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VIAREGGIO, ANCHE LA STRAGE DIVENTA BREVE. UNA MADRE: “LE NOSTRE VITE SPENTE IN UNA VAMPATA”

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

DUE ANNI FA IL DISASTRO FERROVIARIO: 32 MORTI, TRA I 38 INDAGATI C’E’ ANCHE MAURO MORETTI…. MA IL GOVERNO NON INSERISCE IL REATO DI STRAGE TRA QUELLI ESCLUSI DALLA PRESCRIZIONE BREVE

Ora anche il tempo delle stragi si è fatto breve.
Da ieri, malgrado i giochi con calcolatrice del ministro Alfano, anche i cavilli di un processo con 32 vittime sono appesi ai destini del premier e alle sue strategie difensive.
Che strano rito obliquo che si celebra in Parlamento: il tempo delle vite di tanti, contro il tempo dell’impunità  di uno solo.
Che scambio feroce, e inaccettabile. Ci sono storie che bisogna rincorrere tra il passato di una catastrofe ferroviaria e l’aula di un tribunale.
Ora c’è la memoria della strage di Viareggio che va recuperata perchè quelle vittime non finiscano bruciate per la seconda volta, in un rogo di amnesia giudiziaria.
Ora, davvero, c’è la voce ferma di Daniela Rombi, madre di Emanuela, che dice con un suono di piombo: “Non mi interessa nulla dei guai giudiziari di Berlusconi. Lo so che non siamo potenti. So che siamo gente semplice, stipendi da mille e cinquecento euro al mese, quelli che fanno fatica ad arrivare al 27. Eppure la mia vita, quella di mio marito, quella di venti famiglie sono state spente da una vampata, in una sera di giugno, due anni fa. A noi nessuno può insegnare niente. Nessuno può permettersi di dare rassicurazioni. Ci hanno tolto 32 vite, non possono toglierci il diritto a questo processo”.
Ora bisogna riavvolgere la bobina.
ll 29 aprile del 2009 Sara Orsi e Emanuela Menichetti, giovanissime e temerarie, avevano fondato una agenzia immobiliare.
C’erano l’università , i sogni mille progetti di una ragazza di 24 anni e di una di 21, in quell’impresa.
Mamma Daniela gridava, divertita e preoccupata: “Ma che vi mettete a fare!?”. E due sorrisi: “Se non ci proviamo a vent’anni, quando?’”.
Il tempo che correva.
E anche la morte, già  in viaggio sui binari: un piccolo incidente di cui nessuno si era accorto a Prato: finchè non c’è un cadavere, in questo paese, è sempre manutenzione ordinaria.
La sera del 29 giugno Emanuela esce: “Vado da Sara!”.
Serata calda: sedute sul letto a giocare a carte in mutandine e reggiseno.
A divertirsi e a fantasticare: studentesse-impresarie, sogni che corrono, affacciate su una ferrovia.
Telefonata dall’ospedale, notte fonda. “Signora, c’è stato un incidente. Sua figlia le vuole parlare”.
Daniela resta di pietra, ma la voce di Sara attenua l’angoscia.
La ricorda agitata, ma cristallina e squillante: “Mamma, c’è stato un incidente!!”.
Non hai tempo di chiedere, dove: “Non ti preoccupare – aggiunge lei – non mi sono fatta nulla”.
Che inganno: voce cristallina in un corpo carbonizzato.
Ora Daniela lo sa: le sono ultime parole di sua figlia. Anche quella telefonata è troppo breve, nel ricordo, una raffica di frasi concitate che ha tagliato la possibilità  di un congedo.
I genitori di Emanuela arrivarono al centro grandi traumi alle 4 del mattino, lei era già  imbottita di morfina.
Il suo corpo, 90 per cento di ustioni, resiste 42 giorni.
Sopravvive a due operazioni. A tre “bagni”.
La voce di Daniela torna di piombo: “Sa cosa vuol dire bagno? E’ come essere spellata viva”.
Per salvare Emanuela, e le altre sei persone rimaste nel limbo del centro ustionati le hanno provate tutte.
Coltivavano la pelle, ipotizzavano trapianti. L’ultima ad andarsene è stata Elisabeth Guadalupe Silva.
Nelle foto è bellissima: lavorava in Italia per mantenere le figlie in Equador. Sei mesi sono un tempo infinito, nell’agonia di un letto di ospedale.
Sei mesi sono un battito d’ali, quando è tua madre che se ne va.
Roberta Calzoni, invece, non ha fatto in tempo a sapere nulla di sua figlia. Le è sopravvissuta, grazie a un innesto. Ma è morta nello stesso reparto. Ibitissam Ayad, 21 anni, ha perso padre, sorellina e fratello. Che aveva fatto in tempo a salvarsi, e a tornare indietro, per provare a salvare la piccola, di 4 anni.
Un gioco feroce, l’incastro dei destini.
Per la maggior parte delle vittime della strage, il rito di commiato è stato brevissimo: tutti morti sotto le macerie di via Ponchielli, folgorata dalle fiamme come un mazzo di carte.
Il Gpl non perdona: quando i superstiti entrarono nelle case, trovarono mura mangiate fino all’intonaco. C’erano ragazze, anziani, italiani, ecuadoregni, romeni, marocchini.
Vite belle e pulite, di periferia, sogni coltivati la sera, addormentandosi con il metronomo sferragliante dei treni.
Non c’erano vip o potenti, in quelle case lungo la ferrovia.
Ora al banco degli impuntati, otto diverse società : una legione straniera di subbapalti intricata come una foresta.
C’erano Le ferrovie di Moretti, certo.
Ma anche la ditta polacca che ha costruito i vagoni, la Pkp; la ditta milanese che aveva revisionato il primo vagone, quella tedesca che si era occupata degli altri dodici.
Le cisterne del convoglio, da cui è fuggito il gas che ha innescato l’incendio, erano della multinazionale americana Gatx (ma recano l’insegna Kvg, una controllata austriaca).
Sulla stessa tratta, a dicembre dello stesso anno, un automobilista vide prendere fuoco lo stesso treno: in questo paese il sangue non insegna davvero nulla. Ibitissam però ha avuto un figlio. Lo ha chiamato Mohamed Hamza. Come il padre, come il fratello.
Ecco perchè Enrico Rossi, presidente della regione Toscana non scherza: “Oggi sarò davanti a Montecitorio per protestare. Se vogliono evitare ogni rischio basta il nostro emendamento. Quello che esclude le stragi dalla prescrizione breve. No dovrebbe essere difficile, no?”.
Daniela Rombi prende un solo respiro: “Ci hanno tolto tutto il tempo di 32 vite. Ora a questo processo non possono togliere un solo secondo”.

Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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I FAMILIARI DELLE VITTIME IN PIAZZA: “QUESTA LEGGE CI NEGA LA GIUSTIZIA”

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

“PENSATE AI MORTI DI VIAREGGIO E DELL’AQUILA” INVOCANO I PARENTI DELLE VITTIME…MA IL GOVERNO PENSA SOLO A GARANTIRE L’IMPUNITA’ A BERLUSCONI… PROTESTE ANCHE PER I CRAC PARMALAT E CIRIO E LE VIOLENZE SULLE DONNE E SUI MINORI

Le famiglie delle vittime delle stragi – quelle che non vogliono la prescrizione breve per avere giustizia –   in queste ore sono in piazza..
Manifestazione e presidio contro “l’amnistia mascherata” del processo breve. Di fronte a Montecitorio e al Pantheon, a poche centinaia di metri dalla Camera, mentre in aula gli onorevoli di Pdl, Lega e Responsabili forzeranno la mano per far finalmente approvare la norma che insieme a due dei quattro processi a carico del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, spazzerà  altri quindicimila procedimenti.
Una mobilitazione anticipata ieri dal mail bombing, con i computer dei deputati di maggioranza bombardati dalle e-mail nella speranza di convincerne qualcuno a non dare il suo voto al provvedimento.
Missive dal testo eloquente: «Onorevole, si spera che non ambisca a futura memoria per non aver contribuito a rendere giustizia agli studenti sepolti sotto le macerie della casa dello studente de L’Aquila, ai cittadini bruciati alla stazione di Viareggio, ai morti per l’amianto, ai morti sul lavoro e a tutte le vittime di violenza i cui reati subiti verranno prescritti grazie al processo breve».
In allegato la lista dei processi che salteranno insieme a quelli del premier. Appuntamento alle tre del pomeriggio, davanti alla Camera, dove proprio in quelle ore infurierà  lo scontro tra maggioranza e opposizione sulla prescrizione breve.
L’iniziativa – spiega Gianfranco Mascia del Popolo viola – è stata preceduta da un presidio che dura ormai da 10 giorni e che continuerà , nel caso di approvazione della prescrizione breve, nei prossimi giorni davanti al Senato». Alle sei del pomeriggio i viola si sposteranno al Pantheon «per dare voce alle testimonianze di tutte le vittime o i parenti delle vittime dei processi i cui reati verranno prescritti».
Non solo le stragi, ma anche i crac Parmalat e Cirio, le vittime di violenza sessuale o sui minori.
Tutto per garantire l’immunità  al premier.

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LA VERA FACCIA DELLA LEGA: C’ERA UNA VOLTA IL CARROCCIO DI LOTTA E DI GOVERNO, ORA E’ RIMASTO PRIGIONIERO DELLA SUA STESSA PROPAGANDA

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

NON LOTTA PIU’ COME VORREBBE E NON GOVERNA COME SAREBBE NECESSARIO…LA MACCHINA POPULISTA SI E’ INCEPPATA DAVANTI AI PROBLEMI REALI DEL PAESE DA RISOLVERE…E TENERE BORDONE ALLE LEGGI AD PERSONAM DEL PREMIER RIVELA UNA PROFONDA CORRUTTIBILITA’ MORALE

