Destra di Popolo.net

FABIO GRANATA: “VOGLIONO DISTRARRE GLI ITALIANI, MA FINI E NAPOLITANO SONO UN PRESIDIO DI DEMOCRAZIA”

Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile

“MAI PIU’ AL GOVERNO CON BERLUSCONI”…”LA COMPRAVENDITA DI DEPUTATI NON CI SPAVENTA, FA AUMENTARE GLI ISCRITTI”… “QUANDO INCONTRIANO LA BASE IN TUTTA ITALIA TROVIAMO GRANDE ENTUSIASMO E DETERMINAZIONE

“Il nostro obiettivo a questo punto è mantenere un presidio di democrazia. Gli italiani possono contare sulla prima e sulla terza carica dello Stato: teniamocele strette, il presidente Fini non si dimette”.
Fabio Granata ha poca voce nella giornata più dura della breve storia Fli. Dopo gli entusiasmi della fondazione e i dolori delle fughe, ieri l’attacco frontale e la richiesta esplicita di dimissioni dalla presidenza della Camera.
È stato il redde rationem del 14 dicembre?
Ci aspettavamo un attacco violento, non siamo rimasti sorpresi. Ma il movimento è solo agli inizi e deve dimostrare che l’idea è buona coi fatti, non con le polemiche di Palazzo.
Non sarà  semplice. Il momento è oggettivamente difficile per voi dopo gli abbandoni e con il leader messo sotto pressione.
Le richieste di Cicchitto sono inaccettabili, non foss’altro perchè qui si parla della pagliuzza nell’occhio altrui, quando abbiamo un presidente del Consiglio plurinquisito per reati davvero gravi. È chiaramente un tentativo maldestro, perchè nessuno ha mai messo in dubbio la correttezza istituzionale di Fini.
Politicamente però il problema c’è.
C’è soprattutto un gran polverone che il governo tenta di sollevare per distrarre gli italiani dalle questioni vere del Paese. Abbiamo un ministro della Giustizia che, anzichè pensare a una reale riforma del sistema, si preoccupa ogni giorno di mettere al riparo il premier dai processi. C’è la gigantesca questione libica che incombe e non si trova di meglio che interpellare tardivamente l’Europa senza chiedere almeno scusa agli italiani per le pagliacciate subite fino all’altro giorno. Bacio dell’anello in primis.
Una crisi che fa bene al governo, quella libica: con l’emergenza immigrati l’esecutivo ha un motivo in più per andare avanti.
Probabile, ma noi non staremo certo in disparte. Sulla Libia e non solo. Se il Parlamento si avvia a diventare un mercato di seggi a cielo aperto ci sarà  molto da lavorare.
È stato il supermarket delle poltrone a decretare la fuga da Fli o piuttosto l’incertezza sulla vostra collocazione politica?
Abbiamo denunciato per tempo episodi gravi di compravendita, ora ci sono elementi ancor più chiari, gli italiani si stanno facendo un’idea precisa. Quanto alla politica il percorso è segnato: lavoriamo a ricostruire un serio movimento di destra che dialoga col centro in vista dei futuri passaggi. Intanto c’è stata la conferma di Della Vedova come capogruppo al Senato, un fatto importante, e poi continuiamo a girare l’Italia per rinforzare la base. Domani saremo a Padova: quando andiamo tra la gente troviamo un grande entusiasmo per portare avanti un progetto difficile ma necessario.
Resta solido il legame con l’Udc? Casini è sembrato più freddo, ultimamente: sicuri che Fini possa contare ancora su di lui?
Si tratta di un’alleanza valida per far uscire l’Italia da un bipolarismo evidentemente bloccato. Il presidente della Camera continuerà  a fare il suo lavoro, Fli cercherà  alleanze utili al cambiamento.
Anche col Pdl?
Certo. Ma senza Berlusconi. Mai più al governo con lui.

Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CONTESTATO IL FIGLIO DI BOSSI: “PIU’ TROTE NEI FIUMI, MENO AL GOVERNO”

Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile

BOTTA E RISPOSTA DURANTE UN CONVEGNO LEGHISTA A TRADATE CHE HA EVIDENZIATO LA FRATTURA TRA “MARONIANI” E “REGUZZONIANI” ALL’INTERNO DEL CARROCCIO… PRESIDENTE DELLA PROVINCIA E SINDACO LEGHISTI NON ERANO STATI NEANCHE INVITATI, IN QUANTO VICINI A MARONI

“Più trote nei fiumi, meno trote al governo”.
Questo il contenuto di uno striscione esposto ieri sera, proprio durante l’intervento del figlio del Senatur, Renzo Bossi, in occasione di un convegno leghista sul federalismo a Tradate, nel cuore della provincia di Varese.
Autori della contestazione un gruppetto di giovanissimi del posto.
Ragazzi tra i sedici e i diciotto anni che hanno agito senza sbandierare simboli di partito.
E hanno strappato l’applauso di una consistente parte del pubblico presente in sala.
Al tavolo dei relatori, dove erano presenti esponenti di spicco della Lega, come il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, è arrivata pronta la risposta del “Trota”, altrettanto applaudita: “Non sono al governo, sono in regione. Poi sono orgoglioso di essere una trota, perchè sono pesci che nuotano nell’acqua pulita”.
Mentre dal palco continuava la carrellata di interventi pro federalismo, la manifestazione di dissenso è stata sedata da un gruppo di solerti militanti leghisti che, dopo alcuni secondi di smarrimento, si sono avventati sullo striscione, strappandolo di mano ai contestatori.
I ragazzi sono stati accompagnati all’esterno del teatro, non senza qualche momento di frizione lungo i corridoi, dove sono volati paroloni e qualche insulto, ma nulla più.
Nell’improvvisata security in salsa padana hanno prestato la loro opera diversi simpatizzanti.
Tra i volontari anche un infervoratissimo Giangiacomo Longoni, consigliere regionale del Carroccio in Lombardia e “tutor”del Trota.
“Abbiamo solo espresso la nostra idea. Veramente avremmo voluto esporre anche un secondo striscione — hanno spiegato poi i ragazzi — per protestare contro il razzismo di stampo leghista, contro le espulsioni e il trattamento riservato agli extracomunitari. Vogliamo che venga riaffermato il principio dell’uguaglianza di tutti gli individui, senza distinzioni di religione, sesso e razza”. Sulle ragioni della contestazione a Renzo Bossi sono stati altrettanto chiari: “Questa sera era lui il simbolo più forte del pensiero leghista non tanto per la carica ricoperta, quanto perchè incarna il ruolo del successore designato. Noi viviamo fianco a fianco con nostri coetanei che si dichiarano leghisti e sentiamo quello che pensano, quello che dicono. Noi vogliamo far sapere che i giovani del nord non sono tutti così”.
I giorni che hanno preceduto il convegno sono stati animati dagli echi di una pesante frattura interna alla Lega, che ha scomodato addirittura il ministro dell’Interno, Roberto Maroni.
La questione starebbe tutta in un gioco di potere in atto da qualche tempo nel partito, una lotta di successione che si sta giocando tra i colonnelli leghisti e che vede opposte la fazione vicina al ministro e quella del “cerchio magico”, capitanata dall’onorevole Reguzzoni.
Il convegno sul federalismo di Tradate è stato l’occasione per mettere in piazza questa frattura: un autentico sgambetto ordito ai danni dei padroni di casa, una delegittimazione pubblica.
Tradate è infatti la città  del presidente della provincia di Varese Dario Galli, e ha come sindaco Stefano Candiani, segretario provinciale del partito.
Non solo i due non sono stati invitati, ma non sono stati nemmeno avvisati dell’evento.
Un “affronto” tramato dalla segreteria di circoscrizione (vicina a Reguzzoni) contro l’asse maroniano del partito, che vede in Candiani e Galli due esponenti di rilievo.
Il segretario provinciale non ha gradito e pare abbia incassato il sostegno anche diretto del super ministro, che i bene informati dicono essere intenzionato a ricambiare il favore organizzando a sua volta un incontro pubblico sul federalismo nella vicina Busto Arsizio, la città  di Reguzzoni.
Si tratta dell’ennesimo capitolo di una querelle che dura da tempo: già  la scorsa estate la segreteria di Candiani era stata messa in discussione da Reguzzoni e anche in quell’occasione un intervento di Maroni aveva rimesso le cose al loro posto.
Ieri sera al convegno Galli e Candiani si sono presentati lo stesso: sono saliti sul palco e tra sorrisi e strette di mano hanno dato prova della proverbiale compattezza della Lega Nord, sciorinando il loro sermone sull’importanza e sulla bontà  del federalismo municipale.

