Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
E’ VERO, IL PREMIER HA FATTO PERDERE VOTI AL PDL, MA PERCHE’ NON CI SI CHIEDE COME MAI QUEI VOTI NON LI HA, A DESTRA, INTERCETTATI NESSUNO E SONO ANDATI DISPERSI?…UNA FORZA POLITICA DOVREBBE ESSERE AVANGUARDIA DEL CAMBIAMENTO, NON TRINCEA DEL VECCHIUME
Per chi da tre anni denuncia le incongruenze del centrodestra italiano la giornata di ieri, in fondo, potrebbe essere archiviata come una soddisfazione personale, all’insegna dell’italico motto “lo avevo detto e previsto”.
Una coalizione già sbilanciata all’atto della sua costituzione e caratterizzata da un cesarismo senza freni, senza cultura politica e sociale alla sua base, non poteva che degradare sempre più verso un intreccio affaristico xenofobo, ben rappresentato dagli interessi dei due contraenti, sopravvissuti alla diaspora finiana.
Avevamo in passato evidenziato numerosi errori palesati dalla coalizione di governo e il crescente malessere del popolo di destra, anticipando di almeno un anno alcune delle motivazione che hanno poi indotto Fini a sollevare i distinguo che hanno portato alla sua cacciata.
Siamo stati tra i pochi che nei giorni scorsi hanno chiaramente detto che il voto a Pisapia avrebbe contribuito a dare forza alla valanga popolare che ha finito per sotterrare i traditori della destra italiana, in primis un premier impresentabile che rappresenta l’antitesi dei valori etici e culturali della destra europea.
Da mesi andavamo segnalando che anche la Lega perdeva consensi nei suoi feudi elettorali, mentre i media nazionali non ne hanno mai voluto parlare, dandola anzi in crescita.
Salvo ora stupirsi della sua sconfitta nelle roccaforti del Carroccio stesso.
Riteniamo ora invece doveroso sganciarci da analisi frettolose o parziali che circolano negli ambienti della destra, ivi comprese quelle degli amici di Futuro e Libertà .
Perchè molti fanno finta di scambiare la vittoria della sinistra come un proprio successo, il che è vero solo parzialmente.
Certo, al ballottaggio i voti del Terzo Polo hanno pesato, inutile negarlo, così come al primo turno spesso sono stati determinanti nel bloccare il candidato del partito degli accattoni che vive comprando deputati.
Ma sarebbe limitativo fermarsi alla soddisfazione per la caduta tombale di Pdl e Lega. Occore andare oltre e porsi una semplice domanda: non avrebbe dovuto essere automatico che i voti persi dal sedicente centrodestra confluissero nel Terzo Polo? Non era dato per scontato che, riducendosi la percentuali di astensionisti, una parte di essi si sarebbe accasata proprio tra le file di chi tenuto le distanze da entrambi gli schieramenti?
Questo non è avvenuto per una serie di ragioni anche tecniche su cui non spendiamo troppe analisi: il fatto che spesso l’Udc è andata per conto suo e non c’è stata alcuna intesa con Fli, la prudenza di Fli nel prendere spesso posizioni coraggiose, i compromessi locali che hanno visto Fli alleata persino con Pdl e Lega, il freno a mano tirato a causa del lavoro di demolizione compiuto dalle quinte colonne berlusconiane rimaste in Fli per bloccarne le mosse.
Qua ci limitiano a parlare dell’aspetto più grave che non si può sottacere: Fli è la rappresentazione plastica attualmente della coperta che viene tirata da tutti i lati, chi mette più forza la avvicina a sè e alle proprie idee.
Quando sarebbe necessario strappare, si sceglie sempre il compromesso: così sui ballottaggi, così sui referendum, così in diverse votazioni parlamentari che vedono sempre assenze sospette che salvano il governo.
Una ambiguità , una mancanza di linea politica chiara che si paga di fronte all’elettorato che vuole sapere per chi e per cosa vota.
Non siamo certo tra coloro che fingono di scandalizzarsi perchè Fli si è alleata con l’Udc: Casini rappresenta il centro, Fli la destra, così come prima Forza Italia e An.
Se poi Casini raccoglie più voti è naturale che guidi il Terzo Polo, semmai il problema è far crescere Fli.
Il limite di Fli (e di Fini, almeno in questo frangente, ma anche di tanti intellettuali di area finiana) è che si continua a sventolare il vessillo “legalità , meritocrazia, unità nazionale” pennsando che sia sufficente agitarlo per aumentare automaticamente i consensi.
O inneggiare a una “destra moderna e repubblicana” per raccogliere l’applauso.
O gestire il presente senza saper interpretare il cambiamento.
Di fronte a un Pdl che raccoglie voti sempre più datati e fisiologicamente “vecchi” e a una Lega che fomenta solo “egoismi”, incapaci entrambi di affrontare le tematiche sociali, si aprirebbe uno spazio enorme per una destra movimentista e incisiva.
Con proposte chiare su quei soli temi che interessano e preoccupano il 70% degli italiani: lavoro, precarietà , casa, servizi, ambiente.
Il no al nucleare del centrodestra tedesco e le posizioni di apertura ambientalista di Sarkozy in Italia sono ancora cose da marziani, così come la dipendenza dai poteri forti una prassi.
Nelle parole d’ordine finiane mancano parole chiave e incisive come “aumento delle pensioni minime”, “costruire case per le giovani coppie”, “piano di stabilizzazione graduale dei precari”, “città vivibili e abbassamento del tasso di inquinamento”, “misure incentivanti per il commercio e il lavoro autonomo”, “attenzione al mondo del volontariato”.
