Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA PARTITA E’ TUTTA TRA MORATTI E PISAPIA, MA IL CANDIDATO DI FLI E UDC, MANFREDO PALMERI, POTREBBE DECIDERE IL BALLOTTAGGIO…E IL TERZO POLO RISULTEREBBE INDISPENSABILE ANCHE A ROMA
Manfredo Palmeri, chi era costui?
Meglio imparare a conoscerlo questo ragazzo con famiglia numerosa, due figli suoi e tre della sua convivente nati da un precedente matrimonio, che si definisce nè falco nè colomba ma gabbiano, un Ogm della politica, un prodotto da laboratorio.
Perchè se le cose andranno male il suo nome potrà essere rapidamente dimenticato, il 16 maggio, quando si conteranno i voti per le amministrative di Milano.
Ma in caso di ballottaggio combattuto toccherà a lui, il candidato misterioso, 37 anni, palermitano di padre e ambrosiano di madre, armato di coccarda tricolore, poco pratico di sport, interista, capello lungo e pizzetto nero, fare da ago della bilancia tra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia.
E’ lui il Signor Nessuno che può terremotare gli equilibri sotto il Duomo e dunque nel resto d’Italia, fino al governo nazionale.
Dove l’asse del Nord, il patto Berlusconi-Bossi, è più che mai in crisi, a due settimane dal voto, tra nuove diffidenze e accuse di prese in giro.
I sondaggi, per ora, danno basso il terzo incomodo: l’ultimo (Swg per “Il Sole 24 Ore” del 23 aprile) lo quota al 6 per cento, un ben più lusinghiero Ipsos di fine marzo lo piazzava tra il 6,5 e il 9.
Alessandra Ghisleri, la sondaggista più ascoltata dal Cavaliere, lo colloca ai blocchi di partenza tra il 4 e il 5, dopo aver ponderato le serie storiche dei partiti che lo appoggiano, l’Udc che a Milano non ha mai superato il 3 per cento, Fli che non si è mai misurato: “Ma resta un’incognita. La lista che lo sostiene, Nuovo polo, che raggruppa i finiani e i rutelliani, è un marchio sconosciuto agli elettori, può disorientare o attirare qualche deluso, presto per dirlo”.
Il candidato è un puledro della politica milanese, “la mia candidatura è nata tutta qui, mai stato a una riunione a Roma”, assicura, ma il progetto è ambizioso e viene da lontano: un polo da far nascere sulle macerie di Pdl e Pd.
Il Terzo polo nasce ufficialmente in un albergo romano il 15 dicembre, all’indomani del fallimentare voto di sfiducia alla Camera con la sconfitta di Gianfranco Fini contro Berlusconi.
Era già evidente in quel momento che il capoluogo lombardo sarebbe stato decisivo, con tre condizioni favorevoli difficilmente replicabili altrove.
A destra, la candidatura del sindaco uscente Letizia Moratti, al punto più basso della popolarità .
A sinistra, le primarie che avevano consegnato il titolo di sfidante all’avvocato Giuliano Pisapia, stranoto e stimato in città ma con il peccato originale della sua appartenenza ieri comunista e oggi vendoliana.
Infine, il Terzo polo poteva contare sul dialogo tra Massimo Cacciari e l’ex sindaco Gabriele Albertini, a lungo tentato di scendere in campo oltre gli attuali schieramenti.
Albertini si ritira, dopo la sconfitta di Fini a Montecitorio.
Resta alla finestra, fa il battitore libero, atteggiamento condiviso da una buona parte dell’elettorato moderato che non apprezza i manifesti del candidato Pdl Roberto Lassini, quello che parifica i giudici alle Br, nè i comizi del premier sulle scale del Tribunale e che è in cerca di una nuova rappresentanza.
“Vedo crescere un’area di astensione, di indecisione.C’è una parte della borghesia di questa città che si è riconosciuta in Berlusconi e nella Moratti e che ora si ritrova con l’Expo mai avviato, con le aree ancora da assegnare, e con le tifoserie mobilitate”, prova a decifrare l’aria Bruno Tabacci.
Proprio lui, storica figura della sinistra Dc lombarda, ben inserito nei salotti buoni economico-finanziari, infaticabile spina nel fianco del governo Berlusconi, stando ai sondaggi tra i partiti del Terzo polo, sarebbe stato il nome più forte per sfidare la Moratti e Pisapia.
Con un handicap invalicabile, però: lo scarso entusiasmo sul suo nome del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini.
Si arriva così sul candidato Palmeri tra veti incrociati e l’incertezza sulla partita da giocare, per ripiego: “In Publitalia ne selezionavano a decine come lui”, spiega Luigi Crespi, il regista della campagna elettorale berlusconiana del 2001, quella del contratto con gli italiani nello studio di Vespa: “Carini, pettinati, inutili”.
In consiglio comunale confermano: “Piaceva alla Moratti perchè non si è mai presentato senza cravatta”.
Uno stakanovista, il culo di pietra di palazzo Marino.
Mai una seduta consiliare mancata in cinque anni, 437 su 437, roba da Guinness, presiedendo oltre 3.400 votazioni.
Una costanza da fachiro, anche nell’ardua fase di discussione del Pgt, il Piano di governo del territorio, dov’era la maggioranza di centrodestra a latitare.
Tra una seduta e l’altra, anni prima, ha conosciuto la compagna, consigliera comunale del Pdl come lui, la barese Maddalena Di Mauro: non si ricandida, questa volta, e il suo voto è top secret, anche in famiglia.
Poca sostanza, malignano gli avversari e gli ex amici del suo partito, Forza Italia prima e Pdl poi.
Che ricordano un paio di mosse furbette: gli studi alla Bocconi, per esempio, sempre vantati ma con l’omissione della laurea mai raggiunta.
Più utile, ai fini della carriera politica, la frequentazione del cenacolo di via Marina, dove si riuniscono i Circoli di Marcello Dell’Utri.
Un rapporto durato fino a un anno fa, quando il palermitano-milanese Palmeri prova a fare senza successo il gran salto verso il Pirellone, il consiglio regionale.
La svolta arriva in autunno, con la fondazione di Fli.
