Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
“NON VOGLIAMO TORNARE IN TUNISIA”: SCOPPIA LA PROTESTA PACIFICA DI 4.000 TUNISINI A LAMPEDUSA… GRIDANO “SICILIA, SICILIA” MA TUTTO E’ LASCIATO IN MANO A UN FUNZIONARIO DI POLIZIA CHE PROMETTE: “NON TORNERETE IN TUNISIA, VI DO’ LA MIA PAROLA”… GLI IMMIGRATI: “BERLUSCONI CI HA PROMESSO IERI CHE PROVVEDERA’ A NOI”… BASTA SPECULARE SULLA PELLE DEI POVERI, IL GOVERNO DICA LORO LA VERITA’
I migranti di Lampedusa chiedono di lasciare l’isola, subito, e non vogliono tornare in Tunisia.
E’ venuto il momento della loro protesta, anche se per ora totalmente pacifica. E’ scoppiata nel pomeriggio.
Un migliaio di migranti hanno organizzato un corteo nella centrale via Roma di Lampedusa.
Gridano «Sicilia, Sicilia», e chiedono di essere subito trasferiti da Lampedusa. La situazione è molto difficile e rischia di degenerare.
La sta tenendo a bada un funzionario di polizia, Corrado Empoli, che tramite un traduttore sta parlando con i migranti e sta provando a convincerli che devono attendere fino a venerdì.
«Le navi sono già partite oggi cariche di altre persone. Siete tanti, dovete capire che è difficile gestire questa situazione».
Urla dalla folla, il traduttore fatica a farsi sentire.
Uno dei migranti prende la parole e in inglese spiega la drammaticità della situazione che stanno sopportanto a Lampedusa da 10 giorni.
Il traduttore spiega che la paura di molti migranti è quella di essere traditi di nuovo.
Parlano in tanti, le voci si sovrappongono e il rischio che la situazione degeneri resta alto.
Empoli ribatte: «Io vi chiedo di aver fiducia in me. Dovete avere ancor un po’ di pazienza. Non tornerete in Tunisia. Un giorno o due di più in più di fronte alla possibilità di cambiare la propria vita non è nulla».
Dalla folla si alza un grido, scandito più volte: «We trust you». Noi crediamo in te. E poi grazie, grazie.
«Dormiamo in posti che non sarebbero adatti neanche ai cani» dice Jahshen, tunisino, uno dei manifestanti. «Siamo troppi. Io aspetto da 11 giorni e da 5 dormo su quella che voi chiamate la ‘collina della vergognà », dice Haithem, 23 anni, arrivato da Djerba.
«Tutti abbiamo paura – aggiunge – di essere portati in Tunisia e dopo tre giorni di mare io non posso tornare nel Paese da cui sono fuggito. Ieri Berlusconi è venuto qui, ha detto che provvederà per noi, ma le sue sono solo parole e se stasera pioverà , come promette il tempo, noi non abbiamo come ripararci».
Sono 3.731 gli immigrati presenti attualmente a Lampedusa.
E’ inconcepibile far vivere degli esseri umani in queste condizioni, una vergogna per il nostro Paese.
Ed è vergognoso prenderli per il culo.
Berlusconi deve avere il coraggio di decidere il loro destino e assumersene la responsabilità , altro che raccontare palle.
Quei poveretti vivono sulla collina della vergogna, ma noi italiani non vogliamo un governo che vive sulla collina dei conigli.
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
BERLUSCONI, DOPO AVER SPACCIATO FUMO SULL’ISOLA, OGGI SE LA PRENDE CON IL GOVERNO DI TUNISI, REO DI NON FARE QUELLO CHE VUOLE LUI…LA COMPAGNIA DEI PIAGNONI SI LAMENTA DELL’EUROPA PER NASCONDERE LE PROPRIE MANCHEVOLEZZE
Sono 3.731 gli immigrati presenti attualmente a Lampedusa, dopo i trasferimenti avvenuti con le prime navi e con due ponti aerei.
Il dato è stato fornito dal sindaco dell’isola, Bernardino de Rubeis.
All’alba sono partiti 1.716 migranti con la nave Excelsior della Grandi Navi Veloci.
Poi dal molo di Cala Pisana è salpata la «Catania» della Grimaldi con 600 migranti, entrambe dirette a Taranto, mentre 200 sono stati portati via con due ponti aerei.
Intanto, alla fonda davanti al porto di Lampedusa ci sono altre 3 navi: la «Clodia», la «Waitling Street», e la nave militare San Marco.
Nelle prossime ore la Clodia dovrebbe attraccare al molo di Cala Pisana per iniziare l’imbarco di circa 500 persone.
Nel frattempo il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è tornato a parlare dei problemi degli immigrati.
“Il governo tunisino non sta mettendo in atto gli accordi sull’immigrazione stipulati con l’Italia” ha sostenuto Berlusconi “Il governo aveva assicurato di fermare le barche degli immigrati ma questo non è avvenuto» (lo dice lui n.d.r.).
«Il Cdm sta affrontando il problema dei rapporti con la Tunisia perchè il governo ha garantito impegni finanziari per la ripresa economica delle città tunisine e di contro il governo tunisino deve accettare il rimpatrio dei suoi concittadini. Si tratta di 5 mila tunisini che non sarebbero accettati perchè noi sappiamo che dalle loro carceri sono evasi in 11 mila ed abbiamo il sospetto che possano arrivare da noi».
Oggi, dal cappello a cilindro, il premier ne ha tirata fuori un’altra: non sono più terroristi islamici, ma delinquenti scappati dalle carceri.
