Destra di Popolo.net

GHEDDAFI PARLA IN TV E INCITA AL GENOCIDIO: NEL DELIRIO ACCUSA ANCHE L’ITALIA DI AVER DATO RAZZI AGLI INSORTI

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

DOPO CHE IL SUO COMPAGNO DI MERENDE E DI BUNGA BUNGA BERLUSCONI GLI HA REGALATO 5 MILIARDI DI DOLLARI PER AFFOGARE GLI IMMIGRATI PER CONTO TERZI, IL CRIMINALE DI GUERRA LIBICO HA ANCORA LA FACCIA DA CULO DI ACCUSARE L’ITALIA….PUO’ SOLO RINGRAZIARE DI AVERE A CHE FARE CON UN GOVERNO DI CACASOTTO, ALTRIMENTI SAREBBERO GIA’ PARTITI I BOMBARDIERI PER RADERE AL SUOLO LE SUE REGGIE COSTRUITE COI SOLDI RUBATI AL POPOLO LIBICO

Il Raìs invita i suoi sostenitori ad attaccare i manifestanti: “Non siamo ancora ricorsi alla forza, ma lo faremo”.
Poi accusa “americani e italiani di aver dato razzi ai ragazzi di Bengasi”
”Resterò a capo della rivoluzione fino alla morte”, ha annunciato il leader libico Muammar Gheddafi in un discorso in tv in cui ha ribadito di non avere alcuna intenzione di farsi da parte.
“Io non lascerò il Paese — ha assicurato il Raìs -. Non sono un presidente e non posso dimettermi. Sono il leader della rivoluzione e lo sarò fino all’eternità , sono un combattente, un mujihid. Io sono un rivoluzionario. Ho portato la vittoria in passato e di questa vittoria si è potuto godere per generazioni”.
Ripercorrendo la storia del Paese, Gheddafi ha voluto ricordare di come “anche l’Italia sia stata sconfitta sul suolo libico”.
“Tutto il mondo ci guarda con rispetto e con timore grazie a me, compresa l’Italia. Ci siamo fatti rispettare da tutti, quando sono andato in Italia hanno salutato con rispetto il figlio di Omar Mukhtar”.
Il colonnello ha poi ricordato di “aver sfidato l’arroganza dell’America e della Gran Bretagna e non ci siamo arresi”.
Il colonnello ha poi attaccato i manifestanti, ”ratti pagati dai servizi segreti stranieri” a ancora “una vergogna per le loro famiglie e le loro tribù”.
Quelli che attaccano le caserme inermi e le nostre famiglie “sono giovani drogati, sono giovani sedicenni che vogliono imitare l’Egitto”.
Secondo Gheddafi, “dietro di loro c’è un gruppo di persone malate infiltrate nelle città  che pagano questi giovani innocenti per entrare in battaglia. Chi ha progettato questi attacchi ora è in sedi tranquille dopo aver dato loro l’ordine di distruggere”.
”Non siamo ancora ricorsi alla forza, ma lo faremo”. Questa la minaccia del Raìs a chi protesta.
E rivolto ai suoi sostenitori: “Vi invito a uscire domani in strada nel paese per manifestare in favore dei successi da noi ottenuti in questi anni. Uscite dalle vostre case e attaccate i manifestanti” .
“Ho il mio fucile — ha aggiunto — e lotterò fino all’ultimo. Io sono l’orgoglio della Libia, l’uomo che ha sempre voluto la prosperità  e che ha restituito il petrolio che veniva portato via”.
“Un picciolo gruppo di terroristi non sarà  la scusa per far arrivare nel paese gli americani”. I
l colonnello ha poi accusato ”gli italiani e gli americani di aver dato razzi Rpg ai ragazzi di Bengasi”.
Il leader libico ha poi affermato di accettare “la proposta di concedere autonomie regionali”.
Parlando alla nazione ha affermato che la soluzione alla crisi in atto nel paese nordafricano è la formazione di comuni e amministrazioni autonome.
Fine del delirio.

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“NOI ITALIANI LASCIATI SOLI DALL’AMBASCIATA”: L’EFFICIENZA DEL GOVERNO E DI FRATTINI

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

LA TESTIMONIANZA DI UN TECNICO PETROLIFERO: “ANDRO’ PER CONTO MIO ALL’AEROPORTO, SFIDANDO CECCHINI E MERCENARI”…”DEVO TORNARE IN PATRIA, MI HANNO DETTO DI ARRANGIARMI”