Le prime avvisaglie del cambiamento si sono avute nelle splendide giornate di Torino e di Milano, in occasione della visita del presidente della Repubblica per le celebrazioni dell’Unità  d’Italia.
Le manifestazioni sono state accompagnate da un successo popolare superiore alle più rosee aspettative e, forse per la prima volta, la Lega non ha saputo intercettare la tanto evocata «pancia del Paese».
Proprio la gente del Nord ha preferito guardare da un’altra parte, verso l’unità  e non la divisione, verso la solidarietà  e non l’egoismo.
Il Carroccio appare prigioniero della sua propaganda, incapace di governare i problemi che una perenne retorica dell’emergenza e della radicalizzazione dei conflitti hanno amplificato presso il proprio elettorato di riferimento che ora inizia a chiedergli il conto.
Basta ascoltare in questi giorni Radio Padania o sfogliare il quotidiano del partito per percepire l’insoddisfazione della base che denuncia il tradimento dei suoi ministri e attacca la Lega che prima «era tigre» e adesso «Roma l’ha ridotta a un gattino».
Naturalmente il bacino elettorale leghista è più ampio di queste manifestazioni militanti, ma sarebbe sbagliato sottovalutare un simile rumore di sottofondo.
La prima difficoltà  della Lega riguarda la crisi della leadership berlusconiana impelagata in una lotta senza quartiere contro la magistratura.
Inevitabilmente questa crisi si riverbera sulla qualità  dell’azione di governo, tutta concentrata, e ormai da troppo tempo, sulla sorte giudiziaria del premier. La Lega ha patteggiato il sostegno alle leggi ad personam con l’appoggio al federalismo, sottovalutando però il fatto che le prime sono immediatamente percepibili nei loro costi sociali in termini di tutela della legalità  generale, mentre la riforma federale rimanda a un futuro incerto ed evanescente, nel frattempo accompagnato da un tangibile aumento della pressione fiscale.
La seconda difficoltà  concerne l’impianto culturale della classe dirigente leghista a livello locale e nazionale.
Molti di loro potranno essere buoni sindaci e amministratori del territorio, ma hanno difficoltà  a guardare al sistema Italia nel suo insieme dentro un quadro di rapporti europei e internazionali sempre più complesso.
Davanti a questi ostacoli i dirigenti leghisti provano a reagire, giocando la carta dell’antieuropeismo (si pensi alle dichiarazioni del ministro Maroni in favore di telecamera) e quella della xenofobia (si legga l’intervista del governatore Zaia che accusa i tunisini di «pretendere che tu non dia loro carne di maiale da mangiare») così da rientrare in connessione emotiva con i propri militanti, i quali rivendicano ai microfoni di Radio Padania il loro razzismo quando auspicano di invadere di maiali Lampedusa o di sparare addosso a quei tunisini in fuga. In verità , i leghisti sanno bene che il loro elettorato del Nordest conosce la realtà  dell’immigrazione, quella che lavora e produce e che consente già  oggi, ad esempio, di pagare le pensioni degli italiani.
Solo che la vogliono a basso costo e dunque agitano lo spettro criminale perchè sanno che un lavoratore senza diritti è più debole e quindi ricattabile sul piano economico e psicologico.
Se per un immigrato fosse più semplice ottenere la cittadinanza, dentro una cornice di diritti e di doveri riconosciuti, non sarebbe più disponibile a lavorare a qualsiasi prezzo, nero e clandestino come nera e clandestina è la sua condizione di sfruttamento.
Sono queste verità  elementari, patrimonio comune delle classi dirigenti europee conservatrici come progressiste, che solo in Italia vedono i leghisti al governo fingere che non esistano e anzi soffiare irresponsabilmente sul fuoco che ora li sta lambendo.
L’impressione è che le vele della demagogia si stiano sgonfiando e che il vento abbia cominciato a cambiare direzione: il tempo dell’incantesimo populista sembra ormai alle nostre spalle.
Unità  nazionale, coesione sociale e patto costituzionale sono i tre pilastri su cui costruire un’alternativa a questa destra incardinata lungo l’asse Lega-Berlusconi, che in realtà  non è più maggioranza nel paese, ma resiste arroccata al potere, tra uno Scilipoti e l’altro, e abbaia all’Europa perchè non riesce più a governare l’Italia.

Miguel Gotor
(da “La Repubblica“)

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SE QUESTO E’ UN PARLAMENTARE: DANIELA MELCHIORRE, HA CAMBIATO CASACCA 4 VOLTE IN 5 ANNI

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

DALLA MARGHERITA AI LIBERALDEMOCRATICI, DAL PDL AL GRUPPO MISTO, DAL TERZO POLO AL PDL: UNA GIRANDOLA CONTINUA… IERI ERA ASSENTE E IL PDL ERA GIA’ NEL PANICO: IL GOVERNO APPESO A UN FILO DEVE SODDISFARE OGNI RICHIESTA, ALTRIMENTI CADE