L’unica cosa che Berlusconi fa finta di non capire è che sono in gran parte solo persone in difficoltà a cui avrebbe semmai potuto destinare la somma di oltre due milioni di euro che ha pagato per la villa spot a Lampedusa, impiantando qualche attività turistica in Tunisia.
Peccato che il premier si sia dimenticato di spendere una parola di cordoglio per gli 11 migranti, tra cui un bimbo, annegati stanotte nel mare di Sicilia mentre cercavano di raggiungere il nostro Paese.
Forse contano meno del Casino’ promesso, pazienza.
In realtà esiste un trattato con la Tunisia che prevede di poter “restituire” non più di 4 clandestini al giorno, ovvero 120 al mese, ovvero 1.440 l’anno.
Da qua si parte.
Considerando che siamo di fronte a una “emergenza umanitaria” conclamata, per la quale e in nome della quale abbiamo chiesto non a caso l’aiuto europeo, il governo italiano dovrebbe porsi a breve solo un obiettivo: trovare in Italia una collocazione adeguata e umana ai 19.000 tunisini arrivati, seguire la prassi legale internazionale prevista e contemporaneamente negoziare sia col governo di Tunisi che con l’Europa il rientro o la ridistribuzione degli immgrati.
Un Paese civile sa ospitare per qualche mese 19.000 persone senza bisogno di lamentarsi ogni giorno.
Per procedere al rimpatrio degli immigrati clandestini è necessario l’accordo con i Paesi d’origine, lo ha ribadito il portavoce della commissaria Ue agli Affari interni, Cecilia Malmstrom: “Bisogna distinguere fra i rifugiati che hanno diritto alla protezione internazionale, che non rappresentano più del 15/20 per cento di chi è sbarcato a Lampedusa nelle ultime settimane, e quelli che invece sono immigrati irregolari senza titoli per restare in Europa”.
Frattini e Maroni dicono che l’Europa non so muove: non è vero.
Sarà il prossimo Consiglio Affari interni, programmato a Lussemburgo per l’11 aprile, l’occasione per i 27 ministri Ue di affrontare la delicata questione del “burden sharing” per quanto riguarda i rifugiati, ovvero la ripartizione fra stati membri di chi ha diritto di ottenere la protezione internazionale.
Secondo quanto si apprende a Bruxelles, inoltre, sul tavolo della riunione di aprile ci sarà anche la possibilità di far scattare per la prima volta la direttiva sulla “protezione temporanea”, istituita nel 2001 per far fronte a eventuali arrivi in massa di sfollati da zone in crisi.
L’obiettivo sarebbe di arrivare a un’approvazione da parte dei capi di Stato del “principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri, anche sul piano finanziario” in materia di immigrazione e asilo.
La Malmstrom ha sottolineato che la solidarietà si attiva “su base volontaria” fra Stati membri, aggiungendo che nel consiglio dell’11 aprile i ministri “lavoreranno su due scenari di riallocazione” come fatto per gli ultimi due anni per Malta o per iracheni distribuiti in Europa.
Certo che se qualcuno pensava di risolvere il problema alla Gheddafi, affogando i profughi, o anche restituendoli al mittente di forza, forse rivela qualche nostalgia per i regimi totalitari.
Nei Paesi civili funziona diversamente.
Non solo: dato che l’arrivo di profughi era ampiamente prevedibile, le strutture per ospitarli avrebbero dovuto essere pronte da tempo, invece che ricorrere alle tendopoli dei terremotati.
Qua invece l’improvvisazione regna, la demagogia pure e le palle governative volano.
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL MARITO TUONA CONTRO I PARASSITI DI ROMA E GLI SPRECHI DELLO STATO ASSISTENZIALISTA, LA MANUELA INCASSA DAL 1992 LA PENSIONE E SI DEDICA ALLA SCUOLA BOSINA FINANZIATA, CASO STRANO, DALLO STATO CON 800.000 EURO NEL 2010…E IL TROTA L’HANNO PIAZZATO IN REGIONE A 12.000 EURINI AL MESE
La notizia è di quelle a cui ci ha abituato questo Paese, afflitto dalla maledizione dei paradossi, degli sprechi, e delle ingiustizie sancite per decreto e controfirmate con i sigilli di ceralacca.
La notizia è questa: la moglie del nemico giurato di Roma, la moglie del guerrigliero indomito che si batte contro lo Stato padrone e che fa un vanto di denunciare gli sprechi dello Stato assistenzialista, è una baby pensionata.
Proprio così, avete letto bene.
La moglie di Umberto Bossi, Manuela Marrone, riceve un trattamento previdenziale dal lontano 1992, da quando, cioè, alla tenera età di 39 anni, decideva di ritirarsi dall’insegnamento.
Liberissima di farlo, ovviamente, dal punto di vista legale: un po’ meno da quello dell’opportunità politica, se è vero che suo marito tuona un giorno sì e l’altro pure contro i parassiti di Roma.
E si sarebbe tentati quasi di non crederci, a questa storia, a questo ennesimo simbolo di incoerenza tra vizi privati e pubbliche virtù, se a raccontarcela non fosse un giornalista a cui tutto si può rimproverare ma non certo l’ostilità preconcetta alla Lega Nord e al suo leader, Mario Giordano.
