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IL CAPOCOMICO D’AVANSPETTACOLO STAMANE SI E’ ESIBITO AL “TEATRO NUOVO” CON UN LAPSUS: “C’ERANO SEMPRE I MIEI GIUDICI PAGATI DA ME”

Aprile 17th, 2011 Riccardo Fucile

BERLUSCONI, SUL PALCO CON LA MORATTI, INAUGURA LA CAMPAGNA ELETTORALE A MILANO: “C’E’ UN PATTO TRA FINI E I GIUDICI EVERSORI”…FINI LO SFIDA: “FORNISCA NOMI E PROVE: NON CONOSCE LA PAROLA VERGOGNA”

«Sono elezioni cittadine ma sono forse di più elezioni nazionali» ha detto il presidente del consiglio Silvio Berlusconi parlando alla convention per Letizia Moratti (due giorni fa il capocomico aveva sostenuto la tesi opposta n.d.r.)
Aprendo il suo intervento al Teatro Nuovo ha detto: «Il berlusconismo non è al tramonto, a Milano supereremo i 53 mila voti delle ultime elezioni».
«Noi abbiamo introdotto una nuova moralità  in politica” (come no, con decine di inquisiti per mafia, corruzione e persino prostituzione minorile n.d.r.).
Il premier ha ribadito che ora le sue riforme (incostituzionali n.d.r.) sono possibili anche grazie all’uscita di Fini dalla maggioranza, accusando il leader di Fli di essere in combutta con le procure che tramano contro di lui.
Durante l’intervento dal palco si è rivolto ai giudici: «Avviso ai naviganti della Procura: la riforma della giustizia la faremo anche se faranno fuori Berlusconi, perchè avremo sempre la maggioranza nel Paese (poveretto, non legge neanche i sondaggi n.d.r.)».
“Tra Gianfranco Fini e la magistratura c’è stato un patto «sceleris»”.
Secondo il premier il patto prevedeva che, una volta fatto fuori Berlusconi, l’idea di Fini era quella di fare le riforme che convinceranno «la magistratura o non far nessun riforma».
Pronta la reazione dei magistrati, di Antonio Di Pietro e di Gianfranco Fini.
«Quando Berlusconi dice che l’Anm avrebbe firmato un accordo con Fini dice una grave calunnia. Invito il presidente del Consiglio a fare nomi e a farci vedere il documento di cui parla», è il commento del segretario dell’Anm Giuseppe Cascini, che nel corso della trasmissione «In mezz’ora» ha parlato di un «metodo di avvelenare le acque».
Ha definito inoltre uno «scempio istituzionale» il fatto che si facciano leggi «per determinare effetti su singoli processi».
«Un fatto gravissimo, andrò a denunciarlo», ha detto Antonio Di Pietro, anche lui ospite in trasmissione.
Durissimo anche il presidente della Camera Gianfranco Fini: «L’escalation di quotidiane menzogne di Berlusconi non è più tollerabile. Anche oggi, e per l’ennesima volta, il presidente del Consiglio ha detto di avere le prove di un patto scellerato che avrei sottoscritto con la magistratura per impedire le riforme della giustizia. Lo sfido a dimostrare quel che dice: faccia il nome del magistrato che glielo avrebbe detto, e fornisca le prove a sostegno delle sue parole: se non risponderà , cosa di cui sono certo, gli italiani avranno la prova che non sa cosa significhi la parola vergogna».
Berlusconi intanto continuava l’avanspettacolo: «Le accuse su cui si basano i miei processi e sostenute dalla cellula rossa dei pm sono assolutamente infondate: l’ho giurato sulla testa dei miei cinque figli e dei miei amatissimi nipoti» (anche diversi killer seriali hanno fatto la stessa cosa, ma sono finiti impiccati n.d.r.).
Berlusconi è tornato a difendere le sue leggi ad personam che “permettono al presidente del Consiglio di difendersi dal punto di vista legale una volta che ha finito di occuparsi a tempo pieno degli interessi del Paese”.
Ha criticato il fatto che queste leggi siano state bocciate da «questa Corte costituzionale».
E conclude: «L’abrogazione dell’immunità  parlamentare è stato un errore gravissimo» (certo, meglio l’impunità  per i politici ladroni e corrotti, n.d.r.)
Poi il lapsus mentre parlava di giustizia e ricordava le udienze che lo hanno riguardato «a cui qualche volta – ha spiegato – ho partecipato. E dove c’erano sempre i miei giudici pagati ovviamente da me».
Percepito il lieve imbarazzo del pubblico si è corretto dicendo «i miei avvocati”.
Poi parte all’attacco di giornali e trasmissioni radio e tv che – dice – lo «azzannano» in continuazione.
«La sinistra ha tentato, tenta e tenterà  una nuova eversione cercando di dare una spallata al governo eletto dagli italiani e di farci perdere la maggioranza”
«Quando dicono che sono l’uomo più potente d’Italia – ha spiegato il presidente del Consiglio – dicono una bugia, a meno che non si riferiscono ad altre potenze… tutto ciò che vi passa per la mente corrisponde al vero» (grande applauso di puttanieri e mignotte in sala n.d.r.)
«Eversivo, eversivo», «Silvio, Silvio»: mentre Silvio Berlusconi lasciava il teatro sono partiti i cori di opposte fazioni, dei suoi fan e di contestatori.
«Basta impunità , basta leggi su misura», era uno dei cartelli che hanno sventolato diverse persone che chiedevano a Berlusconi di farsi processare elencando i nomi di giudici uccisi come Alessandrini e Bachelet.
Silvio Berlusconi è subito salito in macchina e se ne è andato.
«Splendido intervento da cabaret, credo che il pubblico si sia molto divertito, peccato non abbiano fatto pagare il biglietto. Così avrebbero potuto contribuire alle spese elettorali milionarie del candidato Moratti. Non è con il cabaret che si risolvono i problemi di Milano e del Paese», ha affermato Giuseppe Valditara, senatore di Fli e coordinatore regionale della Lombardia.
Tranquilli, domani lo spettacolo si   replica.