Palmeri è tra i primi ad aderire, in mezzo a una gran confusione, un parto complicato, arrivi e partenze.
“Raccolgono tutti quelli che in An erano contro Ignazio La Russa. Tanti, ma non abbastanza per vincere le elezioni”, raccontano nel Pdl.
Ma ora che il voto è vicino il Nuovo Polo guidato dal gabbiano Manfredi, che nel frattempo si è trasformato in un leone anti-Moratti, è costretto a combattere.
E provare a costruire a Milano, dove il premier gioca in casa, quella coalizione moderata e post-berlusconiana che Casini e Fini vorrebbero lanciare nel resto d’Italia.
Per il presidente della Camera il 15 maggio è un banco di prova, per vedere se la destra “senza la bava alla bocca”, alternativa all’estremismo del Cavaliere, esiste davvero o è un miraggio.
Per il leader dell’Udc un successo centrista confermerebbe che senza di lui nessuno può vincere, ottima notizia in vista delle prossime elezioni politiche. Per entrambi essere determinanti sotto il Duomo significa dare un colpo mortale alla coppia Berlusconi-Bossi che ha dominato la politica italiana per 15 anni.
Il Polo milanese come anticipo del Polo nazionale che verrà .
Un mosaico difficile da mettere insieme.
Ci sono i pezzi del Pdl che non hanno accettato la progressiva trasformazione del partito nella corte di Arcore: nelle liste di Manfredi ci sono le due pasionarie, la ex An finiana Barbara Ciabò e la ex forzista Sara Giudice, l’unica collega di partito ad essersi esposta promuovendo una raccolta di firme contro la candidatura in consiglio regionale di Nicole Minetti.
Lui guarda agli under 50, ai liberali, ai moderati, “ai delusi della Moratti e agli illusi da Pisapia”, parole sue, e anche a quei leghisti stufi di donna Letizia. Con lui c’è Lucio Nisi, il proprietario del Plastic, un tempio della notte.
Ha appoggi tra i costruttori della media impresa, Assimpredil e Ance (mentre Moratti è più gradita ai big players come Ligresti, Cabassi, Hines Italia, Impregilo, Torno, impegnati in grandi appalti infrastrutturali), nel mondo universitario della Bocconi e dello Iulm, nella comunità ebraica di Roberto Jarach e Daniele Nahum; in lista c’è Iardina Laras, figlia dell’ex rabbino capo di Milano.
Una certa attenzione arriva dal “Corriere della Sera” e dal “Sole 24 Ore”, col neo direttore Roberto Napoletano vicino a Casini.
Palmeri piace anche al banchiere Fabrizio Palenzona.
E un po’ più a sinistra? Entra in lista con Manfredi il consigliere ex Pd Carlo Montalbetti, c’è la simpatia di Sergio Scalpelli, dell’ex prefetto Bruno Ferrante, di una vecchia conoscenza migliorista del presidente della Repubblica, Luigi Corbani, direttore generale dell’Orchestra Verdi.
Nel mondo cattolico c’è la divisione tra il mondo ciellino, schierato con la Moratti, e l’ala del cattolicesimo sociale in sintonia con il cardinale Dionigi Tettamanzi che può contare sulla direttrice della fondazione Casa della Carità Maria Grazia Guida, con Stefano Boeri in testa di lista per il Pd.
Ma pezzi di antico mondo democristiano sono in movimento, se è vero che una figura storica come Piero Bassetti, il primo presidente della Regione Lombardia nel 1970, ha dichiarato il suo appoggio per Pisapia e fondato il comitato Cinquantuno per cento, con intellettuali e professionisti, dall’ex commissario della Consob Salvatore Bragantini al vicepresidente della Banca Popolare di Milano Mario Artali.
Un altro influente economista, Marco Vitale, parteciperà al Teatro Parenti a un’iniziativa elettorale pro Palmeri, accanto a Cacciari e al banchiere ex dc Roberto Mazzotta.
A due settimane dal voto Palmeri, tenacia a parte e a prescindere dalle sue qualità , resta in corsa.
A testimoniarlo, più che l’appoggio dei suoi sostenitori, c’è lo sforzo messo in campo da Berlusconi, candidato in prima persona per il consiglio comunale, ora a rischio sorpasso dell’ultrà Lassini nella gara per le preferenze.
Effetto Berlusconi, difficile da calcolare: la Moratti è oggi sotto quota 50 per cento e sotto la somma dei partiti della sua coalizione.
“Berlusconi ha sempre fatto i miracoli, ma se è arrivato il momento di cambiare il suo appoggio può trasformarsi in un boomerang”, si fa coraggio Tabacci.
Per il Cavaliere un tracollo a Milano sarebbe ben più che una sconfitta elettorale: la fine di un’epoca laddove è cominciata.
Per questo il premier gioca la carta che gli è sempre riuscita meglio: trasformare il voto in un referendum sulla sua persona, la scelta di campo. Questa volta, però, il suo campo è diviso.
La Lega è sempre più insofferente.
I moderati si sono messi in proprio.
Ed è curioso che uno scontro di questa portata sia in mano allo sconosciuto Palmeri: ma nella politica, come nel cinema, capita spesso che all’ultima scena arrivi la comparsa sottovalutata da tutti.
E scriva la parola fine.
Enrico Arosio e Marco Damilano
(da “L’Espresso“)
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
DOPO LE POLEMICHE NATE SU VARI SITI, LA TV DI STATO PACHISTANA COSTRETTA AD AMMETTERE L’USO DI UNA VECCHIA FOTO… E IL CADAVERE SAREBBE STATO ABBANDONATO IN MARE
Un uomo con il volto sfigurato, gli occhi cavi, la folta barba nera: la pakistana Geo
Tv, la principale rete del Paese asiatico, aveva pubblicato per prima quella che sembrava essere l’immagine del cadavere di Osama Bin Laden, ucciso lunedì mattina dalle forze speciali Usa.
Presto ripresa dalle emittenti e dai siti di quasi tutto il mondo, ma non da quelli americani.
Dopo qualche ora Geo Tv ha dovuto ammettere che «era un falso, già circolato nel 2009», come ha dichiarato Rana Jawad , il capo dell’ufficio di Islamabad di Geo Tv.
