Destra di Popolo.net

LA LETTERA: MIO FIGLIO CIECO SENZA GIOCHI, GRAZIE ALLA GELMINI

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

I NON VEDENTI ESCLUSI DAI GIOCHI DELLA GIOVENTU’ PER MANCANZA DEI FONDI NECESSARI A GARANTIRE LA   LORO ASSISTENZA…OGGI SCOPRO CHE MIO FIGLIO E’ MENO STUDENTE, MENO CITTADINO, MENO IMPORTANTE DEGLI ALTRI

Caro ministro Gelmini,
ieri mio figlio che ha 10 anni mi ha chiesto di essere lasciato al portone e di poter salire al secondo piano per raggiungere la casa della nonna da solo.
Cosa c’è di strano in questo? Nulla, ma di particolare c’è che mio figlio è cieco dalla nascita.
È inutile dirle quale felicità  abbia provato io nel vederlo, in assoluto silenzio, salire quelle scale, contando i gradini e mantenendo altissimo il livello di concentrazione.
È inutile dirle quanto abbia sofferto nel non aiutarlo e nel dargli quella fiducia necessaria a compiere una straordinaria impresa.
È inutile dirle che per questi bambini ogni azione che per gli altri è normale costituisce un traguardo, che con sforzo, dedizione e tanta fatica a volte si supera.
È inutile dirle che per un genitore ogni conquista e ostacolo superato è soddisfazione e dolore.
Mio figlio frequenta una scuola pubblica dove ogni giorno si confronta con bambini della sua età  e ogni minuto rinnova la consapevolezza della sua diversa abilità , che diventa poi una risorsa quando riesce faticosamente a fare le cose insieme a loro.
Ho sempre pensato che la sua diversa normalità  non fosse un limite ma la capacità  di fare le cose in altro modo, ho sempre creduto che il confronto con gli altri bambini fosse per entrambi fonte di arricchimento e di conoscenza.
Ho sempre creduto che il sapere, il conoscere chi è diverso permette di sconfiggere l’ignoranza, il pregiudizio, l’emarginazione.
Oggi scopro che gli studenti diversamente abili non possono correre, giocare e divertirsi ai Giochi della Gioventù, come tutti gli altri, ma devono restare a guardare, fare da spettatori di una vita normale che è degli altri e non la loro. Perchè non ci sono i fondi necessari a garantire la loro assistenza.
Oggi apprendo che essere diversamente abile è un ostacolo non a se stessi, alle proprie capacità  di fare le cose, ma agli altri, alla loro normalità  e alla loro possibilità  di arrivare primi o ultimi.
Oggi scopro che mio figlio è meno studente, meno cittadino, meno importante degli altri.
Non era questo il mondo che io ho immaginato per lui, non era questo il futuro che speravo per lui e le assicuro che pensare al domani di questi bambini non è fonte di tranquillità .
Soprattutto quando la discriminazione arriva da chi dovrebbe prendersi cura di loro.
Le auguro di divertirsi ai Giochi della Gioventù, ma le auguro anche che tutte le persone che rifiutano la discriminazione disertino questa manifestazione, lasciandola sola a guardare nel vuoto.
Perchè è questo, il vuoto, che lei ha lasciato dentro di me.

Valentina Rinaldi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CAMBIO DI DIRETTORE AL “SECOLO”: IL PARTITO DEL BUNGA BUNGA CACCIA FLAVIA PERINA

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

LA GIORNALISTA AVEVA LASCIATO IL PDL E AVEVA SEGUITO FINI IN FLI… I COMPAGNI DI MERENDE DI GHEDDAFI ATTUANO LA NORMALIZZAZIONE E REPRIMONO LE VOCI LIBERE…FLAVIA ERA DA TEMPO NEL MIRINO DEI KILLER EX-AN: ORA VERRA’ SOSTITUITA DA UN ALTRO DEI TANTI SERVI DI CORTE