«L’unità  di crisi della Farnesina è impossibile da contattare, l’ambasciata italiana a Tripoli non sa cosa fare, lamenta mancanza di personale e sostanzialmente ci dice di arrangiarci».
Giuseppe Ascani è direttore di un’azienda italiana che lavora in ambito petrolifero, da due anni vive a Tripoli e vorrebbe provare a rientrare in Italia. Ha un volo prenotato per mercoledì mattina, ma il suo problema è capire se all’aeroporto riuscirà  ad arrivare indenne.
«La situazione va sempre più peggiorando – racconta al Corriere.it via Skype -, molte zone della città  sono in mano ai mercenari assoldati dal regime e non sono affatto sicure. Abbiamo visto immagini di persone con i corpi dilaniati, senza gambe e senza braccia. Tripoli è letteralmente in fiamme. Non c’è modo di sapere se il tragitto verso l’aeroporto possa essere percorso con tranquillità . Sentendo certe dichiarazioni secondo cui tutto è a posto e tutto organizzato mi sono sentito ribollire il sangue».
Il volo di Ascani partirà  all’alba. «Ma all’aeroporto – spiega il tecnico – ci dovrò però andare nel pomeriggio di oggi e vi trascorrerò in qualche modo la notte. Il personale della mia azienda, che mi sta supportando in tutto, si è offerto di accompagnarmi, mettendo a rischio anche la propria vita. Viaggiare nelle ore di luce sarà  comunque pericoloso visto che le strade sono insicure e la situazione cambia di ora in ora, tra l’altro ho avuto notizia di altri raid aerei a Tripoli e Bengasi, ma non lo sarà  mai come mettersi in strada di notte a bordo di un automezzo privato».
Ascani ha saputo che altre ambasciate hanno invece organizzato diversi punti di raccolta nella città  per poi promuovere dei convogli fino all’aeroporto.
«A me invece è stato detto che avrei dovuto cavarmela da solo».
Il tecnico non è riuscito a mettersi in contatto con altri italiani di che vivono nella capitale: «I telefoni cellulari non funzionano, è possibile utilizzare solo Skype, ma in situazioni normali non è una piattaforma che viene molto utilizzata e non ho dunque indirizzi di contatto. Non so se ci sono altri connazionali nella mia stessa situazione e non ho idea di come si siano eventualmente organizzati».
Ora Ascani spera che la sua testimonianza possa servire come stimolo affinchè l’ambasciata non lasci da soli altri italiani.
«E voglio che sia anche una denuncia: se mi sarà  successo qualcosa durante il trasferimento dalla mia abitazione all’aeroporto, sarà  ben chiaro di chi sarà  stata la responsabilità ».

(da “Il Corriere della Sera“)

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LIBIA, IL PAESE IN FIAMME, ANCORA BOMBE SUI CIVILI: A TRIPOLI 1000 MORTI, GHEDDAFI LASCIA VIDEOMESSAGGI COME AI PROMOTORI DELLA LIBERTA’

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

GOVERNO ITALIANO VILE, L’UMANITA’ DI BOSSI: “I PROFUGHI? LI MANDIAMO IN EUROPA”… LE PROTESTE CONTRO GHEDDAFI DILAGANO NEL MONDO ARABO E A MALTA LA RESISTENZA LIBICA BRUCIA LA BANDIERA ITALIANA: “SIETE COMPLICI DI GHEDDAFI”

Piovono bombe dal cielo di Tripoli.
Si fa sempre più cruenta con il passare delle ore la repressione del regime contro i manifestanti che da giorni protestano chiedendo le dimissioni di Gheddafi.
Alcune fonti parlano di nuovi raid di aerei sulla folla e mercenari che sparano sui civili.
Il presidente della Comunità  del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia, parla di oltre mille i morti solo nella città  di Tripoli.
«Manca l’energia elettrica e i medicinali negli ospedali», ha riferito ancora Aodi, che ha rivolto un appello al governo italiano affinchè si mobiliti «per un aiuto economico e con l’invio di medicinali in Libia. Il governo non rimanga in coma, sordo e cieco, alla rivoluzione che è in atto in queste ore».
Per discutere della crisi in Libia oggi si riunirà  il Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Il segretario Ban Ki-moon ha spiegato di aver parlato con Gheddafi e di averlo esortato alla moderazione. «L’ho invitato a rispettare pienamente i diritti dell’uomo, la libertà  di assemblea e di parola», ha spiegato Ban, specificando di aver discusso con il Colonnello per 40 minuti.
Anche la Lega Araba, a livello di ambasciatori, ha convocato per oggi pomeriggio una riunione straordinaria per discutere della situazione in Libia. Due giorni fa il rappresentante di Tripoli presso l’organismo panarabo ha rassegnato le dimissioni per protestare contro la violenta repressione dei manifestanti.
Con le frontiere chiuse ai giornalisti, la situazione interna alla Libia resta un rebus.
Secondo l’International Federation for Human Rights (IFHR), una ong con sede a Parigi, sono circa una decina le città  in mano agli insorti.
Oltre a Bengasi, dice Ifhr, i ribelli hanno preso il controllo di Sirte e Torbruk oltre che di Misrata, Khoms, Tarhounah, Zenten, Al-Zawiya e Zouara.
A causa degli scontri di questi giorni è andata distrutta la pista dell’aeroporto di Bengasi, seconda città  della Libia, e gli aerei passeggeri non sono dunque in grado di atterrare nello scalo.
Gheddafi nella notte è ricomparso a Tripoli: ha parlato e si fatto riprendere dalla tv per smentire le voci di una sua fuga in Venezuela.
Appena 22 secondi di apparizione, la prima da quando è scoppiata la rivolta.
La repressione è dura e sanguinaria, con Tripoli bombardata e centinaia di morti.
Ma ad una settimana esatta dall’inizio delle manifestazioni di protesta ci sono anche i segni dello sgretolarsi del regime sotto il peso dell’insurrezione popolare, con voci di militari che passano dalla parte dei rivoltosi e le defezioni dei diplomatici a macchia d’olio.
Il giornale Libia al-Youm parla del capo di stato maggiore dell’esercito, Abu-Bakr Yunis Jabir, agli arresti domiciliari dopo essere passato dalla parte dei rivoltosi, sembra però confermare lo scollamento all’interno delle forze armate.
Fino alla notizia della diserzioni di due cacciabombardieri Mirage libici atterrati a Malta: i piloti libici a bordo hanno raggiunto l’isola senza il permesso delle autorità  maltesi dopo essersi rifiutati di eseguire l’ordine di sparare sulla folla. Defezioni a macchia d’olio invece per i diplomatici libici nel mondo: dopo le dimissioni ieri dell’ambasciatore di Tripoli presso la Lega Araba, ha lasciato la delegazione libica all’Onu e il numero due della missione Ibrahim Dabbashi ha invocato un intervento internazionale contro quello che ha definito «un genocidio».
Ma anche diplomatici in Cina, Regno Unito Polonia, India, Indonesia, Svezia e Malta, hanno abbandonato la nave di Gheddafi: il chiaro segnale che se questa non sta affondando è quantomeno alla deriva.
Per quanto riguarda l’Italia, continua la posizione ambigua del nostro governo che pare interessato più a tutelare i traffici economici che la vita dei libici.
Frattini pensa solo all’incubo profughi, se li fa fuori Gheddafi insomma è meglio.
Non a caso un parola chiara in senso umanitario è stata detta oggi dal capo della feccia leghista: “Profughi? Se arrivano li mandiamo in Francia e in Germania”.
Gran senso umanitario come sempre, mentre Gheddafi ogni tanto appare e rilascia brevi dichiarazioni collegandosi al sito libico dei promotori della Libertà  o ai convegni di Pionati, in puro stile berlusconiano.
Finirà  che chiederà  asilo politico ad Arcore: almeno il Bunga bunga è assicurato.

