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SCUOLA, SENTENZA SHOCK: LA GELMINI ORA DEVE RISARCIRE I PRECARI

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

IL TRIBUNALE DEL LAVORO DI GENOVA HA CONDANNATO IL MINISTERO A VERSARE 500.000 EURO A 15 LAVORATORI CON CONTRATTO A TERMINE…SOLO IN LIGURIA 450 RICORSI, IN ITALIA DECINE DI MIGLIAIA…POTREBBERO COSTARE ALLO STATO 4 MILIARDI DI EURO

Maxi risarcimento a 15 precari della scuola.
La sentenza è a Genova, ma a questo punto il ministero dell’Istruzione rischia di rimanere travolto dalle richieste degli altri supplenti.
Quello comminato dal giudice del lavoro del capoluogo ligure è il risarcimento più elevato mai disposto in Italia per il contenzioso riguardante i precari della scuola: quasi mezzo milione di euro.
E basta fare due calcoli per comprendere che viale Trastevere rischia una vera e propria emorragia.
Ad ognuno dei 15 lavoratori in questione il giudice, patrocinati dalla Uil scuola, ha riconosciuto un risarcimento di circa 30 mila euro, pari a 15 mensilità .
La questione della stabilizzazione dei precari e del riconoscimento agli stessi degli scatti di anzianità  riguarda tutti i lavoratori a tempo determinato, in qualche modo discriminati dalle normative italiane.
Ma è nella scuola che il fenomeno raggiunge proporzioni consistenti.
I precari della scuola in servizio da oltre tre anni sono diverse decine di migliaia.
Alcune recenti norme comunitarie prevedono per i precari il diritto agli scatti stipendiali in vigore per il personale di ruolo e la trasformazione, dopo tre anni, del rapporto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. Nella scuola, nonostante i tagli agli organici operati dal governo Berlusconi, sono 150 mila i precari con contratti fino al 30 giugno e al 31 agosto.
E la maggior parte di questi è in servizio da oltre tre anni, perchè a saltare sono stati ovviamente i più giovani.
Se tutti si rivolgessero al giudice del lavoro il ministero potrebbe sborsare 4 effettuati dalla coppia Tremonti-Gelmini nel triennio 2009/2011.
Per tamponare la situazione, alcuni mesi fa, il governo è intervenuto con una norma ad hoc che pone un limite temporale alle richieste di risarcimento danni: il prossimo 31 dicembre.
Ma forse proprio questa manovra ha spinto migliaia di precari della scuola a rivolgersi ai giudici per paura di rimanere tagliato fuori dagli eventuali indennizzi e dalla possibilità  di vedersi convertito il contratto a tempo indeterminato.
“Per fare ricorso c’è ancora tempo fino al 31 dicembre – spiega – Corrado Artale, segretario generale Uil Scuola della Liguria -.
L’unico requisito necessario è essere precari da almeno 3 anni”.
“E’ una sentenza fondamentale nel panorama del contenzioso sui precari della scuola – aggiunge l’avvocato Massimo Pistilli   –   Se questa misura fosse ripetuta, determinerebbe infattila fine del precariato, perchè il ministero non potrà  pagare risarcimenti del danno così alti per tutti i circa centomila precari del comparto”.

Salvo Introvaia
(da “La Repubblica“)

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GLI UOMINI DI GHEDDAFI STRONCATI DAI RAID FRANCESI: “ORA LI INSEGUIREMO FINO A TRIPOLI”

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

CADONO VIA VIA LE CITTA’ CONTROLLATE DAL RAIS, GRAZIE ALL’INTERVENTO AEREO VOLUTO DA SARKOZY….LE TRUPPE DI LIBERAZIONE DELLA LIBIA GRATE ALLA POLITICA DELLA FRANCIA E DEL SUO PRESIDENTE