Drastico ma non certo inatteso cambio della guardia alla guida del ‘Secolo d’Italia.
Il Consiglio di amministrazione del quotidiano ha deciso di sostituire Flavia Perina, che dal Pdl aveva seguito Fini in Fli.
Un cambio di casacca che aveva indispettito chi nel Pdl voleva una direzione più in linea con il partito di Berlusconi.
Che la Perina non assicurava più. ‘Il cambio di linea portera’ alla morte
del Secolo. Se vogliono farne un altro giornale tipo ‘Libero’, sanno benissimo che non c’è mercato”.
Al momento non c’è ancora nessuna decisione sull’ipotesi di insediare un nuovo direttore politico.
A quanto si apprende, al timone della testata di via della Scrofa resterebbe il direttore responsabile Luciano Lanna.
“E’ stata una cacciata portata avanti con l’arroganza e la prepotenza senza idee che caratterizza, purtroppo, il cosiddetto Popolo delle libertà ” commenta la Perina.
Che racconta di aver appreso dell’esonero da una lettera “consegnata da una impiegata”.
Nel testo si afferma che l’esonero ‘ha effetto immediato’ e che il Cda ‘gradirebbe molto poterle affidare la rubrica settimanale ‘D’altro canto” che sarà  quanto prima attivata per consentire anche argomenti in dissenso rispetto alla linea editoriale”.
“La verità  – prosegue l’esponente di Fli – è che il Pdl non riesce a tollerare una voce di libertà . Hanno le tv, i grandi giornali, ma una voce libera per loro era troppo…”.
“Ben prima della frattura di Fli -ricorda Perina- questo mondo aveva manifestato la sua insofferenza per un quotidiano libero, coraggioso nell’affrontare temi scomodi, dall’integrazione ai rapporti con l’Islam, dalle veline in lista alla legalità , oltre ogni difesa d’ufficio degli assetti di potere del centrodestra. Personalmente, sono orgogliosa del lavoro che ho svolto al ‘Secolo’, insieme col condirettore Luciano Lanna e all’amministratore Enzo Raisi, ai colleghi, ai collaboratori, ai poligrafici e a tutta la struttura del nostro quotidiano”.
“Con me hanno condiviso e realizzato un progetto con pochi precedenti a destra, dimostrando – rimarca l’ex direttore – che il nostro mondo sa esprimere molto di più dell’invettiva e della retorica trombonesca che ha caratterizzato tanta stampa di destra. Un’ultima riga, a titolo di puro divertimento, voglio dedicarla all’offerta di una rubrica settimanale ‘in dissenso'”.
“In trent’anni di lavoro nelle redazioni non ho mai visto niente di più assurdo: basta questo per qualificare l’idea di libero giornale e di libero giornalismo di presunti ‘editori’ che non hanno avuto neppure il coraggio di affrontarmi in un responsabile colloquio”, conclude Perina.
Da parte nostra, una completa e totale solidarietà  a Flavia, amica di tante battaglie passate.
E una promessa agli accattoni pidiellini: non dimenticheremo.

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LE FOTO DELLE “CENE ELEGANTI” AD ARCORE: BACI TRA DONNE, MANETTE E DIVISE DA SEXY POLIZIOTTA

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

PUBBLICATE LE FOTO DELLE SERATE “BUNGA BUNGA” SCATTATE DALLE RAGAZZE COI TELEFONINI E SEQUESTRATE DALLA PROCURA DI MILANO… CONFERMANO I RACCONTI DI NUMEROSI TESTIMONI SUL TENORE DEI FESTINI