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IL CONTO SALATO PER GLI UFFICI DEI SENATORI: SPESI 81 MILIONI DI EURO IN 14 ANNI

Aprile 17th, 2011 Riccardo Fucile

DENUNCIA DEI RADICALI: ISITITUZIONI USATE COME UN BANCOMAT PER IMPRENDITORI AMICI DEI POTENTI….PER GLI UFFICI DI 86 SENATORI LO STATO SPENDE 5.654 A TESTA PER UNA STANZA A ROMA…SI SPENDE DI PIU’ DI AFFITTO CHE SE AVESSERO COMPRATO LO STABILE

Ottantuno milioni e 600 mila euro: è lo spaventoso conto che è stato presentato ai contribuenti italiani per gli uffici di 86 senatori a partire dal 1° maggio 1997.
Circa 950 mila euro ciascuno. Ovvero, 67.857 euro l’anno, 5.654 al mese, per una stanza nel centro di Roma.
Tanto per capire, con quei soldi si paga a Roma la pigione di una decina di appartamenti in periferia.
Oppure l’affitto di almeno un paio di uffici da 123 metri quadrati come quello di proprietà  dell’Ipab occupato in piazza Campitelli dall’assessore alla Casa del Comune, l’europarlamentare Alfredo Antoniozzi.
Ma per capire come si è arrivati a spendere una cifra che ha dell’incredibile è necessario tornare al 1997, quando l’amministrazione di palazzo Madama (presidente del Senato era Nicola Mancino e segretario generale Damiano Nocilla) stipula con una società  dell’immobiliarista Sergio Scarpellini un contratto d’affitto di un ex albergo romano, il Bologna, dove collocare 86 studi di altrettanti senatori.
Prezzo, tre miliardi e mezzo di lire l’anno: un milione 807.599 euro più Iva e rivalutazione Istat.
Scarpellini è un personaggio piuttosto noto negli ambienti istituzionali: è il proprietario dei palazzi Marini, occupati, con un meccanismo contrattuale di cui beneficia la sua società  Milano 90, del tutto analogo a quello dell’ex albergo Bologna, dagli uffici dei deputati.
Ma per cifre molto più ingenti, considerando i volumi: in 13 anni l’amministrazione di Montecitorio ha speso 561 milioni per gli affitti e i servizi annessi.
I contratti prevedono infatti che Scarpellini fornisca alla Camera non solo gli spazi fisici ma anche il servizio chiavi in mano: portineria, commessi, pulizie, bar…
Così anche all’ex albergo Bologna.
Dove il Senato paga dal 1997 per i servizi una cifra netta aggiuntiva alla pigione pari a un milione 291.142 euro l’anno.
Tutto sembra filare liscio fino al 2001, quando il Senato decide di far valere una clausola contrattuale che gli garantisce il diritto ad acquistare l’immobile. Il prezzo viene fissato da un collegio arbitrale in 23 milioni 920.475 euro.
Ma Scarpellini lo contesta e ne nasce un contenzioso.
Alla fine il Senato rinuncia all’acquisto e Scarpellini rinuncia a due anni di pigione.
E si va avanti con l’affitto, grazie a un nuovo contratto di 10 anni con scadenza il 1° maggio 2013.
Nel frattempo però l’amministrazione del Senato, dove è salito alla presidenza Marcello Pera e Antonio Malaschini è diventato segretario generale, non se ne sta con le mani in mano.
Sono gli anni in cui non si bada a spese e qualche mese prima compra un palazzetto a Largo Toniolo dalla società  di un signore che ha rilevato quello stabile da un fallimento e non è certamente un illustre sconosciuto.
È un senatore in carica. Si chiama Franco Righetti, autore di una lunga traversata centrista dal Ccd all’Udeur.
Pur senza i numerosi protesti bancari che per giunta affliggono l’onorevole in questione, ce ne sarebbe abbastanza per porsi più d’una domanda.
Che però, al Senato, nessuno si pone.
In quel palazzetto, secondo i piani, dovrebbero in futuro finire una parte degli uffici dell’ex albergo Bologna.