«Nel diffonderla- ha proseguito – avevamo precisato che non eravamo in grado di autenticarla; in seguito ne abbiamo verificato la provenienza e l’abbiamo ritirata».
Immediatamente subito dopo la pubblicazione dell’immagine, diversi siti avevano messo in dubbio l’autenticità della foto. I principali forum jihadisti, legati alla rete di Al Qaeda, non credevano alla notizia della morte del terrorista saudita: diversi utenti sostenevano si trattasse di un’immagine già diffusa da alcuni siti arabi lo scorso dicembre e che il volto raffigurato non fosse quello del leader di al-Qaeda.
Anche il sito italiano Peacereporter.net confutava la veridicità dell’immagine: «La prima foto del cadavere di Osama mostrata da tutte le televisioni del mondo e ripresa dai principali siti di informazione, è un falso clamoroso». Scriveva il sito spiegando che quella che stava facendo il giro del mondo fosse «una immagine evidentemente elaborata con un programma di editing di immagini, ripresa dal sito “unconfirmedsources”».
Il nome del file 20060923-torturedosama.jpg dovrebbe bastare a chiarire l’equivoco – si leggeva ancora nella nota pubblicata sul sito di Peacereporter – : si tratta di una foto del 23 settembre 2006 il cui nome è «Osama torturato». A guardar l’immagine diffusa, in effetti, vi erano notevoli somiglianze con la foto «classica» del terrorista islamico pubblicata negli ultimi anni.
Resriamo tutti in attesa di una foto attendibile, visto che il cadavere sarebbe stato abbandonato successivamente in mare.
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA FOLLE CORSA DEI CANDIDATI, DALLE GRANDI CITTA’ AI PICCOLI COMUNI: A TORINO TUTTI VOGLIONO CHIAMARSI COPPOLA, FASSINO ALLA EASTWOOD, LETIZIA CHE VOLEVA FARE LA BALLERINA, CENTENARIA IN LISTA IN FRIULI…TRASH AL POTERE NEI MANIFESTI ELETTORALI
Da una parte Moratti contro Pisapia, dall’altra il derby degli Invernizzi.
Milano e Morterone, testa e coda dei 1345 comuni italiani che andranno al voto il 15 e 16 maggio (a cui si aggiungono 11 province e a novembre una Regione, il Molise, dati Ancitel).
Se sulla corsa a Palazzo Marino si è detto tanto, la sfida per guidare i 38 cittadini del minuscolo centro in provincia di Lecco (il più piccolo d’Italia) ha senz’altro meno aspetti noti.
Comune da gennaio in amministrazione straordinaria, due aspiranti sindaco con lo stesso cognome: Invernizzi.
Antonella, (il primo cittadino sfiduciato) ci riprova a capo di “Vivere Morterone”.
L’avversario, Riccardo, le lancia la sfida con “Rinnoviamo Morterone” e un programma di 12 punti.
Due liste e 18 candidati (esclusi loro due): un passo indietro rispetto a cinque anni fa quando il numero degli aspiranti superò addirittura quello degli aventi diritto.
Se a Morterone la competizione è targata Invernizzi, a Torino (una delle sfide principali), non ce ne vogliano gli altri candidati, ma è Coppola a farla da padrone.
L’originale è il bel Michele (il candidato del centrodestra), assessore regionale alla Cultura, incoronato dal premier come quello che ci vuole per Torino, “una scopa nuova che scopi meglio”.
Ma sulla scheda i torinesi troveranno anche la “Lista Coppola per una Torino più rosa”, che appoggia il candidato del Terzo Polo, Alberto Musy (provocando le ire di Pdl e Lega), e ancora l’aspirante sindaco Domenico Coppola (sei liste per lui, tra cui una che si chiama Forza Toro ma nessun sito ufficiale).
E dove non arriva l’anagrafe ci pensa la fantasia.
Solo la commissione elettorale ha stoppato la lista CoPoLa (Comitato Polo Latinoamerica), esclusa come le altre quattro a sostegno di Marco Di Nunzio, tra cui la lista “Bunga Bunga – Più pilo per tutti”.
Un cartello elettorale di cui fa parte anche “Forza Juve” e che sul suo sito dal nome esotico (www.intrigatropical.eu 1) annuncia ricorsi, facendo proselitismo senza andarci troppo per il sottile: “Vuoi candidarti e percepire uno stipendio? Clicca qui”.
Ben altra molla dovrà aver spinto a cimentarsi nell’agone politico Marcella Beltrame, 100 anni appena compiuti, in corsa per la lista civica a sostegno di Silvano De Bortoli, nel comune di S. Quirino (Pordenone).
Si aspettava il via libera ufficiale dopo la presentazione delle liste. Candidatura ammessa e come riporta il sito della Regione Friuli, la signora, nata il 1° aprile 1911, sarà regolarmente ai nastri di partenza.
Il Trentino Alto Adige, invece, è l’unica regione dove non sono previste votazioni.
Succede così che programma presentato nel 2005 da Renzo Anderle, ex sindaco di Pergine Valsugana (Trento), possa tornare buono per la corsa di Emanuele Cassano (Pd), in lizza nel comune barese di Palo del Colle, a 17 Km da Bari.
Plagio autorizzato dall’autore (anche lui nell’area del centrosinistra) all’insegna della circolazione delle buone idee.
A patto di fare le dovute modifiche, tagliando in primis i riferimenti alle piste da sci. Viva il fair play.
Qualcosa di simile, ma senza avvisare l’autore, aveva provato a fare Gianni Lettieri nei suoi 72 punti programmatici “copiati” in parte dai 100 di Matteo Renzi.
Scoperto, si è difeso ammettendo di aver preso il buono anche da “De Luca, Tosi e Chiamparino”.
Mentre restando sempre a Napoli salta fuori in rete come “il Futuro è mo’” slogan del candidato Pd, Mario Morcone riecheggi in dialetto napoletano “Il Futuro è adesso” di Renata PolverinI.
Ancora nel capoluogo partenopeo, 48 consiglieri dell’ultima legislatura (l’80%) hanno scelto di ricandidarsi.
Se fossero tutti eletti (con il numero tagliato da 60 a 48), non si vedrebbe nessuna faccia nuova a palazzo S. Giacomo.