E tante altre ancora.
Unite a “impegno a dimezzare i 60 miliardi di euro che costa ogni anno la corruzione nella pubblica amministrazione” attraverso la costituzione di una squadra di controllori che girino tutte le amministrazioni dello Stato, scoperchiando favori e intrallazzi.
Quante cose si potrebbero fare con 30 miliardi sottratti alla corruzione.
E ancora una coerente politica “anticasta” anche negli Enti locali, rinunciando a privilegi e prebende.
Questo vuole dire saper cavalcare la tigre del cambiamento che oggi la sinistra ha saputo convertire in voti.
Invece, sempre la ostinata paura di “apparire” un po’ troppo di sinistra (che scandalo…), ha ghettizzato una certa destra italiana a trattare fino alla nausea sempre gli stessi temi: rom, immigrati e centri sociali da chiudere.
Come un vecchio disco imbolsito a 72 giri, mentre nel mondo la tecnologia ti fa ascoltare una musica di qualità .
Basta con le posizioni di rendita che tali non sono più, basta con l’apologia della reazione, vogliamo azione, preveggenza, intuito, provocazione.
Basta coi “giovani vecchi” che entrano nei partiti e chiedono per prima cosa che carica è disponibile o coi vecchi “finti giovani” che non mollano la poltrona neanche sotto i bombardamenti.
Ci si armi di ramazza e di idee, di passione politica e di capacità di analisi dei tempi moderni: altrimenti una nuova sinistra preverrà a lungo su questa vecchia patetica destra.
Senza un valido “motore delle idee” e una guida aggressiva, nessun pilota potrà mai tagliare per primo il traguardo del Gran premio della politica italiana.
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL VOTO DI IERI E’ STATO FIGLIO LEGITTIMO DELLO SCHIFO VERSO UN UOMO CHE SI E’ ARROGATO IL DIRITTO DI RAPPRESENTARE L’INTERA NAZIONE…OGGI E’ IL TEMPO DEL “VAFFANCULO” LIBERATORIO, GLI ITALIANI SI SONO RIPRESI IL PROPRIO DESTINO
Siamo tutti coinvolti.
Non ci sono destra e sinistra.
Non ci sono garantismo e giustizialismo.
Non ci sono progressismo e conservatorismo.
Non ci sono i programmi. Nè il nucleare. Nè l’acqua pubblica o privata.
Non c’è la disoccupazione giovanile. Nè il federalismo. Nè la riforma fiscale.
Non c’è la politica energetica.
Non ci sono moderati e riformisti.
Non c’è nemmeno la politica estera. Nè quella economica.
Non ci sono tutte le cose che, normalmente, provocano il dibattito politico di un paese.
Non c’è tutto questo.
Il voto di ieri è piuttosto figlio legittimo dello schifo collettivo verso un uomo che, per i suoi comportamenti pubblici e privati, non può più arrogarsi il diritto di rappresentare un’intera nazione.
Il voto di ieri è il riscatto di un popolo che non sopporta più che il proprio diritto al decoro sia vilipeso da chi pensa esclusivamente ai propri interessi.
Ci sarà il tempo per dividersi. Verrà il tempo per le dotte disquisizioni politologiche e ideologiche.
Oggi è stato il tempo del vaffanculo liberatorio. Godiamocelo.
E nel vaffanculo non c’è nulla di moderato, c’è l’urlo disperato di chi sente in gabbia. Gli italiani hanno capito che non era più possibile andare avanti così, che Silvio Berlusconi li stava portando nel baratro della sua cattiva coscienza.
Gli italiani si sono ripresi il loro destino dimostrando che non tutto è scontato, hanno affermato la loro libertà dalla propaganda, dal potere mediatico ed economico.
Gli italiani hanno picconato il muro di menzogne berlusconiane.
Non hanno avuto paura. Hanno deciso. Hanno scelto di fare la cosa giusta.
Perchè solo nell’Italia berlusconizzata era possibile che Silvio Berlusconi rimanesse ancora al suo posto come se nulla fosse stato, come se la moglie non avesse detto che è una persona malata, come se il bunga bunga fosse una giostra per bambini, come se la Minetti facesse davvero politica, come se la macchina del fango non fosse sempre in funzione, come se in Italia ci fosse davvero una dittatura della magistratura, come se non avesse perso le elezioni. In paese come dovrebbe essere, Silvio Berlusconi si sarebbe già dimesso mille e mille volte.
In un paese normale il “suo” partito lo avrebbe accompagnato alla porta senza troppi salamelecchi.
E invece niente: le dimissioni non arriveranno neanche questa volta, perchè sostanzialmente quello del cav. è, nei fatti, un potere economico, un potere non democratico.
Lui non convince, lui paga.
È per questo che bisogna finire l’opera, ricostruendo con fatica sulle macerie politiche, culturali e morali.
Dopo la distruzione, è il tempo della costruzione.
E per l’area “finiana” è arrivato il momento di costruire i contenuti di quel nuovo centrodestra (impossibile da edificare nei paraggi di Arcore) con cui presentarsi al voto politico.
Ed evitare che Silvio Berlusconi possa anche solo pensare di andare al Quirinale come presidente della Repubblica.
Solo allora avremo riconquistato il diritto a vivere in un paese degno di questo nome. Solo allora potremo di nuovo discutere del merito, di programmi, di destra e sinistra, di federalismo e riforme fiscali…
Solo allora potremo finalmente dividerci.