Ma l’avventura immobiliare si rivela un mezzo disastro: il palazzetto è composto da una decina di appartamenti classificati come abitazione, e il Comune di Roma non concede il cambiamento di destinazione d’uso.
La pratica si sblocca soltanto nel 2008, quando il sindaco Walter Veltroni si candida alle politiche e nella giunta tecnica che gli subentra compare come «sub commissario» con delega all’urbanistica proprio una dirigente del Senato. Fulmineo, a quel punto, il via libera del Comune.
E i lavori possono partire: in quel palazzetto troveranno posto 30-35 uffici.
Non contenti, mentre si sta comprando il palazzetto di Largo Toniolo, i signori del Senato concludono un’altra ardita operazione immobiliare: l’affitto dall’Isma, l’Istituto Santa Maria in Aquiro, di un altro palazzetto di 3 mila metri quadrati a poca distanza dal Pantheon.
È così malandato che saranno necessari interventi costosissimi.
Ma la ristrutturazione sarà  quasi interamente a spese dello Stato. S
enza considerare che il Senato comincia fin da subito, prima ancora dell’inizio dei lavori di ristrutturazione, a pagare l’affitto: 425 mila euro l’anno più Iva e adeguamento Istat.
Il calvario va avanti otto anni e oggi non è ancora finito.
Dopo lavori interminabili, soltanto nei giorni scorsi sono stati consegnati i primi 21 uffici.
La ristrutturazione, gestita come quella del palazzetto di Largo Toniolo dal provveditorato alle opere pubbliche del Lazio, già  regno di Angelo Balducci, è costata allo Stato 26 milioni: quasi 9 mila euro al metro quadrato, cifra addirittura superiore, secondo le quotazioni di mercato, al valore dell’immobile.
Ben 7 volte il costo che una perizia del Demanio, rivelata dalla trasmissione Le Iene su Italia 1, aveva considerato congruo: pena la possibilità  di dichiarare nullo quel contratto.
Che però, guarda caso, nessuno si sogna di impugnare.
Commenta il segretario radicale Mario Staderini: «Sembra che la priorità  fosse far girare soldi più che avere nuovi uffici. La sensazione è che Camera e Senato siano stati utilizzati come un bancomat per imprenditori d’area e annesse spartizioni partitocratiche. E ora ci ritroviamo una città  della politica che occupa 220 mila metri quadrati, quattro volte il Louvre».
E il bello è che se i radicali non avessero preteso che fossero resi pubblici tutti i contratti, di questo pasticcio non si conoscerebbero molti dettagli.
Il bilancio è agghiacciante.
Per affittare gli 86 uffici dell’ex hotel Bologna il Senato ha già  sborsato, Iva compresa, circa 26 milioni mezzo: tre milioni in più di quello che, secondo la stima contestata da Scarpellini, sarebbe costato acquistare l’immobile.
Altri 25,7 milioni per comprare e ristrutturare il palazzetto di Largo Toniolo dove andrebbero 35 uffici.
Per non parlare dei 29,4 milioni andati in fumo per Santa Maria in Aquiro, che dovrebbe accogliere altri 51 (ma c’è chi dice 54) uffici: 26 milioni per ristrutturarlo più 3,4 milioni di affitti inutilmente pagati per 8 anni, dal 1° marzo 2003 a oggi.
Per questo immobile lo Stato ha speso più quattrini di quanti ne sarebbero serviti per comprarlo.
Invece l’immobile resterà  di proprietà  dell’Isma e quando sarà  scaduto il contratto, nel 2021, se il Senato vorrà  continuare a occupare quegli uffici dovrà  pagare una pigione raddoppiata: 850 mila euro.
Un affarone.
Il totale speso finora per quegli 86 uffici è dunque di 81,6 milioni.
Oltre alle bollette e ai servizi necessari al loro funzionamento.
Il tutto per ritrovarsi con un pugno di mosche in mano, se si eccettua il piccolo stabile di Largo Toniolo.
Risponderà  mai qualcuno per questo immane spreco di denaro pubblico?

Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera”)

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NEL PDL E’ GUERRA TRA I COLONNELLI E PISANU AMMETTE CHE STA PENSANDO DI ANDARSENE

Aprile 17th, 2011 Riccardo Fucile

BERLUSCONI, ESPERTO IN MATERIA, PARLA DI “PATOLOGIE” NEL PARTITO E IPOTIZZA ANCHE UN CONGRESSO ANTICIPATO… REGOLAMENTO DI CONTI TRA EX AN ED EX FORZISTI

Silvio Berlusconi le chiama «patologie».
Nel suo intervento fiume all’Eur non ne ha solo per magistrati e sinistra, ma anche per il partito.
Un segnale forte a ministri, colonnelli e fazioni tutte interne al Pdl ormai in guerra.
Basta, dice il premier: «Dobbiamo togliere tutti gli elementi negativi», afferma di fronte ai nuovi adepti di Michela Vittoria Brambilla.
Per continuare a vincere, aggiunge, «abbiamo bisogno di nuove forze e di entusiasmo».
Insomma, il Cavaliere per stoppare le lotte (nemmeno più) sotterranee ancora una volta si appella a quello spirito del ’94 che fu di Forza Italia e che da tempo lamenta essersi perduto nel Pdl.
Non a caso aggiunge che «chi si occupa delle cose di Roma è lontano da quello che accade in periferia, ma un partito vero deve radicarsi sul territorio». Dunque basta arroccarsi al potere: «Vogliamo spalancare la porta a chi vuole impegnarsi per migliorare il Paese».
Il nuovo è la creatura affidata alla Brambilla, a metà  tra Tea Party e sindacato, con mille sedi in tutta Italia: “Il Pdl al servizio dei cittadini”. Entusiasmo contro potere.
«Chi entra in un partito con entusiasmo con il tempo, appena acquisisce un po’ di potere locale, guarda con sospetto gli altri».
È questo che sta accadendo anche nel Pdl.
Hanno lasciato il segno le cene degli ultimi giorni tra ministri e le guerre tra ex azzurri ed ex An (fazioni a loro volta non omogenee).
E la tregua fino alle amministrative sancita all’hotel Valadier non deve avere rassicurato più di tanto il premier.
Il fedelissimo Osvaldo Napoli conferma «la tendenza a costituirsi in oligarchia».
Il pensiero di Berlusconi è interpretato anche dalla fidata Santanchè, «è il momento di lavorare tutti insieme per le elezioni». Poi però aggiunge: «Squadra che vince non si cambia».
È qui che un fedelissimo del premier spiega che se il centrodestra vincerà  la tornata elettorale il premier si intesterà  il trionfo.
Se dovesse andare male a Milano e Napoli, invece, «scaricherà  tutto sul partito, accelerando il suo cambiamento con il coordinatore unico e l’azzeramento delle quote tra azzurri e An».
E la tentazione che il Cavaliere ha esternato privati è proprio quella di «anticipare il congresso» che aveva genericamente promesso entro il 2012. Un passo deciso verso il repulisti interno.
Chi il Pdl lo vuole cambiare davvero è invece Beppe Pisanu.
Attaccato dal centrodestra per aver proposto con Veltroni «un governo di decantazione», il presidente dell’Antimafia risponde così alla domanda di uno studente.
«Cosa ci faccio nel Pdl? Cerco di cambiarlo, finchè ci rimarrò».
Il senatore ricorda Socrate che accetta la condanna a morte perchè «giusta o sbagliata, quella era la legge».
Poi un richiamo alle norme ad personam ancora più chiaro: «La legge deve essere uguale per tutti e la sua violazione da parte di un rappresentante dello Stato è molto più grave in quanto ciò che viene consentito al semplice cittadino può non esserlo per lui».
Non a caso aggiunge che «moralità  pubblica e privata coincidono».
Vedi Arcore, Rubygate e bunga bunga.
Insomma, per Pisanu «senza limiti all’esercizio del potere non vi è democrazia ma assolutismo e arbitrio».

Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)

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“VIA LE BR DALLE PROCURE”: SPUNTA UNO STRANO “PRESUNTO” RESPONSABILE CHE, INVECE CHE ALLA DIGOS, SI CONSEGNA A SALLUSTI

Aprile 17th, 2011 Riccardo Fucile

SI CHIAMA ROBERTO LUSSINI, CANDIDATO PDL ALLE COMUNALI, EX DC, CHE NEL 1993 SI FECE 45 GIORNI DI CARCERE PER POI ESSERE ASSOLTO…SI AUTOACCUSA IN UNA INTERVISTA A “IL GIORNALE”: HA ATTESO 18 ANNI PER MANIFESTARE IL SUO DISSENSO? O VUOLE SOLO COPRIRE QUALCUNO PIU’ IN ALTO?…HANNO TROVATO IL “MARTIRE” ADATTO, INFATTI LO LASCIANO PURE NELLA LISTA DELLA MORATTI