Neanche il cognome del leader tanto amato dai leghisti aiuta, invece, Massimo Bossi nella sua corsa a sindaco di Gallarate (Varese).
E’ arrivato il sostegno del Pdl, ma il Carroccio gli ha messo contro un suo candidato di punta, Giovanna Bianchi Clerici.
Colpa, dicono, di alcuni manifesti con la scritta “Vota Bossi” e il simbolo dell’odiata Lega Padana lombarda, che avrebbero mandato su tutte le furie il Senatùr.
Orgoglio indipendista ma in salsa sarda per Claudia Zuncheddu, già “consigliera” regionale e tra i candidati per la poltrona di primo cittadino a Cagliari.
Nome noto, come spiega lei stessa sul suo blog, a livello nazionale e internazionale come pilota di rally.
Nel suo palmares Parigi-Dakar, Rally dei Faraoni, Parigi-Città del Capo, Rally di Tunisia, Parigi-Pechino. Nel 1986, prima donna di sempre ad entrare nelle selezioni del durissimo Camel Trophy.
Questo per i meno noti.
Ma anche i big si attrezzano per fare breccia nell’immaginario degli elettori. Piero Fassino per la sua corsa rispolvera uno degli ultimi Clint Easwood e battezza la Gran Torino.
E sul sito ufficiale salta fuori una locandina con l’ex segretario dei Ds in versione Walt Kowalski.
Si provano anche a demistificare alcuni luoghi comuni: “Contrariamente da quanto si possa supporre dal mio fisico”, scrive il candidato del centrosinistra, “mi piace mangiare e bere bene”.
Si abbandona alle confidenze anche la donna di ferro dell’amministrazione milanese, Letizia Moratti.
Tra la grana Lassini e il mantra alla “Ok il prezzo è giusto” delle 100 cose già fatte e le 100 da fare, c’è tempo anche per guardarsi indietro: “Da bambina sognavo di fare la ballerina alla Scala o l’architetto, ma la vita mi ha riservato altro”.
E nella casa di vetro del “mondo di Letizia” salta fuori una Moratti in versione Karen Blixen/Meryl Streep in “La mia Africa”, con una citazione, quasi obbligata, tra le canzoni del cuore per Ornella Vanoni.
Proprio la cantante milanese, infatti, inaugura la breve carrellata dei nomi noti in corsa in questa tornata.
Nel capoluogo lombardo, trova posto come aspirante consigliere assieme all’ex nazionale di rugby, Marcello Cutitta nella lista “Milano al Centro”. Conferma per Carmine Abagnale nel listino Pdl.
In lizza anche Gianni Rivera e Marco Predolin nella lista “Librandi per Milano”. Non si trova traccia, almeno in rete, dell’annunciata candidatura in Veneto di Debora Caprioglio, nelle fila dell’Alleanza di Centro di Pionati.
Altro derby sportivo a Siena, dove l’ex pilota Alessandro Nannini corre come aspirante sindaco per il centrodestra.
Tra i suoi sfidanti per il Terzo Polo, Gabriele Corradi, papà del calciatore dell’Udinese Bernardo.
Assessorato annunciato a Napoli per Fabio Cannavaro.
Parola del candidato del centrodestra, Gianni Lettieri, che molto ammicca al calcio e agli azzurri di Mazzarri nella campagna “Far vincere Napoli”.
“Solo uno spot”, ha replicato il candidato Idv, Luigi De Magistris: “noi preferiamo Cavani e Lavezzi che rappresentano il futuro”.
Diecimila euro contro venti milioni (stando alle ultime cifre accreditate).
E’ la distanza che separa la campagna low cost della stella ventenne dei grillini, Mattia Calise, da quella di Letizia Moratti (che si era fermata a 6 cinque anni fa).
Fatica ad arrivare a 1 milione il candidato del centrosinistra Giuliano Pisapia. Più equilibrata la volata bolognese, dove Virgilio Merola mette in preventivo 160 mila euro (a cui andrà sommato il conto del Pd), contro i 140mila di Daniele Corticelli, candidato civico di Bologna Capitale, i 100 mila del leghista Manes Bernardini, appaiato a Stefano Aldrovandi del Terzo Polo.
Dove non arrivano le risorse finanziarie possono, però, i social network.
Chi sarà il più bravo sul web?
Ecco una classifica in tempo reale 4 dei candidati su Twitter, che tiene conto di tweets pubblicati, presenza, followers e rapporto friends/followers). I risultati: sul podio salgono Luigi De Magistris, Virginio Merola e Manes Bernardini.
Rimandati, almeno per il momento, Guido Baldrati (Fli per la provincia di Ravenna), Franco Ceccuzzi (Pd per Siena) e Claudio (Pd per Pordenone).
E per i più nostalgici restano i tradizionali manifesti elettorali.
Tre citazioni per le trovate più audaci di questa tornata.
A Milano non fa difetto il celodurismo all’aspirante consigliere della Lega Nord Massimiliano Bastoni, che si fa ritrarre sorridente accanto alla carta napoletana da cui nasce il suo slogan: “Cala l’asso… Vota bastoni”.
Non teme di sfigurare, nonostante i 63 anni appena compiuti, Alberto Astolfi detto Bertino, in canottiera e costume come ogni bagnino che si rispetti della riviera romagnola.
Sguardo fiero verso l’orizzonte e mare Adriatico sullo sfondo, lo slogan dell’aspirante consigliere comunale di Rimini è “Senza se, senza ma, ho sempre remato per la mia città “.
Chiude il tris Gianluigi Marra detto Giangi in corsa come sindaco per la lista Azzurri Italiani a Torino: “Scopiamo?… via la vecchia politica”, si chiede sorridente con tanto di ramazza tricolore.
Due idee dal suo programma: trasformare i campi nomadi in campeggi per turisti e usare le guardie giurate per pattugliare il territorio.
Con queste premesse qualcuno potrebbe invidiare gli elettori di Gubbio: loro votano una settimana più tardi.
Tutto rimandato per la corsa dei ceri.