Solo allora avremo davvero vinto.
Filippo Rossi
(da “Il Futurista“)
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
DA UN SONDAGGIO SWG EMERGE UN ELETTORATO GIOVANE E COLTO PER IL CENTROSINISTRA E UNA SVOLTA LABURISTA DELLE PARTITE IVA…AUDIENCE ANZIANA E TELEVISIVA AL CENTRODESTRA, INCAPACE DI ASCOLTARE E INTERPRETARE IL CAMBIAMENTO E L’INSICUREZZA SOCIALE
Due novità di carattere socio-politico hanno tenuto banco in queste settimane a Milano ed entrambe hanno in qualche misura accompagnato la vittoria di Giuliano Pisapia.
Il radicale pronunciamento di settori della borghesia più tradizionale e (soprattutto) lo spostamento di consensi dentro il lavoro autonomo, che pure aveva rappresentato storicamente una constituency del voto di centrodestra.
La prima novità è stata scandita dalle interviste pro-Pisapia di diversi esponenti delle èlite industriali e finanziarie e dalla nascita di un gruppo di saggi capitanati da Piero Bassetti.
La seconda è stata fotografata da alcune analisi del voto del primo turno, realizzate dalla «Swg» per conto dello staff di Pisapia, analisi che segnalano come tra gli elettori laureati ci siano stati 30 punti di differenza a favore del centrosinistra e come tra i lavoratori autonomi Pisapia abbia sopravanzato la Moratti di ben 17 punti (tra i lavoratori dipendenti Giuliano stava sopra Letizia di 15 punti).
A stare all’insieme delle elaborazioni «Swg» il centrosinistra avrebbe avuto dunque un elettorato più giovane, più colto, più inserito nell’attività produttiva mentre il centrodestra avrebbe presidiato meglio gli strati a bassa scolarità e più avanti con gli anni.
Un’audience molto televisiva, viene da commentare.
Come si spiega questo che appare un vero e proprio ribaltone?
Non è facile rispondere a caldo, però è probabile che sia in qualche maniera mutata la cultura di fondo dei professionisti, dei commercianti e delle partite Iva milanesi.
La Grande Crisi che ha colpito questi strati, che ne ha tarpato le ali e evidenziato una condizione di debolezza in termini di protezioni sociali, può aver favorito una migrazione – non sappiamo quanto temporanea – da un orientamento prettamente «liberale» a una visione «laburista» della propria collocazione sociale.
Anche da un punto di vista lessicale ormai siamo abituati ad accomunare un giovane avvocato o un architetto junior alla voce «precario», cosa che evidentemente sarebbe stata improponibile dieci o forse ancora cinque anni fa.
Se dai giovani passiamo ad analizzare chi tra i legali, i commercialisti e gli architetti il lavoro ce l’ha vediamo che c’è sicuramente uno strato d’eccellenza (il 24%) che si è internazionalizzato e che dovrebbe aver risentito meno della crisi, ma il grosso (ben il 57%) lavora solo per la città o al massimo per la Lombardia.
Mentre non si è ancora sviluppato un intenso rapporto con il resto del Nord.
Se focalizziamo la condizione di vita e il posizionamento delle partite Iva il senso di retrocessione appare ancora più evidente.
Chi sceglieva la via del lavoro autonomo lo faceva in nome dell’indipendenza e di un certo gusto del rischio, oggi accade esattamente il contrario.
Spesso si apre una partita Iva sotto il segno della dipendenza da un unico committente e della totale assenza di potere negoziale.
Che c’entra Pisapia con tutto ciò?
Soggettivamente forse poco e tutto sommato i temi del lavoro autonomo non sono stati certo centrali nella sua campagna ma il candidato-sfidante ha comunque usufruito della svolta laburista per affinità politica e in certa misura per una maggiore capacità di ascolto dispiegata attraverso il presidio dei social network.
Il voto alla fine ha risentito di questa nuova composizione sociale, dei conseguenti slittamenti culturali e della disillusione nei confronti di alcune parole-chiave tipiche del centrodestra.
Un caso a sè è il meccanismo della gestione separata dell’Inps, un tema molto sentito sulla piazza milanese.
Si può far ricorso alla retorica del lavoro autonomo nei comizi e poi, pur avendo le leve dell’amministrazione comunale e provinciale, non avanzare nemmeno la più elementare delle proposte come quella di creare una «casa delle partite Iva» che fornisca a pagamento servizi e formazione continua?
Ma torniamo alla borghesia tradizionale.
Sicuramente Milano è un terreno d’osservazione privilegiato per analizzare le trasformazioni del capitalismo italiano.
Oscurato il ruolo delle grandi famiglie, in ribasso la stella della finanza dura e pura, il cuore del sistema ormai gira attorno alle grandi banche.
Se le imprese milanesi una volta facevano la spola con Roma per il giro dei sette ministeri, ora nell’epoca della spesa-pubblica-zero tutto si sposta in banca.
Torna a Milano e mostra l’inutilità dei partiti che stanno al governo.
I criteri di finanziamento, la creazione delle reti di impresa, l’impostazione delle politiche di settore e di filiera via via tendono a passare dalle anticamere dei grandi player del credito.
Se davvero come si dice Intesa e Unicredit dovessero cooperare per il rilancio delle infrastrutture del Nord, ciò diventerebbe evidente anche per quanto riguarda la trasformazione del territorio.
E si realizzerebbe un’ulteriore perdita di ruolo dell’intermediazione della politica romana.
Anche qui: che c’entra tutto ciò con Pisapia?