Se non siete mai stati in una città  appena liberata, non venite ad Ajdabiya.
Non capireste che cosa significhi la felicità  incontenibile della libertà .
Perchè per capire questa gioia occorre almeno che ci sia qualcuno che quella felicita la canti, la gridi, la viva, la riempia di salti folli e di pazzie.
E invece Ajdabiya, ieri mattina presto, quando ci sono arrivato, era semplicemente un buco vuoto, una città  fantasma: da ogni angolo dove la macchina andava, le strade mostravano un piccolo sporco orizzonte silenzioso, vissuto soltanto dal vento leggero del mattino che portava in aria cartaccia, stracci, vecchie borse di plastica.
Omar, alto, robusto, una grande barba nera e una tuta blu da meccanico, sedeva su uno sgabello accanto alla porta di casa.
Tutte le altre porte dei palazzi di quella strada erano chiuse, le finestre senz’anima.
Ma non c’è nessuno in giro, gli dico.
Si è alzato in piedi, ha teso la mano, e ha sorriso con grandi denti bianchi sulla faccia di libico nero: «Ah, sono andati via tutti, da tempo».
Omar era la storia di questa città  la cui liberta è costata 82 morti e 52 feriti.
Me li ha raccontati il dottor Ram Zy, che dirige l ospedale che sta proprio di fronte alla casa di Omar: me li ha raccontati quasi uno a uno, ripercorrendo i lunghi giorni dell’assedio e la battaglia che si è chiusa ieri.
E lei, dottore, perchè è rimasto. «Io devo curare la gente. È il mio lavoro», e lo diceva quasi vergognandosi.
Non sapeva che queste cose, in altre parti del mondo sono assai rare.
Già , la battaglia. Non l’ha vista nessuno, nè quelli di Ajdabiya che erano scappati, scappati via dalla paura, dalla fame, dall’elettricità  che manca, dall’acqua che non c’è, e però nemmeno questi che stavano trincerati da questa parte, che facevano l’assedio ai soldati di Gheddafi, gli tiravano qualche razzo di tanto in tanto, e da lontano, ma più non sapevano, e non potevano, fare.
Ed è tutta qui, la storia di questa battaglia, che presto verrà  celebrata come la dimostrazione dell’eroismo dei combattenti della liberta e sarà , invece, una delle tante balle che stanno accompagnando la guerra libica fin dal primo giorno.
Perchè, se non arrivavano qui gli aerei della Nato con i loro missili e i loro razzi, quest’assedio sarebbe durato magari più di quello di Stalingrado e nessuno avrebbe giurato sul vincitore.
Ora, invece, tutti gridano Maa Sarko , Viva Sarkozy, e vogliono dire che sanno bene che non avevano la forza per spostare d un centimetro l’assedio, e che devono fare tanto di cappello alla spregiudicatezza del francese.
Al contrario, Gheddafi, se mai riuscirà  a venirne fuori (ma pare sempre più difficile), deve avere ben altri sentimenti, perchè questa di Ajdabiya era uno dei pilastri su cui si sta giocando la sua capacità  di aprire un negoziato, e averlo perduto gli indebolisce di molto la forza contrattuale.
E nessuno, forse, gli ha ancora detto che, da ieri, la vecchia strada che il fascismo aveva realizzato per unire Bengasi a questa città  e che, da Italo Balbo, si chiamava popolarmente «balbia», ora si chiamerà  per sempre «sarkozia», e sarà  – senza forse nemmeno saperlo – la celebrazione di un nuovo colonialismo che sostituisce il vecchio.
I ragazzi dell’armata Brancaleone sono arrivati in massa, stranamente, un poco più tardi, quasi sorpresi.
Non ci è voluto molto perchè si mettessero, alla fine, ad affollare di pick-up e di camion la piazza Fatah e a impazzare in un carosello rumoroso, tirando in aria salve infinite di mitraglia e stupide cannonate che riempivano di echi infiniti il vuoto della città .
Omar li guardava senza sorridere, sempre sul suo sgabello di legno, accanto a quell’unica porta spalancata sulla strada.
Andando in giro a tentare di capire che cosa fosse successo per battere la resistenza dei gheddafiani assediati, quello che si è potuto sapere è che tra le 8 e le 10 di ieri notte un corteo di auto piene di soldati del raiss si è precipitato dentro la città , ha sparato intorno all impazzata per qualche minuto, e poi è filata via rombando e urlando.
Non era ancora partita che dal cielo si sono precipitate come falchi assatanati su Ajdabiya due squadriglie di caccia, e, passando e ripassando a volo radente, hanno sganciato decine di razzi sulla periferia, dove si erano insabbiati i carri e le truppe di Gheddafi.
I risultati ora li vedevo con i miei occhi: 7 carri armati bruciati come un carbone, quattro veicoli di trasporto sventrati, e ancora alcune auto con la pancia all’aria, rovesciate dal colpo dei razzi.
Ma, e questo è importante, non un solo cadavere in giro, non un pezzo di carne rimasto tra le rovine di quel piccolo cimitero di metallo.
I soli morti che potevi vedere – una ventina – giacevano abbandonati in una piccola casamatta accanto alla Porta Nord, distrutta anch’essa dai razzi dei Mirage e dei Rafale. Null’altro.
È impossibile credere che i soldati di Gheddafi avessero abbandonato i tank e i blindati perchè sapevano che stava per arrivare l’attacco dal cielo; piuttosto, è da pensare che se la siano dataperchè ormai l’attacco era annunciato come assolutamente imminente, e la fortuna gli ha salvato la vita.
Il comando militare della Rivoluzione dice di «un certo numero di prigionieri», e quei cadaveri rimasti in terra raccontavano, forse, l’ultima resistenza di un manipolo di disperati. I corpi non puzzavano ancora di morte, qualche migliaio di mosche gli banchettava sopra, indifferente alla festa che ora impazzava d intorno.
Ho lasciato la città  che era già  pomeriggio avanzato, per tornare a Bengasi, 180 chilometri sulla «sarkozia».
Nella corsia di fronte, cominciava a sfilare una coda veloce di auto e di camion con la bandiera della Rivoluzione nel vento del sole che scivolava dentro l’orizzonte.
Erano i cittadini di Ajdabiya che cominciavano a tornare a casa.
Il portavoce della Rivoluzione annunciava trionfale: «Abbiamo liberato la città , ora stiamo inseguendo gli uomini di Gheddafi in fuga».
La battaglia di Ajdabiya è finita, evviva la gloriosa liberazione.
E, naturalmente, merci monsieur Sarkozy (a buon rendere).

Mimmo Candito
(da “La Stampa”)

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NOMINE E SOLDI, UN BOCCONE PRELIBATO PER IL NEO MINISTRO SAVERIO ROMANO

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

AL CHIACCHIERATO NUOVO MINISTRO DELL’AGRICOLTURA FONDI EUROPEI E POSTI CHE FANNO GOLA….C’E’ DA NOMINARE IL NUOVO CAPO DELLA FORESTALE, UN CORPO DI 40.000 UOMINI…GLI ACCORDI SOTTOBANCO DI ROMANO CON LA LEGA PER AVERE IL VIA LIBERA DA BOSSI