Eppure, nello scrivere il suo ultimo libro inchiesta (“Sanguisughe”, Mondadori, 18 euro, in uscita martedì prossimo), Mario Giordano deve essersi fatto una discreta collezione di nemici, se è vero che l’indice dei nomi di questo libro contiene personaggi noti e ignoti, di destra e di sinistra, gran commis e piccoli furbi, una vera e propria pletora di persone che a un certo punto della loro vita, anche se molto giovani, hanno deciso di vivere alle spalle della collettività e di chi lavora, approfittando dei tanti spifferi legislativi che il Palazzo ha generosamente concesso in questi anni.
Il libro di Giordano (sottotitolo: le pensioni d’oro che ci prosciugano le tasse) però ha un attacco folgorante.
Ed è la riproduzione dell’estratto conto di una pensione di 78 centesimi.
Una incredibile “busta paga” autentica che nasce così: “Pensione lorda 402,12 euro, trattenute Irpef 106,64 euro, saldo Irpef 272.47, addizionale regionale 23.00, arrotondamento 0.78. Totale: 0.78”.
Scrive Giordano: “Quando uno Stato si accanisce su una pensione minima di 402 euro (che è già una miseria) e la riduce a 0.78 centesimi (che è appunto un insulto) mentre lascia inalterati i supervitalizi dei parlamentari, il loro insindacabile diritto al cumulo, o gli assegni regalati a qualche burocrate d’oro, ebbene, noi non possiamo far finta di niente”.
Allora, forse, si può leggere questo libro saltando da un assurdo all’altro. Dalla “pensione centesimale” a quella della signora Marrone in Bossi, che è — in Italia — non un caso isolato, ma una delle 495.000 persone, come racconta il direttore dell’agenzia NewsMediaset, “che ricevono da anni la pensione senza avere i capelli grigi e senza avere compiuto i sessant’anni di età ”.
Nel 1992, quando la Marrone aveva 39 anni, Bossi attaccava “la palude romana” e chiedeva di cambiare.
“Come no? — chiosa Giordano — Il cambiamento, certo. E intanto la baby pensione, però”.
Manuela Marrone, seconda moglie di Bossi, siciliana d’appartenenza attraverso il nonno Calogero “che arrivò a Varese come impiegato dell’anagrafe e finì deportato nei lager nazisti, dopo aver aiutato molti ebrei a scappare” custodì Bossi nella convalescenza dopo l’ictus e favorì l’ascesa del figlio Renzo.
“Fra le attività che ha seguito con più passione — annota Giordano — la scuola elementare Bosina, da lei medesima fondata nel 1998, ‘la scuola della tua terra’, che educa i bambini attraverso la scoperta delle radici culturali, anche con racconti popolari, leggende, fiabe, filastrocche legate alle tradizioni locali. E sarà un caso che nelle pieghe della Finanziaria 2010, fra tanti tagli e sacrifici, sono stati trovati i soldi per dare un bel finanziamento, (800 mila euro) proprio alla Bosina?”.
Tutto sembrerebbe fuorchè un caso.
La signora Bossi, d’altronde, ha molto tempo libero perchè riceve un vitalizio regolarmente.
“Aveva diritto a prendere i suoi 766,37 euro al 12 di ogni mese, ha diritto a percepire l’assegno, che in effetti incassa regolarmente da 18 anni, da quando suo figlio Renzo, il Trota, andava in triciclo, anzichè andare in carrozza al consiglio regionale” (Già , perchè se tra pensione, parlamento e Regione, se non ci fosse lo Stato assistenzialista, il reddito di casa Bossi passerebbe da quasi trecentomila euro a zero).
Ma Manuela non è sola: il corposo capitolo sui baby pensionati si apre con la storia di Francesca Z., che si è messa a riposo nel 1983, quando aveva appena 32 anni (“L’ex collaboratrice scolastica ha già ricevuto dallo Stato 280 mila euro, cioè 261 mila euro più di quanto abbia versato in tutta la sua carriera — si fa per dire — lavorativa”).
E prosegue con i casi di Carlo De Benedetti (in pensione a 58 anni), Cesare Romiti (2.500 euro a 54: ai tempi della marcia dei quarantamila, nel 1980, era pensionato da tre anni!).
Ma non mancano i grandi moralisti.
Adriano Celentano è in pensione da quando aveva 50 anni.
Oppure le artiste: Raffaella Carrà e Sophia Loren (in pensione da quando avevano 53 anni) e i duri come Carlo Callieri (l’ex uomo forte della Fiat) che prende la bellezza di 5 mila euro al mese da quando aveva 57 anni.
Ecco perchè, in mezzo a questa selva di nomi il consiglio è di non leggere i capitoli sulle pensioni onorevoli, sulle pensioni d’oro, e sulle pensioni truffa. Vi incazzereste troppo.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL PARTITO DEGLI ACCATTONI NON RIESCE A FAR PASSARE IL VERBALE EDULCORATO DI IERI E SE LA PRENDE CON FINI CHE APPLICA IL REGOLAMENTO…I SERVI NON ESCONO IN TEMPO DALLA CUCINA E SI ATTARDANO A LECCARE LA CIOTOLA: IL VOTO ERA GIA’ CHIUSO
Il giorno dopo la bagarre fuori e dentro Montecitorio, per la decisione della maggioranza di imporre un’inversione dell’ordine dei lavori anticipando la discussione sulla cosiddetta prescrizione breve, il testo che prevede la riduzione dei tempi di giudizio e di cui potrebbe beneficiare anche Silvio Berlusconi per il caso Mills – di qui le accuse di ennesima legge ad persona – approda in Aula per il dibattito.