Mentre a Roma il premier paragona la magistratura a una “associazione per delinquere a fini eversivi”, a Milano la Digos si avvicina al committente dei manifesti apparsi ieri nel capoluogo lombardo, in cui i magistrati vengono accostati alle Br.
E come spunta il primo indagato, tempestivamente e stranamente Il Giornale “smaschera” il presunto autore dell’iniziativa: Roberto Lassini che si prende tutta la responsabilità  dell’iniziativa: “Solo una provocazione dice”.
E il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani, conferma la fiducia in Lassini: “Rimarrà  in lista, giudicheranno gli elettori”.
Lo stesso Mantovani che ieri aveva minimizzato sul testo dei manifesti. “Io non ne so nulla, non li ho neanche visti. Non c’entrano niente con noi. Le Br? Saranno le ‘brutte racchie’”, aveva detto.
Ma la vicenda non si chiuderà  così semplicemente.
C’è un’inchiesta per vilipendio dell’ordine giudiziario in cui già  una persona appare iscritta tra gli indagati.
Ieri   la Digos dopo aver individuato il tipografo dei manifesti, gli agenti sono risaliti alle società  che ne curano la distribuzione e l’affissione: quattro dipendenti sono stati ascoltati, per capire chi ci sia dietro alla firma ‘Associazione dalla parte della Democrazia’.
All’interno di due magazzini perquisiti, gli uomini della Digos hanno trovato e sequestrato i manifesti su cui campeggia in bianco, su sfondo rosso, la scritta ‘Via le Br dalle procure’, insieme ad altri firmati allo stesso modo.
Già  a febbraio, la stessa sigla aveva distribuito in città  dei grandi cartelloni con la scritta ‘La sovranità  popolare è sacra! Silvio resisti, salva la democrazia” o ancora ‘La giustizia politica uccide la libertà . Volete cacciare Berlusconi? Prima vincete le elezioni’.
Stamani dalle pagine de Il Giornale è arrivata la strana autodenuncia di Lassini.
“Via le br dalle procure? Uno slogan esagerato, senza intenzioni offensive”, ha detto definendosi l’autore dei manifesti.
Ex sindaco dc, in carcere per 42 giorni nel ’93 e assolto con formula piena dopo 5 anni di processi.
Una storia personale che gli fa sentire vicina la battaglia di Berlusconi sulla giustizia, dice, ed è “per dare manforte al premier” che è stata creata, due mesi fa, l’associazione “Dalla parte della democrazia” della quale lui è il presidente.
I manifesti, allora: “E’ stata una provocazione. Esagerata ma tale. Sono certo che l’obiettivo non fosse mancare di rispetto alle vittime del terrorismo”.
Ora Lassini è candidato Pdl a Milano. E rimarrà  tale.
“Sceglieranno i milanesi — ha detto Mantovani -se sia opportuno o meno votare e far eleggere Lassini. La sua mi sembra una provocazione forse eccessiva, ma leggendo le sue parole sul Giornale di questa mattina ho apprezzato il suo rispetto per la buona magistratura”, ha detto il coordinatore regionale del Pdl.
”Noi condanniamo la lotta armata — ha aggiunto Mantovani — ma la lotta a colpi di avvisi di garanzia e di manette che certa magistratura utilizza non è certo da esaltare”.
E Letizia Moratti bolla i manifesti come “una azione da condannare, sono sicura che il partito stigmatizzerà  questa azione”.
Ma certo non chiede che Lassini ritiri la sua candidatura, nonostante sia in una lista che fa riferimento a lei.
Secca, invece, la bocciatura da parte di Maurizio Lupi. “Il manifesto affisso a Milano ha la ferma condanna mia personale, del partito nazionale e locale. Non c’è giustificazione nè legittimazione”, ha detto il vicepresidente della Camera.
Alla kermesse è presente anche Roberto Lassini, ideatore dei cartelli in cui si chiede di mettere fuori da palazzo di Giustizia le Br.
Lassini è infatti nella lista del Pdl alle comunali di Milano, una presenza su cui “valuteremo” ha spiegato Lupi.
“Le lista sono depositate — ha sottolineato — ma ci può essere un gesto personale. Può chiedere scusa, oppure ci può essere una autosospensione. Altrimenti valuteremo”
Qualcosa non quadra in questa ricostruzione de “il Giornale”.
In primo luogo i manifesti sono stati commissionati da una presunta associazione e non da un singolo personaggio e fanno parte di una catena di manifesti con la stessa firma e gli stessi caratteri che sono stati affissi nelle precedenti settimane.
Non si tratta quindi di manifesti abusivi, in quanto sono stati attaccati negli spazi del Pdl e dei suoi fiancheggiatori: infatti non sono stati rimossi a seguito di denuncia del Pdl, mai pervenuta.
Mentre si dava per imminente l’emissione di quattro avvisi di garanzia, ecco spuntare Lassini che si autoaccusa, non alla Digos, ma a Sallusti.
Con una classica storia personale di “perseguitato dalla giustizia” capace di commuovere i cuori dei berluscones e giustificarne ogni azione delittuosa.
Un martire, un prigioniero politico, un uomo di cui non vergognarsi nel candidarlo a Palazzo Marino.
Il tutto mentre molti media stavano invece collegando i manifesti, come mandante, all’on. Palmieri, responsabile Pdl per internet, sul cui sito erano stati ospitati i precedenti manifesti della associazione.
Un uomo politico che da 18 anni organizza le campagne elettorali per Berlusconi, tanto per capirci.
In ogni caso aspettiamo i risultati delle indagini della Digos e della Magistratura: valgono qualcosa in più di quelle di Salllusti.

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GIULIA BONGIORNO: “DALLA MAGGIORANZA SOLO PROVVEDIMENTI DA FAR WEST”

Aprile 17th, 2011 Riccardo Fucile

“INTESE TRA FLI E PD? NIENTE PANICO, DESTRA E SINISTRA SONO CATEGORIE SUPERATE”…”DI GIUSTIZIA MI INTENDO PIU’ DI BERLUSCONI, MA NON MI HA MAI ASCOLTATA, PARLA SOLO DEI SUOI PROCESSI”…”IL PROCESSO BREVE PRESENTA ELEMENTI DI IRRAGIONEVOLEZZA, POTREBBE ESSERE DICHIARATO INCOSTITUZIONALE”