Alessandro Madron
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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GIRO DI BONIFICI, ASSEGNI E ALTRE FESTE: LE NUOVE CARTE SUL CASO RUBY

Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile

ACCERTAMENTI SU 16 INCONTRI SERALI AD ARCORE: NELLA RICHIESTA DEI PM INTERCETTAZIONI E SMS…EMERGE UNO SQUALLIDO QUADRO DI INVIDIE CRESCENTI E SOSPETTI

«Ti rendi conto che siamo sputtanate a vita? Ma noi abbiamo il coltello dalla parte del manico, ricordatelo sempre».
Ad ascoltare le altre ragazze delle notti di Arcore, così come le svelano la nuova rata di loro intercettazioni inserite non nell’invito a comparire del 14 gennaio a Berlusconi ma nella richiesta dei pm di giudizio immediato, già  a fine ottobre il clima tra le papi-girls di Arcore era da ultimi giorni a Pompei. «Sto andando alla festa tesorino, mamma mia è incredibile lo schiffo ke fa il denaro, in questo momento mi sto faccendo schiffo da sola!», si sfoga in un sms della mezzanotte del 25 ottobre la 18enne Iris Berardi.
Paradosso vuole che proprio la mattina seguente del 26 ottobre esca su Il Fatto la notizia di una inchiesta sui racconti hard fatti ai pm da una minorenne marocchina, Ruby: «Hai letto?», chiede una.
«Sì, però non esiste che non avvisa, anche lui! – risponde l’altra piccata -. Boh, è allucinante ‘sta storia, dai!».
Tuttavia l’emersione dell’indagine, peraltro intuita settimane prima come già  era emerso da alcune fibrillazioni attorno a Ruby (a cominciare dal misterioso «interrogatorio» condotto il 6 ottobre da non si sa chi alla presenza di «un avvocato» e di «un emissario di lui» sulle «scene hard con il pr…»), non interrompe le feste ad Arcore: anzi, rispetto a quelle già  indicate negli inviti a comparire a Berlusconi e a Nicole Minetti, ora i pm ne conteggiano altre quattro il 25 ottobre, il 7 e 22 novembre, e il 19 dicembre 2010.
Totale sotto esame: sedici.
Ad aumentare tra le ragazze sono però il risentimento, l’invidia reciproca, le recriminazioni.
Una racconta che «c’è chi si è lamentata che voleva più scarpe», un’altra sbuffa che «c’ho le palle girate perchè ieri è arrivata quella con la Mini Cooper che gli ha regalato a luglio, e a me m’ha regalato la Smart a giugno… adesso giuro che gliela chiedo un’altra auto».
Qualcuna «consiglia di scrivere a lui una lettera di sfogo, parlando anche dei genitori e del fatto che per colpa di quello che è successo sentono dire che la figlia è una prostituta e si vergognano».
Tra le papi-girls c’è chi esplode a dire «non ce la faccio più, cavolo, mi ha costretto a dormire lì a tutti i costi, non voleva farmi andar via».
Ma altre vogliono sfruttare questa debolezza attribuita al premier: tanto che il giorno di Natale, via sms tra amiche, progettano che «oltre che per le palle bisogna prenderlo per il coso… Domani se è aperto vado in un sexy shop e prendo un po’ di cose per me e te: più tr… siamo più bene ci vorrà ».
Anche perchè, lamenta autoironicamente una che all’interlocutrice confida una divorante passione per un nuovo cliente incontrato la notte prima, «a volte penso e dico che mi sembro papi… qua sempre a voler fare l’amore». Appena 5 giorni prima dell’invito a comparire, il 9 gennaio scorso, due delle ospiti di Arcore commentano quanto sia stata «una cosa allucinante» una certa notte: «In effetti, quando siamo noi, fa le 4 tutte le notti… non dorme perchè sta tutta la notte lì così con noi una e un’altra. Cioè ti puoi immaginare… sono morta io, cioè lì ci son ragazze di 20 anni che erano distrutte, erano morte, io uguale e anche di più perchè ce ne ho di più, e ce ne ho (di anni, ndr) quarantacinque meno di lui».
