosiddetto “nomenclatore tariffario” – attribuisce alle singole regioni la possibilità  di fissare i livelli di prezzo (spesso negoziati con i laboratori privati convenzionati) cui le strutture devono attenersi.
Per ciascuna analisi prevista da quell’elenco il Servizio sanitario nazionale versa una “tariffa massima”, sforare quella quota vuol dire far pesare il maggior costo sui bilanci pubblici e quindi sui cittadini.
Non solo: dal 2002, grazie ai Lea (i livelli di assistenza minima) le prestazioni riconosciute dal Servizio sanitario sono diminuite.
Ma le regioni che vogliono farlo possono aumentare i servizi offerti coprendo i maggiori costi con risorse proprie.
Ciò ha fatto sì che la rosa delle tariffe applicate si sia ulteriormente ampliata.
Ora, denuncia Altroconsumo “dal federalismo sanitario è naturale aspettarsi differenze, ma è francamente difficile spiegare tariffe così distanti”.
Il ministero della Salute “dovrebbe monitorarne l’andamento, appurare le cause delle anomalie, intervenire” e “in nome del diritto alla trasparenza, informare i cittadini”.
Come premessa federalista insomma c’è da stare allegri.

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LE CRITICHE DELL’EX AMBASCIATORE USA SPOGLI AL GOVERNO: “NELLA MISURA DELLE LIBERTA’ ECONOMICHE L’ITALIA E’ UN DISASTRO”

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

“L’INDEX OF ECONOMIC FREEDOM” PONE L’ITALIA AL 74° POSTO DIETRO LA GRECIA…”IL LIVELLO DELLE RELAZIONI ECONOMICHE BILATERALI E’ DELUDENTE”… LA DESTRA REPUBBLICANA CHE AVEVA RIPOSTO FIDUCIA IN BERLUSCONI HA DOVUTO RICREDERSI

Il nome di Ronald Spogli, designato da Bush ambasciatore in Italia e in carica a Roma per 4 anni (2005-2009), è ormai legato al ciclone WikiLeaks.
Portano la sua firma i primi dispacci che mettono in allarme il Dipartimento di Stato sui rapporti tra Berlusconi e Putin.
Come quello del gennaio 2009 sulla «torbida connection Berlusconi-Putin» e i sospetti di «profitti personali».
Oggi Spogli si guarda bene dal rievocare quei dispacci segreti, che hanno distrutto la confidenzialità  di quattro anni di lavoro da ambasciatore.
Tornato all’ attività  privata (è un investitore di private equity), non rinuncia però a criticare l’ Italia e il modo in cui è governata.
«Il livello delle relazioni economiche bilaterali con gli Usa – dice – è deludente, potrebbe essere molto più intenso».
E per quali ragioni le imprese americane non investono di più?
Spogli ricorda che «la crescita media dell’ economia italiana nell’ ultimo decennio è stata la più bassa di tutta l’ Ue, lo 0,5% di aumento annuo del Pil, è peggio perfino della media dei cosiddetti Pigs, è inferiore a Grecia e Portogallo».
Poi arriva l’ affondo decisivo. «Sul Wall Street Journal – dice Spogli – potete leggere tutti l’ Index of Economic Freedom. Ebbene, l’ Italia arriva al 74esimo posto in quella classifica, siete dietro la Grecia e poco avanti alla Bulgaria». La scelta di quell’ indicatore è significativa.
L’ Index of Economic Freedom misura quelle libertà  economiche che contribuiscono a creare un ambiente favorevole alla crescita.
Lo elabora la Heritage Foundation di Washington, un think tank che è sempre stato vicino ai neoconversatori, oggi di nuovo in voga grazie all’ ideologia anti-statalista del Tea Party.
La pessima performance dell’ Italia nella pagella dei liberisti, pubblicata annualmente sul Wall Street Journal, rivela un altro fronte di sfiducia verso il governo Berlusconi.
Quando Spogli s’ insediò a Roma nel 2005 il clima era di forte benevolenza della destra americana nei confronti del leader del Polo.
Berlusconi era considerato come un alfiere della libertà  d’ impresa, il leader che poteva portare in Italia le riforme strutturali.
Ben presto Spogli ha dovuto ricredersi, e con lui la destra repubblicana.

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IL VENETO ABBANDONATO DEVE AIUTARSI DA SOLO

Dicembre 18th, 2010 Riccardo Fucile

 NON C’E’ TRACCIA DEI 300 MILIONI PROMESSI DA BERLUSCONI E DALLA LEGA DOPO L’ALLUVIONE…. SCATTA LA SOLIDARIETA’ DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI ARTIGIANI E CRESCE LA SFIDUCIA NELLE ISTITUZIONI E NEI PARTITI DI CENTRODESTRA, LEGA IN PRIMIS