L’inizio dei lavori era stato fissato per le dieci, per dare modo all’ufficio di presidenza della Camera di valutare l’episodio del battibecco tra Ignazio La Russa e il presidente Gianfranco Fini, preceduto dalle polemiche tra lo stesso La Russa e i rappresentanti dell’opposizione, che ha di fatto determinato l’interruzione della seduta e l’aggiornamento a oggi.
E’ stato proprio Fini a chiedere ai questori di esaminare «la genesi di quanto accaduto», in particolare per determinare se c’è stata oppure no una mancanza di rispetto da parte del ministro nei confronti della presidenza rappresentata da un «vaffa» espresso a gesti (e forse non solo a giudicare dal labiale) da La Russa.
Una sanzione nei confronti del ministro viene data per scontata da molti, anche se non esistono precedenti del genere.
Per questo motivo l’ufficio di presidenza ha rimandato ogni decisione nell’attesa che esprima un parere anche la Giunta per il regolamento, appositamente convocata per le 16.
La Russa, in ogni caso, ieri in serata, aveva telefonato a Fini per un chiarimento a voce e per esprimere le sue scuse, pur ritenendo di non avere commesso alcuno sgarbo verso la presidenza.
Al di là di un intervento sanzionatorio formale nei suoi confronti, nei corridoi di Montecitorio la querelle con Fini e l’intervento «muscolare» con cui prendendo la parola dai banchi del governo aveva rivendicato il suo faccia a faccia con i manifestanti in piazza Colonna («Figuriamoci se mi sono lasciato intimidire, sono andato loro incontro a testa alta mentre voi – rivolto all’opposizione, ndr – sareste scappati come conigli!») sono stati oggetto di critiche da una parte dei deputati del Pdl, in particolare da quelli che fanno capo all’ex ministro Claudio Scajola che hanno stigmatizzato pubblicamente il suo comportamento.
In ogni caso la discussione oggi entra nel vivo e si attendono nuove scintille. Le prime sono arrivate già a inizio di seduta con la mancata approvazione del processo verbale della seduta di ieri.
Il no è arrivato mediante voto elettronico.
La cosa non è così usuale, perchè solitamente si approva senza troppi dibattiti e per alzata di mano.
Ma le opposizioni, Pd, Udc e Idv, hanno contestato che nel processo verbale non ci fosse esplicito riferimento all’episodio che ha visto protagonista il ministro La Russa.
La votazione ha visto un pareggio e dunque il processo è stato respinto. Diversi esponenti del governo erano arrivati di corsa per votare – e per questo era stato sospeso il Consiglio dei ministri in corso a Palazzo Chigi – ma i loro voti non sono comunque bastati.
La seduta è poi stata sospesa.
Va tra l’altro registrato il gesto di stizza del ministro della Giustizia, Angelino Alfano.
Alla chiusura del voto sul processo verbale Alfano, secondo quanto riferito dal leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, ha infatti gettato la sua tessera della Camera contro i banchi dell’Italia dei Valori.
«È stato un gesto irresponsabile, immorale, illegittimo da parte del portantino di Berlusconi», ha detto Di Pietro davanti alle telecamere e mostrando tra le mani la tessera di Alfano.
«Lo denuncerò al presidente della Camera» aggiunge l’ex pm stigmatizzando «lo spregio e il disprezzo del ministro nei confronti del Parlamento». Disprezzo tale che, conclude Di Pietro, «mi fa chiedere le immediate dimissioni del ministro».
Esponenti della maggioranza hanno invece criticato Fini sia per avere concesso il voto sui verbali (ma il presidente ha fatto notare che era impossibile non farlo essendo stato chiesto da tutte le opposizioni) sia per non avere voluto attendere l’arrivo di altri ministri a dar manforte alla maggioranza.
Quattro di loro, secondo la maggioranza, erano già in aula e quindi sarebbe bastata un’attesa di pochi altri minuti e per questo Pdl e Lega sono tornati a chiedere le dimissioni del presidente, considerato non più «super partes».
Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha fatto invece notare che «è stata una votazione lunghissima» e che «il Parlamento non può aspettare i comodi dei ministri» e Dario Franceschini ha parlato di «spettacolo indecoroso» da parte del governo che interrompe un consiglio dei ministri per consentire ai suoi esponenti di votare un verbale.
E non solo: a segnare il nervosismo della giornata c’è il fatto che il presidente della Camera è stato colpito alla testa da un giornale che gli è stato lanciato da un deputato del Pdl mentre usciva dal’Aula della Camera dopo la bocciatura del processo verbale.
Il giornale, riferiscono i presenti, ha colpito in pieno il presidente della Camera, che ha individuato l’autore del lancio, con il quale ha avuto uno scambio di battute.
Anche oggi ci saranno mobilitazioni del «popolo viola» all’esterno di Montecitorio, in concomitanza con la discussione del testo sul processo e della prescrizione breve.
«Staremo lì fino a che il dibattito si svolgerà alla Camera – ha annunciato Gianfranco Mascia, uno dei coordinatori -. Poi ci sposteremo al Senato. In questo momento, decisivo per le regole democratiche del nostro Paese, è fondamentale che ciascuno faccia la sua parte».
Non solo: è allo studio una mobilitazione nazionale che unisca partiti, movimenti e società civile che potrebbe essere convocata per il 16 aprile.
