Dicembre 24th, 2010 Riccardo Fucile
MENTRE IL PARTITO AFFARISTICO-RAZZISTA SFASCIA L’ITALIA, NON E’ POSSIBILE CHE I FINIANI FACCIANO UN PASSO AVANTI E DUE INDIETRO… OCCORREVA IL CORAGGIO DI DIRE COSE PRECISE: CHE NON SI VINCE PER TRE VOTI COMPRANDO I DEPUTATI, CHE CALDEROLI E BONDI ANDAVANO MANDATI A CASA, CHE SI STA CON GLI STUDENTI E NON CON IL PATERACCHIO DELLA GELMINI
Tempo di Natale, ma anche occasione di alcune riflessioni.
Sulla mancanza di una vera destra in Italia e sulla sua sostituzione nell’immaginario collettivo di un surrogato da tempi di guerra, sull’incapacità di chi vorrebbe dire qualcosa di destra ad indicare una linea e perseguirla con coerenza (che alla lunga paga).
Continuiamo ad assistere alle esibizioni “muscolari” di un governo moribondo che sta a galla per tre voti comprati e non si ha il coraggio di mandarlo sotto ogni giorno.
Continuiamo a privilegiare una tattica che non paga, piuttosto che delineare un tracciato in prospettiva (un programma, un’alleanza chiara per fare cosa, come e quando).
Continuiamo a vivere alla giornata, rimbeccando dichiarazioni tra il sommo teatrante di Arcore e una opposizione che dorme e non sfrutta mai le occasioni.
Proprio mentre il premier sta dimostrando ogni giorno la sua cronica incapacità a governare non solo il Paese, ma persino il suo partito, mentre ogni giorno sentiamo da lui considerazioni da rabbrividire quando a supponenza e presunzione, dall’altra parte prevale l’eterna “prudenza”.
Quella stessa che ha permesso a tre soggetti di stare per mesi in Futuro e Libertà per tramare contro Fini quando avrebbero dovuto essere accompagnati alla porta.
Quella che, dopo l’assalto fallito, porta a una ritirata strategica, quando sarebbe bastato semplicemente e fermamente dichiarare: “Berlusconi non ha vinto un bel nulla: facile vincere barando, noi vogliamo vincere convincendo”.
Quella che si astiene sulla sfiducia a Calderoli, senza capire che sarebbe stata la immediata rivincita e il colpo da ko al governo.
Quella che sale sui tetti con gli studenti, ma poi prende l’ascensore della Gelmini per scendere.
La mancanza di coraggio qua è stata enorme, si è andati dietro alla stronzata che “la riforma premia la meritocrazia”, magari solo perchè i parenti dei baroni non potranno più insegnare nella stessa università (mogli a parte, tra l’altro).
E’ solo una riforma fatta di 300 milioni di tagli, norme farraginose, precari sempre più tali, il solito spottone uso gonzi minzoliniani.
E il fatto che sia stata proposta dala Gelmini esclude già a priori che premi la meritocrazia.
In politica bisogna saper scegliere, o si sta da un parte o dall’altra, a metà del guado si scontenta solo tutti.
Premesso che al governo non c’è un centrodestra, ma solo una coalizione affaristico-razzista, è evidente che una destra vera va delineata.
Una destra moderna, sociale e popolare, in grado di dare risposte al nuovo che avanza.
Che i “vecchi dentro” votino pure per illudersi di allontanare le proprie paure (la famosa “sicurezza” di poter andare a puttane la sera), ma occorre rivolgersi a tutti gli altri.
Facendo capire come, quando e cosa si vuole e con chi persegurlo.
Per fare opposizione non serve un’armata brancaleone, ma gente coesa che soprattutto sappia farla.
E delineare un progetto nuovo, che vada oltre le ataviche concezioni di destra e di sinistra.
Non ha importanza se si oscilla tra il 5% e il 9%, la Lega dove 20 anni sta ancora all’11%, ma ricatta ogni giorno il premier.