Come da tradizione, l’allievo ha superato il maestro.
Perchè anche Calogero Mannino, storico leader della Dc siciliana, fu nominato ministro dell’Agricoltura nel bel mezzo di un processo per concorso esterno in associazione mafiosa: condanna in secondo grado a 8 anni, annullata in Cassazione, e poi assoluzione finale nel 2008.
Ma Saverio Romano, suo giovane discepolo nel travagliato percorso Dc-Udc-Pid, è riuscito a occupare la prestigiosa poltrona nonostante due procedimenti giudiziari dagli esiti ancora aperti. Anzi: apertissimi.
Perchè i pm di Palermo intendono chiedere alla Camera l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni tra l’onorevole Romano e Gianni Lapis, il tributarista di Vito Ciancimino già  condannato per riciclaggio, per sostenere l’accusa di “corruzione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa”.
Resta viva anche l’ipotesi di concorso in associazione mafiosa: chiesta l’archiviazione, si deciderà  il prossimo primo aprile, sempre a Palermo.
Dunque un vasto ventaglio di variabili giudiziarie, alcune delle quali farebbero traballare la nomina “con riserva” del neoministro.
Ma Romano sembra sicuro del fatto suo.
Nel primo giorno di lavoro ha deciso una nomina ad effetto: il nuovo capo di gabinetto è Antonello Colosimo, già  vicepresidente vicario del disciolto Alto commissariato per la lotta alla contraffazione, consigliere della Corte dei conti, nonchè funzionario alla Presidenza del Consiglio e al ministero dei Lavori pubblici.
Il problema è che il nome di Colosimo spunta nelle indagini sulla Protezione civile sul terremoto. “Tu non hai capito niente! Tu devi far fare sempre a me” dice Colosimo a Francesco Piscicelli, l’imprenditore che rideva nella notte dell’Aquila.
E per il quale si muove chiedendo una mano direttamente a Corrado Passera essendo il Piscicelli a corto di denaro.
L’amministratore delegato di Intesa non è disponibile, e Colosimo si agita: “Vediamo come dobbiamo venirne fuori perchè questa non è una situazione nella quale possiamo rimanere, lo capisci — dice ancora a Piscicelli —. Bisogna venirne fuori ma rapidamente se no veramente… qua sì… passiamo tutti un brutto momento”.
Invece il momento è propizio ora che al ministero ci sono un sacco di cose da fare. Innanzitutto l’annosa riforma della Pac, la politica comunitaria che consegna ogni anno all’Italia 8 miliardi di euro.
Fondi su cui l’Europa tiene gli occhi aperti, ma che possono essere orientati dal governo.
In quale direzione?
Tutti guardano a sud, ed è certo che le regioni meridionali avranno grande attenzione.
Anche perchè negli ultimi tempi la terra è tornata un ottimo investimento per i miliardi di euro rientrati con lo scudo, mentre i vasti capitali sottratti alle mafie hanno ulteriormente arricchito un piatto ormai decisamente goloso sia per la produzione agricola che per l’ampio sistema della trasformazione alimentare.
Ma al nord potranno stare sereni: l’assoluto silenzio della Lega sulla nomina di Romano è indice di un accordo già  chiaro.
Ognuno padrone a casa sua, salvo invasioni più o meno barbariche in un settore ampiamente spolpato dalle compagnie estere: vedi caso Parmalat, su cui il ministro ha promesso di dire la sua, o l’assalto al nostro olio, con la Spagna che controlla il 60 per cento dei marchi – cosiddetti – made in Italy.
Insomma l’Italia dovrebbe finalmente cominciare a difendere il proprio brand agroalimentare organizzando una solida politica di ottimizzazione e rilancio delle attività  agricole, ma tra gli addetti ai lavori non circola grande entusiasmo.
Ci è andato giù pesante Francesco Pionati, portavoce dei Responsabili: “Noi abbiamo l’immagine di persone perbene — ha detto in un fuorionda catturato da Exit —. I siciliani so’ siciliani. Se vado a nord con Romano sul palco non faccio altro che raccogliere ortaggi, è una situazione pericolosa”.
“La nomina di Saverio Romano è uno dei punti più bassi della storia della Repubblica” ha invece detto ieri Pier Luigi Bersani. Aggiungendo: “Inutile che Berlusconi continui a impastare, il governo non è più stabile”.
Ma al ministero girano altra farina. In ballo diverse cariche interne e soprattutto il boccone pregiato di Capo della Forestale.
Il candidato ufficiale di Galan era Giuseppe Ambrosio, storico dirigente finito recentemente sotto accusa per la rapida carriera fatta al ministero da moglie e segretaria grazie a esotici diplomi di laurea made in Malta.
Silurato al volo da capo gabinetto, Ambrosio difficilmente potrà  ottenere l’ambita promozione forestale.
Un ruolo di grande prestigio, al vertice di un corpo militare che conta 40mila uomini e una poltrona nel Consiglio della presidenza della Repubblica.
Chissà  se Romano vorrà  sfidare la sensibilità  di Giorgio Napolitano anche in quella sede.

Chiara Paolin
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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PIDUISTI D’ITALIA, I SOLI NOTI: NEGLI APPUNTI DELLA SENATRICE TINA ANSELMI, PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA SULLA P2 DAL 1981 al 1985

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

DA SILVIO BERLUSCONI A FABRIZIO CICCHITTO, DA LUIGI BISIGNANI A FLAVIO CARBONI, PASSANDO PER MAURIZIO COSTANZO…SONO ANCORA OGGI TUTTI AL POTERE