C’è un neonato, Ian, che dorme con gli emendamenti al processo breve sotto il materasso.
Dice la madre che «il pediatra mi ha detto di farlo riposare in posizione inclinata, e così…».
La madre è Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera, molto vicina a Fini.
In silenzio da mesi, e non solo per la maternità .
«Ora è stato il turno del processo breve, ma in precedenza la commissione Giustizia è stata occupata quasi a tempo pieno da provvedimenti analoghi. Cambia il nome, la sostanza è la stessa: si tratta sempre di provvedimenti Far West, una definizione che mi sembra rispecchi il modo in cui Berlusconi, sentendosi perseguitato dalla magistratura, si fa confezionare delle norme per farsi giustizia da sè».
Lei non lo considera perseguitato?
«Da avvocato, posso dire che la quasi totalità  degli imputati è convinta di essere vittima di complotti giudiziari e quindi l’istinto di molti è scagliarsi contro la magistratura o eludere i processi. Faticosamente, si cerca di spiegargli che esistono procedure attraverso cui si accerta una responsabilità  penale e che queste procedure devono essere rispettate; altrimenti si crea un sistema di giustizia fai-da-te inaccettabile e pericoloso. In questo senso, il premier non costituisce un’eccezione. L’unica, rischiosa differenza sta nel fatto che lui possiede gli strumenti per tentare davvero di farsi giustizia da sè. Ed è chiaro che se un leader, che dovrebbe essere anche un modello, organizza manifestazioni contro i giudici davanti ai tribunali o cerca di eludere i processi con le norme che fa produrre in Parlamento, gli imputati si sentono legittimati, o persino incoraggiati, a emularlo. Stiamo attenti al Far West».
Qual è il rischio?
«Che si produca una vera e propria degenerazione etica e sociale. Ricordiamoci di Andreotti, che quando fu condannato per omicidio a 24 anni dichiarò: “Credo ancora nella giustizia”. Senza dubbio esistono magistrati politicizzati, e persino magistrati corrotti. Esistono anche errori giudiziari commessi in buona fede. Ma queste storture devono essere corrette con le riforme: è inconcepibile inveire contro la magistratura in blocco o costringere il Parlamento a occuparsi di norme mostruose, con uno spaventoso dispendio di tempo, energia e risorse».
Com’è trattare sulla giustizia con Berlusconi?
«Quando ne ho avuto occasione, ho notato che Berlusconi parla, non ascolta. Me ne sono stupita: è evidente che di giustizia mi intendo più di lui; credevo gli interessasse conoscere la mia opinione. Sbagliavo. Io parlavo di sistema giustizia e lui portava il discorso sui suoi processi. Ritiene che il suo status di imputato lo abbia trasformato in un esperto di giustizia. Sarebbe come rompersi più volte una gamba facendo alpinismo estremo e sentirsi poi non solo legittimati a riformare la sanità , ma anche in possesso delle credenziali per farlo; oltre che perseguitati dai medici. E non va dimenticato che il tempo destinato a queste leggi è stato sottratto ad altre mai fatte e che invece avrebbero dovuto avere priorità  assoluta: quelle per rendere più efficace il sistema».
Berlusconi ha annunciato una «riforma epocale» della giustizia.
«Non ci sarà  mai: perchè non credo che il premier abbia a cuore il buon funzionamento della giustizia. Non vedrà  la luce nemmeno la riforma sulla separazione delle carriere e del Csm: dopo mille proclami siamo ancora a semplici enunciazioni di princìpi. Al contrario, si continuerà  a produrre leggine Far West».
Il processo breve passerà  al vaglio della Consulta? O è incostituzionale?
«Non mi azzardo a fare previsioni, ma il testo è sicuramente caratterizzato da irragionevolezza. Essere incensurati significa non avere sentenze definitive. Quindi, teoricamente, beneficia della prescrizione breve anche chi ha decine di processi a carico, ma è finora riuscito a sfuggire a una condanna; grazie alla fortuna o ai suoi avvocati. Vedo qualche problema anche con la Convenzione Onu sulla corruzione, perchè questo tipo di reati saranno certamente toccati dalla prescrizione breve. La Convenzione Onu invita i Paesi aderenti a fissare “un lungo termine di prescrizione”: l’opposto di quello che accadrà  in Italia».
Futuro e Libertà  ha davvero un futuro? O si sta sgretolando?
«Senza dubbio ci sono stati momenti difficili, ma se mi guardo attorno non vedo gruppi senza problemi…».
Dicevate di voler cambiare la politica, siete nel mezzo di una lite interna.
«Resto convinta che l’unico modo per riconciliare i cittadini con la politica sia cambiare. Cambiare radicalmente. E in quest’ottica di rinnovamento credo che le donne saprebbero riconquistare la fiducia delle gente comune. Purtroppo rimangono confinate ai margini delle istituzioni. Da sempre sono costrette a lottare più degli uomini per affermarsi: tutto questo è ingiusto, faticoso, sbagliato, ma ha avuto il pregio di affinare le loro capacità . Dare più spazio alle donne sarebbe anche una possibilità  di riscatto dall’umiliazione che il premier ha inflitto a tutte noi – e a tutti gli uomini che credono nella parità  e nel rispetto – con parole e comportamenti dai quali traspare un maschilismo radicato e insultante».
Lei crede ancora nella leadership di Fini? E al Terzo polo? Sarà  mai possibile un accordo con il Pd?
«Certo mi trovo più a mio agio con alcuni del Terzo polo che con altri in cui mi sono imbattuta quando sono entrata in An. So che l’ipotesi di un accordo con il Pd getta nel panico parecchi. Personalmente, reputo superate le categorie destra e sinistra e quindi per me i no pregiudiziali sono incomprensibili. Sulla legalità , io dovrei essere etichettata come di destra; ma se parliamo di procreazione assistita, in confronto a me Enrico Letta è un chierichetto».