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
AI PRIMI DI GIUGNO LO STOP DEFINITIVO, PER I PROCESSI MEDIASET E MEDIATRADE TEMPO FINO AL 2011…ININFLUENTE SUL PROCESSO RUBY DOVE PERO’ SI PENSA AL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE… LA SCOPO E’ QUELLO DI NON ARRIVARE A UNA CONDANNA IN PRIMO GRADO SUL CASO MILLS
Il prossimo 9 maggio, quando il presidente Francesca Vitale riaprirà il processo Mills, ci sarà solo lo spazio per riflettere su un dato.
Il tempo per ascoltare gli ultimi testimoni (19), è praticamente scaduto.
Per salvarsi dalla prescrizione mancherebbero infatti solo pochi giorni.
Troppo poco, tenuto conto degli impegni del premier, disponibile a presentarsi in tribunale, a Milano, solo un giorno alla settimana per tutti e quattro i processi in cui è attualmente imputato.
È questo il risultato, concreto, della legge sul processo breve attesa oggi dal voto della Camera.
I già risicati tempi per tentare di arrivare fino in Cassazione fissavano l’asticella a fine gennaio 2012, e già così la corsa sarebbe stata dura.
Ora, con la norma che riconosce una sorta di un beneficio agli imputati incensurati (Berlusconi), il tempo si accorcerebbe di altri sei mesi.
Ai primi di giugno, dunque, verrà decretato il triplice fischio.
Al pm Fabio De Pasquale non sarà nemmeno consentito di arrivare alla requisitoria.
Il capitolo Mills, la corruzione da 600 mila dollari che il Cavaliere avrebbe garantito all’avvocato inglese per garantirsi l’impunità nei processi All Iberian e Gdf, è certamente quello in cui l’accusa ha i riscontri più solidi.
Forte di una sentenza della Cassazione a Sezioni unite, in cui, nel febbraio 2010, Mills è stato riconosciuto colpevole di corruzione giudiziaria, condannato a risarcire 250 mila euro allo Stato, anche se prescritto.
La sua posizione era stata stralciata dal corruttore di questa storia, ovvero Silvio Berlusconi, grazie all’introduzione del Lodo Alfano.
Una volta che la Consulta aveva bocciato il “Lodo”, il processo a carico del Cavaliere era ripartito, di fronte al collegio presieduto dalla Vitale.
Tra il dibattimento e la sentenza, però, il Parlamento aveva approvato il “legittimo impedimento”.
Dopo nove mesi di stop forzato, sempre la Corte Costituzionale, due mesi fa, aveva in parte riformato la legge, imponendo al politico-imputato (Berlusconi) e ai giudici, di trovare un ragionevole compromesso per garantire il regolare svolgimento dei processi.
Da allora, dal 13 gennaio scorso, in aula per l’affaire Mills si è tornati solo per due udienze.
Se la nuova norma sulla cosiddetta “prescrizione breve” dovesse passare il vaglio della Camera, dunque, al processo mancherebbe quell’ossigeno indispensabile per sopravvivere.
La riforma, invece, solo marginalmente segnerebbe il destino degli altri dibattimenti a carico del premier.
Per Mediatrade (appropriazione indebita e frode fiscale) e Mediaset (frode fiscale), il discorso è simile.
Lo “sconto” per gli imputati incensurati (sempre Silvio Berlusconi), limerebbe di sei mesi i tempi di prescrizione.
I due processi andrebbero dunque avanti, con il termine ultimo fissato per entrambi intorno a metà 2013.
Sul Rubygate, invece, la riforma non avrebbe alcun effetto.
La concussione contestata al premier (per le pressioni sulla questura milanese per il rilascio della minorenne Ruby Karima), viene punita con una pena fino a 12 anni.
La prescrizione, in questo caso, resterebbe inalterata al 2025. Conflitto di attribuzione permettendo.
Emilio Randacio
(da “La Repubblica“)
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
PRESCRIZIONE BREVE, SCOPPIA LA RIVOLTA: FUORI VOLANO INSULTI E MONETINE CONTRO IL PROVOCATORE, DENTRO LA RUSSA DA’ IN ESCANDESCENZE E GRANATA COMMENTA: “HA CAMBIATO PUSHER”… SCAJOLA : “METODI INACCETTABILI, QUELLI DI LA RUSSA NON APPARTENGONO ALLA NOSTRA CULTURA, ORA CI TENIAMO LE MANI LIBERE”
«Stai zitto». «Non ti devi permettere». «Ma vaffanculo!».
Quella «piazza» che, secondo La Russa, non si sarebbe dovuta nemmeno avvicinare al portone di Montecitorio, alla fine è tracimata fin dentro l’aula.
E a portarcela ieri sera è stato proprio il ministro della Difesa, trasformando per mezz’ora il Parlamento in una vucciria.
Lo scambio di battute tra La Russa e Fini è durissimo, è evidente che travalica i confini della contingenza e si gonfia di un livore coltivato da mesi.
«Un ministro che manda affanculo il presidente della Camera – sibila furibondo Claudio Scajola – non si era mai visto».
L’attacco di La Russa è premeditato.
Esce fuori da Montecitorio, affrontando i manifestanti insieme a Daniela Santanchè, beccandosi insulti e un lancio di monetine.
Non ci voleva molto a capire che sarebbe stata una provocazione, visto che da un’ora lì fuori 200 persone stanno gridando a squarciagola «vergogna», «mafiosi», «corrotti».
Insomma, la Russa sosterrà di essere uscito dal portone solo «perchè avevo un appuntamento lì vicino», a molti invece la sua appare come una mossa studiata.
Gli ex An in Transatlantico si passano la voce: «Tutti dentro, Ignazio farà un casino». È chiaro a tutti che sta per succedere qualcosa, La Russa è incontenibile.