Dopo aver cambiato quattro schieramenti negli ultimi cinque anni, ieri la neo-berlusconiana Daniela Melchiorre non ha partecipato alla prima votazione sulla prescrizione breve mandando in fibrillazione la maggioranza e alimentando nuovi sospetti sulla compravendita.
“Era assente perchè non ancora soddisfatta dalle garanzie ricevute” mormoravano nel lato destro dell’emiciclo di Montecitorio.
La scorsa settimana i suoi Libdem (Liberaldemocratici) hanno abbandonato il Terzo Polo al quale avevano aderito appena   a novembre e la Melchiorre, accompagnata dal collega Italo Tanoni, è salita dal premier a palazzo Grazioli, accompagnata dal coordinatore Pdl Denis Verdini, una sorta di padre di spirituale per tutti i parlamentari in continua crisi di coscienza.
Ha 40 anni, Daniela Melchiorre.
Laureata in legge a Bari. Magistrato militare, prima a Verona e poi a Torino. “La parlamentare più sexy” per i camionisti italiani.
Nasce nella Margherita, della quale è presidente a Milano, poi il primo cambio di casacca: va con Lamberto Dini, nei Liberal Democratici.
Nel 2006 viene nominata come tecnico sottosegretario alla giustizia nel governo Prodi.
Naufragato il centrosinistra decide che è meglio allearsi con il Pdl. La prima giravolta.
Viene eletta con il centrodestra alle politiche del 2008.
Passano appena tre mesi ed ecco la seconda giravolta: trasloca dal Pdl al gruppo misto, dove crea una micro-frazione.
Perchè uscite dal centrodestra?, le chiedono. “Siamo preoccupati per una linea che in più di un caso ha trascurato i valori liberaldemocratici”.
Si piazzano in una specie di limbo parlamentare, nè maggioranza, nè opposizione: il partito delle mani libere.
A fine luglio del 2010, dopo la cacciata dei finiani dal Pdl, si scatena la campagna acquisti.
La Melchiorre incontra il premier il 28 luglio.
La finiana Flavia Perina denuncia che la Melchiorre è un “obiettivo di mercato” del presidente Berlusconi: per lei sarebbe pronto un posto di sottosegretario.
Una trattativa difficilissima. Il 29 settembre si vota la fiducia.
Che fanno i Libdem? “Stiamo riflettendo” dice Tanoni, “siamo su una linea politica di astensione”.
La riserva sarà  sciolta solo dopo il discorso del premier in aula.
Il discorso di Berlusconi “è a metà  tra il libro dei sogni e il programma elettorale” dice la Melchiorre.
La trattativa è fallita. Lei vota no alla fiducia al governo. E’ il passaggio formale all’opposizione. La terza giravolta.
A novembre ha un incontro con Fini e la direzione dei Libdem sancisce il passaggio al Terzo Polo.
Fino all’ultimo circolano voci di un loro ritorno in extremis in maggioranza. Voci calunniose! A dicembre la Melchiorre vota la sfiducia a Berlusconi.
Dai banchi di Pdl e Lega piovono insulti e fischi: “Vergognati!” “Vergognati!”
E’ una donna inquieta, l’onorevole Melchiorre.
A febbraio i giornali sono di nuovo pieni di rumours circa un ritorno di fiamma verso il centrodestra.
Lei, il 17 febbraio, smentisce fieramente: “Non siamo interessati ai corteggiamenti”.
E attacca la prescrizione breve come legge ad personam: “Non è il caso di danneggiare una moltitudine di persone, magari vittime o parti civili, per risolvere i problemi di Berlusconi”.
Ma il virus dell’inquietudine le rode dentro.
Ai primi di aprile Melchiorre e Tanoni lasciano il Terzo Polo (“il progetto non è decollato”) e tornano nelle braccia di Berlusconi.
La quarta giravolta. I due prima vedono il premier, poi votano a favore del conflitto di attribuzione per Ruby. E le belle parole di un mese prima? Dimenticate!
In questo preciso momento, mentre scriviamo, la Melchiorre è sicuramente della maggioranza, solo che ieri non si è fatta trovare in aula.
E’ in vista una quinta giravolta?

(da “Ritagli“)

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L’ATTENTATO A BELPIETRO? NON E’ MAI ESISTITO

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

CHIESTA L’ARCHIVIAZIONE DELL’INDAGINE SUL PRESUNTO AGGUATO… L’IPOTESI E’ QUELLA DI UN LADRO NEL PALAZZO CHE NESSUNO HA VISTO E CHE NON HA LASCIATO IMPRONTE… L’ATTENTATO PATACCA CHE UN AGENTE DI SCORTA AVREBBE SVENTATO IN MANIERA ANOMALA

Non c’è stato un tentativo di uccidere Maurizio Belpietro.
Il “clima di odio” tirato in ballo dal direttore di Libero, non ha portato a uno sciagurato progetto di morte.
I pm di Milano, Grazia Pradella e Ferdinando Pomarici, hanno chiesto l’archiviazione dell’indagine, aperta sei mesi fa, quando la sera del 30 settembre, il capo scorta del giornalista, Alessandro Mastore, spara sulle scale del palazzo dove abita Belpietro, senza colpire nessuno.
L’agente racconta di aver visto un uomo che, trovandoselo di fronte, tenta di sparargli, ma gli si inceppa la pistola.
Il poliziotto, sempre secondo la sua versione, reagisce. Spara una volta, due volte, tre volte. Ma a vuoto.
L’uomo riesce a fuggire senza che nessuno lo veda, senza che una delle telecamere piazzate nei dintorni lo riprenda.
È davvero fortunato.
Ora la procura scrive che “le dichiarazioni (di Mastore,ndr) non contraddette da altra fonte consentono di escludere con ragionevole certezza che i fatti siano riconducibili a un piano per attentare alla vita del dott. Belpietro”.
Una conclusione giunta dopo una mole di accertamenti della Digos anche su motivi di “astio” e “odio” verso il giornalista.
I pm sostengono che è illogico per un attentatore non avere complici, possedere una pistola difettosa, non fare dei sopralluoghi.
Non è stata trovata neppure una traccia di cellulari sospetti, agganciati alla “cella” elettronica, nella zona dove abita Belpietro.
Dunque Pradella e Pomarici chiedono l’arhiviazione dell’inchiesta per tentato omicidio, detenzione e porto d’armi ai danni di Mastore perchè “l’autore è rimasto ignoto”.
Ed è anche il poliziotto a ipotizzare che l’uomo misterioso in cui si è imbattuto era un rapinatore, un ladro, pronto a ucciderlo perchè “sorpreso” dalla sua presenza.
Del presunto ladro, però, non è stata trovata neppure un’impronta.
Sono le 22.40 del primo ottobre 2010 quando nel palazzo di via Monte di Pietà  dove vive il direttore di Libero Maurizio Belpietro si sentono due spari. Sono partiti dall’arma del caposcorta del giornalista che, dopo aver accompagnato Belpietro fin sulla porta di casa, sta scendendo le scale per tornare in auto, dove lo aspetta un collega.
Sostiene di aver visto un uomo incappucciato che gli puntava una pistola contro.
Sente “il clic”, ma l’arma si è inceppata.
La fuga nelle scale, poi l’attentatore sparisce nel nulla. L’altro agente che aspetta in auto non vede uscire nessuno.
Da subito gli inquirenti non riuscivano a spiegarsi da dove il presunto attentatore fosse fuggito.
Il caposcorta di Belpietro già  nel ’95 si era reso protagonista di un episodio controverso: un altro possibile attentato all’allora procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio.
Nemmeno lì, gli autori vennero mai individuati.
“Quello che mi ha stupito – ha spiegato D’Ambrosio a La Stampa dopo il caso Belpietro – oltre alla coincidenza delle due vicende, è il fatto che abbia sparato tre colpi di pistola: a meno che non l’abbia fatto a scopo intimidatorio, un professionista difficilmente non colpisce il bersaglio da quella distanza”.