Si punti a uno zoccolo duro con un progetto chiaro e poi si crescerà anche solo per lo sfaldamento delle altrui truppe.
Ma non si va alla guerra con l’abito mentale di chi si appresta a sorseggiare un the e le idee confuse su cosa si vuole.
La destra deve svegliarsi.
Per chi dorme ci sono i ricoveri per anziani, si accomodi lì.
O in alternativa un riposino sul lettone di Putin a Palazzo Grazioli.
Buon Natale a tutti.
CHISSA’ PERCHE’ QUALCUNO FA SEMPRE DA STAMPELLA AGLI UOMINI DELLA LEGA… ASSENTE ANCHE UN DEPUTATO SU TRE DI FUTURO E LIBERTA’, MA QUI LA COSA SI SPIEGA: A QUALCUNO SI CONTORCEVA LO STOMACO AD ASTENERSI E SALVARE CALDEROLI
Al voto hanno partecipato in 170, pari all’82,9 per cento del totale.
Tutto sommato la percentuale dei deputati del Partito democratico presenti alla Camera per sfiduciare il ministro leghista, Roberto Calderoli (mozione respinta con 293 voti contrari, 188 favorevoli e 64 astenuti) è piuttosto elevata.
Tuttavia, a confronto con le altre forze politiche (100% Lega e Idv, Pdl al 91,4) è bassina.
Solo Futuro e libertà (che si è astenuta) ha fatto peggio (61,3%).
Al di là dei numeri, il peso specifico medio dei presenti è abbastanza indicativo di quante (poche) energie il Pd abbia speso per sfiduciare uno degli uomini di punta della Lega Nord al governo.
Bastava guardare il banco della conferenza stampa di Natale che si è svolta ieri a Roma: accanto al segretario Bersani sedevano Enrico Letta e Rosy Bindi.
Nessuno dei tre ha votato la sfiducia.
Fatta eccezione per Rosy Bindi, presidente di turno della Camera non poteva votare, è difficile non chiedere conto dell’assenza a Letta e Bersani: “Accolgo le obiezioni come uno stimolo per fare meglio l’opposizione — risponde il segretario del Pd — ma ritengo che noi la patente ce l’abbiamo”.
Nessun problema dunque.
Non si può tuttavia fare a meno di notare che sia Bersani che Letta fossero in aula per votare tutte le nove mozioni precedenti a quella di Calderoli.
Alla decima hanno ritenuto di non dover partecipare.
Ma non sono gli unici: Massimo D’Alema ha fatto lo stesso, Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni sono addirittura tornati tra i banchi per le due mozioni seguenti a quella di sfiducia.
Alla fine gli assenti in totale tra le file del Pd sono stati 35.
Il ministro della Semplificazione invece ha potuto contare sul sostegno di molti colleghi di governo (Alfano, Bossi, Brunetta, Carfagna, Frattini, Maroni, Meloni, Prestigiacomo e Tremonti), tutti in aula giusto il tempo necessario per votare contro.
Certo, l’esito del voto non sarebbe cambiato (l’astensione di Udc, Fli e Api non lo avrebbe comunque permesso), chissà però quale sarà il giudizio della base del Pd di fronte all’atteggiamento “morbido” di molti big del partito.
Su questo Bersani è stato chiaro: “A noi ci pagano per farle digerire le cose, mica per andare in coda agli altri”.
Sfiducia o non sfiducia, rimane il fatto che nell’ordinamento italiano, al momento, non esiste più il reato di associazione militare a fini politici, eliminato dal decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66.
Una non ancora identificata “manina” ha inserito la cancellazione di quella fattispecie di reato – che, guarda caso, azzera il processo di Verona contro le cosiddette “camicie verdi” che inizialmente vedeva tra gli imputati lo stesso Calderoli – tra altre inutili centinaia di norme giustamente eliminate.