Pasquale Notargiacomo
(da “La Repubblica“)
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
ASSALTO DEI NAVY SEALS IN UNA BASE DOVE SI NASCONDEVA IL CAPO DI AL QAEDA … L’OPERAZIONE GIOVERA’ A OBAMA DAL PUNTO DI VISTA DEI CONSENSI INTERNI, MA NON DETERMINERA’ CERTO LA FINE DELL’INTEGRALISMO ISLAMICO E DEL TERRORISMO
È stato ucciso con un colpo di arma da fuoco alla testa. 
Osama Bin Laden è stato «terminato» è il temine utilizzato comunicare l’uccisione del capo di Al Qaeda.
Nel corso del blitz di un commando americano condotto contro la residenza del leader di Al Qaida Osama Bin Laden a una cinquantina di chilometri a nord di Islamabad.
Con lui sono state uccise altre quattro persone.
Lo riferiscono responsabili americani.
Fonti del Pentagono riferiscono che le forze speciali che hanno effettuato l’operazione avevano provato più volte il piano di atttacco per evitare vittime tra civili innocenti.
Il corpo di Osama bin Laden è «in custodia» americana, si legge sul sito di Al Jazeera, anche se l’operazione che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden si è svolta in collaborazione con l’anti-terrorismo pachistano.
Uno dei quattro elicotteri che hanno preso parte all’operazione condotta in Pakistan contro il compound di Osama Bin Laden si è schiantato apparentemente dopo essere stato raggiunto da colpi d’arma da fuoco esplosi da terra.
Lo riferiscono fonti ufficiali coperte da anonimato, specificando che non ci sono state vittime.
La fonte ha aggiunto che durante il raid donne e bambini sono stati presi in custodia.
Un responsabile dei servizi segreti pachistani ha confermato che Osama Bin Laden è stato ucciso nel corso di «un’operazione molto delicata», senza dare dettagli sul blitz di cui ha parlato anche il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Nuove informazioni vengono invece dalla Cnn: l’operazione è avvenuta a Abbottabad, una città a soli 75 chilometri dalla capitale Islamabad, e Bin Laden si trovava secondo gli esperti dei servizi della rete americana, in un compound di alta sicurezza, circondato da una recinzione e protetto da una doppia cancellata.
Il blitz sarebbe stato preparato, sempre secondo gli esperti della Cnn, da cinque riunioni fra il presidente Obama e i servizi segreti in questi ultimi mesi. Abbottabad come Islamabad si trova a qualche ora di strada da alcune delle zone tribali della Frontiera del Nord Ovest, la zona tribale al confine con il Pakistan che è sempre stata considerata il rifugio di Osama Bin Laden.
Il blitz è stato compiuto da un commando statunitense: lo ha specificato Barack Obama parlando dalla Casa Bianca e dicendo «Questa sera sono in grado di annunciare agli americani e al mondo che gli Stati Uniti hanno condotto un’operazione che ha ucciso Osama bin Laden, il leader di Al Qaida».
Così Obama ha raccontato il blitz comunicando la morte di Bin Laden alla nazione: «Molti mesi fa sono stato informato che avevamo indizi circa la possibile posizione di Bin Laden. Ho incontrato molte volte i miei consulenti dei servizi segreti. Finalmente la settimana scorsa ho deciso che avevamo sufficienti informazioni per agire. Oggi per mio ordine gli Stati Uniti hanno lanciato un’operazione contro quel compound. Una piccola unità di agenti americani ha agito con grande coraggio, facendo attenzione a evitare vittime civili. Dopo uno scontro a fuoco, hanno ucciso Osama Bin Laden e hanno in custodia il suo corpo».
E ha aggiunto: «Come paese, non tollereremo mai minacce alla nostra
sicurezza».
E ora tutti aspettano la risposta.
Ambasciate, basi militari e rappresentanze americane sono state messe in allerta.
Nella notte americana è partito, infatti, l’ordine di «Bravo Force Protection» che prevede severe misure di sicurezza.
L’intelligence si attende tre tipi di minacce.
La prima è rappresentata da Al Qaeda-Centrale, la vecchia guardia che può cercare di organizzare attacchi da sola o insieme agli alleati talebani. Nascosti nelle zone al confine con l’Afghanistan e in diverse località pachistane, ci sono capi in grado di montare operazioni.
Oltre a Ayman Al Zawahiri, più ideologo che “colonnello”, gli americani sono preoccupati da Seif Al Adel, un egiziano che in passato ha pianificato attentati su scala globale.
Rilasciato dagli iraniani, l’estremista avrebbe assunto il ruolo di coordinatore per gli attacchi all’estero.
Il secondo pericolo è incarnato dagli affiliati di Al Qaeda.
Gruppi regionali legati in modo diretto o solo ideologico con ciò che resta del movimento.
Alcuni hanno più ambizioni che capacità . Ma altri hanno dimostrato di poter colpire in profondità : tra questi la Brigata di Ilyas Kashmiri, le fazioni separatiste del Kashmir e molte “sezioni” regionali.
Da quella che attiva in Nord Africa alla branca irachena.
Sotto osservazione particolare l’imam Al Awlaki, uno yemenita cresciuto negli Usa, che parla alla perfezione l’inglese e che si è trasformato nel punto di riferimento per i militanti nella penisola arabica e di occidentali entrati nelle file qaediste.
Infine c’è la minaccia degli “spontanei”.
Gruppuscoli e singoli individui che passano all’azione soltanto perchè hanno sentito la notizia della morte di Bin Laden.
E questo può avvenire ovunque.
Nelle valutazioni a caldo, l’intelligence sottolinea che i qaedisti potrebbero cercare di reagire rapidamente per dimostrare che l’idea — e la lotta – sopravvive al suo leader.
Un capo che negli ultimi anni aveva vista ridotta la sua influenza, al punto che si pensava fosse morto o comunque in condizioni difficili.
E, infatti, gli stessi 007 sostenevano che era diventato “ininfluente”.
La morte del capo storico quindi rischia di alimentare solo un aumento degli atti terroristici nel breve periodo e la nascita di più punti di riferimento dell’integralismo islamico.
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
IL CAPO DI AL QAEDA COLPITO POCO FUORI ISLAMABAD, IN PAKISTAN, DURANTE UN BLITZ DI TERRA….GLI AMERICANI FESTEGGIANO, MA ORA CHE CONSEGUENZE VI SARANNO?