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DUE NUOVE TESTIMONI INCHIODANO BERLUSCONI: “CI PORTO’ FEDE, FU SCIOCCANTE, AVANCES DEL PREMIER, RIFIUTAMMO”

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

UNA SERATA DA BUNGA BUNGA: LA STATUETTA CON IL PENE GROSSO DA BACIARE, LE BARZELLETE OSCENE, LA MINETTI CHE SI ESIBISCE IN UNA LAP DANCE FINO A RIMANERE NUDA, LE RAGAZZE PALPATE DA BERLUSCONI, GLI INCITAMENTI A SPOGLIARE LE NUOVE ARRIVATE… E COSTUI DOVREBBE RAPPRESENTARE L’ITALIA NEL MONDO?

«I complimenti del presidente Berlusconi furono talmente intensi che Fede, non so se come battuta o meno, gli disse: “Eh, mangia nel piatto tuo che io mangio nel piatto mio(…)”.
Forse nelle sue intenzioni io dovevo essere destinata a lui e Ambra a Berlusconi».
Il quale, «dopo l’ultima barzelletta sconcia si fece portare una statuetta di Priapo» (personaggio della mitologia classica simbolo dell’esuberanza sessuale) «e la fece girare tra le ragazze», chiedendo loro «un gioco sconcio al quale nè io nè Ambra ci prestammo».
Proprio mentre l’altro ieri al 1° piano del Tribunale il presidente del Consiglio arringa i cronisti sulle «elegantissime cene» di Arcore, al 5° piano della Procura due ragazze piemontesi di 19 anni, Chiara Danese e Ambra Battilana, consegnano invece ai pm la descrizione più diretta ed esplicita dei bunga bunga del premier mai fatta nell’inchiesta Ruby.
Più ancora della compagna di scuola di Minetti, sinora la teste più neutra.
Per la prima volta, infatti, in almeno due ragazze si rompe il cordone di negazioni opposte dalle 32 giovani qualificate dai pm nel capo d’imputazione di Lele Mora, Emilio Fede e Minetti come prostitute convogliate dal terzetto ad Arcore.
E il racconto è sorprendente anche per la genesi: non lo scoprono i pm, bensì lo portano le due ragazze, confermando negli interrogatori di lunedì le memorie del 4 aprile, benchè riguardanti la notte del 22-23 agosto 2010, e stilate dopo aver consultato un avvocato.
L’innesco, stando al racconto delle 19enni provenienti dalle selezioni di Miss Italia e con agente quel Daniele Salemi già  emerso in contatto con Mora, è dato sia dalle maldicenze alimentate in piccoli paesi dai loro nomi «equiparati sui giornali alle escort», sia da un «effetto boomerang» di Berlusconi: «Uno degli elementi che mi hanno spinto a prendere questa decisione – esordisce Chiara davanti ai pm Forno e Sangermano – è la posizione che ha pubblicamente assunto il presidente Berlusconi, il quale in più occasioni ha definito “cene eleganti” le serate che per quanto mi risulta avevano tutt’altra natura, e per di più ha difeso alcune ragazze del suo “giro” che avevano avuto atteggiamenti sconvenienti, mentre non ha ritenuto di spendere una parola a favore nostra che ci eravamo comportate in tutt’altro modo».
Chiara e Ambra spiegano di essere state presentate nell’agosto 2010 da Salemi a Fede, «che subito si mostrò entusiasta di noi, disse “vanno benissimo”, non ci richiese l’effettuazione di alcuna prova ma si mostrò deciso a sceglierci come “meteorine” a 5.000 euro a settimana».
Seguono ristorante con Fede, battute a doppio senso, «esame del fondoschiena», promessa di risentirsi.
E in effetti la sera del 22 agosto, senza prima saperlo, con Salemi e poi con Fede finiscono ad Arcore.
La cena «con una quindicina di persone» (da tempo individuate dai pm con i tabulati) è animata dalle «barzellette sconce del premier», alle quali «Fede con piccole gomitate ci spingeva a ridere nel coro» di «tutti i presenti che scoppiavano a ridere in maniera eccessiva e forzata».
Parte il gioco della statuetta di Priapo, del quale qui si edulcora la descrizione al pari del prosieguo: «Le ragazze si dimenavano, ballavano, cantavano “meno male che Silvio c’è”, si facevano baciare i seni dal presidente, lo toccavano nelle parti intime, e poi facevano lo stesso con Fede. Eravamo scioccate, in una situazione più grande di noi. A un certo punto Berlusconi, visibilmente contento, disse “allora siete pronte per il bunga bunga?”, e tutte le ragazze in coro hanno urlato “Siiii!”».
Mentre il gruppo si sposta e sale su una scala, «Berlusconi dietro di noi ci poggiò le mani sui glutei», non un aiuto (dice Ambra) ma «un palpeggiamento sul sedere, e reiterato».
Arrivate nel centro benessere sempre più perplesse («Ma che dobbiamo fare, disse la mia amica, dobbiamo darla?»), Chiara vede «le ragazze ballare in maniera piuttosto volgare» con «vestiti da infermiera molto corti, da crocerossina», «i seni molto scoperti», «anche un frustino», e «avvicinandosi a Berlusconi lo toccavano e si facevano toccare nelle parti intime», una «ballava mentre Berlusconi la baciava sul seno».
Nicole MInetti si esibisce in uno spettacolo di lap dance, indossa uno di quei vestiti che si tolgono a strappo. Rimane completamente nuda ballando al palo, senza reggiseno e mutandine, poi avvicina il sedere al viso del premier. Girandosi gli avvicina i seni alla bocca e il presidente le bacia i seni.
Chiara e Ambra dicono di essere rimaste paralizzate, «mentre Fede e Berlusconi incitavano le altre ragazze a coinvolgerci in questo “gioco” con parole quali “dai spogliatele… spogliatevi… ballate”».
E quando spiegano di volersene andare, «Fede risponde: “Se volete andare via, va bene, ma non pensate di poter fare le meteorine o Miss Italia”. Berlusconi, che sedeva accanto, annuiva senza dire una parola».
In auto, Fede di colpo cambia e esalta il «nostro non essere come le altre: brave, avete superato una prova».
E l’sms «grazie per la fantastica serata!» dal telefonino di Chiara a Fede?
«In realtà  lo mandò Salemi, per assicurarmi la selezione a Miss Italia, quando ancora non gli avevamo raccontato la serata».