Direttamente poco, ma spiega come tutte queste esperienze e culture non tendono più ad affluire nel centrodestra ma prendono le strade più disparate facendo mancare però linfa vitale all’asse Pdl-Lega. E determinando anche un distacco con la borghesia più tradizionale.
Lo stesso ragionamento vale per il ruolo delle fondazioni bancarie e anche qui la causa sta nella difficoltà di finanziare dal centro le politiche di welfare.
Per dirla con Nanni Moretti di «Habemus Papam», c’è «un deficit di accudimento» da parte della politica nei confronti dei ceti urbani vulnerabili che invece nel momento del bisogno si trovano a fianco istituti della società civile, una rete di secondo welfare fatta di fondazioni, filantropia, volontariato, fondi privati.
Ed è abbastanza evidente che le reti della solidarietà non presentano molti punti di contatto con il centrodestra, anche in virtù della fortissima e controproducente polemica scatenata a Milano dalla Lega contro il cardinale Tettamanzi, che ha dato vita proprio a un fondo di sostegno alle vittime della crisi.
Dario Di Vico
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
SI AVVICINANO FRATTINI E SCAJOLA, PISANU CHIAMA I CATTOLICI A UN PROGETTO COMUNE…FERRARA PROPONE LE PRIMARIE DEL PARTITO A OTTOBRE, MENTRE MICCICHE’ PUNTA ALLA RIORGANIZZAZIONE TERRITORIALE
Nel Popolo della Libertà regna il caos.
Arrivano i risultati del ballottaggio, un vero e proprio bollettino di guerra, e nel partito si reagisce in ordine sparso.
Saltato il tappo della tregua elettorale è arrivato il momento della resa dei conti interna tra le varie correnti che agitano il Pdl, con il premier Berlusconi costretto ad affrontare un uragano che negli ultimi mesi è cresciuto tanto da sfuggirgli di mano.
Per tutti la parola d’ordine è «riflessione seria».
Il che, tradotto, vuol dire: Berlusconi deve rimettere al più presto le mani alla macchina del Pdl per farla ripartire.
Altrimenti salta tutto.
Il primo campo di battaglia oggi, con l’ufficio di presidenza del Pdl che potrebbe diventare il luogo dove fare il “processo” ai colpevoli del bagno di sangue elettorale (ognuno vede nell’altro il colpevole della disfatta).
Inevitabile che tra i primi a finire sul banco degli imputati saranno i tre coordinatori nazionali, accusati di una gestione troppo verticistica del Pdl.
Lo confermano le dimissioni di Sandro Bondi. La sua uscita di scena potrebbe aiutare a mettere nell’angolo gli altri due coordinatori, La Russa e Verdini.
Tanto che in serata è proprio Berlusconi a parlare di Alfano come futuro coordinatore unico («è un processo avviato», dice).
Lo stesso La Russa non si nasconde e ammette che «tutti devono essere messi in discussione».
E l’annuncio del premier dovrebbe soddisfare l’area dei dirigenti e parlamentari che si riconoscono in Claudio Scajola, che da tempo chiede la demolizione del triumvirato.
Le critiche non mancano nemmeno dai ministri quarantenni di Liberamente, la cordata di Frattini, Gelmini e Carfagna.
Il ministro degli Esteri invoca «le primarie» per scegliere il successore di Berlusconi in modo da «evitare la balcanizzazione del Pdl».
Chiede anche la creazione di un direttorio in cui siano rappresentate le diversi correnti che porti fino al congresso.
Vede di buon occhio anche l’idea degli Stati Generali. Proposta che raccoglie subito il consenso di Giuliano Ferrara.
Per il direttore del Foglio bisogna «cambiare tutto il partito» e suggerisce di convocare «per l’1 e il 2 ottobre le primarie per eleggere il leader e tutti i segretari regionali». In una parola Berlusconi deve «rileggittimarsi».
Anche il ministro Giorgia Meloni, ex An, chiede maggiore partecipazione nel partito e primarie.
E a invocare l’avvio immediato della stagione congressuale è anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno che, stando ai boatos, non rinuncerebbe nemmeno all’idea, come ultima risorsa, di dar vita a dei gruppi autonomi.
Tanto per capire l’aria che tira.
Dopo la batosta parla l’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, per il quale serve un partito, o anche un progetto comune, dei cattolici: «Se non lo elaboriamo adesso quando lo facciamo?», si chiede il presidente dell’Antimafia.
Anche Gianfranco Miccichè, leader di Forza del Sud, ha una proposta per uscire dalla crisi di consensi: «Serve una riorganizzazione del centrodestra con uno schema ben preciso, la Lega al Nord, il Partito del Sud nel Meridione e il premier che governa mediando tra i legittimi interessi e le esigenze dell’una o dell’altra parte».
Cerca di tirare le fila il capogruppo a Montecitorio Fabrizio Cicchitto: «Buttiamo a mare egocentrismi e narcisismi e lavoriamo con in testa una parola faro: umiltà ».
Sarà dura.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
GELO TRA IL PREMIER E BOSSI, I DUE SCONFITTI… IDEA ALFANO COORDINATORE UNICO PDL….BERLUSCONI, INCAPACE DI AUTOCRITICA, ATTRIBUISCE LA COLPA DELLA SCONFITTA A TREMONTI E AL PARTITO
«Adesso spero che ve ne rendiate conto anche voi: Tremonti non può più tirarsi indietro, sono due anni che dice di studiare la riforma fiscale. Ora ce la deve consegnare».