L’annuncio degli Stati Uniti: il leader di Al Qaeda colpito in un attacco con un’operazione di terra. Si trovava in un
accampamento ad Abbotabad, fuori Islamabad, in Pakistan. Insieme a lui sarebbero stati uccisi anche altri membri della sua famiglia.
L’annuncio del presidente Obama: “Operazione durata mesi, ho ordinato oggi l’intervento quando abbiamo avuto abbastanza informazioni di intelligence. E’ il risultato più importante nella nostra lotta ad Al Qaeda. La battaglia non è finita, rimaniamo vigili. Ma la nostra guerra non è contro l’islam”.
L’uccisione a 3.519 giorni dagli attentati dell’11 settembre 2001. I militari Usa mostreranno il suo corpo. Una folla già radunata fuori la Casa Bianca scandisce: “Usa, Usa” e canta l’inno nazionale .
Dieci anni dopo. La mente dell’11 settembre non c’è più.
L’America ha un corpo. La prova.
Il presidente degli Stati Uniti annuncia a sorpresa una dichiarazione domenica notte.
È primo maggio in tutto il mondo tranne che in America: qui la festa del lavoro si festeggia a settembre.
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA LEGHISTA DELLA VALCAMONICA CHE HA SVEZZATO RENZO BOSSI PER POI DIVENTARE ASSESSORE LOMBARDO ALLO SPORT, OLTRE ALLA MAGA DI FIDUCIA ORA E’ CHIACCHIERATA PER AVER ORDINATO DOSSIER AI DANNI DI AVVERSARI INTERNI DEL SUO STESSO PARTITO
Protagonista, un sottufficiale della Guardia di finanza in forza al Comando provinciale di Brescia, il maresciallo Francesco Cerniglia, in contatto con l’assessora e la sua maga.
Avrebbe creato dossier illegali su esponenti del Carroccio considerati “traditori” della Lega o comunque concorrenti o avversari personali di Monica Rizzi.
Tra le vittime del dossieraggio ci sarebbero l’ex consigliere regionale Ennio Moretti, il vicesindaco di Salò, un dirigente dalla Asl di Mantova e due giornalisti, Marco Marsili, ex addetto stampa di Monica Rizzi, e Leonardo Piccini, collaboratore del “Fatto Quotidiano”.
Sono gli ultimi due a sostenere che il maresciallo avrebbe redatto dossier illegali, anche attingendo informazioni da banche dati delle forze di polizia.
Accuse gravi.
Sarà ora la Procura di Brescia, a cui i due giornalisti si sono rivolti, a verificare se le loro denunce sono fondate.
Una prima conferma la dà Giulio Arrighini, ex parlamentare del Carroccio poi uscito dal partito e oggi segretario nazionale della Lega Padana.
Racconta di aver ricevuto la visita di un misterioso personaggio che non si è presentato, ma gli ha fatto vedere un faldone pieno di cartelline con notizie sulla vita privata di esponenti della Lega.
Arrighini ha annusato odor di vendette interne al partito e ha detto di non essere interessato alla merce.
Non ha alcuna certezza, naturalmente, che si trattasse di Cerniglia o di materiale riconducibile a lui.
Secondo i due giornalisti che hanno presentato la denuncia, però, il maresciallo collabora, nel tempo libero, con la Cagliostro Investigazioni, un’agenzia privata di Brescia che fa capo proprio ad Adriana Sossi, la maga di Monica Rizzi nonchè autrice dell’imperdibile libro “La mia vita con gli spiriti”: Adriana è in contatto, beata lei, con “un extraterrestre della galassia di Oron”, ma è anche beneficiaria di una collaborazione remunerata (4 mila euro) con la Regione di Roberto Formigoni.
Ottenuta naturalmente grazie a Monica Rizzi, che già da mesi deve affrontare cattiva stampa a causa di alcune sue mosse false.
La prima è l’esibizione di un titolo di “psicologa e psicoterapeuta infantile”, specializzata nel “recupero dei minori abusati”, senza ahimè essere iscritta all’Albo degli psicologi, nè avere uno straccio di laurea.
La seconda è una letteraccia, rivelata dal “Fatto Quotidiano” il 10 marzo, inviata all’assessore al lavoro della Provincia di Brescia per protestare contro una funzionaria dell’ispettorato provinciale del lavoro colpevole di aver fatto i controlli di legge in aziende in cui è coinvolto il suo fidanzato, l’imprenditore Alessandro Uggeri.
Ora arriva la storia dei dossieraggi.
Chissà se la sua maga di fiducia l’aveva previsto.
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
DELUSI DALLA POLITICA, PRONTI A RIUNIRSI NELLE EMERGENZE: NELLA CRISI TORNA LA COESIONE….FAMIGLIA E PATRIMONIO ARTISTICO PUNTI SALDI DI RIFERIMENTO
Solo la crisi e gli attacchi portano l’Italia, paese dai mille campanili, a riscoprire l’orgoglio dell’unità
nazionale.
È quanto emerge da una ricerca condotta da Demos per Intesa San Paolo. Sul futuro del Paese permane un profondo pessimismo anche se aver conquistato 150 anni fa l’unità della nazione viene considerato:”Un fatto estremamente positivo”.
Patrimonio artistico e famiglia sono i due valori principali che attraversano l’intera società italiana.
Uniti e divisi al tempo stesso. Sembra essere il paradosso che vivono gli italiani. Una condizione non nuova per la verità , ma in forte accentuazione nell’ultima fase.
Nonostante tutto ciò, l’unità nazionale non appare in discussione.
Anzi, proprio nei momenti di tensione più intensi, quando le fratture si allargano, gli italiani sembrano rivalutare l’importanza di essere uniti. Riscoprono il valore e i valori della coesione.
Insomma, si sentono italiani.
Italiani nonostante e contro chi ne mette in discussione l’unità .
Ma anche disattenti e poco appassionati, in tempi normali. Normalmente divisi per storia e tradizione, geografia e politica.
Uniti per istinto, abitudini e pratiche sociali.