Chiamato a risponderne durante il question time del 13 ottobre, il ministro della Semplificazione avrebbe mentito al Parlamento addossando tutta la responsabilità sul Comitato scientifico del ministero della Difesa (che nega). Calderoli si è difeso rivendicando la correttezza del suo operato, l’Idv ha rilanciato, addossando al ministro la responsabilità di una scelta “in palese contrasto con l’articolo 18 della Costituzione, che vieta le organizzazioni di tipo militare per scopo politici”.
Le opposizioni insomma sono scese da 311 deputati del voto di sfiducia al governo alla miseria di 188 più 64 astenuti, ovvero un totale di 252, ben 59 in meno.
Se si fossero presentati tutti e avessero votato contro Calderoli costui oggi non sarebbe più ministro e il governo sarebbe saltato per aria, visto che la maggioranza si è fermata a 293.
E sarebbe stato un risultato ancora più pesante che avrebbe rovesciato il risultato del voto di fiducia.
Qualcuno sta ciurlando nel manico?
Finiani e Pd non ne escono certo bene.
Ma spiegazioni non ne danno.
LE LEGIONI DEI “RIPETITORI TV” CAMBIANO IN CONTINUAZIONE.. SCHIERATI A DIFENDERE L’INDIFENDIBILE, SPESSO SBULACCANO E VENGONO RADIATI: CHI SBAGLIA RESTA A CASA…. SALGONO I LUPI , SCOMPAIONO I CAPEZZOLONE
Ora che la discesa in campo di Berlusconi s’avvia al ventennio, l’unico motto è: credere, obbedire.
E presidiare la televisione.
Il deputato Maurizio Lupi, cattolico di Comunione e liberazione, incarna il verbo berlusconiano con intercalari familiari ai telespettatori: “Ma cosa dici?”. Oppure: “Pensa te…”.
Sul sito personale, aggiornato con frequenza quotidiana, il vicepresidente della Camera custodisce le decine e decine, forse centinaia, di apparizioni in video.
Con tante versioni diverse: Lupi in maglioncino e camicia bianca a Speciale Tg1, Lupi in giacca blu elettrico a Porta a Porta, Lupi in cravatta granata a Otto e mezzo, Lupi in uniforme cerimoniale al telegiornale di Enrico Mentana. E poi: Ultima Parola, Linea Notte, Unomattina: uno sforzo immane che richiede ubiquità (e tempo libero).
Buono per ogni crisi e stagione, fedele senza tentennare: il re dei salotti . Destino oscurato per chi, a volte, osa dire no al capo.
Non c’è spazio per missioni di pace o pasionarie gentili.
Di legalità e ambiente, per carità . I
l ministro Stefania Prestigiacomo? Censurata: “Non ho più visibilità . Niente più dibattiti in tv. Sempre altre colleghe preferite a me: sono stanca di essere emarginata”.
Può la Prestigiacomo eguagliare la foga scaccia-comunisti di Beatrice Lorenzin?
L’ex coordinatore dei giovani di Forza Italia lotta con Debora Serracchiani a Otto e mezzo e ripete con ossessione, quasi fosse un mantra: “Così si comporta la sinistra!”.
Avanza l’avanguardia di Berlusconi con le facce rassicuranti di Angelino Alfano, il ministro affaccendato in faccende di scudi e lodo, ma arruolato per difendere il governo e la riforma Gelmini.
Occhio languido a Ballarò per commuovere gli studenti che protestano: “Io non potevo scendere in piazza perchè i miei genitori mi pagavano l’università a Milano”.
Ma il capolavoro di Berlusconi è Francesco Pionati, il piazzista di compravendite e mercati di vacche, il paladino dei “responsabili” con i vari Domenico Scilipoti e Bruno Cesario.
Una vita nel pastone: prima da giornalista del Tg1, poi da segretario di se stesso del partito di se stesso, Alleanza di Centro.