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DECRETO INTERCETTAZIONI, IL NO DELLA CORTE DEI CONTI: “SONO ESSENZIALI PER COMBATTERE LA CORRUZIONE”

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

NEL 2010 I REATI CORRUTTIVI SONO AUMENTATI DEL 10% RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE…LA CORTE BOCCIA LE INIZIATIVE DEL GOVERNO: DALLA CIRIELLI AL PROCESSO BREVE….DISCO ROSSO ANCHE PER IL FEDERALISMO

La Corte dei Conti boccia, una dopo l’altra, le iniziative del governo in materia di giustizia.
A partire dal ddl intercettazioni “che non combatte la corruzione”.   Sottolineando come questo strumento sia molto importante per contrastare il fenomeno.
Lo afferma il procuratore generale della magistratura contabile Mario Ristuccia nella sua relazione in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2011.
Una relazione che punta il dito anche sui rischi del federalismo e sull’espansione della corruzione nella pubblica amministrazione.
Intercettazioni.
“Non appaiono indirizzati a una vera e propria lotta alla corruzione – afferma – il disegno di legge governativo sulle intercettazioni che, costituiscono uno dei più importanti strumenti investigativi utilizzabili allo scopo e neppur l’aver dimezzato con la cd legge Cirielli del 2005 i termini di prescrizione per il reato di corruzione ridotti da 15 a 7 anni e mezzo, con il risultato che molti dei relativi processi si estingueranno poco prima della sentenza finale, sebbene preceduta da una o due sentenze di condanna e con conseguenze ostative per l’esercizio dell’azione contabile sul danno all’immagine”.
Processo breve.
“Il disegno di legge in materia di durata dei processi non sia un ulteriore ostacolo alla lotta contro la corruzione”.
E’ questo l’auspicio del pg che sottolinea come “da rispettosi osservanti delle norme varate dal parlamento”, i magistrati contabili restano “perplessi di fronte a recenti leggi che consentono una profonda alterazione di principi di certezza del diritto”.
Federalismo.
Il federalismo potrebbe aumentare la corruzione, afferma Ristuccia. “Ci si interroga in termini dubitativi se, in tema di federalismo fiscale, il decentramento della spesa pubblica possa contribuire a ridurre la corruzione” rendendo “più diretta la relazione tra decisioni prese e risultati conseguiti” oppure se, sottolinea il presidente “possa avere l’effetto contrario ed aumentare la corruzione quando la vicinanza a interessi e lobbies locali favorisca uno scambio di favori illeciti in danno della comunità  amministrata”.
Corruzione.
La corruzione e le frodi sono “patologie” che “continuano ad affliggere la pubblica amministrazione”.
Un fenomeno che riguarda soprattutto aiuti e contributo nazionali e dell’Ue. “I dati al riguardo non consentono ottimismi”, spiega il procuratore secondo cui la situazione di “cattiva amministrazione, nonostante i progressi conseguiti in termini di efficienza, a partire dalla legge Brunetta, continua a caratterizzare in negativo l’immagine complessiva dell’apparato amministrativo”.
Inoltre, prosegue Ristuccia, una “diminuzione delle denunce che potrebbe dare conto fi una certa assuefazione al fenomeno verso una vera e propria ‘cultura della corruzione'”.
Le cifre.
Nel 2010 i reati corrutivi sono aumentati del 30% rispetto all’anno precedente. In termini complessivi sono stati denunciati 237 casi di corruzione, 137 di concussione e 1090 di abuso d’ufficio, che rispetto a quelli denunciati nel 2009 indicano un incremento del 30,22% dei reati corruttivi, mentre si riscontra un decremento rispettivamente del 14,91% e del 4,89% per i reati concessivi e d’abuso d’ufficio.
Le forze di polizia hanno denunciato complessivamente 708 persone per corruzione, 183 per concussione e 2290 per abuso d’ufficio.
Cifre che rappresentano un calo,rispetto al 2009, dell’1,39%, dell’18,67% e del 19,99%.