Il premier Silvio Berlusconi, all’epoca già  imprenditore in ascesa, vicino ai “laici” socialisti di Bettino Craxi, era iscritto alla loggia di Licio Gelli, ben prima di proporsi anche come paladino del conservatorismo ultracattolico, seppur pluri-divorziato.
Tina Anselmi scrive: “Berlusconi tessera n. 625 ha versato £ 100.000 il 5-5-’78. Documenti Villa Gelli in Uruguay: iniziato con solenne giuramento. Berlusconi afferma che nel 1978 fu convinto ad aderire da Gervasio (Gervaso). Nel 1978 linee di credito aperte da banche controllate da piduisti. Berlusconi collabora al Corriere della Sera, direttore Di Bella (piduista) nel 1978. Il 27 gennaio 1994 Gelli dichiara di averlo incontrato 4-5-10 volte. Agli atti risulta di avere grado di apprendista”.
Non mancano rapporti con uomini d’altre cricche, più che d’altri tempi, che poi si ritrovano anni dopo indagati in altre inchieste, per altre “P”.
Flavio Carboni, definito “procacciatore d’affari” da Tina Anselmi che il 10 marzo 1983 scrive: “Nel 1980 Berlusconi dà  cinquecento milioni a Carboni”.
Nell’audizione completa di Emilio Pellicani, segretario di Carboni, viene nominato anche il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, da sempre fedelissimo di Berlusconi: “Fedele Confalonieri, collaboratore di Berlusconi, si portò a Cagliari con cinquecento milioni in contanti…”
Eminenza grigia tra i più fidati “consiglieri” di Gianni Letta, Luigi Bisignani compare una sola volta negli appunti di Tina Anselmi.
Ma in relazione a una vicenda drammatica della storia italiana, l’omicidio nel ’76 del giudice Vittorio Occorsio, che indagava sui rapporti tra estrema destra e logge massoniche .
Negli stessi appunti compare il nome di Giancarlo Elia Valori, potente manager italiano, in passato ai vertici di Autostrade, finito nell’inchiesta “Why not” di Luigi De Magistris.
“Occorsio (molto amico di Valori) nel 1974, verso metà  maggio, dice a Valori che Gelli era un delinquente. Che aveva le mani nell’Italicus. La sera del 7 luglio, Occorsio ripete la pericolosità  di Gelli. Teneva le carte in macchina quando il 9 mattino è stato ucciso. Gelli-Ortolani-Cosentino. Gelli-Grassini-Santovito.
Bisignani [Luigi, giornalista, piduista] (Ansa) pagato da Gelli, è ancora in rapporto con Gelli. Sera a Castelporziano con Leone e Gelli”.
Capogruppo alla Camera del Pdl, riferisce alla commissione guidata da Tina Anselmi, che appunta quanto segue il 10 giugno 1982.
Fabrizio Cicchitto
: Momento difficile della mia vita personale e politica, lettere anonime che descrivevano nei particolari la mia giornata. Ho rifiutato nel governo Cossiga di diventare ministro, per l’imbarbarimento della vita politica. Entrai nella massoneria per avere protezione, sicurezza. Pedinamenti continuati per un anno, non denunciai il fatto. Le lettere erano su fogli bianchi non firmate. Gelli dava l’impressione di un’intelligenza modesta. Insisteva su ampi rapporti con gli Usa, non mi fece nomi italiani”.
Volto arcinoto della televisione, in onda da anni tra Mediaset e Rai, come Cicchitto anche Maurizio Costanzo ha conosciuto Gelli grazie al medico Fabrizio Trecca.
Il 2 febbraio 1982 Costanzo riferisce alla commissione di Tina Anselmi: “Ho conosciuto Gelli attraverso Trecca, suo medico. Gelli lo contattò per un’intervista (pubblicata dal Corriere della Sera il 25 ottobre 1980, ndr). Gli parlò sempre di massoneria e delle sue protezioni (…) Valutò Gelli un abile uomo d’affari, che mescolava piccole verità  a millanterie”.
Il 22 giugno 1982 Enrico Manca, già  ministro del commercio estero, a proposito di Costanzo riferisce: “Visita di Maurizio Costanzo, che disse di essere massone, e a nome di Gelli chiese se ero disponibile a aderire alla massoneria. Quando mi vidi negli elenchi di Gelli telefonai a Costanzo, ma questi mi dichiarò di aver telefonato a Gelli la non disponibilità ”.
Tina Anselmi il 14 marzo 1983 scrive ancora di Costanzo (nel ’78 direttore della Domenica del Corriere e nel ’79 del giornale scandalistico l’Occhio edito da Rizzoli) sui diari: “Molte assunzioni volute da Gelli. Maurizio Costanzo voluto da Gelli. Costanzo superprotetto da Gelli”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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“NON FINIRE COME L’ITALIA DI BERLUSCONI”: CAMPAGNA TEDESCA PER I MEDIA LIBERI

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

L’INIZIATIVA E’ STATA LANCIATA PER SENSIBILIZZARE LA POPOLAZIONE SUL PAGAMENTO DEL CANONE…IL PREMIER ITALIANO UTILIZZATO COME TESTIMONIAL IN NEGATIVO PER UNA CAMPAGNA DELLE EMITTENTI PUBBLICHE….ALTRO CHE ASSE ITALIA-GERMANIA, CI CONSIDERANO UN CATTIVO ESEMPIO DI DEMOCRAZIA

Senza media indipendenti si rischia di fare la fine dell’Italia.
E’ ciò che afferma una nuova campagna pubblicitaria ideata dall’agenzia Serviceplan e lanciata dalle emittenti pubbliche tedesche ARD e ZDF che prende di mira il Belpaese e le emittenti controllate da Silvio Berlusconi.
Lo spot, lanciato in occasione delle elezioni negli stati del Baden-Wà¼rtenberg e della Renania Palatinato e promosso su diversi quotidiani nazionali, presenta in primo piano una foto del nostro Primo ministro che appare sorridente e felice.
Sull’immagine campeggia lo slogan: «Una democrazia è forte quando ha media liberi».
Della vicenda si è parlato anche in Spagna, dalle colonne del quotidiano El Mundo.
L’Italia di Berlusconi è segnalata dal giornale di Madrid come l’antitesi della libertà  e dell’indipendenza dei media.
Secondo lo spot la Germania, se non avesse media indipendenti e neutri, finanziati attraverso le tasse, potrebbe rischiare di diventare un paese semilibero: «La Germania ha un panorama televisivo tra i più ricchi e variegati al mondo – si legge sul cartellone pubblicitario -. Siamo noi tutti che lo rendiamo possibile grazie al canone che paghiamo».
Inoltre come si legge sul sito www.wuv.de, rivista che si occupa di media e pubblicità , una democrazia funziona «non solo quando ci sono elezioni libere, ma anche quando i media non sono sottomessi al potere politico».
Nei mesi scorsi le stesse emittenti televisive tedesche avevano già  lanciato un altro spot per difendere la democrazia e la libertà  dei mezzi d’informazione.
Sul cartellone pubblicitario compariva un’immagine dei violenti scontri tra giovani nordafricani e forze dell’ordine.
Sulla foto compariva la domanda: «Quanto è importante votare per te?».
La rèclame, come rivelano i siti web tedeschi, poneva l’accento sul fatto che ci son popoli, non molto lontani dai confini europei, che ancora oggi sono oppressi, ma che sono pronti a lottare e a morire pur di conquistare il diritto di voto.