Federica Pellegrini ai Campionati di nuoto indosserà  la maglia della solidarietà  al Veneto alluvionato.
Un bel gesto, ma non basta.
I rimborsi promessi dal premier Silvio Berlusconi, quei 300 milioni “scuciti” a Giulio Tremonti che dovevano arrivare non si sono visti.
E allora scatta il piano B: il Commissario all’alluvione Zaia fa sapere che i soldi saranno anticipati dalle banche — sempre in attesa di quelli in arrivo da Roma — e i Comuni alluvionati riceveranno un piccolo acconto entro Natale.
“Com’è possibile non poter inviare subito gli aiuti promessi?
Intanto i veneti, come da santino, si rimboccano le maniche e fanno da soli. “Avevamo 70 centimetri d’acqua in azienda, i meccanismi di precisione e i macchinari li abbiamo buttati. Però a 15 giorni dall’alluvione abbiamo riaperto”. Nessuna retorica: Antonio Bellucco mostra al numero uno di Confartigianato Giorgio Guerrini il suo autosalone rimesso (quasi) a nuovo.
Siamo a Casalserugo, epicentro dell’alluvione veneta dei primi di novembre.
Alle pareti dell’aziendina di famiglia, che vende auto usate e fa revisioni e riparazioni, ci sono i muri scrostati, gli uffici marketing ricavati al volo, le macchine di nuovo esposte.
“Abbiamo avuto 500 mila euro di danni diretti, ma ho allargato il debito che già  avevo in banca e amen. Il problema sono i danni indiretti: rifarsi un’immagine di affidabilità ”.
Se l’indice di affidabilità  è difficile da riconquistare lo è anche la fiducia nelle istituzioni, che da queste parti vacilla.
Un dato per tutti: solo un terzo delle famiglie vicentine colpite dall’inondazione ha presentato domanda per il rimborso dei danni.
L’amministrazione comunale ha ricevuto meno di 2mila richieste a fronte delle quasi 6mila prospettate.
La gente fa da sè, convinta che sia inutile aspettare l’intervento dello Stato.
“Mi chiedo come sia possibile che il governo non riesca a occuparsi con celerità  di un numero così esiguo di imprese: stiamo parlando dello 0,9 per cento di aziende sulle 458 mila attive in regione” rincara Guerrini, che da gennaio sarà  a capo di Rete Impresa Italia, la corazzata di 2,5 milioni di imprese associate che raduna le principali organizzazioni imprenditoriali, artigiane e del commercio.
I risarcimenti per l’alluvione saranno la prima grana che il futuro presidente gestirà .
Per ora, dribbla le domande sui soldi promessi affidandosi al contenitore multitasking, quel decreto Milleproroghe dove assicura che si potrebbero pescare i fondi.
Un piccolo aiuto vero arriva invece da Confartigianato Veneto, che ha diffuso i dati definitivi sulle imprese danneggiate: sono quasi 4 mila (3.931) le aziende colpite che hanno subìto un fermo di attività . Il 56 per cento sono a Vicenza (2.188) il 35 per cento nel Padovano (1.355) e 245 a Verona (6 per cento).
Solo tra i soci di Confartigianato sono 247 le aziende colpite per un monte danni di 23 milioni tra mezzi, macchinari, immobili e magazzino; incalcolabili le perdite “immateriali” come il fermo lavoro, le mancate consegne, gli ordini non soddisfatti.
“L’epicentro per Padova — si legge nel documento — è tra Casalserugo, Bovolenta e Albignasego: in 5 piccoli comuni è concentrato il 60 per cento delle aziende colpite”.
È qui l’autosalone Bellucco rimesso in piedi in tempi record. “Ci vorranno mesi per ripartire — dice il titolare — quanto ai rimborsi, non vorrei che finisse come per la precedente alluvione: non sono mai arrivati”.
Questa sfiducia potrebbe trasformarsi in disaffezione al voto di potenziali elettori del centrodestra, che secondo un sondaggio di Confartigianato nazionale sono una quota tra il 68 e il 74 per cento dei soci, (i simpatizzanti del centrosinistra sono tra il 18 e il 24 per cento).
I nodi principali sono la politica di riduzione del debito, della pressione fiscale e della burocrazia e riduzione del corpus amministrativo pubblico.
“Le società  controllate a Torino sono 600, a Roma il Comune ha 52 mila dipendenti. Anche l’amministratore pubblico deve essere competitivo, quindi più snello”.
Ma qui nessuno ci crede.
E così mentre si aspettano i fondi promessi da Berlusconi scatta la solidarietà  “porta a porta”: Confartigianato Vicenza regala a fondo perduto 150 mila euro alle aziende alluvionate, Fabrica dei Benetton mette nella rete dei multisala un filmato sull’alluvione che invita alla solidarietà  via sms o conto corrente, bacino che finora ha raccolto 2,8 milioni di euro, Elettrolux regala 300 elettrodomestici.
Nel sito venetoalluvionato.it una bacheca ospita le aziende che mettono a disposizione qualcosa: dai software gestionali agli sconti per gli alluvionati su mobili, elettrodomestici, articoli per la casa.
Intanto nelle analisi previsionali di Confartigianato l’83,5 per cento degli imprenditori veneti fa sapere che nei primi mesi del 2011 non effettuerà  alcun investimento.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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