E quando due delle ragazze di Arcore si comunicano l’esito rassicurante dei loro esami del sangue («Tutto a posto?». «Globuli bianchi a posto, non abbiamo nessun Aids»), una sospira: «Se avevo dubbi? Mah, sai, quando uno va a letto con 80 donne, non si sa mai».
L’unica costante nelle nottate ad Arcore, di cui le papi-girls nei propri cellulari sequestrati conservano foto di stanze e di arredi (senza però mai Berlusconi ritratto), resta la solita: «Speriamo che torniamo tutte con le tasche piene».
Il timore è invece che il premier accentui «la manina stretta», perchè «sta peggiorando, eh, con l’invecchiamento si peggiora… Ci ha fatto un discorso pazzesco, ci ha detto che un operaio lo guadagna in cinque mesi (il denaro che dà  a noi ragazze, ndr). Dovresti dirgli che ha ragione, però se ci abitui in un modo, scuse moi, è ovvio che…».
E l’amica completa la frase fulminante: «…non è che stai uscendo con Gino il calzolaio».
L’accusa di ingenerosità  al premier appare comunque mal risposta alla luce dell’analisi del suo conto personale n.1.29 al Monte dei Paschi di Siena: sul totale di 1 milione e 200mila euro di bonifici e di 10 milioni di euro in assegni nel 2010, infatti, gli inquirenti enucleano versamenti per complessivi 406.000 a 12 ragazze (per lo più show girl o aspiranti tali), tra le quali una sola era sinora emersa nell’indagine e altre due erano già  venute alla ribalta delle cronache politiche all’epoca delle voci su progetti di candidature al Parlamento europeo.
L’analisi dei conti ha anche confermato un’altra vicenda captata dalle intercettazioni, e cioè un finanziamento di Berlusconi a Lele Mora (tramite il tesoriere del premier, Spinelli) con l’intermediazione del direttore del Tg4 Emilio Fede, che al telefono accennava a «400mila euro» per sè.
Per ora, invece, «l’esame congiunto della documentazione bancaria e delle intercettazioni – sintetizza un rapporto della Gdf dell’8 febbraio – ha permesso di individuare tre periodi in cui sono avvenuti passaggi di denaro da Berlusconi a Spinelli, a Mora e quindi a Fede».
L’1 settembre 2010 il premier dal suo conto al Monte dei Paschi bonifica 100.000 euro a Spinelli sul conto alla Popolare di Sondrio; Spinelli chiede alla banca di emettere due assegni circolari da 50.000 euro intestati a Mora; l’impresario tv li incassa ed emette dal suo conto presso il Monte dei Paschi un assegno circolare di 50.000 euro a favore di Fede; e il giornalista lo incassa il 3 settembre.
Lo schema si ripete con le stesse cifre la seconda volta tra il 21 e il 29 settembre, e la terza volta tra l’11 e il 25 ottobre.
Perchè? Berlusconi in un videomessaggio ha evocato «un prestito» a Mora. Fede, rifacendosi al tono a suo dire scherzoso di alcune telefonate, ha additato proprio in alcune intercettazioni la prova che i soldi giratigli da Mora fossero non una «cresta» sul prestito elargito dal premier all’impresario tv (ora indagato con l’accusa di aver convogliato prostitute ad Arcore), ma la restituzione di un prestito che Fede aveva a suo tempo fatto a Mora.