Francesco Tortora
(da “Il Corriere della Sera“)

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HANNO REGALATO 5 MILIARDI DI EURO ITALIANI AL LORO AMICHETTO LIBICO ASSASSINO, MA PER LA LEGA GUAI A REGALARE 1.000 EURO A UN TUNISINO PERCHE’ TORNI A CASA

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

L’UNICO ATTUALE SEGRETARIO DI PARTITO CONDANNATO A 8 MESI DI GALERA PER TANGENTOPOLI, ASSISTITO DALL’UNICO MINISTRO DEGLI INTERNI CONDANNATO A 3 MESI DI CARCERE PER RESISTENZA ALLE FORZE DELL’ORDINE, SI PERMETTE DI PARLARE DI SPRECO DI DENARO PER UNA ASSISTENZA UMANITARIA… “CACASOTTO FRATTINI” QUASI SI GIUSTIFICA DELL’IDEA,   INVECE DI RINCHIUDERE I CLANDESTINI LEGHISTI IN UN CENTRO DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE DALL’ITALIA

”Ma che pagare? Io non gli darei niente, li caricherei e li porterei indietro. E se tornano li riportiamo a casa ancora”.
Il segretario della Lega Nord, Umberto Bossi, ha le idee chiare sulla proposta del ministro degli Esteri Franco Frattini che, in un’intervista sul Quotidiano Nazionale, parla di una ‘dote’ da mettere a disposizione di ogni immigrato che accetterà  di rimpatriare volontariamente nel proprio paese.
”L’Organizzazione delle migrazioni, dà  una ‘dote’ di 1.500 dollari. Noi possiamo superare questo importo, fino a duemila o magari 2.500 dollari, dando così la possibilità  di creare le condizioni per un rientro di migliaia di persone”, si legge nell’articolo su QN.
”Abbiamo detto al governo di tunisino — spiega Frattini, che ieri è stato a Tunisi con il collega Roberto Maroni — che ovviamente dobbiamo rimpatriare i clandestini e loro hanno ben presente che questo si deve fare”.
Ma chi paga? Nell’intervista Frattini attribuisce al “governo italiano” l’onere di “mettere a disposizione un aiuto economico per aiutare il reinserimento sociale di ogni tunisino che accetti volontariamente il rimpatrio”.
Non si fanno attendere le critiche della Lega, contraria all’utilizzo di soldi italiani per sostenere il rimpatrio assistito degli immigrati.
In una nota, infatti, il vice presidente dei senatori della Lega Nord Sandro Mazzatorta sottolinea come la proposta di Frattini sia ricevibile solo a patto che ”per il rimpatrio volontario assistito dei clandestini tunisini nel loro paese siano utilizzati esclusivamente i soldi del Fondo dell’Unione Europea per i rimpatri volontari”.
In caso contrario, avverte Mazzatorta “dovranno essere seguite rigorosamente le procedure previste dalla legge Bossi Fini per l’espulsione dei clandestini tunisini”.
Frattini ingrana la retromarcia e ai microfoni di Sky Tg24 assicura: “La dote che verrà  messa a disposizione di ogni clandestino che accetterà  volontariamente di tornare nel suo Paese (circa 1.700 euro) arriverà  da fondi dell’Ue“.
Per il ministro, l’Italia, “al massimo si limiterà  ad anticipare”.
La Lega Nord non ha nessuna ragione per allarmarsi visto che, spiega Frattini “l’Italia ha già  attuato negli anni passati progetti di questo tipo verso immigrati di Paesi dell’Africa sub-sahariana, per esempio nigeriani e in questo caso furono soldi anticipati dall’Unione Europea. E’ possibile che stavolta sia lo Stato ad anticiparli, ma comunque il rimborso finale è sempre e comunque dell’Unione Europea, che ha proprio un fondo ‘ad hoc’”.
La vicenda ci porta ad alcune considerazioni.
1) Questione etica: l’unico pregiudicato ancora segretario di partito, condannato a 8 mesi di galera per aver intascato una tangente Enimont di 200 milioni ai tempi di Tangentopoli, si chiama Umberto Bossi.
E l’unico ministro degli Interni condannato a 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale si chiama Roberto Maroni.
In qualsiasi Paese occidentale nessuno dei due sarebbe a rappresentare le Istituzioni, certamente nessuno riconoscerebbe loro il titolo di parlare di “spreco di denaro” e di questioni etiche.
2) Questione contabile: solo un coglione incapace di fare due conti potrebbe pensare che questa soluzione non sarebbe in ogni caso vantaggiosa.
Se il tunisino incassasse 1.500 euro dalla Ue e 1.000 dall’Italia e se ne andasse domani dal nostro Paese ci costerebbe solo 1.000 euro.
Se invece facesse richiesta di asilo politico, la pratica durerebbe tra i tre e i sei mesi.
Ogni profugo costa tra i 60 e gli 80 euro al giorno, quindi circa 2.000 euro al mese, 6.000 in tre mesi, 12.000 in sei mesi, 24.000 in un anno.
Senza contare le strutture e i costi del personale distaccato.
3) Questione politica: con i rivolgimenti in atto nel Magreb siamo di fronte a una emergenza umanitaria.
Queste persone non sono clandestini, ma profughi, sfollati da zone di guerra. La civiltà  e il buon senso dovrebbero indurci a ospitarli per un breve periodo e poi gradualmente favorire la crescita della democrazia nel loro Paese e il loro ritorno a casa.
Ovviamente di concerto con l’Europa, ma per questo occorrerebbe anche avere credibilità  internazionale.
4) A suo tempo abbiamo avuto l’invasione di 25.000 kossovari e nel 2008 abbiamo addirittura accolto 32.000 immigrati a Lampedusa, senza starnazzare così tanto.
Qua siamo a 16.000 arrivi e Maroni è già  in bambola da settimane.
5) Il governo non ha saputo organizzare una assistenza adeguata, intasando Lampedusa di 5.000 tunisini, quando sarebbe bastato noleggiare subito dei grandi traghetti e smistare i nuovi arrivati presso altri centri.
Invece siamo ora alla soluzione tendopoli, come all’Aquila.
6) Questione culturale: i nuovi arrivati sono innanzi tutto “esseri umani” e vanno accolti con rispetto.
Siamo la sesta potenza economica mondiale e come tali dobbiamo comportarci.
Poi i tunisini sfollati andranno rimpatriati con gradualità  entro qualche mese e secondo le norme internazionali sottoscritte dal nostro Paese.
Se qualcuno è mosso da concezioni razziste, si accomodi davanti a un giudice: in Italia la propaganda razzista o xenofoba è punita dal codice penale e sarebbe ora che il codice venisse applicato anche contro gli istigatori.
Il leghista Zaia ha sostenuto che questi profughi hanno le scarpe firmate.
Che il fighetto trevigiano, un passato da animatore da discoteca, sia legato all’ambiente in cui ha iniziato a sculettare in pista e a notare la marca dalle calzature è cosa nota.
Ma c’è un limite anche all’indecenza: chi ha visto le condizioni in cui sono arrivati tanti sfollati prova solo indignazione per dichiarazioni di un clandestino del genere umano che si permette di sostenere certe falsità .
I centri di identificazione ed espulsione dall’Italia andrebbero usati per certa classe dirigente leghista che con la storia di umanità  e solidarietà  del nostro Paese non ha nulla a che spartire.
I veri clandestini sono loro.