“Alcune delle ragazze che facevano lo spogliarello e che erano poi nude si avvicinavano al presidente, che gli toccava il seno o le parti intime o il sedere”. “Era un puttanaio”.
Sono un paio delle intercettazioni più note del Ruby gate.
Fin qui, qualcuno poteva dire, “solo” parole intercettate.
Ora, però, si possono vedere anche alcune foto, non di Berlusconi, ma di arcorine mentre si trovavano nella villa del premier.
Fra loro, una delle più gettonate, Barbara Guerra.
E anche se il premier continuerà  a ripetere che le cene a villa San Martino erano “innocenti”, anche se diverse “papi girl” hanno raccontato agli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo la storia di serate a base di “karaoke e Sanbittèr”, non solo le intercettazioni, ma anche le foto trovate nei pc o nelle memorie dei telefonini sotto sequestro il 14 gennaio, smentiscono sia Berlusconi che le sue ospiti a pagamento.
Le foto di Barbara Guerra, pubblicate dall’Unità , sono state trovate nel suo iPhone.
La conferma che siano state scattate ad Arcore è nella memoria elettronica che fissa data e ora degli scatti.
Ed ecco che vediamo la ragazza travestita da poliziotta che gioca con un paio di manette, a conferma di alcune testimonianze.
C’è anche la foto di ragazze che si baciano.
Delle scene saffiche, a quanto pare
una delle passioni del premier, ne avevano parlato anche Maria Makdoum, la danzatrice del ventre che ha descritto il bunga bunga.

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BERLUSCONI NEGA I BOMBARDAMENTI, MA I PILOTI RACCONTANO: “COLPITI OBIETTIVI LIBICI”

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

LE VERSIONI EDULCORATE DEL GOVERNO SECONDO LE QUALI I NOSTRI AEREI DEVONO SOLO PATTUGLIARE CONTRASTANO CON LE DICHIARAZIONI DEI NOSTRI MILITARI CHE, RIENTRATI ALLA BASE, HANNO PARLATO DI “SOPPRESSIONE” DELLE DIFESE AVVERSARIE E DI AVER   “COLPITO” OBIETTIVI LIBICI…UN GOVERNO SERVO DI BOSSI E DEI COMPAGNI DI MERENDE DEL BOIA DI TRIPOLI

Se sulla gestione del comando dell’operazione militare internazionale in Libia regna un’incertezza responsabile di forti tensioni diplomatiche, non è certo più chiara la dimensione del ruolo svolto dalle forze armate italiane.
I nostri Tornado partecipano attivamente alla missione, colpendo gli obiettivi nemici, o si limitano ad appoggiare i mezzi alleati?
Sui limiti e le caratteristiche dell’impegno dei nostri veivoli le versioni fornite da politici e militari sono quanto mai discordanti.
“I nostri aerei non hanno sparato e non spareranno”, ha assicurato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in serata, preoccupato tra l’altro di tranquillizzare una Lega resa sempre più irrequieta dall’impegno italiano in Libia.
“I nostri aerei – ha aggiunto il premier – sono lì per il pattugliamento e per garantire la no-fly zone”.
Ma le parole di Berlusconi cozzano con il resoconto fatto oggi dal comandante Mauro Gabetta, pilota e portavoce della base di Trapani Birgi.
“L’operazione di soppressione delle difese degli avversari condotta dai nostri apparecchi è stata positiva, gli obiettivi sono stati colpiti”, ha spiegato l’ufficiale. “La zona interessata era nei pressi di Bengasi”, ha sottolineato. “Siamo pronti a operare in seno alla coalizione internazionale e ci sentiamo responsabili nei confronti dei cittadini italiani e di tutti i paesi della coalizione – ha aggiunto
Gabetta – la nostra missione non è finita, siamo pronti a rispondere ogni volta che ci viene richiesto”.
A rendere ancora più confusa la situazione la notizia della rimozione dall’incarico del maggiore Nicola Scolari, uno dei piloti dei Tornado italiani che ieri sera hanno svolto una missione nei cieli di Bengasi.
Al rientro alla base di Trapani l’ufficiale aveva raccontato. “Abbiamo verificato la presenza o meno di radar nemici, ma non abbiamo rilevato emissioni tali per cui un nostro impiego fosse necessario”.
Oggi dallo Stato maggiore dell’Aeronautica si è appreso che per Scolari è stato disposto il rientro al suo reparto di appartenenza, a Piacenza.
La tesi del premier secondo la quale “i nostri aerei non sparano” rasenta l’umorismo, perchè la risoluzione dell’Onu autorizza a bombardare obiettivi militari libici che possano essere usati contro la popolazione civile.
Se non potessero neanche sparare, viene da chiedersi, che li avremmo mandati a fare?   A giocare a tresette col morto?