Ghedini capisce al volo che può andare in fumo il tentativo di portare a casa la legge pro-Berlusconi e sprona Angelino Alfano e Fabrizio Cicchitto. Entrambi scongiurano La Russa di lasciar perdere: «Ignazio calmati, così puoi mettere a rischio il provvedimento».
La Russa non li ascolta nemmeno. Solo la Prestigiacomo lo giustifica: «Lasciatelo fare, si deve sfogare». Si sfogherà , eccome.
Presa finalmente la parola, La Russa racconta di essere stato aggredito fuori da Montecitorio.
«Ho riconosciuto una persona, era l’organizzatore dei fischi a Silvio Berlusconi il 17 marzo. La stessa persona, vestita nella stessa maniera». Insomma, quanto accaduto, sarebbe «il frutto di una contestazione premeditata alla maggioranza, agli organi costituzionali, alla libertà del Parlamento».
Poi, rivolto ai banchi dell’opposizione, che già inizia a rumoreggiare: «Voi siete complici se reagite così. Siete violenti più di loro».
Dario Franceschini gli risponde, si chiede come mai i manifestanti non siano stati tenuti come al solito dietro le transenne e “come mai, casualmente, La Russa, che ha un volto noto, non ha mancato di uscire dal portone principale per essere vittima di aggressione… Se avvengono episodi di violenza si condannano ma… “.
L’orologio segna le 18.30, in aula scoppia l’inferno.
La Russa applaude ironicamente il capogruppo Pd: «Bravo, ma bravo».
Dai banchi del Pd e dell’Idv gli gridano di tutto: «Fascista! Dimettiti! Coglione!».
La Russa chiama i suoi a rispondere, mentre i forzisti e i leghisti restano attoniti.
Arriva l’incidente più grave, quello con Fini. «Onorevole ministro, la prego di avere un atteggiamento rispettoso», dice il presidente con la campanella in mano.
La Russa si mette l’indice davanti alla bocca, come a dire: stai zitto.
Poi si gira e («rivolto alla presidenza», annotano diligentemente i quattro scrupolosi stenografi d’aula) fa il gesto di Chinaglia a Valcareggi, dicendo «Ma vaffanculo!».
Prima di sospendere la seduta, Fini replica: «Non le consento di insultare la presidenza».
Spento il microfono, gli urla in faccia: «Ma come ti permetti!».
Il presidente della Camera è furibondo, quando incrocia i deputati del Pdl quasi li travolge e lancia il suo anatema: «Quello è da curare, curatelo!».
Nel Pdl c’è chi sostiene di aver sentito dire a Fini anche altro contro l’ex ministro.
Ma sono in molti a far riferimento esplicitamente a uno stato alterato di La Russa e all’uso di stupefacenti.
Il Pd Sandro Gozi: «Aveva sbagliato la dose».
Il finiano Granata: «Ha cambiato pusher».
Pier Luigi Mantini, Udc, invoca addirittura «un test antidroga».
Mentre il terzo polo ne invoca le dimissioni, La Russa in serata telefona a Fini per scusarsi: «Ce l’avevo con Franceschini».
Ma il presidente della Camera gli risponde gelido: «Non è stata un’offesa alla persona ma all’istituzione. La gravità di quanto accaduto sarà quindi valutata dagli organismi di Montecitorio».
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
ALLA LEGA IL CAOS NELL’ISOLA CONVIENE: LA LEGA SENZA CLANDESTINI NON SAREBBE NULLA…MA QUANDO L’EMERGENZA POI ARRIVA DAVVERO NON SA COME GESTIRLA, IGNORANDONE CAUSE ED EFFETTI
Il caos a Lampedusa è colpa di Bobo Maroni, perchè alla Lega non frega nulla dell’Italia.
Questo è un dato di fatto, conclamato e aritmeticamente dimostrato.
Sono mesi che il ministro dell’Interno lancia l’allarme su emergenze come quella che si sta drammaticamente vivendo in questi giorni a Lampedusa. Mesi di avvisaglie, di conferenze stampa, di annunci, di comunicati alle agenzie: ma in concreto cosa ha fatto per prevenire tale scenario?
A cosa serve inviare oggi navi, militari, mezzi aeronavali: ormai è tardi.
Se lo raccontavano ai quattro venti, perchè mai non hanno fatto nulla per evitare tutto questo?
Perchè non hanno mandato le navi prima?
Perchè non sono andati a Lampedusa prima che l’inevitabile accadesse?
La risposta è semplice: gli conviene così.
Perchè la Lega senza cladestini non sarebbe nulla.
La Lega senza questa emergenza sarebbe il nulla.
Perchè il partito della Padania, quello impegnato nel preservare le identità , o il neolocalismo da strapazzo, prima imbeve di cultura emergenziale il tessuto sociale del Paese e straripa in propaganda e demagogia.
E poi, quando l’emergenza arriva davvero, non sa come gestirla, da dove iniziare, ignorandone cause ed effetti.
La “vampirizza”, perchè il suo unico obiettivo è sub alimentare una perenne competizione elettorale, senza la quale la sua sopravvivenza stessa non avrebbe senso.
Perchè non offre risposte, non azzarda analisi o proposte (ragionate), non volge lo sguardo al futuro.
Rinchiusi come sono in un provincialismo fanatico e sordo.
Come dimostrato, ancora una volta, con la fuga dall’aula del consiglio regionale lombardo, in occasione dell’Inno di Mameli.