Luigi Ferrarella
Giuseppe Guastella
(da “Il Corriere della Sera“)

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BELPIETRO RISCHIA UNA CONDANNA PER LA BUFALA DELL’ATTENTATO A FINI

Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile

IL PROCURATORE AGGIUNTO DI MILANO, ARMANDO SPATARO, HA CHIESTO AL GIP L’EMISSIONE DI UN DECRETO PENALE DI CONDANNA PER PROCURATO ALLARME CONTRO IL DIRETTORE DI LIBERO… NON HA COMPIUTO ALCUN ACCERTAMENTO NE’ SULLA NOTIZIA NE’ SULLA CREDIBILITA’ DELLA FONTE

Belpietro rischia una condanna per procurato allarme.
Perchè la storia dell’attentato per colpire Gianfranco Fini ad Andria si è rivelata una bufala.
E il direttore di Libero, che ne ha scritto il 27 dicembre scorso, non ha fatto le necessarie verifiche prima di pubblicare la notizia.
Così ora, secondo quanto riporta il Corriere della Sera, il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro ha chiesto al gip l’emissione di un decreto penale di condanna nei confronti del giornalista.
“Girano strane voci a proposito di Fini”, esordiva nel suo editoriale Maurizio Belpietro.
Voci che riferivano di due storie. Una su “una vicenda a sfondo erotico peggiore di quelle rimproverate al Cavaliere”, raccontata al direttore di Libero dalla escort Lucia Rizzo, in arte Rachele, che ora è indagata per diffamazione.
L’altra, quella che ora rischia di far finire nei guai Belpietro, su un agguato che nella prossima primavera avrebbe potuto colpire il presidente della Camera in visita nella città  pugliese di Andria.
Il leader di Fli, secondo quanto raccontato da Libero, sarebbe rimasto ferito e le responsabilità  sarebbero state fatte ricadere su Silvio Berlusconi.
Con un chiaro vantaggio per Fini, in caso di elezioni anticipate.
Un “brutto scherzo” per cui il mandante “si sarebbe rivolto a un manovale della criminalità  locale, promettendogli 200mila euro”.
Voci che il direttore del quotidiano filo-berlusconiano non documentava per nulla.
Anzi, “non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni oppure, peggio, di trappole per trarci in inganno”, ammetteva lo stesso Belpietro.
“Toccherà  ad altri accertare i fatti”.
Il direttore di Libero scriveva di essersi limitato a verificare identità  e professione di chi gli aveva raccontato la storia.
E poi, un’unica certezza: “Chi mi ha spifferato il piano non pareva matto”.
Nessuna verifica prima di pubblicare la notizia-bufala, quindi.
Come lo stesso Belpietro ha poi ammesso nelle testimonianze in procura a Milano, non c’è stato alcun accertamento nè sulle circostanze del presunto attentato, nè sullo spessore e credibilità  della fonte.
Per questo ora arriva l’accusa di procurato allarme, un reato che può essere punito con l’arresto fino a 6 mesi o l’ammenda da 10 a 516 euro “chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità , o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio”.
E Belpietro rischia anche sanzioni disciplinari da parte dell’Ordine dei giornalisti, a cui la procura ha inviato gli atti.
La richiesta di Spataro al gip è arrivata dopo che il procuratore di Bari, Antonio Laudati, ha archiviato l’inchiesta “per attentato con finalità  terroristiche contro organi istituzionali e per il sovvertimento dell’ordine democratico”.
L’emissione del decreto penale di condanna, oltre che per Belpietro, è stato chiesto anche per la sua “fonte”, identificata nonostante il giornalista non ne abbia mai rivelato il nome, avvalendosi del segreto professionale.
Un imprenditore di Andria, elettore di centrodestra, che ha raccontato la balla a Belpietro per punire un quotidiano, secondo lui, responsabile della spaccatura tra Berlusconi e Fini.
E per dimostrare quanto possa essere facile vendere una bufala per un grande scoop.

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NON BASTAVA MINZOLINI, LA TV DI REGIME PROSEGUIRA’ CON L’ATEO DEVOTO (AL PREMIER)

Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile

FERRARA TORNA IN VIDEO SULLA RAI PER PROLUNGARE LA PENA DOPO IL TG1…L’OCCUPAZIONE DEI MEDIA DA PARTE DEI BERLUSCONES PROSEGUE…I TALEBANI ALL’ATTACCO DELLA RAI

La stretta berlusconiana sull’informazione continua.
Dopo l’approdo di Bruno Vespa e Vittorio Sgarbi in prima serata, è il turno di Giuliano Ferrara. Che di fatto prende il posto che fu di Enzo Biagi.
“Ho avuto l’offerta di rifare la mia vecchia rubrica Radio Londra e l’ho accettata” conferma Ferrara.
Per il direttore del Foglio si sta pensando a un programma che andrebbe in onda dopo il Tg1 delle 20, nella collocazione che anni fa era del Fatto’ di Enzo Biagi.
La trattativa è condotta dal direttore generale della Rai, Mauro Masi, e vede coinvolto anche il direttore della rete Mauro Mazza.
Il ritorno in video di Ferrara arriva a coronamento del ritrovato attivismo del giornalista al fianco del premier.
Dopo un lungo periodo in cui Ferrara sembrava tenersi a margine dell’entourage berlusconiano, improvvisamente, il direttore del Foglio è sceso in campo in prima linea.
Prima con una serie di editoriali, poi con la scelta di firmare articoli sul Giornale.
Ed ancora con l’intervista fiume sul Tg1 di Minzolini a difesa del Cavaliere. Infine la manifestazione di Milano per Berlusconi e contro “moralisti” e i giudici.
Adesso l’arrivo in Rai e una nuova prevedibile raffica   di polemiche legata alla delicata situazione sia del servizio pubblico, sia della situazione politica.
La scelta, inoltre, apre nuovi interrogativi sul ruolo di Masi.
Da giorni infatti si rincorrevano voci sulla sua possibile sostituzione.
Voci che davano il direttore generale in drastico calo di gradimento da parte del Cavaliere.
Sarà  per questo che in ambienti Rai la notizia viene commentata come un segnale della solidità  di Masi.