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LA RIVINCITA DI SARKOZY: RISCOPRE IL GAULLISMO E LANCIA LA LINEA DURA

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

DIETRO LA SVOLTA DEL PRESIDENTE GLI UOMINI DI CHIRAC: LA NECESSITA’ DI FAR DIMENTICARE LE CONNIVENZE DELL’ELISEO CON I DITTATORI…MA SARKOZY HA CAPITO CHE SE L’OCCIDENTE AVESSE LASCIATO SOLA LA GENERAZIONE CHE SI BATTE   PER LA DEMOCRAZIA ARABA SAREBBE ANDATA SPRECATA UN’OCCASIONE STORICA PER RIAVVICINARE LE DUE SPONDE DEL MEDITERRANEO

Quando il 10 marzo si è avventurato a parlare di Libia, annunciando all’improvviso che la Francia riconosceva gli insorti come gli unici legittimi rappresentanti di quel Paese, per poi inviare un ambasciatore a Bengasi e chiedere all’Onu di proteggere la popolazione dall’aviazione del colonnello Gheddafi, tutta l’èlite francese, a destra come a sinistra, ancora una volta si è fatta beffe di questa nuova stravaganza di un presidente che non sa più cosa inventarsi – così diceva la stampa – per far dimenticare le sue connivenze del passato con il dittatore tunisino e quello egiziano.
La Francia si è sbagliata e oggi destra e sinistra lo ammettono.
È vero: Nicolas Sarkozy aveva intenzione di ridare smalto alla propria immagine, ora che soltanto un elettore su cinque è disposto ad approvarne l’operato.
Questo è un dato di fatto. Indiscutibile.
Che ha certamente contato molto sulla sua decisione.
Ma Sarkozy ha compreso anche – eccoci al punto cruciale – che se il Nerone di Tripoli fosse riuscito a far affogare nel sangue le aspirazioni dei libici alla libertà , altri dittatori del Maghreb e del Mashrek ne avrebbero presto seguito l’esempio, che le democrazie occidentali avrebbero lasciato calpestare la generazione che si batte per la democrazia araba, che gli unici ad approfittarne sarebbero stati gli islamisti e che sarebbe andata sprecata un’occasione storica per riavvicinare le opposte sponde del Mediterraneo. Nel caso specifico, Sarkozy ha visto giusto, e in ciò è stato sostenuto da Alain Juppè, ex primo ministro di Jacques Chirac, appena nominato ministro agli Affari Esteri.
Insieme a Dominique de Villepin, che si è opposto alla guerra in Iraq, Alain Juppè è uno dei pochi superstiti del gaullismo, di questa destra sociale, dirigista e, prima di ogni altra cosa, attenta alla posizione che la Francia occupa nel mondo e alla sua unicità  nel campo occidentale.
È proprio con il gaullismo che Nicolas Sarkozy aveva voluto “rompere”, farla finita, avvicinandosi agli Stati Uniti di Bush e predicando la liberalizzazione dell’economia francese.
Ma il crollo di Wall Street lo aveva bruscamente convertito al ritorno allo Stato, mentre i suoi insuccessi sulla ribalta internazionale l’avevano lasciato alla ricerca di una diplomazia.
Nicolas Sarkozy adesso ascolta sempre più spesso gli uomini di Chirac, arriva addirittura a fare il tentativo di riconciliarsi con il suo nemico intimo Dominique de Villepin, e tra i suoi ministri colui sul quale fa maggiore affidamento è ormai Alain Juppè, che tuttavia non gli ha mai risparmiato le sue critiche.
Secondo Juppè la Francia doveva mettersi alla guida dell’aiuto occidentale a questa primavera araba e collocarsi così in prima fila sullo scenario internazionale, ritrovando un prestigio in buona parte perduto tra le popolazioni arabe.
Non soltanto Nicolas Sarkozy gli ha dato retta, ma la tenacia di cui egli ha dato prova insieme ai suoi ambasciatori hanno convinto da un lato Barack Obama che non avrebbe potuto lasciar morire Bengasi senza che ciò un giorno gli possa essere rimproverato, e dall’altro la Cina e la Russia che non potevano in nessun caso apparire come le salvatrici di Gheddafi opponendo il loro veto alla proposta francese.
Eclissata dalla Germania e ignorata dagli Stati Uniti, la Francia è riuscita adesso a fare un ritorno in grande stile che la onora, ed è grazie a lei che Bengasi è stata salvata, che l’Onu – per una volta – si è mostrato fedele ai propri ideali e che la primavera araba non ha subito un colpo d’arresto.
Certo, non tutto può dirsi concluso.
Non si può mai cantare vittoria prima che una battaglia si concluda, ma Muhammar Gheddafi ormai non ha più vie di fuga e – purchè la Nato non assuma il comando di questa battaglia, riacutizzando la diffidenza degli arabi nei confronti degli occidentali – ci sono chance effettive per la Libia di liberarsi una volta per tutte di questo dittatore folle.
A parte lui stesso, chi potrebbe mai rimpiangerlo?