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I RIVOLTAGABBANA: NEI PAESI SERI E’ UNA FIGURA LOSCA, IN ITALIA E’ UN FURBO DI TRE COTTE

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

NON AVENDO UNA REPUTAZIONE DA DIFENDERE, PUO’ DIRE E FARE QUELLO CHE VUOLE…SE POI E’ RIVOLGABBANA, DI ANDATA E RITORNO, SI VANTA DUE VOLTE…I CASI ROSSO, MENARDI E BARBARESCHI VISTI DA MARCO TRAVAGLIO

Nei paesi seri il voltagabbana è una figura losca, limacciosa, infida, puteolente.
Uno che fa ribrezzo a tutti e dunque anche a se stesso.
Striscia contro i muri, cerca il buio, spera di non esser notato e soprattutto di non apparire mai a colori, per nascondere meglio il rosso vergogna.
In Italia invece il voltagabbana è un furbo di tre cotte, invidiato o almeno compreso, gode di ampio consenso e ammirazione: incede tronfio e giulivo alla luce del sole, convoca telecamere e conferenze stampa, rilascia interviste, dà  lezioni, lancia moniti e appelli.
Non avendo una reputazione da difendere, può fare e dire qualunque cosa. Se poi è un rivoltagabbana, di andata e ritorno, si vanta due volte, anzi due svolte.
Finora, di quest’ultimo modello superaccessoriato con retromarcia multipla di serie, esisteva un solo prototipo: il Mastella, passato da destra a sinistra a destra.
Ma ha presto fatto scuola: i berlusconiani divenuti finiani e tornati berlusconiani sono legione.
Martedì scorso, sul volo Torino-Roma delle 11, mi ritrovo accanto Roberto Rosso da Vercelli.
Lo conosco dal 1992 quando, giovane Dc (corrente Andreotti), creò il movimento “Mani Pulite” e con le sue denunce contribuì a far arrestare in blocco la giunta comunale di pentapartito della sua città .
Due anni dopo era già  in Forza Italia e lì bivaccò, per cinque legislature, fino a qualche mese fa, quando fu folgorato sulla via di Fli.
Una crisi di coscienza per motivi ideali, infatti divenne subito coordinatore regionale dei finiani, facendo infuriare la Siliquini e Menardi (anch’essi rientrati a corte).
I giornali ipotizzano un suo ritorno all’ovile.
Glieli mostro, lui spalanca il sorrisone: “Tutte balle. Verdini mi chiama un giorno sì e l’altro pure, promette posti di governo, ma non ha capito chi è Roberto Rosso”.
Poi si addormenta per il resto del volo.
Due giorni dopo ripassa con B.
Verdini aveva capito benissimo chi è Roberto Rosso.
Il quale spiega al Giornale: “Verdini e Santanchè hanno fatto sì che si incuneasse nella mia coscienza l’idea di un ritorno a casa”.
Perchè “io sono pronipote di san Giovanni Bosco”, fondatore dei salesiani che lui confonde coi berlusconiani.
Il santo dev’essergli apparso in sogno per rammentargli “la mia formazione cattolico-liberale” (era andreottiano, ma fa lo stesso) e metterlo in guardia dalla “deriva laicista che sta prendendo possesso del Fli”.
Invece i bungabunga ad Arcore sarebbero molto piaciuti, al santo prozio. Ergo non poteva restare un istante di più “in un partito con l’ossessione dell’antiberlusconismo”.
Che strano: a Bastia Umbra, Rosso era in prima fila a spellarsi le mani quando Fini urlò che B. doveva dimettersi.
E il 15 dicembre votò la sfiducia al governo B.
Poi, casualmente, ha scoperto che i finiani, massacrati per mesi da giornali e tv di B. per ordine di B., non simpatizzano per B.
Strana gente, eh?
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata “la direzione nazionale, in cui ascoltavo discorsi da vecchio Msi”, “troppo di destra” per i suoi gusti. Purtroppo don Bosco non è apparso ad altri due rivoltagabbana, Barbareschi e Menardi, che invece lasciano Fli perchè “vuole allearsi a sinistra con Vendola”.
Poco importa se Fini l’ha sempre escluso.
Menardi da Cuneo, che fino all’altroieri tuonava contro il “partito azienda”, dice che ci torna ma “per migliorarlo” e lo farà  tutto da solo, con le nude mani. Anzi no, per ora non torna: “Resto a bagnomaria aspettando gli eventi”, farà  un gruppo con gli altri come lui: “i Propositivi”, quelli che si propongono. Anche Barbareschi, dopo lo sblocco delle sue fiction Rai, roba da 10 milioni di euro, vuole dare “il mio contributo creativo” al Pdl con “il progetto di wikipolitics”: roba forte.
Del resto lui, come Sordi ameregano a Roma, “stavo a Broadway”.
E poi “Berlusconi mi ha ringraziato per la coerenza”.
E “Verdini ha riconosciuto il mio atteggiamento corretto, serio”.
E quando B. ti certifica la coerenza e Verdini la correttezza, puoi dormire tranquillo.
È il marchio di garanzia.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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BERLUSCONI E LE INTERCETTAZIONI: BALLE A STELLE E STRISCE, IN USA SI INTERCETTA E SI PUBBLICA