Nella suite dell’Hotel Intercontinental che ospita la delegazione italiana a Bucarest, Silvio Berlusconi scarica sul ministro dell’Economia gran parte della responsabilità della dèbà¢cle elettorale.
Certo, i candidati «erano sbagliati, troppo deboli», ammette, ma gli italiani gli avrebbero voltato le spalle per le promesse non realizzate di riduzione del carico fiscale.
«Tutti i governi europei hanno perso consenso per colpa della crisi – si giustifica il premier – ed era inevitabile che toccasse anche a noi. Ma ora dobbiamo dare subito una risposta con la riforma del fisco. La nostra forza è che nessuno in Parlamento vuole le elezioni anticipate e il nostro è l’unico governo possibile».
La tabella di marcia che Berlusconi ha in mente prevede l’approvazione «entro l’estate» della legge delega da parte del Consiglio dei ministri.
E l’arrivo dei decreti delegati entro la fine dell’anno. Per poi, eventualmente, anticipare il voto politico al 2012.
Il Cavaliere è demoralizzato. Ai ministri che lo hanno accompagnato in Romania appare «sconvolto» soprattutto per il dato di Napoli, dove aveva scelto di chiudere la campagna elettorale insieme a Gigi D’Alessio.
«Quel 65 per cento a un pm giustizialista come De Magistris – confida uno dei presenti – è stato per il presidente il colpo di grazia». Del partito non sa ancora bene cosa fare, a parte riprendere in mano la vecchia idea di affidarlo ad Angelino Alfano come coordinatore unico.
Le dimissioni di Bondi, in teoria, renderebbero più semplice l’operazione, consentendo al premier di chiedere un gesto identico anche a Verdini e La Russa.
E tuttavia in molti scommettono sulla scarsa propensione del Cavaliere a mettere le mani sugli assetti di via dell’Umiltà .
Ma intanto c’è da stringere subito i bulloni dell’alleanza con la Lega, che già sta dando i primi segni di cedimento.
Nel Pdl temono che Bossi aspetti Pontida, il 19 giugno, per qualche annuncio ultimativo sul governo.
Oltretutto a quel punto si conoscerà anche l’esito dei referendum su acqua, nucleare e, soprattutto, legittimo impedimento. Quesiti che il leader del Carroccio ha già definito «attraenti». Il timore degli uomini del Cavaliere è quello di uno sganciamento della Lega in autunno, per poi tentare una corsa solitaria alle elezioni anticipate che ci sarebbero nella primavera del prossimo anno.
È per questo che il primo gesto politico di Berlusconi, dopo il bagno dei ballottaggi, è una telefonata a Umberto Bossi.
Non a Tremonti, che non l’ha nemmeno seguito in Romania come gli altri colleghi di governo.
E che si è guardato bene dal commentare i risultati elettorali. «Tremonti non l’ho sentito, Bossi sì», fa notare il Cavaliere da Bucarest.
Il colloquio con Bossi – con toni piuttosto gelidi – avviene alla presenza di Bobo Maroni, indicato in questi mesi come il colonnello leghista più critico per la leadership appannata del premier.
«Umberto – scandisce il Cavaliere al telefono con il Senatur – questo non è il momento di dividerci ma di tirare fuori gli attributi. Non possiamo dare questa soddisfazione alla sinistra. Dopo Milano e Napoli non ci possiamo permettere di lasciare tutta l’Italia agli estremisti». Anche il ministro dell’Interno, per il momento, sembra accettare la tregua con il premier.
A chi se non a Tremonti è rivolto l’invito di Maroni a varare «riforme vere», che «non possono essere a costo zero».
Insomma, non come le misure appena varate nel decreto sviluppo, che proprio il ministro dell’Economia presentò come a impatto zero sulle finanze pubbliche.
Berlusconi intende incontrare Bossi faccia a faccia tra oggi e domani. Per rinsaldare un’asse dal quale dipende il futuro della legislatura.
«Fidati di me – gli ha detto ieri da Bucarest – vedrai che adesso rilancio sia il governo che il partito. Siamo tutti sulla stessa barca».
Un concetto che nel Pdl ripetono per farsi coraggio e per scacciare l’incubo di un nuovo ribaltone leghista.
«Il Carroccio alle elezioni è andato peggio di noi – osserva un ministro lombardo del Pdl – e, per fortuna, non ha alcun titolo a criticare la leadership di Berlusconi. Altrimenti avrebbero già aperto la crisi di governo».
Il problema è che Bossi, che ieri è rimasto in silenzio, sarebbe intenzionato a pretendere da Berlusconi di dare il via il prima possibile alla successione.
Una condizione pesante per andare avanti, quella della designazione rapida del candidato premier per le prossime elezioni.
Che il Cavaliere, al momento, è ancora convinto di poter schivare.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
QUANDO UN LEADER SI DIMOSTRA INCAPACE DI LEGGERE COSA PASSA PER LA TESTA, NELLA PANCIA E NEL CUORE DEGLI ELETTORI VUOL DIRE CHE PER LUI E’ DAVVERO SUONATO L’ULTIMO GIRO
E’ un leader radioattivo»: il soggetto è Silvio Berlusconi, la battuta politicamente scorretta è stata pronunciata al termine del G8 da un uomo di primo piano dell’amministrazione americana che viaggiava con Barack Obama.
Una battuta utile a capire il disagio di molti leader stranieri di fronte a un presidente del Consiglio che li assillava con il suo incubo dei complotti giudiziari.
Una battuta che può servire oggi per comprendere la fuga degli elettori dai candidati sponsorizzati dal Cavaliere.