Mai come in questo momento il nesso tra unità e divisione è apparso visibile. Forse perchè il 150enario ha costretto tutti ad interrogarsi sulla questione, senza eluderla.
La società e la politica si sono trovate di fronte ad un evento che ha offerto uno spazio inedito sia alle polemiche sia alle espressioni di solidarietà e di sostegno intorno ad un tema tradizionalmente messo fra parentesi.
Lo stesso, acceso, dibattito sulla riforma federalista ha contribuito inevitabilmente a richiamare il nesso fra coesione e divisione.
Fra appartenenza nazionale e sentimento localista.
L’indecisione che ha accompagnato la decisione di proclamare il 17 marzo scorso giorno di festa (nazionale) è la testimonianza di questo clima incerto sul riconoscimento dei valori connessi alla questione nazionale.
In questo scenario il territorio è diventato un fattore sempre più forte nelle dinamiche rivendicative.
Ed è utilizzato ormai non solo dalla Lega Nord, ma anche da altre formazioni politiche che ne hanno fatto una bandiera per dare spessore a identità , interessi e istanze particolari.
È come se unità e divisioni si tenessero insieme, nel “carattere nazionale”. Tutto ciò è possibile osservarlo anche attraverso i sondaggi di opinione, che rilevano gli orientamenti dei cittadini, quindi i loro giudizi e pregiudizi.
In questa numero di LiMes facciamo riferimento alla ricerca “Gli italiani e l’Italia” svolta recentemente da Demos per Intesa Sanpaolo.
Quando si chiede agli italiani a quale area territoriale si sentano emotivamente più vicini gli orientamenti appaiono piuttosto sfrangiati.
Il contesto sub-nazionale raccoglie quasi la metà delle indicazioni (47%) che si dividono tra la città dove vivono (17%), la regione (12%) o la macroarea (Nord, Centro, Sud: 18%).
Il legame con il contesto nazionale, l’Italia, viene segnalato dal 28% degli intervistati.
Un’identità sovranazionale e di tipo cosmopolita segna invece un cittadino su quattro.
Ma se consideriamo il totale delle due risposte che gli intervistati potevano indicare, emerge in modo piuttosto chiaro che il riferimento nazionale, l’Italia, è quello più segnalato in assoluto.
Metà dei cittadini (49%) afferma di provare un legame forte, al punto che se non lo indica come primo lo esplicita come secondo.
Il localismo non costituisce dunque un’identità oppositiva alla dimensione nazionale.
Anzi, negli orientamenti dei cittadini è largamente diffusa la tendenza a riassumere l’identità locale nella cornice di quella nazionale.
L’Italia diventa così il principale dei contenitori di significato.
Per cui in Italia non ci si dice romani, vicentini, urbinati, torinesi, veneti, siciliani, napoletani, lombardi, milanesi, toscani, fiorentini, pugliesi… o italiani. Ma e italiani. Milanesi e italiani. Napoletani e italiani. Bolognesi e italiani. Marchigiani e italiani.
Oppure, viceversa, italiani e romani, … e catanesi, … e milanesi.
Al tempo stesso. Senza contraddizione.
Ma il sentimento di appartenenza è qualcosa di ben più complesso di una semplice identificazione di tipo territoriale.
Il territorio assume significato perchè è il luogo delle relazioni, delle tradizioni, della cultura.
È l’ambito in cui operano le istituzioni dello Stato.
Ma la dimensione politico-istituzionale continua, nel suo insieme, ad essere un riferimento debole per l’identità nazionale.
Offre, cioè, solo agganci marginali all’idea del “noi”.
Se osserviamo la graduatoria dei caratteri che secondo gli intervistati distinguono meglio gli italiani rispetto agli altri popoli emerge un profilo ormai noto.
La famiglia (43%), il patrimonio artistico (35%), l’arte di arrangiarsi (28%), la tradizione cattolica (23%) e la creatività nel campo dell’arte e dell’economia (20%).
Scivolano verso il basso della classifica quei riferimenti che costituiscono le basi di una comunità politica, come l’adesione ai principi della democrazia (10%), il civismo e la fiducia nello Stato (6%).
L’orgoglio nazionale si indirizza, oggi ancor più che in passato, su aspetti che riguardano le tradizioni sociali e locali. La cultura e l’arte.
Infatti, gli italiani si sentono “molto” orgogliosi del patrimonio artistico (75%), delle bellezze del territorio o della cucina (71%).
Anche dell’Inno e del Tricolore (67%). Molto meno – anzi, quasi per nulla – della politica e dei politici (3%).
Insomma, gli italiani si sentono uniti dalla loro capacità di “fare” e inventare, di reagire alle difficoltà .
Ma da soli. Insieme ai loro familiari, al loro piccolo mondo locale.
Una nazione fatta di città , di paesi e di famiglie. Lontana dallo Stato e senza le istituzioni.
Di cui si apprezza la storia, non il presente. Il Risorgimento, ad esempio, per l’86% degli italiani ha lasciato un segno positivo nella storia del Paese.
E poi, soprattutto, il grande valore assegnato alla Ricostruzione degli anni ’50 e ’60 (85%).
Un periodo emblematico, quasi una bandiera.
L’epoca in cui il Paese riuscì a risollevarsi dal baratro in cui l’aveva gettato la guerra. A “ricostruire”, o meglio, a “costruire” un’economia che prima non esisteva.
A conquistare lo sviluppo, prima, il benessere, poi.
In altri termini: a inventare un futuro nuovo e diverso rispetto al passato.
L’indagine rileva come nove cittadini su dieci ritengono che l’unità d’Italia, avvenuta 150 anni fa, sia stata un avvenimento positivo.
Così un popolo che ha sicuramente motivi di divisione ha però trovato anche gli spunti per alimentare il sentimento unitario.
La ragione di un orientamento così positivo, nonostante le polemiche, probabilmente, sta proprio nelle polemiche.
Nel dibattito acceso – e continuo – suscitato negli ultimi mesi intorno all’unità e ai suoi simboli.
Ma è anche il risultato di un lavoro lungo, di riscoperta della memoria nazionale, dei suoi miti, dei suoi riti, dei suoi protagonisti, che normalmente non esiste.