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

BERLUSCONI CITA GLI STATES PER DIFENDERSI, MA LI’ LE REGISTRAZIONI VANNO SUI GIORNALI E ANCHE SULLE RADIO LOCALI… POLITICI CON LE SQUILLO E SEGGI IN VENDITA, MA NIENTE BAVAGLI

Negli Stati Uniti “chi passa le intercettazioni alla stampa va in galera, e ci resta per molti anni”, ha detto Berlusconi.
Cerchiamo di capire che succede in America, ne scopriremo delle belle. Scopriremo – se già  non lo sapevamo – che le intercettazioni hanno fatto cadere il governatore dello stato di New York, Eliot Spitzer.
Che aveva fatto?
Aveva pagato le costose prostitute del Vip Club Emperors (“Club Imperatori”). La più famosa, quella che si è guadagnata le copertine dei tabloid per le sue forme generose, si faceva chiamare Ashley Duprè, ma il suo nome reale era nientemeno che Ashley Rae Maika Di Pietro.
Passare un’ora con lei, però, costava un migliaio di dollari.
Sull’ Huffington Post sono comparsi gli sms che il governatore mandava alle sue amanti a pagamento.
A “Kristen” , ad esempio, chiedeva: “Pls let me know if ‘package’ arrives 2mrw”. Ovvero: “Per favore fammi sapere se il pacchetto (con i soldi per la prestazione, ndr) arriva domani”.
Nessun giornalista è andato in galera.
A dire il vero, neppure Spitzer sta passando le sue giornate dietro le sbarre. Anzi, è finito a condurre un programma televisivo sulla CNN (nemmeno qui i confini tra politica e tivù sono così chiari).
“Le intercettazioni sono strumenti essenziali per le indagini – aveva sottolineato Lanny Breuer, del dipartimento di giustizia di Washington, durante una visita italiana – la legislazione italiana, così come è stata finora, è stata molto efficace nella lotta alla criminalità  organizzata”.
La legislazione americana in tema di intercettazioni si basa principalmente sull’Electronic Communications Privacy Act del 1986, che consente di registrare una conversazione telefonica solo dopo aver mostrato una “probabile causa” di attività  illegale, e dopo aver ottenuto un ordine dalla corte.
Passiamo ad un secondo caso americano, che tocca un altro ex governatore, Rod Blagojevich, già  alla guida dell’Illinois.
Lui è uscito di scena per aver tentato di “vendere” la poltrona che era di Barack Obama.
Quanto è stato eletto presidente, il suo seggio senatoriale di Obama è rimasto vuoto.
Tocca al governatore del relativo Stato decidere il sostituto. Blagojevich voleva soldi dagli aspiranti senatori: è emerso da alcune intercettazioni, pubblicate dalla stampa e trasmesse dalle tv.
Quando Blagojevich ha saputo di avere il telefono sotto controllo, si vantò di non temere le indagini: “Che mi intercettino in pubblico o in privato – andava dicendo – vi posso assicurare che tutto ciò che dico è sempre legale”.
E ancora: “Se qualcuno vuole registrare le mie conversazioni, vada pure avanti, si senta libero di farlo: apprezzo chiunque mi registri in maniera aperta e conosciuta, ma coloro che vogliono farlo di nascosto, beh, gli ricordo che puzzano di Nixon e Watergate”.
Il riferimento è interessante: lo stesso indagato sosteneva che finchè le intercettazioni sono legali e trasparenti va tutto bene, perchè il vero problema sono le registrazioni telefoniche clandestine, come quelle ordinate dal presidente Nixon contro i suoi avversari democratici (proprio per questo fu costretto alle dimissioni).
Anche sulle intercettazioni illegali, comunque, il pragmatismo anglo-sassone vince sui libri del diritto.
Prendiamo un terzo caso, catalogato nei manuali di giurisprudenza sotto il titolo “Bartnicki versus Vopper”.
Due esponenti del sindacato degli insegnanti in Pennsylvania vengono intercettati illegalmente, da uno sconosciuto.
Dicono che se le loro richieste non verranno soddisfatte “andremo nelle nelle loro case, a buttar giù le loro verande”.
La registrazione viene mandata in onda dalle radio locali.
I due esponenti del sindacato sostengono che la legge è stata violata.
Il caso sale tutti i gradini del sistema giudiziario americano, arrivando alla Corte Suprema, che stabilisce: il primo emendamento della Costituzione (libertà  di espressione) vince sul diritto alla privacy.
Poco conta, insomma, se la conversazione è stata registrata illegalmente.