Aldo Cazzullo
(da “Il Corriere della Sera“)

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RIACE, IL PAESE CHE CHIEDE PIU’ IMMIGRATI: “MANDATELI QUI, NE ABBIAMO BISOGNO”

Aprile 17th, 2011 Riccardo Fucile

ALTRI 40 SINDACI CALABRESI SEGUONO L’ESEMPIO: FERMIAMO LO SPOPOLAMENTO…SU 1800 ABITANTI,   A RIACE 300 ERANO STRANIERI, ORA SONO ITALIANI E PERFETTAMENTE INTEGRATI…FANNO I FALEGNAMI, I PANETTIERI, I PASTORI, GLI AGRICOLTORI, I CERAMISTI

Nello stesso mare dove ripescarono i famosi Bronzi, molti anni dopo arrivarono anche loro.
E a Riace, la vita non fu più la stessa.
E non certo per merito o per colpa di quella magnifica coppia di statue greche.
Erano stati loro a cambiare tutto.
Loro erano curdi.
Ma poi loro diventarono afgani e palestinesi, diventarono etiopi, eritrei, somali, serbi e albanesi, egiziani, siriani, iracheni, iraniani.
Tutti «nuovi cittadini» di un piccolo paese appena sopra la Locride dei sequestri e delle nefandezze mafiose, tutti che hanno trovato casa e lavoro in una delle terre più povere da questa parte del Mediterraneo.
Ne sono passati almeno 6 mila da lì. E ne vogliono ancora di naufraghi, profughi, rifugiati.
Anche quelli che stanno sbarcando in queste settimane sugli scogli di Lampedusa. Le porte di Riace sono sempre aperte.
Questa è una storia alla rovescia, una di quelle che non ha niente da spartire con gli egoismi e le ossessioni dei tanti Nord d’Italia o d’Europa.
Questa è la storia di un borgo che non è morto perchè sono arrivati «gli altri». Passa il mondo da Riace.
E un po’ di mondo, qui si è fermato per sempre.
Su 1800 abitanti quasi 300 erano stranieri e adesso sono italiani.
I Bronzi li tirarono su nel 1972 e sembrava che Riace dovesse trasformarsi in una Rimini del basso Jonio.
Tutti che parlavano di turismo, tutti che volevano costruire alberghi e palazzi per onorare e sfruttare la miracolosa pesca di quelle statue di straordinaria fattura, poi però i due guerrieri restarono soli in un museo a Reggio e Riace perse metà  della popolazione. Tutti emigrati.
Ogni anno un paese sempre più deserto, sempre più povero.
Fino a quando un barcone quasi si rovesciò a duecento metri dalla costa.
«Io passavo di là , dalla statale e ho visto una folla di uomini e di donne e di bambini che usciva dall’acqua, per me fu come un’apparizione», ricorda Domenico Lucano, allora ragazzo e oggi sindaco di Riace.
Era il 1 luglio 1998.
Nelle case abbandonate dai calabresi che erano andati a lavorare fra il Canada e l’Australia trovarono riparo trecento curdi. I primi.
Perchè poi Riace è diventata una piccola grande capitale multietnica.
Ieri con gli sbarchi dei popoli in fuga dall’Asia e oggi con quelli dei popoli in fuga dall’Africa. Benvenuti a tutti. Anche agli ultimi.
Domenico Lucano e gli altri 40 sindaci della Locride chiederanno ufficialmente al governo «che sono pronti ad ospitare i migranti di Lampedusa».
Sono gli unici che non si rivoltano perchè glieli piazzano nel loro paese, anzi loro li vogliono. È l’esempio di Riace.
È l’altra Italia che è a una cinquantina di chilometri dalla Rosarno della «caccia al negro» di un anno fa e che non è sfuggita a un elogio — un editoriale – dell’Osservatore Romano.
«Ciascun emigrato per noi è una speranza, qui abbiamo bisogno di loro, loro hanno riportato alla vita il nostro paese», racconta il sindaco che viene ormai chiamato da tutti «Mimmo dei curdi» o «Lucano l’afgano».
Il centro storico si è ripopolato anno dopo anno, sbarco dopo sbarco.
Il giorno dopo il permesso di soggiorno, tutti ritirano la carta d’identità  all’ufficio anagrafe del Comune. Tutti residenti. E tutti con un lavoro.
Fanno i falegnami, i panettieri, fanno i pastori, i ceramisti, gli agricoltori.
In paese gira anche una moneta speciale («È un bonus in attesa di alcuni contributi comunitari che arrivano sempre in ritardo», spiega Lucano) con il volto di Gandhi sulle banconote da 50 euro, quello di Martin Luther King su quelle da 20, Peppino Impastato e Che Guevara sui tagli da 10 euro.
Sono ticket che poi si trasformano in soldi veri.
La convivenza con gli italiani di Calabria è perfetta. Un miscuglio di razze e un modello che ha attirato anche il regista de Il Cielo sopra Berlino Wim Wenders, che un anno fa ha girato un cortometraggio «sull’utopia di Riace». Tutto è cominciato con quella visione di Mimmo, il mare e i naufraghi.
E tutto è cominciato anche con il «laboratorio Badolato», l’esperimento di far rinascere con l’arrivo di altri curdi un altro paese calabro voluto tanti anni fa da Tonino Perna, docente di sociologia economica all’Università  di Messina. Sull’esperimento di Badolato è risorto Riace.
«In mezzo a tanti disastri, c’è anche una civiltà  del Meridione che è questa», dice Perna che spiega poi come etiopi ed eritrei ed afgani abbiano «occupato» nella sua Calabria terre abbandonate per coltivare i campi come una volta.
Dopo Badolato Riace, dopo Riace anche il paese di Caulonia ha i suoi «nuovi cittadini».
Dopo Caulonia adesso altri comuni calabresi vogliono «gli altri».
Ve l’avevamo detto che questa era una storia alla rovescia.