La folgorazione con una telefonata al congresso di Adc: chiama Berlusconi, risponde Deborah Caprioglio, protagonista di Paprika di Tinto Brass, nominata responsabile nazionale e cultura.
Il presidente del Consiglio apprezza: “Che piacere!”. E Pionati assiste impalato sul palchetto dell’hotel Melìa.
Poi per giorni tiene in ansia l’Italia: “Maurizio Grassano (Gruppo Misto) non vota la sfiducia”.
Le telecamere braccano Pionati per conoscere le intenzioni di Grassano: “E che fa? Sta con me”.
Pionati avrà convinto l’ex leghista a salvare Berlusconi torturandolo con l’inno psichedelico di Adc: “Alleanza di centro per l’Italia e per quelli che hanno voglia di cambiare, per la storia, per questa nostra patria da salvare, noi vogliamo difendere l’onore di chi non ha più santi da pregare”.
È per Daniele Capezzone la notizia più triste: Giancarlo Mazzucca è il nuovo portavoce del Pdl a Montecitorio.
L’ex radicale staziona abbandonato in via dei Condotti a Roma, al freddo e al diluvio, per i due minutini con il Tg1.
Non c’è posto per Capezzone in trasmissione, così sfoga il suo berlusconismo nelle agenzie di stampa: 900 comunicati nel 2010.
Manca ancora una settimana a Capodanno, può arrivare a mille.
La conta dei dispersi è lunga. Dov’è finita Daniela Santanchè?
Il sottosegretario per l’Attuazione del programma temeva il voto del 14: “Se passa la sfiducia, devo andare via dall’Italia”.
Per il momento, è andata via dalla televisione.
Dicono che sia troppo aggressiva e poco efficace per capovolgere la realtà : meglio il placido Lupi (appunto) o il rampante Pionati (che fa convertire i deputati). A
nche Anna Maria Bernini, figlia d’arte, ha perso la parola.
Scelta per espugnare l’Emilia Romagna dai rossi, per la Bernini la campagna elettorale è lontana: saltabeccava da un salottino all’altro con la coda dei capelli sempre in ordine.
L’ha fregata nonna Annarella, il 26 ottobre scorso, durante una diretta con i telegiornali, cioè le telecamere, un microfono e zero domande.
Striscia la notizia ha diffuso il video, una delizia per la Rete.
La Bernini è seria, elogia Berlusconi: “Questo è un discorso importante e significativo che dimostra una grande cultura di governo”.
Interviene Annarella: “Ma che sta a dì, che ve comprate ‘a gente!”.
La deputata prova con la diplomazia: “Rispetto la sua opinione”.
E la nonnina: “Ma io non ve rispetto. Siete dei mascalzoni. Perchè non manda ‘sti zozzi in galera. Quelli divorziati che vanno a piglià ‘a comunione. Incanta la gente, incanta ai serpenti”.
Annarella leader dell’opposizione.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
BASTA UNA DOMANDA DEL “FATTO” PER MANDARE IN TILT IL PREMIER: “SI’ NEL GOVERNO C’E’ QUALCUNO CHE SBAGLIA”… POI IMPIEGA CINQUE ORE PER AUTOSMENTIRSI, MA SOLO PER DIFENDERE LA BRAMBILLA
Alla fine è inciampato proprio sula domanda de Il Fatto, sulla parentopoli di governo. E dispiace.
Se non altro perchè ci aveva provocato con tono spavaldo: “Se non ci fossi io, voi de Il Fatto non esistereste, eh eh…”.
Allora glielo avevamo chiesto, senza giri di parole con questa domanda: “Scajola ha sistemato la casa, a sua insaputa. Lunardi ha sistemato l’azienda, e l’ha pure ammesso. La Brambilla ha sistemato il compagno all’Aci e ha detto che è bravo. Bertolaso ha sistemato la moglie e il cognato, spiegando che non poteva discriminarli. Bondi ha sistemato il figliastro e il marito della moglie, con le consulenze, ma ci ha detto che erano casi umani… Cosa pensa del passaggio dal governo del fare a quello del sistemare?”.