Il voto di ieri segnala un vento fortissimo di cambiamento che, in modo molto più incisivo che nel primo turno, ha travalicato il valore amministrativo di queste elezioni.
Un vento che ci racconta come Silvio Berlusconi abbia perso la sua sintonia con la maggioranza degli italiani, con la pancia del Paese.
Il premier, fin dai tempi della nascita delle televisioni private, è sempre stato un perfetto interprete degli umori e dei desideri degli italiani: li sapeva anticipare e cavalcare con un tempismo perfetto.
Berlusconi ha promesso ai cittadini, consumatori prima e elettori poi, di soddisfare ogni loro desiderio, di garantire ogni loro libertà .
Oggi questo meccanismo creatore di consenso appare rotto e non per colpa di qualche inchiesta giudiziaria, ma perchè il Cavaliere non è riuscito a capire cosa passa in questi giorni nella testa e nella vita degli italiani.
In tempi di crisi, di difficoltà , di risparmi che si assottigliano e di giovani che non trovano lavoro, non si può pensare che il tema della separazione delle carriere o la riforma della Corte Costituzionale scaldino i cuori e riempiano le urne.
E dire che Berlusconi lo sapeva bene: per anni ha promesso di non mettere le mani in tasca agli italiani e di abbassare le tasse, ora invece si era convinto che la maggioranza dei suoi concittadini fosse indignata come lui con la magistratura e la sinistra.
Così hanno vinto candidati nuovi e imprevedibili, candidati che sulla carta non avrebbero dovuto avere alcuna possibilità : troppo radicali, troppo di sinistra o anche troppo giovani e inesperti. Ma soprattutto hanno perso le forze di governo, perfino nelle roccaforti del Nord, dove si contava sulla tenuta di una Lega fino a pochi mesi fa in ascesa.
Come è potuto accadere?
Per anni Berlusconi ha proposto una sua visione per il Paese mentre i suoi avversari hanno sempre reagito costruendo campagne contro di lui e demonizzandolo.
Questa volta i ruoli si sono invertiti: a giocare contro è stato lui, da mesi assistiamo a campagne politiche e giornalistiche in cui gli avversari vengono trasformati in caricature e fatti a pezzi.
Da questo punto di vista il trattamento riservato a Pisapia è da manuale, è stato dipinto come il leader degli zingari, dei rom e degli estremisti islamici, una campagna di una tale rozzezza da aver allontanato la maggioranza dei milanesi dal candidato sindaco del centrodestra.
Una campagna così poco «positiva» da aver spaventato perfino i moderati, che cinque anni fa avevano garantito la vittoria a Letizia Moratti.
E dire che per perdere Milano ci voleva davvero impegno: è stato fatto un capolavoro.
Si può pensare di essere credibili se si tappezza una città con manifesti che strillano: «La sinistra vuole i vigili solo per le multe, non per la sicurezza» o con la minaccia di vedere Milano trasformata in «Zingaropoli»?
Era una campagna talmente grottesca da prestarsi a mille parodie che hanno spopolato su Internet.
Il migliore spot per Pisapia sono state proprio le caricature fatte su di lui: i filmati e le canzoni che lo dipingevano ancora più estremista dei manifesti leghisti o berlusconiani.
L’errore finale, incomprensibile, è stato poi quello di andare dal Presidente degli Stati Uniti a parlargli dei suoi problemi giudiziari, a insultare un corpo dello Stato italiano.
Pensate se il nostro premier, dopo aver chiamato i fotografi ed essersi messo in favore di telecamera, avesse strappato a Barack Obama un impegno sulla Libia per frenare il flusso di clandestini.
Il suo gradimento non avrebbe che potuto giovarsene. Invece ha scelto di inseguire la sua ossessione.
Cosa succederà adesso è difficile da prevedere, certamente si è messa in moto una valanga dagli esiti imprevedibili.
Potrebbe metterci un giorno, un mese o anche due anni ad arrivare a fondovalle e Berlusconi è persona resistente, tenace, capace di reinventarsi continuamente e che combatte fino all’ultimo. Ma il vero dato di ieri è l’incapacità di leggere cosa passa nella testa, nella pancia e nel cuore degli elettori.
E quando un politico smarrisce questo fiuto e questa dote allora per lui suona la campana dell’ultimo giro.
Mario Calabresi
(da “La Stampa“)
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
DAL GUARDIAN AL WALL STREET JOURNAL, DA LE MONDE A LO SPIEGEL, L’OPINIONE E’ SEMPRE LA STESSA: IL CAPPOTTO SUBITO DAL PREMIER RAPPRESENTA UNA SVOLTA PER L’ITALIA
”Dura”, ”umiliante”, ”severa”.
Queste le parole più usate per raccontare la sconfitta di Berlusconi.
La vittoria di Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris ai ballottaggi di Milano e Napoli fa il giro del mondo e balza sulle pagine dei principali quotidiani internazionali.
Tutti, dalla Gran Bretagna agli Usa, sottolineano come il risultato di Milano rappresenti “un test nazionale” per il premier italiano.
“Berlusconi perde le città chiave alle elezioni locali”, è il titolo della BBC secondo cui la tornata elettorale “era vista come l’esame maggiore per il tormentato premier”.
Il Guardian titola “Berlusconi affronta un’umiliazione a Milano dove gli elettori sostengono un sindaco di sinistra” e osserva che il Cavaliere “ha cercato di trasformare il ballottaggio in un voto di fiducia sulla sua vita privata e sul suo governo” incorrendo “in un disastroso errore di giudizio”.