Luigi Ferrarella, Giuseppe Guastella
(da “Il Corriere della Sera“)

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SONO 1,3 MILIONI GLI ITALIANI CHE VIVONO DI POLITICA

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

L’INVASIONE DELLA CASTA: SECONDO UN RAPPORTO DELLA UIL, SOLO CALCOLANDO PARLAMENTARI, MINISTRI E AMMINISTRATORI SI ARRIVA GIA’ A 145MILA ADDETTI…IL COSTO E’ DI OLTRE 18 MILIARDI DI EURO…SI POTREBBE ARRIVARE A UN RISPARMIO DI ALMENO 5-10 MILIARDI L’ANNO

Di politica in Italia vivono 1,3 milioni di persone, quanto gli addetti alla scuola pubblica.
La stima è della Uil, che fornisce altri dettagli: i “politici” sono oltre 145 mila tra parlamentari, ministri e amministratori locali.
Migliaia i consiglieri circoscrizionali e i membri dei CdA delle 7 mila società , enti, autorità , consorzi, partecipati dalla Pubblica amministrazione.
Ci sono oltre 318mila persone che hanno un incarico o una consulenza pubblica e poi c’è “la massa del personale di supporto politico”, spesso nominati direttamente.
Portaborse, consulenti dei consulenti, segretari e uffici stampa.
La “categoria” ha un costo complessivo, diretto e indiretto, che la Uil calcola in 18,3 miliardi di euro.
Se si aggiungono i costi del sistema istituzionale italiano, calcolati in 6,4 miliardi, si raggiunge la cifra di 24,7 miliardi all’anno.
Guardiamo da vicino qualche dettaglio: gli organi dello Stato centrale (Quirinale, Camera, Senato, Corte costituzionale, Presidenza del Consiglio, ministeri) costano 3,2 miliardi all’anno.
Stessa cifra per Regioni, Province e Comuni: 3,3 miliardi.
Ma una cifra analoga si spende anche “per le consulenze, gli incarichi, le collaborazioni e le spese per i comitati e varie commissioni”: nel 2009 è stata di 3 miliardi di euro.
Si tratta di un’ampia voce di spesa dirottata verso figure che spesso già  dispongono di rilevanti entrate, anch’esse pubbliche trattandosi di docenti universitari, magistrati, manager e così via.
Impressionante, poi, la cifra dei compensi, delle spese di rappresentanza o del funzionamento dei Consigli di amministrazione e degli organi collegiali delle Società  pubbliche o partecipate: nel 2010 si sono spesi 2,5 miliardi di euro.
Cifre da capogiro superate però da una voce che il ministro Brunetta aveva promesso di ridurre significativamente: il parco auto della Pubblica amministrazione.
Si tratta di ben 4,4 miliardi di euro l’anno che la Uil ritiene siano sottostimati.
Notevole anche il costo di Consigli e Giunte regionali, circa 1,2 miliardi nel 2010.
Al primo posto c’è la Sicilia con 158 milioni seguita dal Lazio con 128 milioni mentre la Lombardia costa “solo” 73 milioni e l’Emilia Romagna 37.
Secondo la Uil si può tagliare, ad esempio limitando i costi delle Province solo ai compiti attribuibili per legge.
Si tratterebbe di 1,2 miliardi in meno all’anno.
Se si accorpassero gli oltre 7400 Comuni sotto i 15 mila abitanti il risparmio sarebbe di 3,2 miliardi.
Altri tagli si potrebbero produrre “senza ridurre minimamente il servizio ai cittadini e senza intaccare i processi democratici”.
Un risparmio complessivo calcolato in ben 10 miliardi.