Il vecchio Caimano, un tempo non avrebbe deluso.
Avrebbe investito il cronista con fuoco e fiamme fino a incenerirlo.
Avrebbe negato tutto, individuando la responsabilità di qualche perfido “comunista”. Invece, quello di ieri, cominciava male, provando con il trucco della diversione: “Vede, la sinistra…”. Che c’entra la sinistra?.
E lui: “…mi lasci finire! Questi del governo sono casi di puro dilettantismo rispetto a una professionalità assolutamente elevata della sinistra in questa materia…”.
Come come? Casi di dilettantismo?
Insomma quella parentopoli Silvio Berlusconi, in prima battuta, durante la conferenza stampa, la ammette e la condanna, sia pure minimizzando:
“È nella natura umana che ci sia qualcuno abbastanza lontano dalla santità …”.
Poi in serata è costretto a un curioso comunicato di rettifica.
Curioso perchè non difende tutti i suoi ministri (come potrebbe?), ma la sola Michela Brambilla.
E dispiace anche questo, se non altro per quel tenerone di Bondi.
Ma Silvio è chirurgico: quattro ministri sono già andati, bisogna tenersi stretta l’ultima donna che non gli dà problemi.
Qualcosa è successo fra le 14.30 e le 19.00, quando Palazzo Chigi ha dovuto correggersi per salvare il salvabile con una rettifica riparatrice: “Il Presidente Berlusconi — si leggeva nel comunicato toppa-peggio-del buco — ha potuto verificare l’assoluta e totale inconsistenza delle infondate accuse mosse al ministro Brambilla”.
Quattro ore prima aveva detto su di lei, su Bondi, su Scajola, su Lunardi e su Bertolaso: “Sono casi spiacevoli”.
Poi la Brambilla ha alzato il telefono, si è imbufalita, ha chiesto di essere separata dagli altri.
Per lei Silvio ha corretto il tiro , per gli altri si è tenuto sul generico: “In relazione alla risposta data dal Presidente Berlusconi alla domanda del giornalista Luca Telese de Il Fatto Quotidiano, si deve precisare che le indicazioni esposte dal giornalista stesso sono frutto di mere illazioni e sue personali supposizioni”. E anche in questo caso dispiace.
Ma cominciamo dall’inizio.
Il tempo del sogno è finito, il Silvio di Berlusconi di ieri, nella tradizionale conferenza di auguri di fine anno sembrava entrato nell’età della prosa. Niente più miracoli, niente sorrisi sfavillanti, niente sorprese, niente promesse, niente milione di posti di lavoro: “Abbiamo cercato una soluzione alla crisi, anche al vertice dei presidenti del Consiglio: non c’è” (non c’è!).
Ma ieri anche il caimano non c’era più, e nemmeno il grande venditore che incantava gli italiani.
Il tono bonario era quello del vecchio zio che rispolvera i successi di sempre, del cantante che si esibisce nel revival di se stesso, un simpatico bobbysolo del centro-destra, che da sedici anni strimpella gli stessi accordi: “Magistrati golpisti”, “Faremo un piano unico per il fisco” e altre amenità già fritte e rifritte mille volte.
Roma, Villa Madama. Silvio Berlusconi inizia la conferenza stampa alla sua maniera.
Una breve premessa di 60 minuti (Sic!), e alcune brevi risposte di venti minuti.
C’erano trenta domande previste, lui se la cava con venti, come le squadre della zona retrocessione che fanno catenaccio. E dispiace.
Non è più il Berlusconi scintillante delle grandi promesse e delle battute affilate, e fa quasi simpatia perchè ne sembra consapevole, bonario e crepuscolare.