Anche per il Financial Times le elezioni amministrative sono viste come “una dura sconfitta” per il premier: “Risultati che potrebbero obbligarlo a rimescolare la leadership del partito e probabilmente mineranno la ristretta maggioranza in Parlamento”.
In Francia, Le Figaro titola “Doppia sconfitta simbolica per Berlusconi”.
Per il quotidiano parigino, “sono due battute d’arresto che potrebbero sconvolgere il panorama politico italiano”.
Mentre Le Monde titola “Colpo di avvertimento” e osserva che i risultati elettorali sono “una dura punizione” per il presidente del Consiglio.
In Germania, invece, lo Spiegel titola “l’Italia punisce Berlusconi” e evidenzia come “le sue scappatelle private siano state politicamente troppo costose”. “Berlusconi incassa una umiliante sconfitta nel suo feudo elettorale di Milano”, è il titolo di El Mundo che scrive come “il peggiore degli incubi sia diventato realtà per il premier”.
Ora, “è possibile che l’umiliazione subita da Berlusconi nella sua città natale porti la Lega Nord a rompere la sua coalizione con il primo ministro”.
El Pais colloca la notizia in prima pagina e titola “Il centrosinistra trionfa a Napoli e Milano”.
Il quotidiano, in un commento di spalla, osserva come il premier “sia apparso nervoso, quasi esasperato nelle ultime settimane”.
E c’è “la sensazione che a Milano sia cominciato il conto alla rovescia per il berlusconismo”.
Ora, per il giornale, “tutto può succedere se i milanesi e la borghesia industriale del Nord ripudiano i due partiti che li hanno rappresentati negli ultimi 20 anni”.
Oltreoceano la notizia corre dagli Usa al Sud America.
Per il Wall Street Journal si tratta di una “sconfitta senza precedenti”, un risultato che “pone un punto interrogativo sulla presunta maggiore forza del milionario: la sua abilità a condurre i suoi sostenitori nelle elezioni”.
Severo anche il commento del quotidiano argentino La Nacion, che titola “Duro rovescio per Berlusconi: per gli analisti, la sconfitta segna l’inizio della fine della sua carriera”.
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
A LUNGO SNOBBATI, I QUESITI SU ACQUA, LEGITTIMO IMPEDIMENTO E NUCLEARE SI SONO TRASFORMATI IN UN ASSIST PER PROVARE A DARE UN NUOVO COLPO AL GOVERNO
L’opposizione ora sogna la “tripletta”.
Dopo il colpo assestato al primo turno delle amministrative e il micidiale cappotto rifilato alla maggioranza con i ballottaggi, all’orizzonte c’è una terza occasione per dare una spallata micidiale alla tenuta del governo.
Tra meno di due settimane, il 12 e 13 giugno, si vota infatti per i referendum. Acqua, legittimo impedimento e, forse (un grandissimo forse), nucleare. Raggiungere il quorum appare un’impresa, a maggior ragione ora che con la moratoria sull’atomo decisa con il decreto omnibus è praticamente scontata la cancellazione del quesito sul nucleare, vero traino della mobilitazione popolare.
Nell’opposizione, buona parte della quale ha in realtà snobbato fino a poco tempo fa la campagna referendaria, c’è comunque ottimismo sul fatto che l’attuale entusiasmo possa trascinare alle urne un numero di persone tale da far raggiungere il quorum.
Non è sui risultati infatti, dati ovviamente per scontati, ma sulla convalida della consultazione che si combatte la battaglia.
Per dare una spallata definitiva al governo sarebbe sufficiente quindi mobilitare un numero sufficiente di elettori.
I quesiti, se venisse confermato anche quello sull’atomo, sono infatti su temi dal valore particolare.
Solo quello sull’acqua può essere considerato un referendum “normale”. Legittimo impedimento e nucleare, dopo la centralità data dal governo al ritorno all’energia atomica in Italia, sono invece a tutti gli effetti un voto sulla politica e la persona di Silvio Berlusconi.
Non a caso Gianfranco Fini, che sino ad oggi si era tenuto debitamente alla larga dalla questione, è venuto per la prima volta allo scoperto annunciando l’intenzione di recarsi ai seggi.
“Mi auguro che gli italiani vadano a votare per i referendum – ha spiegato – perchè si tratta di una forma di democrazia diretta, con tutti i limiti”.
Un’uscita simile l’aveva avuta qualche giorno fa anche Umberto Bossi (“alcuni quesiti sono attraenti”, aveva detto), in parte desideroso di tenere sulle spine il sempre più scomodo partner di Arcore, in parte rispondendo agli umori dei comuni valligiani e della Pedemontana, tradizionale bacino elettorale leghista, in allarme per le mire dei privati sulle loro sorgenti.
E persino la Chiesa, in quella che è sembrata una crescente freddezza verso Berlusconi, si è schierata alla vigilia dei ballottaggi “per la tutela dell’acqua bene pubblico” .
Centrare il quorum resta un’impresa, anche perchè per la prima volta l’asticella viene alzata dal conteggio degli italiani all’estero, circa tre milioni di elettori, mentre rischia invece di venire meno in blocco il voto dei sardi, che sul nucleare si sono già espressi in massa con una consultazione regionale il 15 e 16 maggio.
Inoltre, malgrado paradossalmente gli italiani residenti all’estero abbiano già iniziato a votare per corrispondenza sulle schede stampate tempo fa, in realtà la cancellazione del quesito sul nucleare da parte della Cassazione viene data per scontata.