Bernard Guetta
(da “La Repubblica“)

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LA GRANDE RAPINA DEL TFR: IL PARLAMENTO TACE SUI 15,6 MILIARDI USATI DAL TESORO

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

I LAVORATORI CHE NEL 2007 DECISERO DI NON DESTINARE IL PROPRIO TFR ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE DIEDERO MANDATO ALL’AZIENDA DI VERSARE LA SOMMA IN UN CONTO A DISPOSIZIONE DEL TESORO…LA CORTE DEI CONTI HA SCOPERTO CHE QUEL FONDO E’ STATO USATO PER SPESE IMPROPRIE: IL TESORO HA PRELEVATO 15,6   MILIARDI, SVUOTANDOLO DI FATTO

L’indagine della Corte dei Conti con cui è stato scoperto “l’esproprio” ai danni dei TTfr dei lavoratori passa sotto silenzio in Parlamento.
Le opposizioni sembrano rassegnate ai meccanismi di “finanza creativa” del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, anche se i trucchi vengono scoperti e denunciati, come ha fatto la Corte dei Conti con la sua relazione alle Camere.
Per i magistrati contabili quella effettuata dal governo è “un’operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti di categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica”.
Con la legge finanziaria del 2007 approvata dal governo Prodi fu deciso che le aziende sopra i 50 dipendenti, i quali avessero deciso, alla data del 30 giugno 2007, di non destinare alla previdenza complementare il proprio tfr — vedi scheda a fianco — avrebbero dovuto versare quei fondi all’Inps in un conto a disposizione del Tesoro per interventi infrastrutturali e investimenti pubblici.
La Corte dei conti ha invece scoperto che quel fondo è stato utilizzato per spese improprie: ammortamento mutui per gli enti locali, gratuità  dei libri di testo, lavoratori socialmente utili nel comune di Napoli.
Fondi considerevoli: nel 2009 il tfr annuo dei lavoratori dipendenti italiani ha superato i 20 miliardi di euro di cui 5,9 versati al fondo tesoreria dell’Inps, 5,1 miliardi alla previdenza complementare mentre 12,7 miliardi sono rimasti nelle casse delle imprese (quelle sotto i 50 dipendenti non sono obbligate a versarlo all’Inps).
Finora il Tesoro ha prevelato 15,6 miliardi da un Fondo istituito solo quattro anni fa che dunque è stato quasi svuotato.
Il Tesoro, rispondendo alle osservazioni della Corte dei Conti, ha affermato che non c’è “alcun nocumento” per i lavoratori perchè l’afflusso costante di nuove risorse, prelevate sempre dai Tfr, garantirà  il pagamento delle liquidazioni in uscita a chi andrà  in pensione.
Il ragionamento del ministero non convince perchè il tasso di sostituzione [cioè la differenza tra quanto versato e quanto prevelato, ndr.] è negativo.
La trattenuta del tfr, infatti, si rivaluta annualmente secondo un tasso stabilito per legge e quindi alla fine l’importo è più alto.
Questo governo è un maestro di finanza creativa visto che per finanziare la Cassa integrazione in deroga, sono stati utilizzati i fondi per le aree sottoutilizzate e il Fondo sociale europeo, oppure il fondo per i malati oncologici per finanziare le quote latte.
La Corte dei Conti avverte che allo scadere dei 10 anni dall’introduzione del nuovo meccanismo, il prelievo improprio “arriverà  a 30 miliardi”.
Il paradosso è che “l’esproprio” è avvenuto carpendo la fiducia dei lavoratori e la diffidenza nei verso i fondi pensioni integrativi.
I lavoratori nel 2007 si sono fidati dell’azienda chiedendo che il loro tfr restasse a portata di mano.
Oggi vedono i loro soldi utilizzati soprattutto per interventi tampone.
Senza sapere se e come torneranno indietro.

Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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MALCOSTUME ITALICO: A ROMA SONO 60.000 I PERMESSI PER DISABILI. TANTI, POCO CONTROLLATI E INVEROSIMILI

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

SPICCANO PERSINO PORSCHE, SMART E SUV…META’ DELLE AUTO PARCHEGGIATE IN VIA DEL BABUINO HA IL TAGLIANDO DEI DISABILI: TUTTI COL CONTRASSEGNO NELLA ZTL

Contrassegni per handicappati: tanti, incontrollati e spesso inverosimili.
Come quello della Porsche Carrera color piombo in via Bocca di Leone. Oppure del veicolo con il bollino blu del Comune di Roma e il permesso per portatore di handicap di Campobasso.
Nel viavai di auto al Tridente l’unica costante è questa: le auto parcheggiate grazie al contrassegno arancione sono circa la metà .
«Il vigile dovrebbe aspettare il guidatore e fare una verifica: il permesso gli appartiene o è prestato? Insomma questi parcheggi sono necessari per accompagnare una persona invalida oppure la stanno privando di un suo diritto?» così chiede Simone, disabile.
A Roma il numero dei permessi è 60 mila.
Per ogni titolo è possibile far entrare fino a tre auto.
Un sistema «riformato» sei anni fa che avrebbe dovuto essere accompagnato da un supplemento di controlli che manca.
Cambiano tempi e amministrazioni ma la tinta fiammeggiante del permesso per disabili è sempre quella che «si porta di più», soprattutto al Tridente.
Sono le dodici e trenta di sabato 19 marzo e, all’altezza del civico 49 di via del Babuino, c’è una Fiat Punto con bollino di controllo per le emissioni inquinanti e contrassegno arancione.
Con una contraddizione però, perchè se l’adesivo blu ha il marchio del Comune di Roma, il contrassegno per disabili (che consente di parcheggiare senza limiti all’interno della zona riservata) è stato invece rilasciato dal sindaco di Torella del Sannio, un fiero paesello del Molise in provincia di Campobasso.
Ora i casi son due: o c’è un molisano residente a Roma che fa la spola tra il Tridente e Campobasso, oppure c’è un guidatore che utilizza un permesso di un altro (smarrito? mai ritirato dopo il decesso?) per fare shopping senza problemi e gratuitamente.
I contrassegno infatti da automaticamente diritto all’utilizzo delle strisce blu.
Il fatto è che non lo sapremo mai.
Resteremo con il dubbio, perchè i vigili raramente aprono istruttorie di questo tipo.
«Queste auto in sosta con il permesso per handicappati sono irremovibili – dice Simone, in marcia per il centro su una sedia a rotelle vera e non stilizzata su un cartoncino – il vigile dovrebbe aspettare il guidatore e fare una verifica: il permesso gli appartiene o è prestato? Insomma quel parcheggio era necessario per accompagnare una persona invalida oppure no?».
Non è differenza da poco per un disabile che si sforzi di fare una vita normale.
Sulle auto parcheggiate con un permesso per disabili, si è sempre chiesto controlli supplementari, perchè dietro potrebbe esserci un abuso nei confronti di un vero disabile.
Eppure dall’introduzione della ztl in centro (anni Novanta), la proliferazione dei permessi per disabili è sempre stata il vero mistero del Babuino. L’autorizzazione sbuca da cruscotti e parabrezza, appoggiata al volante o in bilico sull’aeratore.