A un certo punto si aggrappa alla domanda di politica estera e parla per quasi mezz’ora: i giornalisti crollano, quando parla dell’Africa sub-sahariana e del piano casa (ma quello di Gheddafi) persino il fidato Paolo Bonaiuti — un guerriero highlander — gli fa il gesto di spremitura con la mano: “Stringi! Stringi!”.
Uomo saggio: altri cinque minuti e si sarebbero addormentati tutti.Il Berlusconi di ieri parlava come se avesse 1000 anni davanti e sapesse ri rischiare di non mangiare la colomba, con il suo governo.
Anche gli effetti speciali erano da B-movie, molto teneri: “Arriverò a 325 deputati, senza coinvolgere nessun partito nella coalizione!”.
E poi: “Nei colloqui mi hanno detto che si sta costituendo un gruppo di responsabilità nazionale” (scelta onomastica infelice. Parla di quello di Moffa, in cantiere ma con il nome di quello di Scilipoti). Penso che arriverò alla fine della legislatura”.
Berlusconi si dissocia da sua figlia (“I figli, si sa, sono influenzabili dalle madri”) adombra la possibilità di non correre (“Nel 2013 potrei non candidarmi”).
Poi ricorre al vecchio successo contro i magistrati: “La loro tesi è che la corruzione si perfeziona non quando c’è il passaggio di denaro ma quando i soldi vengono spesi. E quando anche altri giudici convergono su questa tesi, non si può negare che ci sia nella magistratura un’associazione tesa all’eversione”.
E allora cosa propone Berlusconi?
“Una Bicamerale che accerti se non ci sia nella magistratura una associazione tesa all’eversione”.
Infine il Cavaliere individua un meraviglioso modello riformista: “In Kazakhstan si danno i permessi in una settimana”.
Dal “nuovo miracolo italiano”. Al “nuovo miracolo kazaco”.
Meno male che Silvio c’è.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano“)
PARLEREI CON CHI NON MI HA VOTATO E TRADIREI CHI MI HA VOTATO
Se fossi al potere ascolterei gli studenti.
Se fossi al potere cercherei di raccontare un romanzo collettivo.
Se fossi al potere cercherei le cose che uniscono e non quelle che dividono. Se fossi al potere, cercherei le ragioni dell’altro.
Se fossi al potere, sarei il primo oppositore di me stesso.
Se fossi al potere, cercherei di combattere i disonesti, ovunque stiano.
Se fossi al potere farei ancora di più. Vorrei capire le ragioni di chi non mi ha votato. Tradirei chi mi ha votato.
Se fossi al potere sarei patriottico. Starei dalla parte degli italiani. Di tutti gli italiani.
Se fossi al potere non mi posizionerei.
Se fossi al potere non farei propaganda. E non aiuterei quelli del mio partito, anche perchè non avrei un partito.
Se fossi al potere cercherei di scegliere ogni volta la cosa giusta. Non quella più utile per me.
Se fossi al potere sarei politicamente corretto.
Se fossi al potere girerei per le strade. Non sarei fazioso.
Se fossi al potere non difenderei interessi che non ho.
Se fossi al potere non avrei i “miei” da salvaguardare.
Se fossi al potere difenderei che non ha nessun potere.
Se fossi al potere non avrei ideologie. E nemmeno ricette pronte all’uso.
Se fossi al potere studierei come un matto. Parlerei con tutti. Mi farei convincere.
Se fossi al potere investirei sulla ricerca. E sulla cultura. Investirei sull’Italia. Se fossi al potere piangerei in diretta per Pompei.
Se fossi al potere avrei mille dubbi.
Se fossi al potere non mi darei pace. Chiederei consigli. Cambierei idea.
Se fossi al potere non dormirei più.
Se fossi al potere sarei trasversale.
Se fossi al potere ascolterei gli avversari.
Se fossi al potere non avrei avversari. E non avrei certezze.
Se fossi al potere non avrei un elettorato di riferimento.
Se fossi al potere non sarei nè di destra nè di sinistra. Non rappresenterei nessuno per rappresentare tutti.