Attilio Bolzoni
(da “La Repubblica“)

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IL SESSUOLOGO CAPUTO ANALIZZA BERLUSCONI: “E’ COME NARCISO, QUELLA STATUETTA E’ LUI”

Aprile 17th, 2011 Riccardo Fucile

“VUOLE CHE LE DONNE LO ADORINO, SI SENTE INVECCHIARE E INGAGGIA RAGAZZE SEMPRE PIU’ GIOVANI PER COMPENSARE IL SUO DECADIMENTO FISICO”….”HA BISOGNO DI VEDERE CHE GLI ALTRI LO GUARDINO, MANIPOLA PERSONE E FATTI: E’ LA REALTA’ CHE SI DEVE ADEGUARE A LUI, NON LUI ALLA REALTA'”

Per spiegare al Piccolo Principe il significato di rito, la volpe gli diceva: “Il rito è quel qualcosa che rende diverso un giorno dall’altro”.
Per cercare di spiegare ai comuni mortali cosa sia il rito per Berlusconi, lo psichiatra Alberto Caputo dice che si tratta di un modo per rendere vera una fantasia. “Sotto l’aspetto clinico, il comportamento del premier è quello di una persona con tratti narcisistici della personalità  sempre più marcati e rigidi. Per
un narcisista, qualsiasi idea o fantasia gli giri per il cervello deve tradursi in realtà . E cosa c’è di meglio del rito per far diventare reale qualcosa?”.
I caratteri di ripetitività  e di codificazione del rito, sono in grado di persuadere il narcisista della realizzazione del proprio obiettivo.
Il premier con il rito del bunga bunga o del bacio al fallo priapico della statuetta, intende riconfermare in continuazione, una realtà  che sente sfuggente.
“Lui si identifica in quella statuetta. Vuole che le donne lo adorino, adorino lui e quella parte del suo corpo che lui sente sempre più debole a causa del passare del tempo e dei problemi di salute”.
Secondo lo psichiatra milanese, le fantasie dell’anziano capo del governo sono predatorie, tipiche del narcisista.
Tutto ciò che pensa, dice, fa, ha una finalità  compensatoria.
Siccome si sente invecchiare, ingaggia ragazze sempre più giovani e belle in modo da compensare il suo decadimento fisico.
“Ciò che interessa a questo tipo di personalità  non è la cosa in sè e per sè, piuttosto il suo riflesso sugli altri. Ha bisogno di vedere gli altri che lo guardano mentre si appresta a compiere i suoi riti”.
Per questo tutto avviene in modo plateale, davanti a molte persone, con il rischio di diventare ricattabile?
“Esatto, solo per soddisfare il suo bisogno di essere visto a fare qualcosa. A chi possiede questa personalità  non interessano le persone, non vuole cioè stabilire dei rapporti umani. Gli altri sono solo oggetti che servono al suo scopo. Poichè si tratta di oggetti non viene riconosciuta loro una dignità , ma solo un utilizzo e un prezzo”.
Alla domanda se il premier sia affetto da malattia mentale, sia sessodipendente o affetto da sindrome compulsiva, lo psichiatra, che è anche sessuologo, spiega che è difficile stabilirlo con certezza.
“Sicuramente non è affetto da una malattia mentale come la schizofrenia o la psicosi. Non è nemmeno un maniaco sessuale. Si può però affermare con certezza che il disturbo della personalità  da cui è affetto, cioè il narcisismo, lo porta con grande capacità  e abilità  a manipolare le persone e la realtà . Quando questi tratti si accentuano, come è avvenuto e sta ancora avvenendo, queste persone distorcono ancora di più la loro visione del mondo e diventano inadeguate”.
Intende dire che il cucù alla cancelliera Merkel, le corna nella fotografie ufficiali, il “mister Obama” che ha infastidito la Regina e ora il bunga bunga e i riti a bordo piscina fanno parte dello stesso meccanismo mentale, di una perversione ?
“Sì, il suo modo di rapportarsi alla realtà  è completamente autoriferito. La realtà  si deve adeguare a lui, non il contrario. Il suo è un disturbo della personalità  che lo rende sempre più inadeguato al ruolo di premier e di figura istituzionale”.
Insomma il suo narcisismo lo sta portando a stravolgere la realtà , a interpretare ciò che lo circonda come se avesse un ruolo centrale e dominante.
Una persona del genere, dottor Caputo è in grado di amare ?
“Narciso, si sa, ama solo se stesso”.

Roberta Zunini
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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