E’come la battutaccia che ripete Umberto Bossi: “Immigrati fora da i ball. Al Nord? Meglio restino vicino casa”.
No, non sono più in gioco il dispetto fatto agli avversari, o le schermaglie campanilistiche buone forse per strappare qualche altro consiglio di amministrazione nelle municipalizzate, o l’opportunità di conquistare le prime pagine di qualche foglietto di partito, dalle parti del fu Pdl molto in voga.
Qui si tratta di certificare dinanzi ad un notaio, perchè no un cittadino lampedusano, che chi dovrebbe impedire quel caos nè è stato invece il principale artefice.
(da “Il Futurista“)
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
SECONDO I PM, NICCOLO’ NOTARO POTREBBE ESSERE L’ANELLO DI COLLEGAMENTO TRA COSA NOSTRA E IL MINISTRO…GIA’ CONDANNATO PER RICICLAGGIO DEI CLAN PALERMITANI, DI LUI SI E’ OCCUPATO ANCHE L’FBI
Nell’inchiesta della procura antimafia di Palermo che ha portato nella bufera Saverio Romano, neo-ministro dell’Agricoltura del governo di Silvio Berlusconi, c’è un capitolo che riguarda i suoi rapporti con un rampante “picciotto” della cosca di Villabate con la passione per la politica e gli affari negli Usa.
Quel “picciotto” col pallino dei business negli Stati Uniti – portati avanti per conto di Cosa nostra – si chiama Nicolò Notaro, ha 43 anni, è nato a Palermo, ha una laurea in Giurisprudenza alla facoltà di Camerino e un master alla School of Law della Fordham University di New York City.
Notaro è stato condannato in primo grado dalla quinta sezione del Tribunale di Palermo a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa il 5 febbraio del 2010.
Per Notaro i pubblici ministero Nino Di Matteo e Lia Sava avevano chiesto una condanna a 14 anni per avere “investito in attività formalmente lecite ingenti somme di denaro provenienti dalle attività delittuose”: 300 mila dollari della famiglia mafiosa del suo paese, un grosso centro alle porte di Palermo.
Ex responsabile del Cdu di Villabate, di cui Romano è stato esponente di spicco prima di transitare nell’Udc e ora nei Popolari di Italia domani, Notaro è finito in carcere nel febbraio del 2007 nell’ambito di un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo e dei carabinieri sul clan di Villabate.
Notaro – scrissero i quotidiani il giorno dopo l’arresto – secondo la Procura antimafia avrebbe ricoperto il ruolo di “trait d’union” con esponenti politici di spicco della zona “ed in particolare con l’onorevole Saverio Romano”, già sottosegretario al Lavoro.
Nel dossier su Notaro c’è un capitolo che riguarda i rapporti con la politica, che il giovane di Villabate coltivò con successo fino a diventare segretario cittadino del Cdu nel comune che ha 20 mila abitanti, e quindi punto di riferimento di Romano.
Notaro, nel 2001, riuscì a far candidare per le elezioni regionali, in una lista satellite dell’Udc di Totò Cuffaro e Romano, un uomo di sua fiducia: Giuseppe Acanto, esponente del Biancofiore, risultato primo dei non eletti e approdato all’Assemblea Regionale Siciliana dopo l’arresto del carabiniere-deputato Antonio Borzacchelli, finito nell’inchiesta sulle “talpe” a palazzo di giustizia di Palermo.
Un impegno politico, quello di Notaro, che gli avrebbe pure fruttato un ruolo di consulente del Comune di Ficarazzi e che non andò a discapito degli affari e delle frequentazioni sospette oltreoceano.
Non passò inosservato un incontro, documentato dall’Fbi, avvenuto a New York nel novembre 2003 tra Notaro, Nicola Mandalà (l’uomo che aiutò il boss Bernardo Provenzano nella trasferta a Marsiglia per l’operazione alla prostata), Ezio Fontana e Giovanni Nicchi (due fedelissimi del “ras delle estorsioni” Salvatore Lo Piccolo) e i due italo-newyorkesi Frank Calì e Pietro Inzerillo.
Il primo, Calì, era un imprenditore fino ad allora incensurato che si occupava a New York della distribuzione di prodotti alimentari italiani e che è stato arrestato per mafia nel 2008. Il secondo, Inzerillo, è un discendente della storica famiglia di mafiosi costretti a fuggire da Palermo negli Usa negli anni Ottanta dopo aver tentato inutilmente di fare la guerra ai “corleonesi” di Totò Riina).
Nell’inchiesta del 2008 denominata “Old Bridge” (che tra New York e Palermo ha portato in carcere 90 presunti affiliati alle cosche statunitensi e italiane) venivano svelati i rapporti tra Notaro e Calì, soci della Haskell International Trading Inc., sede al 900 South Avenue di Staten Island, New York. La Haskell almeno fino al 2003 si occupava delle distribuzione di prodotti alimentari importati dall’Italia.
Di Calì aveva parlato una fonte dell’Fbi, Frank Fappiano: aveva rivelato che nel 1999 Calì era conosciuto come un “wiseguy”, uomo d’onore” legato ai fratelli John e Joe Gambino, ed era stato promosso al posto di Jackie D’Amico come “capo” della decina della 18th strada di Brooklyn, a New York. Notaro, seguito e fotografato durante lo shopping, i pranzi e i colloqui rimasti riservati tra i grattacieli di Manhattan con i “newyorkesi” made in Palermo, finì nei guai. Trascinando dietro di sè anche il nome di Saverio Romano.