Tutto ciò giorno e notte, nei feriali e per le feste comandate, in ricchezza (degli affari) e in povertà , ai tempi della crisi.
Matrimonio inossidabile quello tra il Tridente e il logo della sedia a rotelle, ha resistito a scandali e interrogazioni comunali.
Senza mai attirare sul serio l’attenzione del I Gruppo della municipale che, da un lato, combatte le contraffazioni attraverso il gruppo guidato dal comandante Carlo Buttarelli, e, dall’altro, non riesce a vigilare su via del Babuino.
Eppure ci sarebbero varie ragioni per dubitare di alcuni abusi del contrassegno arancione.
Come pure della sua distribuzione «di massa»: su ventisei auto parcheggiate in via del Babuino, sono undici quelle che hanno in dotazione il logo della sedia a rotelle, circa la metà .
Ne hanno uno sia la Mini verde bosco parcheggiata di fronte a un gioielliere che la Peugeot azzurrina in sosta parallela dall’altra parte del marciapiede. Ce n’è uno sul parabrezza della Mercedes nera 4 Matic e sulla Smart blu proprio di fronte alle Gallerie Benucci.
Su una Fiat Cinquecento in prossimità  delle vetrine dei Fratelli Rossetti; sulla Panda azzurrina (perlata) in sosta davanti a un portone e sulla Mercedes argento di fonte al civico 135 (in questo caso il numero di permesso e la data di scadenza sono pearltro illeggibili).
Lo espone il proprietario di un’altra Cinquecento bianca assieme al biglietto scritto a mano «Sono in pizzeria» e lo ostenta anche una Nissan bianca dallo smalto scintillante come appena uscita dal concessionario.
Magari anzi è stato proprio il contrassegno della sedia a rotelle ad autorizzare la sosta spericolata della Nissan che alle 13 di sabato mattina, è ben piazzata sui sampietrini di piazza di Spagna in un’area su cui solitamente convergono tre limitazioni: quella della zona a traffico limitato, una seconda dell’area riservata ai pedoni e infine il parcheggio per i taxi.
Per la verità  l’aura d’inviolabilità  che avvolge la Nissan proprio al crocevia che compendia vari divieti è oggetto di curiosità  da parte di qualche passante.
Ci vorrebbe qualcuno autorizzato a pensar male per mestiere (un vigile?).
Ma i «pizzardoni» del I Gruppo sostano tranquilli alla base della scalinata di Trinità  dei Monti e i controlli al Babuino si limitano alla routine.
Altri stravaganti titolari di contrassegno per handicappati s’incontrano tra via Borgognona e via Condotti.
Esempio: la bionda guidatrice di una giardinetta Minor (un cult del ’67) che scende la rampa di San Sebastianello con tre ragazzi in divisa da scuola allegramente piazzati sui sedili.
Oppure il proprietario della Porsche Carrera color piombo che rombante e lanciata, sosta da un’ora (tra le 12, 30 e le 13,30 dello stesso sabato) tra l’Hotel d’ Inghilterra e la boutique di Valentino in via Bocca di Leone.
Davvero è questa la vettura più adatta al portatore di un qualunque handicap?
Un’auto che sfiora i 330 chilometri orari con l’abitacolo da pilota e l’accelerazione di un bolide?
Eppure a giudicare dal permesso color arancio sul parabrezza nessun dubbio.
Certamente sì.