Se fossi al potere prenderei decisioni scomode e impopolari.
Se fossi al potere vorrei perdere per far vincere l’Italia.
E per tutti questi motivi, non sarò mai al potere.
Filippo Rossi
FareFuturoweb
IL CONSIGLIO DEI MINISTRI HA APPROVATO IL DECRETO CHE AFFIDA LA GESTIONE DEL PARCO NAZIONALE AGLI ENTI LOCALI….PER MOLTI LA NORMA E’ INCOSTITUZIONALE: PREMIATI GLI AUTONOMISTI ALTOATESINI CHE SI SONO ASTENUTI… INASCOLTATE LE PROTESTE DEGLI AMBIENTALISTI
Il debito con l’Svp, che si è astenuto sulla fiducia, è saldato.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo che modifica la disciplina del Parco nazionale dello Stelvio, smembrandone la gestione sin qui unitaria a favore delle amministrazioni locali.
Il passaggio, fortemente gradito alla provincia autonoma di Bolzano, per stessa ammissione della Svp, era stato promesso da Berlusconi agli autonomisti altoatesini in cambio dell’astensione in occasione del voto sulla mozione di sfiducia dello scorso 14 dicembre.
“Non ci hanno detto se votate la fiducia vi daremo questo o quell’altro ma è vero – aveva ammesso la settimana scorsa il leader della Sudtiroler Volkspartei, Luis Durnwalder – che su due o tre cose ci sono state trattative con Tremonti e Calderoli”.
A nulla sono valse le proteste dell’opposizione e neppure l’accorata lettera-appello indirizzata a palazzo Chigi da tutte le più importanti associazioni ambientaliste.
Nel nuovo assetto delineato dal decreto approvato stamane, le province autonome di Trento e di Bolzano, la Regione Lombardia, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e i Comuni compresi nel perimetro costituiranno il coordinamento delle attività di programmazione e indirizzo.
La decisione del Consiglio dei ministri di obbedire al diktat della SVP a smembrare uno dei più antichi parchi nazionali per affidarlo alle province è una ferita all’ambiente gravissima.
Berlusconi, Fitto e Frattini, secondo le minoranze in parlamento, hanno voluto procedere nonostante l’opposizione del Ministro Prestigiacomo e del Consiglio regionale della Lombardia, che proprio ieri ha approvato un ordine del giorno del contrario a questa scelta, perche’ hanno voluto pagare un debito di riconoscenza alla SVP che si è astenuta sulla fiducia al loro governo.
Oltre tutto, la norma, è secondo molti esperti, anticostituzionale perchè nella nostra Costituzione le competenze in materia di Ambiente sono affidate allo Stato, mentre questa decisione di fatto le provincializza creando così un vero e proprio vulnus costituzionale e un grave precedente’.
Viene meno l’unitarietà della gestione del Parco e magari qualcuno in Trentino Alto Adige potrà coronare il proprio sogno di aprire le porte dei parchi ai cacciatori.
Uno scempio ambientale per uno scambio politico, una forma forse ancor più grave di compravendita di voti e di degrado etico del modo di fare politica berlusconiana.
Critiche erano state avanzate nella lettera del cartello ambientalista al governo. “Siamo estremamente preoccupati – scrivevano tra gli altri Wwf, Legambiente, Lipu, Federparchi e Cai – e contrariati dall’idea di un Paese che, per effetto di un decreto deciso ed approvato in modo sicuramente troppo frettoloso, decide di cancellare settantacinque anni di gestione unitaria di un patrimonio naturalistico montano di indiscussa eccellenza e notorietà anche internazionale qual è il Parco Nazionale dello Stelvio”.