Umberto Lucentini
(da “L’Espresso“)
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
PIONATI IL PIÙ NERVOSO DEL GRUPPO: VOLEVA FARE IL VICEMINISTRO, MA GLI È ANDATA MALE…ORA SONO IN SILENZIO STAMPA, OGNI TANTO DISERTANO LE VOTAZIONI E LANCIANO AVVERTIMENTI AL PREMIER
Come gli azzurri della Nazionale di Bearzot nell’Ottantadue, i Responsabili vanno incontro alla storia anche con un propedeutico silenzio stampa.
È il caso del campano Bruno Cesario: “Oggi non parlo, mi dispiace. Queste sono le ore più importanti della mia carriera politica”.
La sua coppa del mondo è un posto da sottosegretario. L’ora è solenne, l’attesa snervante.
In aula il governo va giù su un emendamento del Pd e sui Responsabili viene caricata la croce delle assenze decisive.
Un segnale al Caimano, per spingerlo già stamattina, nel consiglio dei ministri dedicato all’emergenza di Lampedusa, a dare “il giusto riconoscimento alla terza forza della coalizione”, come ammette uno degli assenti a microfoni spenti.
Terza forza. Terza gamba.
I responsabili, in una parola. Ventinove deputati e sei sigle.
Il premier deve riempire undici caselle rimaste vuote.
Altre dodici verranno con il disegno di legge per aumentare le poltrone di governo e spiantare la Bassanini.
In queste ore alcuni ministri stanno compilando schede tecniche con le esigenze dei loro dicasteri.
In pratica, mettono nero su bianco le richieste di uno, due o tre sotto-segretari a testa. Il rimpasto sulle ventitrè. A dire il vero, ventiquattro.
Perchè il siciliano Romano è già passato all’incasso con il ministero dell’Agricoltura. Il giorno che ha giurato, giovedì scorso, ha festeggiato con un grande pranzo in un ristorante del centro di Roma.
Cinquanta invitati, tutti dalla Sicilia, tra familiari, affini e amici.
Gli altri quattro Responsabili che aspirano sono: Calearo, da viceministro per il Commercio con l’Estero, poi l’ex finiana Polidori, il già citato Cesario, Belcastro di Noi Sud, l’ex pastonista del Tg1 Pionati, tutti e quattro da sotto-segretari.
Due variabili, da aggiungere alla lista della spesa di Iniziativa Responsabili, sono la Siliquini, altra ex di Fli, e Antonio Milo, che insidia Belcastro in quota Noi Sud.
Un vortice di ambizioni che s’impenna nel primo pomeriggio.
In Transatlantico Veltroni e D’Alema passeggiano insieme e ridono e una voce si schianta sui Responsabili: “Domani in cdm il premier nominerà solo tre vice-ministri”. Calearo, Anna Maria Bernini del Pdl con la delega che fu di Romani (oggi allo Sviluppo economico che fu di Scajola, che a sua volta potrebbe rientrare alle Politiche comunitarie che furono di Ronchi); l’ex autonomista Misiti alle Infrastrutture.
Qualche sottosegretario in pectore ha un mancamento: “Non è vero, domani tocca anche a noi”.
Un collega papabile lo rassicura: “Non preoccuparti, a cena Berlusconi ci ha detto che risolverà la questione entro martedì prossimo”.
Ma il più frenetico di tutti è Francesco Pionati, in abito chiaro.
L’ex notista del Tg1 è l’anti-Romano dei Responsabili.
I due non si sopportano.
Sul web è diventato un cult il fuorionda di Pionati a Exit, alla vigilia della nomina di Romano a ministro: “Io non mi faccio rappresentare da Romano. Se vado al nord con Romano sul palco non faccio altro che raccogliere ortaggi, è una situazione pericolosa. Noi abbiamo l’immagine di persone perbene, i siciliano so’ siciliani”.
In realtà il Pid di Romano, Popolari per l’Italia di domani, rischia di stroncare la vera ambizione di Pionati: diventare il nuovo Casini del centrodestra con la Alleanza di centro.
Un partitino che ha reclutato l’attrice Debora Caprioglio e vanta un inno-karaoke che recita: “Noi vogliamo difendere l’onore di chi non ha più santi da pregare/ di chi non ha uno straccio di lavoro/ raccoglieremo voci in un sol coro”.
Alla corte del Caimano, le dichiarazioni di Pionati su Romano non sono piaciute per niente e questo avrebbe fatto perdere già la prima battaglia al capo dell’Adc: quella con la Bernini, figlia d’arte di un ministro berlusconiano del ’94 poi in An infine nel Pdl, per la poltrona di vice-ministro alle Comunicazioni.
Pionati ci teneva tantissimo.
Ma le sue frasi in libertà gli hanno appiccicato l’etichetta di “inaffidabile” nell’inner circle di Palazzo Grazioli.
E poi spiega un deputato del Pdl, “Francesco rappresenta solo se stesso, se diventa sottosegretario è grasso che cola”.
Sottosegretario come, per esempio, lo storaciano Musumeci.
Oppure il calabrese Galati, già coinvolto in un’inchiesta su festini a luci rosse e coca, che poi ha sposato la leghista Lussana dopo un adeguato trapianto di capelli.
Oggi Galati è con i Cristiano Popolari del Pdl (da non confondere con quelli Riformisti). Il premier andrà alla loro convention giovedì mattina.
Il rimpasto è in atto. E se il ddl va avanti c’è posto per tutti.
Ventitrè, almeno.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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