Ilaria Sacchettoni
(da “il Corriere della Sera“)

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L’IDV PERDE UN ALTRO PEZZO: NICOLA TRANFAGLIA SE NE VA E DENUNCIA LA “GESTIONE FAMILISTA” DI DI PIETRO

Marzo 22nd, 2011 Riccardo Fucile

L’EX PM REPLICA: “MI HA RICATTATO PER DEI RIMBORSI SPESA”… LO STORICO: “L’IDV E’ UN PARTITO PERSONALE, GESTITO DA DI PIETRO CON UNA SCHIERA RISTRETTA DI AMICI E PARENTI: ECCO PERCHE’ POI ARRIVANO GLI SCILIPOTI”

L’Idv perde un altro pezzo.
Nicola Tranfaglia, ex responsabile cultura del partito, lascia in aperta rottura con Antonio Di Pietro.
Lo storico ha accusato il leader dell’Italia dei Valori di avergli riservato un “trattamento discutibile” e di adottare metodi “che nulla hanno a che fare con il merito e la competenza, mentre Di Pietro ribatte sostenendo di essere stato ricattato.
“Ho in questo telefono un sms del buon Nicola Tranfaglia, a cui voglio bene e a cui rinnovo stima e affetto. Fino all’altro ieri — ricorda Di Pietro — mi diceva ‘senti, rinnovami il contratto’, perchè lui aveva un regolare contratto, ‘perchè altrimenti se non me lo rinnovi faccio un articolo in cui dico male di te’. Quando si scade al tentativo di ricatto, non si scende a compromessi. Pensa un po’ a 60 anni, dopo tutto quello che ho fatto, se mi faccio ricattare da Tranfaglia”.
Per lo storico la vicenda è andata diversamente.
“Un mese fa, come un fulmine a ciel sereno la tesoriera del partito, Silvana Mura, senza nessuna spiegazione mi ha comunicato che il presidente del partito d’accordo con lei, aveva deciso di sospendere a tempo indeterminato il mio esiguo rimborso spese mensile, per improvvise difficoltà  economiche”, racconta Tranfaglia.
“Ho chiesto a Di Pietro le ragioni della scelta e mi ha detto testualmente: ‘E’ legittimo ma devo decidere’.
E, nel mese successivo, non mi ha detto più nulla”.
Non solo, aggiunge, l’ultimo colloquio avuto “è stato quasi grottesco: gli volevo spiegare la strategia culturale che avevo in mente per il partito, ma lui mi ha interrotto dicendomi che non era il caso di discuterne perchè non era quella una priorità  e che a proposito di strategie lui non aveva niente da imparare, essendo l’unico uomo, insieme con Bossi, che aveva fondato un partito (si era dimenticato che la grande notorietà  non se l’è guadagnata da solo ma è venuta a lui dalla clamorosa vicenda di Mani Pulite)”.
Sottolineando che “la questione economica è secondaria”, Tranfaglia racconta di aver ricevuto “pochi giorni fa una mail dall’onorevole Silvana Mura, che mi liquidava con le testuali parole: ‘Rimane inteso che la collaborazione con il partito è da intendersi definitivamente risolta. L’unica consolazione dopo questa esperienza negativa, è che non sono il primo nè l’unico ad aver avuto un trattamento discutibile da Di Pietro: i casi di Elio Veltri e di Giulietto Chiesa sono lì a dimostrarlo”, dice.
“Ora mi è chiaro il perchè sono stati scelti da Di Pietro personaggi come Scilipoti e De Gregorio”.
E sul suo profilo Facebook lo storico va oltre. “Purtroppo ho dovuto verificare come le speranze mie e dei simpatizzanti dell’Italia dei Valori fossero, a dir poco, eccessive e mal risposte. Ho conosciuto bene in questi anni il partito fondato da Di Pietro e ho dovuto constatare che, pur avendo al suo interno sinceri riformatori, è rimasto ahimè un partito troppo personale, o meglio un partito personale e familiare, governato con pugno di ferro dall’ex pm di Milano e da una schiera di amiche e parenti di ogni ordine e grado. Con criteri interni di governo, quel che è peggio, che nulla hanno a che fare con il merito individuale e la competenza e, tanto meno, con quella parità  dei punti di partenza, che dovrebbe restare il sale di un partito politico moderno”.

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