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CON IL DECRETO MILLE POLTRONE LA CASTA AUMENTA ASSESSORI E CONSIGLIERI A ROMA E MILANO

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

INSERITO DI SOPPIATTO NEL TESTO L’AUMENTO DEGLI ASSESSORI DA 12 a 15   E DEI CONSIGLIERI Da 48 a 60… INVECE CHE ABOLIRE LE PROVINCE, NE CREANO TRE NUOVE…I COSTI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO RADDOPPIANO

Il decreto “Millepoltrone”, inserito di soppiatto nel testo di governo che ripristina i fondi del Fus, cancella l’aumento dei biglietti del cinema, e aumenta il costo della benzina, consentirà  alle giunte comunali di Roma e Milano di creare tre poltrone in più da assessore (diventeranno 15 più il sindaco) e altre dodici da consigliere comunale (dovevano ridursi a 48, sono tornati 60).
È l’ultimo regalo (non ancora perfezionato vista la contrarietà  già  manifestata dal Colle sia per i decreti omnibus che non hanno necessità  e urgenza sia per la norma in questione, già  infilata e poi ritirata dal milleproroghe proprio su pressione di Napolitano) che la politica si concede mentre continua ad affermare che la cinghia la devono tirare tutti, politici compresi.
Rigore, trasparenza, tagli. Quando viene presentato un qualunque bilancio di un organo dello Stato sono questi i termini che vengono adoperati . Nell’annunciare che per il 2011 la Camera dei Deputati avrebbe speso la cifra record di 1.106.340.178,86 euro, si è adoperata la formula: “Si risparmia lo 0,98% rispetto all’anno prima”.
Che è una dicitura anomala se si pensa che nell’arco del 2009 la spesa effettiva di Montecitorio era stata di 1.054 milioni di euro.
Si è risparmiato, insomma, spendendo 52 milioni di euro in più.
Certo, c’è l’inflazione, ma non si comprende come questo affannarsi sui tagli, alla fine non produca risultati in termini reali.
È lo stesso per il Senato dove gli sbandierati tagli di “35 milioni” con i mille euro in meno al mese per le competenze accessorie dei Senatori e alcune formule di risparmio sui 981 dipendenti di Palazzo Madama, non si vedono nel calderone complessivo che ammonta sempre a 594 milioni di euro, contro i 421 del 2001.
Non fa meglio la Presidenza del Consiglio, che l’anno scorso, mentre continuava a parlare di crisi economica, è riuscita a spendere il doppio di quanto immaginato per il solo funzionamento (617 milioni contro i 363 previsti), facendo anche peggio nella spesa complessiva (con un aggravio di spesa di oltre un miliardo e mezzo di euro).
Alcuni casi eclatanti riguardano le promesse elettorali.
Pensiamo ai famosi “enti inutili” che di quanto in quanto sono oggetto di sforbiciate mediatiche tranne poi conservarsi uguali a sè stessi.
Chi si ricorda della cancellazione delle Province?
Anche loro erano finite nel calderone degli enti non fondamentali: tagliare, razionalizzare, spostare competenze.
Mentre ci si decideva sul da farsi, di province ne sono nate altre tre: quella di Monza-Brianza, quella di Fermo, e quella di Bat, acronimo che racchiude i territori pugliesi di Barletta, Andria e Trani. Giusto da ieri, con decreto della Presidenza della Repubblica, le tre nuove Province sono state dotate di tre nuove Prefetture.
Per essere “enti inutili” crescono bene.
Ma non è l’unico caso.
Una delle moltiplicazioni della rappresentanza politica ha creato in un breve volgere di anni la mutazione delle vecchie “circoscrizioni” (organi prettamente amministrativi) in organi politici territoriali.
Ne sono nate nelle grandi città  come Roma e Milano, ma poi si sono estese a una larga fetta del territorio nazionale, tanto che nella finanziaria 2009 si era pensato di “limitarne” la presenza alle sole città  con oltre 250mila abitanti.
Il risultato è stato un “Comitato Nazionale Circoscrizioni” che ha chiesto deroghe più o meno locali.
Così, Forlì, che ha poco meno di 120mila abitanti, dalle amministrative del 2009 è amministrata da un sindaco, da una giunta, da un consiglio comunale, e dalle sue tre circoscrizioni che contano altri 20 consiglieri circoscrizionali ciascuna.
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva usato l’accetta, azzerando i compensi dei consiglieri e gettando nel panico una classe amministrativa che con una certa enfasi si era autodefinita, a Roma, degli “straccioni della politica”.
Adesso, con apposito decreto (è lo stesso del Fus, dei biglietti del cinema e della benzina) anche i consiglieri municipali di Roma riotterranno le loro spettanze.
Ma a quanto ammontano?
Oltre al gettone di presenza e al rimborso per le ore di lavoro mancate, la cifra per ciascuno è poco sopra i mille euro al mese.
La circostanza bizzarra è che quei 20-30mila euro al mese per il mantenimento dei consigli municipali a volte coincide con i 20-30mila euro mensilmente spesi per le attività  che la stessa circoscrizione dovrebbe fornire ai cittadini.
È un po’ come se, arrivati i soldi dello Stato, si decidesse di fare a metà : metà  ai residenti, metà  ai consiglieri.