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LA CRISI NON TOCCA CASA BERLUSCONI: DIVIDENDI DI 118 MILIONI PER IL PREMIER

Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile

CONTI D’ORO MALGRADO LA RECESSIONE PER LE AZIENDE DI FAMIGLIA DEL PREMIER… MARINA HA INCASSATO CEDOLE PER 12 MILIONI DI EURO E PIERSILVIO PER 5 MILIONI…NELLE CASSE DELLE 4 HOLDING LIQUIDITA’ PER 544 MILIONI DI EURO

La crisi non abita ad Arcore.
Mentre l’Italia fatica a ripartire, le casseforti di casa Berlusconi – otto società  familiari cui fa capo il 100% di Fininvest – archiviano l’ennesimo bilancio d’oro e girano un altro super-assegno alla dinastia del Cavaliere.
Il Presidente del Consiglio si è messo in tasca in questi giorni 118 milioni di dividendi in contanti, Marina ha incassato dalla sua Holding quarta 12 milioni, Piersilvio – titolare della Holding quinta – si è accontentato di 5 milioni, mentre la Holding quattordicesima ha regalato a Barbara, Eleonora e Luigi   – i figli di Veronica Lario – un assegno di 10 milioni a testa.
Le cedole, tutte relative ai bilanci chiusi il 30 settembre 2010 appena depositati, sono solo la punta dell’iceberg della montagna d’oro accumulata negli anni – malgrado l’oneroso impegno in politica – dal premier.
Le quattro società  personali del capofamiglia (Holding prima, seconda, terza e ottava) hanno in cassa 544 milioni in contanti tra riserve disponibili e liquidità  che possono in ogni momento essere girate al socio di controllo.
Marina siede su un tesoretto di 98 milioni mentre Piersilvio, più parsimonioso con i dividendi, è riuscito però ad accumulare una fortuna di 213 milioni, messa da parte per i tempi più duri.
Il Cavaliere, Marina e Piersilvio, malgrado le polemiche degli ultimi anni, hanno tenuto parte della liquidità  investita presso la chiaccheratissima banca svizzera Arner.
Mentre la liquidità  del presidente del consiglio – gestita dall’omnipresente Giuseppe Spinelli   – è tutta depositata sui conti Mps passati agli onori delle cronache come la cassa continua per saldare i conti delle serate del Bunga Bunga.
Nemmeno gli ultimi arrivati nel capitale Fininvest, però, si possono lamentare: i tre figli di secondo letto, pur entrati da poco nel capitale della Fininvest, hanno messo assieme 339 milioni tra liquidità  e riserve, più 20 milioni investiti “con risultati di tutto rispetto” (piove sempre sul bagnato) attraverso la banca d’affari Jp Morgan.

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LA POLITICA DI BERLUSCONI NEL MAGHREB; UN FLOP TOTALE

Febbraio 26th, 2011 Riccardo Fucile

ERA IL MIGLIOR AMICO DI GHEDDAFI, HA PUNTELLATO BEN ALI IN TUNISIA, HA SOSTENUTO MUBARAK FINO ALL’ULTIMO… SI E’ AFFIDATO A DITTATORI PER IMPEDIRE GLI SBARCHI DI 30.000 IMMIGRATI QUANDO CON ALTRI MEZZI NE ENTRANO 300.000 L’ANNO…ADESSO L’ITALIA STA PER PAGARNE IL PREZZO