Matteo Bosco Bortolaso
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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L’IRA DELLA UNIONE EUROPEA CONTRO FRATTINI: “NON PUO’ DIFENDERE UN DITTATORE”

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

FRATTINI: “NON DOBBIAMO DARE L’IMPRESSIONE SBAGLIATA DI VOLER INTERFERIRE”… CRITICHE LONDRA E PARIGI…NEW YORK TIMES: “BERLUSCONI SCIMMIOTTA I MODI DEI DESPOTI ARABI”

In Europa l’hanno ribattezzata “la schizofrenia di Rue Froissart”.
È l’ultimo ritrovato della diplomazia berlusconiana: all’ingresso nelle riunioni comunitarie (le auto delle delegazioni entrano appunto da Rue Froissart, sul lato del palazzo del Consiglio) il politico italiano di turno fa dichiarazioni benevolenti verso il dittatore sotto accusa.
Poi, in riunione, vota con gli altri un comunicato di condanna.
È già  successo all’ultimo vertice europeo, quando Berlusconi, arrivando alla riunione, ha cantato le lodi di Mubarak, per poi approvare una risoluzione di condanna delle repressioni ordite dal raìs egiziano.
Era successo in precedenza, quando avevamo difeso il dittatore bielorusso Lukashenko, salvo poi appoggiare le sanzioni Ue alla Bielorussia.
È successo puntualmente anche ieri, con la Libia.
Il ministro degli Esteri Frattini, subito dopo l’ingresso da Rue Froissart, ha difeso le ragioni della “riconciliazione” in un Paese dilaniato dalla guerra civile.
“Spero che in Libia si avvii una riconciliazione nazionale che porti ad una Costituzione libica, come proposto da Seif al-Islam (il figlio di Gheddafi a capo della repressione, ndr)”.
Sempre prima di entrare nella sala del Consiglio, il ministro degli Esteri italiano ha messo in guardia l’Europa contro ogni tentativo di interferire negli affari libici: “Non dobbiamo dare l’impressione sbagliata di volere interferire, di volere esportare la nostra democrazia. Dobbiamo aiutare, dobbiamo sostenere la riconciliazione pacifica: questa è la strada”, ha spiegato ai giornalisti mentre l’aviazione del Colonnello bombardava i manifestanti.
Ma poi, uscito dalla riunione, ha spiegato di condividere pienamente il comunicato finale che “condanna la repressione in corso contro i manifestanti”, chiede “l’immediata fine dell’uso della forza” e difende “le legittime aspirazioni e le richieste di riforme del popolo libico”, che devono essere soddisfatte “attraverso un dialogo aperto e inclusivo che porti ad un futuro costruttivo per il Paese e per il popolo”.
Insomma, se non si chiede esplicitamente l’allontanamento di Gheddafi, poco ci manca.
Quali siano le ragioni che spingono il governo berlusconiano a questo tipo di sdoppiamento, è cosa che a Bruxelles stentano a capire.
Forse perchè non hanno potuto apprezzare fino in fondo quanto sia consustanziale al berlusconismo la “politica dell’annuncio”, che consacra la dicotomia tra fatti e parole.
Forse perchè non hanno (ancora) letto l’editoriale di Roger Cohen sul New York Times, che racconta come “Berlusconi scimmiotta i modi dei despoti arabi confondendo se stesso con la Nazione”.
Ma ormai la “schizofrenia di Rue Froissart” è diventata uno dei divertissements dei diplomatici europei, sempre pronti a sorridere dell’Italia.
Per essere onesti, questa volta Frattini qualche debole tentativo di difendere “l’amico Gheddafi” lo ha fatto anche nel corso della riunione, spalleggiato solo dal collega maltese.
Del resto anche Berlusconi all’ultimo vertice, durante la colazione di lavoro, si era speso in una imbarazzante quanto inutile eulogia di Mubarak.
Questa volta, il nostro ministro degli Esteri ha dovuto battersi contro britannici e tedeschi, che volevano rendere ancora più duro ed esplicito il comunicato finale.
Il ministro degli Esteri finlandese, Alexander Stubb, si era spinto fino a chiedere il varo di sanzioni immediate contro il governo libico.
Ma alla fine i “falchi” non l’hanno spuntata.
“Oggi dobbiamo parlare di dialogo nazionale di riconciliazione – ha spiegato soddisfatto il ministro italiano – non creare le condizioni per un nuovo scontro con decine di migliaia di cittadini europei che vivono in Libia”.
Ma anche la delegazione italiana ha dovuto inghiottire qualche rospo.
Una proposta, avanzata dal ministro maltese e sostenuta dall’Italia, voleva inserire nel comunicato finale una frase in cui l’Unione europea “riconosce pienamente i diritti sovrani della Libia e la sua integrità  territoriale”.
L’idea, nonostante le premesse di Frattini sulla non interferenza, era forse quella di sottolineare il pericolo di una spaccatura del Paese tra la parte orientale e quella occidentale.
Ma molti ministri hanno fatto osservare che, come ha spiegato il belga Steven Vanackere, “riconoscere la piena sovranità  dei libici in questo momento equivale a legittimare il massacro dei dimostranti come un affare di politica interna su cui non si può interferire”.
Di fronte a questa obiezione, Italia e Malta hanno dovuto rinunciare alla loro richiesta. Ma non importa.
“Sono un ministro europeo e mi riconosco pienamente nella dichiarazione che abbiamo sottoscritto. Anche il comunicato finale parla della necessità  di una riconciliazione nazionale”.
Nel comunicato finale, però, la parola “riconciliazione”, tanto cara all’Italia, proprio non compare.
Si deve essere persa in Rue Froissart.