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NAPOLI, ETERNA EMERGENZA: OLTRE 1.000 TONN DI MONNEZZA NON RACCOLTA NELLE STRADE, SOLITE PROMESSE A VUOTO DEL PREMIER

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

FERMO L’IMPIANTO DI CHIAIANO, SIAMO PUNTO E A CAPO: PRESTO SARA’ CHIUSO DEFINITIVAMENTE, MA LE ALTERNATIVE ANCORA NON ESISTONO….ALTRI SITI NEL MIRINO DELLA CAMORRA, MENTRE NESSUNO DECIDE NULLA.. E A MAGGIO SI RISCHIA UNA RIVOLTA

L’odore malato della discarica arriva fino a piazza Rosa dei Venti.
Una decina di anziani chiacchierano sotto alla tenda del presidio.
Alcuni indicano lo striscione appeso sulla cancellata delle case popolari. «Avevamo ragione noi» c’è scritto.
Non si muove nulla. Non passano camion carichi di monnezza. Tutto fermo.
Anche il grande buco da settecentomila tonnellate, che dovrebbe prendersi il grosso della spazzatura di Napoli.
Lavori in corso, c’è da collaudare gli argini, a rischio smottamento.
Per dieci giorni, rivolgersi altrove. Già , ma dove?
Sembra di essere tornati al maggio 2008.
Il rondò tra Chiaiano e Marano, dominato da una struttura in metallo che rappresenta una nave affondata, era diventato famoso in tutta Italia come piazza Titanic.
La soluzione al dramma dei rifiuti napoletani passava per quest’incrocio che conduceva alla futura discarica.
Scontri, cariche, barricate, politica in ebollizione. La fecero.
Adesso siamo ai resti, come dicono da queste parti.
È arrivata al limite massimo, colma di monnezza dopo due anni di vita accidentata, tra frane, smottamenti dell’invaso e allarmi sul percolato che sgocciolava nella selva che la circonda.
Il sistema rifiuti è costruito per stare in un equilibrio precario, su un filo che rischia di spezzarsi da un momento all’altro.
Così i dieci giorni di manutenzione a Chiaiano sono il battito d’ali che genera nuovi cumuli a fare da spartitraffico lungo via Toledo, sommerge i quartieri periferici di Ponticelli, riporta l’orologio indietro allo scorso Natale, ultima tappa di una emergenza eterna. In strade come via Tasso e corso Vittorio Emanuele ci sono auto incastrate tra i sacchetti neri, e mezzi pubblici che slalomeggiano a fatica su carreggiate intasate di immondizia.
Oggi sono milleduecento le tonnellate a terra, nel fine settimana gli impianti lavorano a scartamento ridotto, entro lunedì mattina si arriverà  a duemila.
I rifiuti stanno tornando. In silenzio, senza destare scandalo.
Anche la peggiore delle vergogne può creare assuefazione.
La corsa contro il tempo è ripartita.
Chiaiano è ormai piena, ancora non c’è traccia del buco che rimpiazzerà  quello che sta per chiudere.
L’accordo firmato lo scorso 4 gennaio a Palazzo Chigi prevedeva la «rapida» individuazione di un sito per realizzare «immediatamente» una nuova discarica nel Napoletano.
Quattro mesi dopo non è dato sapere dove, se e quando si farà .
La Provincia sta trattando con i sindaci dell’area vesuviana, ma a Terzigno non era finita propriamente in un trionfo, con la rivolta della popolazione e la conseguente marcia indietro. C’è da pensare al futuro prossimo, ma il presente è segnato dai cumuli.
La nuova crisi, si spera passeggera in attesa della seguente, è dovuta al blocco di Chiaiano, unico invaso napoletano, e all’impianto di tritovagliatura di Caivano, da due mesi completamente fermo a causa della frazione umida che ha invaso ogni pertugio disponibile. Era la parte di monnezza che doveva andare in Spagna per nave, così era stato annunciato durante l’emergenza natalizia.
L’accordo invece non è stato fatto, il «molle» è rimasto qui, dove nessuno sa come fare a smaltirlo.
Caivano riaprirà  solo tra 50-60 giorni. Un’eternità .
In questi tre mesi i camion dell’Asia, l’azienda cittadina incaricata della raccolta, hanno scorrazzato per tutta la Regione, portando i rifiuti ad Avellino e Caserta.
Ma dal 7 marzo la discarica di Pianodardine viaggia a metà  carico, per problemi tecnici all’invaso, e ha rimandato indietro le cento tonnellate quotidiane in arrivo da Napoli. Il 17 marzo la Procura di Benevento ha sequestrato la discarica di Sant’Arcangelo di Trimonte, uno dei siti aperti per tamponare la grande crisi dell’inverno 2008, che raccoglie tutti i rifiuti della sua provincia e quelli di Napoli quando c’è urgenza, cioè sempre.
«Inquinamento causato dall’illecito smaltimento del percolato prodotto all’interno della discarica, nonchè pericolo di frana e di disastro ambientale».
E così, seguendo l’allarme per l’ambiente, si torna alla casella di partenza di questo maleodorante gioco dell’oca.
Agli anziani del presidio di Chiaiano, al loro striscione e all’odore mefitico che si respira quando gira il vento.
Nei giorni scorsi un’inchiesta della Procura antimafia di Napoli ha portato alla perquisizione dell’impianto e degli uffici delle società  incaricate di gestirlo.
L’ipotesi di reato è la frode in pubbliche forniture.
Per la copertura dei rifiuti sversati sarebbe stata utilizzata semplice argilla, di scarsa qualità , e terreni di risulta.
I comitati e gli abitanti della zona hanno passato due anni a lamentarsi dei miasmi.
Avevano invocato più volte controlli e analisi per la sicurezza del sito, ricevendo in cambio un’alzata di spalle.
Adesso che vedono confermati i loro timori, sono tornati ad affollare il presidio, pronti a bloccare i camion quando la discarica verrà  riaperta.
Tanto dura poco, dicono tutti.
Sulla carta, Chiaiano dovrebbe chiudere all’inizio dell’estate.
Ma l’esaurimento tecnico dell’invaso è previsto per il 16 maggio.
Il giorno dopo l’elezione del prossimo sindaco di Napoli.