Serviranno soldi e autorevolezza.
Due strumenti indispensabili per trattare con i futuri governi di Tunisia ed Egitto. Proprio ciò che manca all’Italia.
Gli sbarchi a Lampedusa e sulle coste della Sicilia di tunisini ed egiziani sono la prima linea di un fallimento. I soldi scarseggiano, altro che “piano Marshall” del Maghreb.
E l’autorevolezza, se mai ne avevamo ancora, è stata sepolta sotto i festini bunga bunga di Arcore.
Immaginate la reputazione di Silvio Berlusconi: lui che va al Cairo a trattare con la fama di aver fatto passare una prostituta minorenne per nipote del rais deposto Hosni Mubarak.
Oppure l’affidabilità  del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, in missione a Tunisi in nome di un Paese che ha armato con storditori elettrici e tecnologia da 007 la polizia dell’odiato presidente Zine El Abidine Ben Alì.
Perfino un documento riservato della Protezione civile, scoperto da “L’espresso”, già  il 9 dicembre 2010 segnala a Palazzo Chigi l’impreparazione a una eventuale emergenza a Lampedusa: “Fortuna vuole che attualmente arrivano pochi barconi, sei o sette negli ultimi quattro mesi”, scrive l’Ufficio gestione emergenze, “ma se dovessero improvvisamente aumentare ci troveremmo del tutto impreparati e impossibilitati a dare una pronta risposta alla gestione dell’emergenza”.
Più o meno la stessa frase riappare in un nuovo appunto, “Aggiornamento situazione Lampedusa”, firmato il 25 gennaio scorso dal direttore dell’Ufficio gestione emergenze, Fabrizio Curcio.
Quarantasette giorni dopo la prima lettera e sette anni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, proclamato il 23 dicembre 2003 e prorogato al 31 dicembre 2010 al costo di decine di milioni, eravamo ancora impreparati.
Dal 2001 il governo italiano è sceso a patti con le peggiori dittature del Mediterraneo.
Abbiamo puntellato il regime di Ben Alì con le trattative del 2003 e del 2004 in cambio del blocco delle partenze clandestine per l’Italia.
E il traffico di immigrati si è spostato in Libia.
Allora, dal 2004 al 2009, abbiamo firmato contratti economici e di polizia con l’altro dittatore della regione, Muhammar Gheddafi.
E i viaggi della speranza si sono trasferiti a Est. Nel frattempo ci siamo rivolti all’Egitto, ottenendo accordi per il rimpatrio dei cittadini egiziani sorpresi in Italia senza i documenti in regola, gli unici effettivamente espulsi.
E ci siamo accontentati.
Abbiamo ignorato la voglia di democrazia di milioni di persone.
Abbiamo finto di non sapere delle migliaia di morti in mare tra quanti cercavano la nostra democrazia.
Abbiamo calpestato le fosse comuni nelle quali il regime di Tripoli ha nascosto i cadaveri arrivati a riva ( leggi).
Sarebbe bastato guardare meglio l’anno di nascita dei tiranni amici per preoccuparsi un po’ di più: 1936 per Ben Alì, stessa età  di Berlusconi; 1942 per Gheddafi; 1928 per Mubarak.
E poi porsi una domanda: cosa succederà  dopo di loro?
Limitare quello che sta accadendo nelle ultime due settimane tra le coste tunisine e Lampedusa a una questione di immigrazione, sarebbe riduttivo.
Le fughe in massa dalla Tunisia su barche e pescherecci sono la reazione a anni di repressione della libertà .
Proprio quello che il governo Berlusconi, e la maggior parte dei cittadini italiani che gli hanno dato consenso, hanno fatto finta di non vedere.
Una bomba a orologeria che ora è esplosa.
E siamo solo all’inizio.
La prospettiva di altri arrivi in massa è più che fondata.
Persone che approfittano della situazione di caos per raggiungere l’Europa.
Tra loro molti poliziotti di Ben Alì che dopo le manifestazioni, per paura, si sono tolti la divisa e ora cercano asilo.
A Chaffar, spiaggia storica delle partenze per Lampedusa, si racconta che esistono due tipi di tunisini: quelli emigrati in Italia e quelli che vorrebbero emigrare in Italia.
Un progetto che gli accordi di polizia tra Roma e Tunisi di sette anni fa hanno solo rinviato.
“Un parametro indicatore di quello che succederà “è il valore dell’euro.
Prima della fuga in Arabia Saudita di Ben Alì le banche cambiavano 190 dinari per 100 euro e per la stessa somma il mercato nero chiedeva 194 dinari.
Oggi gli euro sono introvabili in banca e cento euro valgono ben 250 dinari. Significa che migliaia di tunisini stanno cambiando soldi per partire”.
E alle porte ci sono gli arrivi dalla Libia…

Fabrizio Gatti
(da “L’Espresso“)

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