Salvatore Cannavò e Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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ORA GLI IMMIGRATI DOVRANNO ESSERE DISTRIBUITI ANCHE NELLE REGIONI DEL NORD: 3.200 IN LOMBARDIA, 1.600 IN VENETO, 1.400 IN PIEMONTE

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

SCOPERTO IL BLUFF DI MARONI, ORA ANCHE LE REGIONI LEGHISTE DOVRANNO DARE OSPITALITA’ AI TUNISINI E AI PROFUGHI, SENZA PIU’ SCARICARE L’ACCOGLIENZA SULLE REGIONI DEL CENTRO-SUD… LA SOLIDARIETA’ NON DEVE AVERE PIU’ STECCATI

Per il ministro dell’Interno e Palazzo Chigi si fa notte fonda.
Perchè a dispetto della telefonata con cui Silvio Berlusconi ha «rassicurato» Roberto Maroni sulla «condivisione della linea assunta in Europa», il vertice in Lussemburgo, nel sigillare di fatto l’emergenza profughi all’interno delle nostre frontiere, promette una immediata reazione a catena tutta di segno domestico.
Di più: caccia la Lega e il suo ministro in un angolo.
Evaporata la possibilità  di “disperdere” oltre la frontiera francese buona parte dei 20 mila, tra clandestini e profughi, che hanno raggiunto il nostro Paese in questi primi quattro mesi dell’anno, si riapre infatti da oggi il redde rationem della «solidarietà  nell’accoglienza» tra il Centro-Sud e le grandi Regioni del Nord a trazione leghista: Lombardia, Piemonte, Veneto.
E dunque torna a materializzarsi l’incubo elettorale che ha sin qui orientato le scelte del Governo.
Per settimane, rassicurati da Maroni e dalla “trovata” dei permessi di soggiorno temporanei che, nell’azzardo di Palazzo Chigi, avrebbero dovuto spalancare le porte dell’area Schengen ad almeno 15 mila cittadini tunisini, Cota (governatore del Piemonte), Zaia (governatore del Veneto), Formigoni (governatore della Lombardia) non sono infatti andati oltre un generico impegno ad «accogliere i soli profughi».
Certi che il giorno in cui avrebbero dovuto fare sul serio e misurarsi con la pancia del loro elettorato sarebbe stato lì da venire.
Ma, oggi, Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile e neo commissario straordinario per l’emergenza profughi, forte dell’accordo siglato la scorsa settimana nella “cabina di regia” Stato-Regioni, presenterà  il conto di quell’impegno alla «condivisione dell’emergenza».
Ebbene, il conto dice che nel giro di pochi giorni, la Lombardia dovrà  mettere a disposizione strutture per ospitare oltre 3.200 tra profughi e clandestini con permesso di soggiorno temporaneo: un terzo in più di Lazio e Campania, una volta e mezza la quota assegnata alla Puglia.
Il Piemonte dovrà  farsi carico di oltre 1.400 presenze.
Il Veneto di 1.600.
In un’aritmetica che, a questo punto, non contempla margini di negoziazione e che – a stare al piano di emergenza licenziato dal Viminale – fissa in una proporzione di 1 migrante ogni 1.000 abitanti la soglia massima di accoglienza delle 18 Regioni (l’Abruzzo è escluso) e delle due provincie autonome del nostro Paese.
«Per fortuna la matematica e i dati Istat sulla distribuzione della popolazione in Italia non sono opinabili», ripetono in queste ore i tecnici del Viminale e della Protezione Civile.
«Se la Lombardia, con i suoi 9 milioni e 800 mila abitanti, conta per il 16 per cento della popolazione italiana, contribuirà  all’accoglienza del 16 per cento dei 20 mila tra clandestini e profughi presenti in questo momento sul nostro territorio. E se la Basilicata conta per lo 0,9 per cento, alla Basilicata non si potrà  chiedere, al momento, di accogliere più di 200 migranti».
Questo significa – aggiungono le stesse fonti – che, di qui ai prossimi giorni, «andranno progressivamente smantellate le tendopoli in Sicilia, in Puglia, in Campania e redistribuito il carico dell’accoglienza sull’intero territorio nazionale, alleggerendo quelle Regioni che oggi contano presenze superiori a quanto stabilito dal piano».
Il passaggio promette di essere tutt’altro che politicamente agevole.
Cota e Zaia, ieri, si sono precipitati ad accusare l’Unione («Europa scandalosa e vergognosa»), ma si sono guardati bene (al contrario di quanto accaduto per l’intera giornata in Umbria, Emilia Romagna, Basilicata) dal dare alcuna indicazione su numeri e strutture pronte per l’accoglienza, di cui pure, entro oggi, dovranno dare conto al Governo.
Non esattamente un buon inizio, pensando che i numeri dell’emergenza, oggi fermi a 20 mila migranti, dovrebbero comunque essere destinati a salire con l’aumento del flusso dei profughi dalla Libia.
E che la situazione di Lampedusa e dei respingimenti promette settimane molto complicate.
L’isola ha cominciato a bruciare dei fuochi dei 1.000 clandestini in attesa di essere rimpatriati. Sono i primi segnali della rivolta. Non saranno gli ultimi. Non fosse altro perchè il loro rientro – ammesso e non concesso che dalle coste tunisine non ci siano nuovi arrivi – potrà  procedere, secondo gli accordi con Tunisi, a un ritmo di 60 migranti al giorno, sei giorni su sette.
E, dunque, non sarà  completato prima di venti giorni.