Gli ultimi sondaggi, per quanto piuttosto datati, sembrano poi lasciare spazio solo ai sogni.
All’inizio di aprile, con gli sviluppi dell’incidente giapponese ancora sulle prime pagine, il 60% dei mille intervistati nel corso di un sondaggio commissionato dal periodico Nuova Ecologia, ammetteva di non conoscere i quesiti, mentre solo un 54%, dopo essere stato debitamente informato, ha espresso l’intenzione di andare a votare.
Maggioranza fragile che difficilmente verrebbe riconfermata oggi. “Ma anche i risultati di oggi ai ballottaggi chi se li sarebbe aspettati”, chiosa sornione Francesco Ferrante, senatore del Pd tra i pochi in prima fila dal primo momento sul fronte referendario facendo proprio il desiderio dell’intera opposizione.
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Maggio 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER HA VOLUTO FARE DI QUESTE AMMINISTRATIVE UN TEST NAZIONALE… IL SOGNO BERLUSCONIANO SI ‘ TRASFORMATO IN UN INCUBO: L’UOMO DELLA PROVVIDENZA NON INCANTA PIU’… VINCONO TUTTE LE OPPOSIZIONI
Adesso si può dire. Il Muro di Arcore è crollato.
La vittoria schiacciante di Pisapia a Milano, l’affermazione netta del centrosinistra nei principali comuni del Nord, da Trieste a Mantova a Novara, è una svolta che non si può non definire storica.
Cade la capitale del berlusconismo e della Padania.
Si sfalda un sistema, si sfarina un blocco di potere, si sbriciola un modello politico, si frantuma un nucleo duro di interessi.
È il collasso di un monolite che sembrava invincibile e impermeabile ai movimenti sociali e ai mutamenti economici.
Insieme a questa Rivoluzione Settentrionale, si sconvolge la geografia politica del Sud, con un ciclone De Magistris a Napoli che fa piazza pulita, in un colpo solo, del bassolinismo e del cosentinismo, cioè delle due nomenklature che per anni si sono contese un territorio dominato dall’uso politico della criminalità e dalla mondezza.
Queste amministrative, palesemente caricate di un significato che valica i confini comunali e provinciali, marcano una sconfitta devastante per Berlusconi.
Era stato il premier a parlare di “un test nazionale”.
E’ stato il premier a spendersi in prima persona e a “metterci la faccia”.
È il premier, adesso, a portare tutto intero il peso di questa clamorosa debacle.
I milanesi non hanno creduto ai furori ideologici del Cavaliere che paventava l’arrivo dei cosacchi in Piazza Duomo, degli zingari a Piazza della Scala e dei drogati a Palazzo Marino.
E questo test misura l’ormai palese inattendibilità politica e mediatica di un messaggio generale: gli italiani non credono più al presidente del Consiglio che a casa sua promette le “scosse all’economia”, e al G8 spaccia il suo Paese come una “dittatura dei giudici di sinistra”.
Il sogno berlusconiano finisce qui, trasformato in un incubo.
L’uomo della Provvidenza non incanta più, e i suoi “candidati deboli” non lo vogliono al loro fianco in campagna elettorale, perchè ne percepiscono la metamorfosi negativa: il tocco magico è svanito, il “valore aggiunto” del televenditore si è trasformato nel “disvalore” del guitto.
Ma con Berlusconi, a dispetto dei giudizi di Bossi, perde anche la Lega. Sbaragliata ovunque, nel cuore profondo della sua costituency elettorale. Obbligato a un sacrificio troppo alto, e alla fine esiziale, dal patto di sangue che lo lega al Cavaliere, adesso il Senatur non può che prendere atto della chiusura di un ciclo.
E non può non tornare all’antica vocazione leghista, che esige un movimento libero e irresponsabile.
Vincono le opposizioni, tutte.
Variamente aggregate dall’anti-berlusconismo, senz’altro, ma anche capaci di proporre un’offerta politica non scontata nelle persone, anche se ancora non compiuta nei contenuti.
Vince il Pd, che strappa Torino e Bologna al primo turno, esprime 24 amministratori sui 29 vincenti in questa tornata elettorale, e che pur non portando al successo il suo candidato iniziale nelle sfide di Milano e Napoli, vede comunque premiata la sua lealtà di coalizione.
Diventa irrinunciabile, a questo punto, una riflessione sui programmi e sulle alleanze.
Ma intanto Bersani può incassare il ruolo, riconosciuto dagli elettori, che in questo momento compete al suo partito: fare da pivot di uno schieramento largo di forze, con un ruolo di motore e di federatore.
Vincono le forze radicali della sinistra, dall’Idv di Di Pietro e De Magistris ai post-comunisti-ecologisti di Vendola e Ferrero: bisognerà farci i conti, senza smarrire la rotta riformista senza la quale non si intercetta il voto dell’area moderata della società italiana.
Anche con questa, rappresentata da un Terzo Polo a sua volta in piena evoluzione, bisognerà fare i conti.
Ci sarà tempo, per ragionare di cosa può nascere dalle macerie del berlusconismo.
Di come e quando archiviare un’esperienza di governo rovinosa e pericolosa. Di cosa costruire al suo posto, nelle due metà del campo finalmente sgomberate da un grumo di potere e di livore non più sostenibile nè tollerabile.
Ma di questo si tratta, oggi.
Un tempo, a impedire il cambiamento italiano, c’era il Fattore K, e ce ne siamo liberati.
Ora c’è il Fattore B, e stiamo per liberarcene.
Massimo Giannini
(da Polis)
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