Andrea Bonanni
(da “La Repubblica“)

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IL SENATORE INVISIBILE: APERTA INDAGINE SU CASELLI (PDL), ELETTO IN ARGENTINA, PER VOTO SOSPETTO

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

INDAGATO PER TRUFFA, FALSO IN ATTO PUBBLICO E VIOLAZIONE DELLA LEGGE ELETTORALE: AVREBBE FALSIFICATO MIGLIAIA DI SCHEDE ELETTORALI, IMPOSSESSANDOSI DI 20.000 PLICHI MAI GIUNTI A DESTINAZIONE… INDEBITAMENTE COMPILATE, LE SCHEDE SAREBBERO POI STATE REGISTRATE COME VALIDE… CASELLI IN PASSATO FU INDAGATO PER TRAFFICO D’ARMI E SOSPETTATO DI LEGAMI MAFIOSI

Dopo il caso del senatore Di Girolamo (circoscrizione Europa) arrestato per essere stato eletto grazie all’impegno attivo della ‘ndrangheta, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo della Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sull’elezione del senatore Juan Esteban Caselli, nominato coordinatore del Pdl nel Mondo in sostituzione di Aldo Di Biagio passato con Gianfranco Fini. Un’inchiesta che conferma come il voto degli italiani all’estero non garantisca un diritto, bensì si presti a facili manipolazioni poco consone ad una democrazia occidentale.
L’accusa ipotizzata per Caselli è di truffa per falso in atto pubblico e violazione della legge elettorale.
L’imbroglio sarebbe consistito anche nell’aver falsificato le schede elettorali per diverse ragioni non recapitate o tornate al Consolato.
Il sospetto è che si siano impossessati di 20 mila plichi elettorali che non sarebbero giunti a destinazione a causa dell’indirizzo sbagliato.
Migliaia di schede sarebbero state riempite tutte dalla stessa mano con il nome di Caselli e inviate in Italia.
Nel corposo fascicolo oltre a un video anche molte testimonianze di persone che hanno dichiarato di non aver votato: “No ha ber votado en las elecciones parlamentarias italianas celebradas en el mes de abril del ano 2008” mentre le schede risultano intestate a loro…
Un’operazione che secondo gli inquirenti non sarebbe potuta avvenire senza la complicità  del Console italiano Giancarlo Maria Curcio nominato il 19 dicembre scorso da Berlusconi ambasciatore a Panama, con cui Caselli dice di condividere la stessa visione cristiana della vita.
Nell’inchiesta spuntano anche i nomi di un carabiniere incaricato della sorveglianza delle buste presso il consolato generale; di Marcello Valeri, capo dell’ufficio informatica ed elettorale del Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires; di Oscar Andreani titolare dell’omonima ditta di spedizione; di Francesco Arena di origine calabrese che trasmette il programma “Italia Tricolore” da Radio Splendid finanziato dal senatore Caselli, amico del Console Curcio e di Carmelo Pintabona originario di Sinagra in Sicilia.
Caselli per gli amici argentini “Carcho”, nome quasi sconosciuto in Italia se non per aver conquistato il record come il senatore più assente a Palazzo Madama con un 38% di presenze, vanta invece una storia molto conosciuta dai magistrati e dall’opinione pubblica argentina per i suoi a dir poco lati oscuri che lo legano anche alla dittatura e al governo Menem.
Come ricorda il quotidiano argentino “Critica”, il seggio al Senato gli è stato offerto da Berlusconi in persona.
È lui il fondatore del partito “El Pueblo de la libertad” con il quale ha annunciato la sua candidatura alla Casa Rosada per le prossime elezioni con queste parole: “Per quanto riguarda la politica a livello nazionale prenderò esempio da Silvio Berlusconi”.
Ex ambasciatore presso il Vaticano nel governo di Carlos Menem, Caselli vantava un rapporto strettissimo con monsignor Angelo Sodano.
Fu proprio grazie a Caselli designato “Gentiluomo di Sua Santità ” che Menem ebbe un posto a sedere a San Pietro ai funerali di Giovanni Paolo II. Il Vescovo Rafael Rey titolare della Caritas Argentina quando andò in pensione raccontò che Caselli nel 1999 gli offrì denaro affinchè moderasse le sue critiche al governo Menem…
La giornalista Olga Wornat in un suo libro ha scritto che “Carcho” è stato il consigliere dei dittatori Reynaldo Bignone e Roberto Viola negli anni bui delle desapariciones argentine e che la sua fortuna finanziaria affaristica è iniziata dall’eredità  dell’ufficiale dell’aviazione militare, Miguel Cardalda, di cui era autista, anche lui desaparasidos.
Accusa rinnovatagli da Avila, candidato alla presidenza della squadra del River Plate nel corso della famosa trasmissione sportiva del canale Cen El Diario, durante la quale ha aggiunto che Caselli aveva pagato delle mazzette ai politici e di aver fatto i soldi con il gioco d’azzardo e con la prostituzione della provincia di Buonos Aires.
Da sottosegretario alla Presidenza della Repubblica di Menem, Caselli fu indagato per traffico d’armi per essere intervenuto a nome della Casa Rosada sul ministro della Difesa a favore della ditta Sarlenga, poi coinvolta nel commercio di armi acquistate in Ecuador rivendute alla Croazia durante la guerra in Bosnia attraverso una triangolazione con Argentina e Venezuela. Tra i suoi acerrimi nemici politici compare anche l’ex ministro dell’Economia argentino, Domingo Cavallo, che lo ha accusato di far parte della mafia legata ad Alfredo Yabran, personaggio collegato tra l’altro all’uccisione di Josè Luis Cabezas, fotografo del settimanale politico argentino Noticias.

Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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TRANQUILLI, AGLI IMMIGRATI CI PENSA LA BRAMBILLA

Febbraio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

PER REAGIRE AGLI SBARCHI DEI TUNISINI, LA MINISTRA DEL TURISMO PROPORRA’ UNA CONTROINVASIONE DI ITALIANI A DJERBA, CON BUFFET TUTTO COMPRESO

La nuova ondata di migranti pone seri problemi alle autorità  italiane.
“Sono solo pochi radical chic addestrati nei salotti di Tunisi”, ha dichiarato il ministro Gelmini.
Ma secondo le prime verifiche i radical chic infiltrati sarebbero solo tre su cinquemila, subito identificati dalla polizia perchè erano fradici di sudore a causa del kaftano di cachemire.
Secondo indiscrezioni, si tratterebbe di tre latitanti di Mazara del Vallo travestiti, giunti in Italia per partecipare al Festival di Sanremo su invito di Fabrizio Corona.
Quanto agli altri migranti, non chiedono lo status di rifugiati politici ma quello, molto più efficace in Italia, di nipoti di Mubarak, presentando documenti falsi. Alcuni hanno anche ritoccato la fotografia, aggiungendo un paio di tette, considerate il vero lasciapassare per il nostro Paese.
Poichè il Parlamento, approvando una proposta del Pdl, ha appena sancito che soccorrere i nipoti di Mubarak è doveroso, il governo italiano si vede costretto a regalare a ogni nuovo immigrato un ciondolo Swarovsky e una busta con settemila euro, trattabili secondo l’uso arabo.
Il ministro Maroni ha reagito indignato alla nota ufficiale del governo tunisino, che l’ha definito “rappresentante della destra razzista”.
“Io non parlo con gli arabi”, la sua secca replica.
Per rimediare all’impasse, la Lega ha rilanciato l’idea di inviare in Tunisia forze di polizia italiane: un corpo speciale è già  pronto al porto di Lampedusa, ma a causa dei tagli di Tremonti si dovranno riutilizzare gli stessi gommoni a remi usati dai migranti.
L’arrivo degli italiani in Tunisia è previsto per il prossimo Natale.
Il nostro governo insiste sul principio della reciprocità .
Per ogni sbarco di maghrebini in Italia, verrà  allestito uno sbarco di migranti italiani nel Maghreb.
Già  pronti decine di migliaia di ricercatori e borsisti, con la caratteristica sacca Vuitton completamente vuota che ci rende riconoscibili all’estero.
Per ristabilire la parità  anche negli annegamenti, saliranno a bordo di appositi barconi già  bucati con il succhiello dal Genio militare.
L’ipotesi di una guerra preventiva con la Tunisia, sul modello dell’invasione dell’Iraq, si fa strada nei settori più responsabili del governo, in contrasto con i falchi che vorrebbero invadere anche l’Algeria, il Marocco e l’Egitto con l’appoggio del fedele alleato libico.
Un’invasione della sola Tunisia, fa osservare il ministro del Turismo Brambilla, avrebbe costi molto contenuti grazie ai tanti pacchetti last-minute delle agenzie turistiche.
Brambilla e La Russa stanno studiando l’occupazione militare di Djerba in bassa stagione, con buffet tutto compreso (escluse le bevande).
Il comparto delle escort, fiore all’occhiello del made in Italy, non sembra adatto ai nuovi arrivati, vuoi perchè maschi, vuoi perchè parlano un italiano troppo forbito per essere adatti alle conversazioni di Arcore.
Per mostrare buona volontà , la Lega ha proposto di destinare gli immigrati arabi alla raccolta di datteri e all’allevamento dei cammelli.
La replica dell’opposizione, che ha fatto osservare che da noi non ci sono datteri nè cammelli, è stata giudicata strumentale dal governo, stanco di avere a che fare con un’opposizione che sa dire sempre e solo no.
Un nuovo stabilimento Fiat in Tunisia darebbe ventimila posti di lavoro in loco, alleggerendo la pressione migratoria.
I sindacati locali El Cisl e El Uil si sono detti entusiasti.
El Fiom chiede un referendum per sapere se gli operai tunisini sono favorevoli o contrari all’orario proposto da Marchionne: trentasei ore, ma quotidiane.
Nei nuovi stabilimenti verrebbe prodotta la Miraggio, una elegante station-wagon che svanisce appena il proprietario inserisce le chiavi nella portiera.

Michele Serra
(da “l’Espresso“)

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