Marco Imarisio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL NEMICO FRANCESE: SILVIO SOFFRE E INVIDIA SARKOZY

Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile

ALL’ESTERO CONSIDERANO RIDICOLA QUESTA OFFENSIVA ITALIANA CONTRO LA FRANCIA… SERVE A COPRIRE LA PASSATA CONNIVENZA ITALIANA CON IL REGIME DI GHEDDAFI…CHE SILVIO POI ACCUSI NICOLAS DI “PROTAGONISMO” E’ DAVVERO IL MASSIMO

Raramente gli capita di sentirsi gabbato, e stavolta è successo che mentre lui volava a Parigi, per giunta nel pieno dell’irresolutezza, quell’altro non solo si era già  messo d’accordo con inglesi e americani, ma era già  partito con i bombardieri.
La situazione ricorda l’incipit di una di quelle barzellette che al Cavaliere piace tanto raccontare.
Ma il finale è aperto.
In Parlamento e fuori il ministro Frattini è stato molto poco diplomatico, la grana sulla Nato e sul comando delle operazioni militari era quasi dovuta, però è arrivata tardi e sapeva di ripicca.
La contemporanea guerra commerciale sulla Parmalat rinfocola, a colpi di decreti legge, l’avversione antifrancese.
L’autocompatimento si estende ai tanti, ai troppi posti che Parigi occupa nelle istituzioni finanziarie, Fondo Monetario, Bce.
È la variante tecnocratica di un’antica antipatia che i governanti italiani, specie quando si trovano nelle peste per faccende di scontento sociale o di cialtronate che di colpo si rivelano tali, riattizzano con la malcelata speranza di spostare l’attenzione su qualcosa che c’è, che va e viene, un complicato sentimento di amore e odio che scorre nella storia e fermenta nell’immaginario, da Giulio Cesare in giù, da Asterix in su.
Anche le reazioni delle batterie mediatiche berlusconiane sull’impiccio libico appaiono, più che eccessive, un po’ sopra le righe della legittima animosità .
All’estero deve sembrare al tempo stesso scontata e ridicola questa improvvisa offensiva italiana contro l’Eliseo.
La politica internazionale è un campo che rifugge artifici, semplicismo e improvvisazioni.
Un conto è attaccare Bocchino, Santoro o la casa di Montecarlo; altro conto è misurare la propria fantasia polemica – e ancora di più le proprie forze – con una nazione come la Francia. Tra Libero, il Giornale e Panorama si oscilla tra colpi bassi a base di rivelazioni da servizi segreti sulla Francia che ha armato i ribelli oppure ha venduto a Gheddafi le armi con cui questi li massacra ed effettacci tipo quello con cui si conclude l’editoriale del settimanale di Segrate: «Al di là  delle Alpi devono ogni tanto ricordare che nella loro storia non c’è solo il generale Napoleone. C’è anche il generale Cambronne».
Figurarsi che peso avranno dato, in quel luogo di assoluta umiltà  che è Parigi, all’ammiccante invito di Giorgio Mulè.
Sulla copertina, sotto l’immagine del presidente francese ritratto con la più celebre delle feluche campeggia uno strillo che vorrebbe tanto essere brillante: «Sarkofago», accipicchia.
A sinistra si chiarisce il contesto: quel signore lì «voleva trascinarci in un duello mortale. Ecco come l’Italia ha ridimensionato la sua smania di protagonismo».
Nella distanza tra l’immagine focosa del «duello mortale» e il mesto participio «ridimensionato» si misurano ragionevoli dubbi e inconfessabili frustrazioni.
Quanto alla «smania di protagonismo», beh, qui da noi negli ultimi tempi un certo protagonismo il potere se l’è pure conquistato sui media, a livello planetario, ma per un altro genere di smanie.
Che faranno senz’altro meno male delle bombe e dei missili, francesi o italiani o soprattutto gheddafiani che siano, però insomma, forse è meglio lasciar perdere. O forse no.
Perchè in tutto questo c’entrano i peggiori appetiti, c’entra il petrolio, c’entra la geopolitica, l’Africa, il Mediterraneo, i commerci, il prestigio, c’entra tutto quello che rende a volte gli interessi di due nazioni incompatibili.
Ma nessuno, in un tempo nel quale la personalizzazione del potere è scappata di mano, riuscirà  mai a escludere che il nemico francese è anche un fatto privato: è più di Berlusconi, se proprio bisogna dire, che di Sarkozy.
Troppo simili per non detestarsi. Simili, però diversi quel tanto che basta a concludere, con abbondanti evidenze documentarie e anche visive (una clip in cui il presidente italiano fa il segno al suo collega rumeno che il francese è matto), che il Cavaliere soffre Sarkozy. Dopotutto Chirac – con cui pure le cose andavano sempre abbastanza male – era un vecchio signore.
Una volta, nel pieno del primo ciclo di scandali, raccontò che il Cavaliere gli aveva indicato il bidet di camera sua dicendo: «Ah, se queste maioliche potessero parlare!».
Non fu simpatico, ma Chirac ormai se n’è andato; ed è arrivato quell’altro.
Meno ricco di Berlusconi, d’accordo.
Con meno esperienza internazionale, e vabbè.
Ma più giovane, più bello, più fico e anche più potente perchè lì monsieur le president mica deve penare per avere una firma del Quirinale sul Milleproroghe bis o perdere il sonno per la pronuncia della Consulta.
Per non dire – colpo di grazia – del fatto che Sarkò ha come «fidanzatina» una delle donne più belle del mondo.
Si deve a Berlusconi di aver introdotto la categoria dell’invidia nel discorso pubblico; e sempre lui ha introdotto la diplomazia del contatto personale.
Quanto basta per chiedersi se l’una e l’altra non gli si stiano ritorcendogli contro.

Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)

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