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“GLI ITALIANI IN SVIZZERA? VIA A CALCI IN CULO”: COSI’ LA LEGA TICINESE VUOLE TRATTARE I LAVORATORI DELLA PADAGNA

Aprile 13th, 2011 Riccardo Fucile

IL VIRUS LEGHISTA FINISCE QUESTA VOLTA AD INVOCARE PER GLI ITALIANI IL TRATTAMENTO CHE BOSSI VUOLE RISERVARE AGLI IMMIGRATI.. IL PROGRAMMA DELL’IMPRESENTABILE GIULIANO BRIGNASCA DALLA RICCA FEDINA PENALE

“Tremonti con la Svizzera sta facendo il pirla. Ma è un somaro se non tratta con noi. Ora deve ascoltarci”.
Con ragionamenti politici come questo — e con slogan come “i frontalieri (gli italiani pendolari che vengono in Svizzera a lavorare, ndr) verranno cacciati a calci in culo” — Giuliano Bignasca ha conquistato il cuore (e i voti) degli abitanti del Canton Ticino, che hanno riservato alla sua Lega dei ticinesi un pienone di consensi, quasi il 30 per cento.
Che tradotto significa due scranni su cinque nel Consiglio di Stato (il governo del Cantone, assegnato su base proporzionale).
Un potere senza precedenti.
Le ragioni di questa ondata xenofoba non vanno ricercate solo nella crisi economica, che ha portato disoccupazione anche nel Cantone più “italiano” della vicina Svizzera.
L’insofferenza di una parte dei ticinesi per “gli italiani che ci portano via il lavoro”, e soprattutto per quella parte di tasse pagate sui dipendenti che il governo svizzero restituisce al nostro Paese, è un sentimento che brucia sotto la cenere da diversi anni.
Solo 6 mesi fa l’Udc, che non è la versione svizzera del partito di Casini ma è al contrario un movimento con posizioni di destra radicale, aveva lanciato una campagna contro i “frontalieri topi”.
Alla fine erano arrivate le scuse all’Italia, ma il messaggio intanto era passato. E l’assist al partito di Bignasca era servito.
Lui, soprannominato “il nano”, non è “l’uomo nuovo”, nè tantomeno “l’uomo—immagine”.
Figlio di uno scalpellino, ha ereditato l’azienda del padre e, insieme al fratello (anche lui nel partito) ha messo in piedi diverse imprese di costruzioni.
Il suo casellario giudiziario non è certo immacolato: nel corso degli anni si sono sommate condanne passate in giudicato per calunnia, diffamazione, ingiuria, droga.
E anche per avere sottratto gli oneri sociali ai suoi stessi dipendenti stranieri.
Eppure oggi, dopo un primo trionfo elettorale negli anni ’90 e una successiva crisi di consensi, è tornato sulla cresta dell’onda, sempre con slogan che contrappongono gli svizzeri agli usurpatori italiani.
Il personaggio è ruvido e non si fa problemi a mandare “a quel paese” i cronisti.
Ma ne ha anche per i ministri italiani e i governanti della sua stessa Svizzera: “O Tremonti mette a posto (rinnovando gli accordi bilaterali sulle tasse dei frontalieri, ndr), altrimenti buttiamo fuori 10 mila frontalieri. Ne abbiamo 48 mila, entro tre anni dobbiamo andare a 35 mila. Se lo capisce va bene, altrimenti gli spacchiamo le ossa. Tremonti fa il pirla con la Svizzera. Il blocco dei pagamenti ai comuni per i frontalieri? Questione di dieci giorni”.
Tutti avvisati.
Ogni giorno dalle provincie lombarde di Varese, Como e Sondrio migliaia di lavoratori varcano il confine attratti da stipendi mediamente più alti di quelli italiani.
Sono operai, impiegati, addetti alla grande distribuzione, ma anche camerieri, commessi o infermieri che da anni si rivolgono alle imprese del Canton Ticino per guadagnarsi la pagnotta.
Tanti italiani che provengono da zone tradizionalmente leghiste.
“Io faccio il frontaliere da sei anni — spiega un salumiere che lavora nella centralissima via Nassa di Lugano — e in Italia ho sempre votato Lega. Se ci mandassero via e ci rimpiazzassero con dei tunisini, mancherebbe la manodopera italiana, perchè noi veniamo qui a lavorare seriamente, non siamo in Svizzera per rubare o per scavalcare gli svizzeri”.
Insomma, la Lega dei ticinesi vuole far perdere il lavoro ad almeno 10 mila frontalieri.
Eppure la Lega Nord italiana appoggia e approva.
“Mi ha chiamato l’onorevole Giancarlo Giorgetti per complimentarsi”, spiega Bignasca.
E, interpellato dal Fatto Quotidiano, anche il sindaco leghista di Varese Attilio Fontana, dice: “Mi fa piacere che abbiano fatto questo risultato alle elezioni, si tratta di un movimento vicino al territorio, con cui la Lega Nord è sempre andata d’accordo”.
I frontalieri? Un dettaglio: “Credo che farebbero fatica a sostituire i lavoratori italiani con altrettanti lavoratori seri e di valore. I lavoratori frontalieri sono una risorsa per il Canton Ticino, lo sono doppiamente, perchè lavorano, producono e alla sera rientrano a casa loro, senza dunque appesantire infrastrutture e servizi”.
Le due Leghe, in effetti, hanno molto in comune: “L’unico elemento distintivo è quello degli italiani”, spiega Daniele Fontana (nessuna parentela con il sindaco), giornalista e responsabile della comunicazione del Partito socialista del Cantone.
“Tutti gli altri stereotipi sono uguali”, aggiunge.
Che cosa deve fare Bossi per accontentare i cugini svizzeri? Giuliano Bignasca ha le idee chiare: “Deve tagliare l’Italia sotto Bologna — azzarda serio — altrimenti siete falliti”.
E con il leader lumbard, Bignasca ha in comune anche l’avversione per la Carta costituzionale: “Io la Costituzione non l’ho mai letta e non la voglio leggere, al massimo la straccio. Che rapporto abbiamo con Berna? Come con Roma. Li mandiamo affan..”

Simone Ceriotti e Alessandro Madron
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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