“Lo Stelvio è Parco Nazionale perchè rappresenta – sottolinea il documento – un elemento irrinunciabile del paesaggio naturale e culturale del nostro Paese, come tale esso è riferimento per l’intera comunità nazionale, ed è anche una tessera fondamentale delle aree naturali protette che compongono il sistema sovranazionale delimitato dalla Convenzione Internazionale per la Protezione delle Alpi, che il nostro Paese, come tutti gli altri Stati dell’Arco Alpino, ha ratificato con propria legge nel 1999”.
“Una simile decisione – denunciavano ancora le associazioni – avrà sicuramente una ricaduta internazionale sull’immagine e sulla credibilità dell’Italia: in oltre un secolo di storia dei parchi nel nostro Continente, non è mai accaduto che un Paese cancellasse, di fatto, un Parco Nazionale”.
IL RECORD SPETTA ALLE FAMIGLIE DELLA PROVINCIA DI GROSSETO: + 48% IN DUE ANNI… LE PIU’ ESPOSTE CON GLI ISTITUTI DI CREDITO SI TROVANO A ROMA…. CONCENTRATA AL SUD LA “SOFFERENZA” NELLA RESTITUZIONE DEL CREDITO
Dal settembre 2008, ovvero dall’inizio della crisi finanziaria internazionale, al settembre di quest’anno, l’indebitamento medio nazionale delle famiglie è cresciuto del 28,7%.
E, allo stesso mese di settembre 2010, le famiglie italiane hanno accumulato un indebitamento medio che sfiora ormai i 20mila euro, per la precisione 19.491 euro, maturato a seguito dell’accensione di mutui per la casa, dai prestiti per l’acquisto di beni mobili, dal credito al consumo, dai finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili.
Sono i dati più significativi di una indagine condotta dalla CGIA di Mestre, da cui risulta anche che le famiglie più esposte con il credito sono quelle della Provincia di Roma (28.790 euro), seguite dalle famiglie di Milano (28.243 euro), Lodi (27.516 euro).
Al quarto posto Prato (26.294 euro), di seguito Como (25.217 euro) e Varese (25.069 euro).
In fondo alla classifica, le famiglie meno indebitate si trovano distribuite tra Sardegna e Sicilia.
Quart’ultime, quelle del Medio Campidano, con un indebitamento medio pari a 8.845 euro, al terzultimo posto quelle di Enna, con 8.833 euro, al penultimo Carbonia-Iglesias, con 8.687 e, ultime, le famiglie dell’Ogliastra, con 7.035 euro di indebitamento medio.
Il record della crescita del debito nel periodo settembre 2008-settembre 2010 lo fanno registrare le famiglie della provincia di Grosseto: +48,8% in due anni. A seguire Livorno (+47,5%), Asti (+42,3 %), Foggia (+41,7%) e Arezzo (+41%).
Tutto concentrato a Sud è il capitolo riguardante la “sofferenza” nella restituzione del credito ottenuto.
Al 30 settembre 2010, la maggiore incidenza percentuale delle sofferenze spetta alla provincia di Crotone, con il 5,9%, ovvero, a fronte di 100 euro erogati alle famiglie crotonesi, quasi 6 euro non sono stati restituiti agli istituti di credito.
Al secondo posto Caltanisetta (5,7%), terze Enna e Benevento (entrambe a 5,5%).
Il dato medio nazionale è pari al 3,5%.
Spiega Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre: “Le province più indebitate sono anche quelle che registrano i livelli di reddito più elevati. E’ chiaro che tra queste famiglie vi sono molti nuclei appartenenti alle fasce sociali più deboli. Tuttavia, la forte esposizione bancaria di queste realtà , soprattutto a fronte di significativi investimenti avvenuti in questi ultimi anni nel settore immobiliare, ci deve preoccupare relativamente”.
Per Bortolussi è invece “più allarmante il risultato che emerge dalla lettura dei dati riferiti all’incidenza percentuale delle sofferenze sull’erogato. In questo caso notiamo che nelle prime posizioni troviamo tutte realtà territoriali del Mezzogiorno, a dimostrazione che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie delle aree economicamente più arretrate del Paese”.