Detto altrimenti: gli italiani “diventano” più italiani quando si profila una minaccia all’orizzonte.
Anche perchè in tale situazione, per una volta, ricordano e valorizzano queste radici.
E se si sentono frustrati dal presente e dal passato recente. Se il futuro è fuggito. Allora si rifugiano nel privato, nella famiglia.
Nella memoria e nei miti della storia.
Questo Paese disincantato e disilluso. E, nonostante tutto, unito.
Questo Paese di “italiani nonostante”.
Malgrado tutto, italiani.
Luigi Ceccarini e Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica“)
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
I DATI DI FEDERFARMA SUL 2010: LA QUOTA A CARICO DEI CONSUMATORI E’ PASSATA DAL 6,6% NEL 2009 AL 7,6% NEL 2010… OGNI UTENTE PAGA UNA MEDIA DI 16,8 EURO L’ANNO E RITIRA 18 CONFEZIONI DI MEDICINALI A TESTA
Chi entra in farmacia paga da pochi centesimi a diverse decine di euro per i medicinali: il costo medio su ogni ricetta del Snn è di 1,68 euro, con una media di 16,8 euro l’anno.
L’incidenza maggiore dei ticket si registra in Sicilia, Veneto e Lombardia con un peso di oltre il 10% per cento sul totale della spesa, mentre la più bassa è quella di Valle d’Aosta, Trento e Friuli-Venezia Giulia con il 4%.
Crescono i costi per i privati anche nelle Regioni che non applicano ticket sui farmaci e dove si paga solo l’eventuale differenza tra tariffa di riferimento e quello della medicina più costosa.
Se la cifra da pagare di tasca propria anche quando in mano si ha la ricetta lievita, nei prossimi mesi la situazione non accenna a migliorare.
Una recente delibera dell’Aifa (Agenzia per il farmaco), che applica quanto previsto dalla manovra economica di luglio, ha infatti abbassato i prezzi di riferimento di più di 4.000 medicinali.
L’obiettivo è un risparmio di 609 milioni all’anno per le casse del Ssn, ma è chiaro che questa decisione finirà per ricadere sui bilanci delle famiglie.
Tutto questo in attesa che ra l’altro venga risolta la questione dei farmaci generici .
L’Aifa ha infatti abbassato il valore dei rimborsi per i cosiddetti “equivalenti” dal 10 al 40% per far risparmiare il sistema sanitario circa 600 milioni all’anno.
Il problema è che al provvedimento non sono seguite riduzioni di prezzo da parte di tutte le aziende produttrici.
Il rapporto di Federfarma rivela inoltre che nel 2010 è aumentato il numero complessivo di ricette (+2,6%): in tutto quasi 587 milioni, con una media di poco meno di dieci ricette per cittadino.
Le confezioni di medicinali erogate a carico del Ssn sono state oltre 1 miliardo e 73 milioni, con incremento del +2,6% rispetto al 2009.
Questo perchè si prescrivono più farmaci, ma in media il prezzo è più basso. Infine qualche curiosità sui consumi: nel 2010 i medicinali per il sistema cardiovascolare sono stati la categoria più prescritta a carico del Ssn, con un aumento del numero delle confezioni del 2,8%.
Questo però con un calo di spesa (-0,7%), dovuta alla diffusione di farmaci a brevetto scaduto.
In forte aumento, tra le prime dieci categorie, i consumi di medicinali per l’apparato gastrointestinale (8,7%) e per il sistema nervoso (+4,7%). In calo, invece il ricorso agli antibiotici (-5%).
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA POLITICA ITALIANA VERSO GLI STRANIERI E’ STATA SCONFESSATA PIU’ VOLTE DA TUTTE LE ISTITUZIONI EUROPEE E DA DUE AGENZIE DELL’ONU…LEGGI CONTRARIE ALLE DISCIPLINE UE, REGOLAMENTI IN CONTRASTO AL DIRITTO COMUNITARIO, DISPOSIZIONI ILLECITE DI POLIZIA
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea boccia l’Italia per il reato di clandestinità ?
La notizia è clamorosa, ma non sorprendente.
Da quando è nato l’ultimo governo Berlusconi, con il leghista Maroni al ministero dell’Interno, la politica italiana verso gli stranieri extracomunitari (ma anche comunitari, quando si trattava di Rom rumeni o italiani) è stata sconfessata più volte e in modo molto pesante, praticamente da tutte le istituzioni europee, oltre che da almeno due agenzie dell’Onu.
Leggi contrarie alle discipline dell’Unione e alle convenzioni internazionali firmate dall’Italia, direttive non recepite, regolamenti contrari al diritto comunitario, disposizioni di polizia e comportamenti illeciti: delle condanne e dei richiami che sono arrivati da Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo si perde il conto.
L’elenco.
Berlusconi ha preso colpi in tutte le sedi europee e tutti provocati da trasgressioni alle norme sull’immigrazione e la tutela dei diritti umani.
Si può cominciare dal 9 luglio del 2008, quando il Parlamento europeo, in seduta plenaria, approva con una notevole maggioranza una mozione di condanna delle misure introdotte in Italia per l’identificazione dei rom, le famose impronte digitali da prendere ai bambini.
A favore della mozione si esprimono, non solo le sinistre, ma anche numerosi deputati (non italiani) del centro e della destra.
L’impatto politico del voto è tale che il giorno stesso ben tre ministri, Maroni, Frattini e Ronchi (Politiche comunitarie), si presentano alla stampa estera per cercare di minimizzarne il significato.
L’inveterata abitudine del ministro dell’Interno a smorzare i toni (“si è trattato di un voto solo della sinistra”; “i parlamentari non conoscevano i documenti”; “il commissario alla Giustizia era contrario”) rovina però la manovra.
Il giorno dopo la condanna dell’Italia è sui giornali di tutta Europa.
Maroni smentito da Barroso.
Più volte Maroni costringe il commissario Ue alla Giustizia Jacques Barrot, che pure è un conservatore politicamente assai vicino al centro-destra italiano, e lo stesso presidente della Commissione Josè Manuel Barroso, altrettanto ben disposto verso Berlusconi, a smentirlo pubblicamente.
Il ministro sostiene che le misure contenute nel suo “pacchetto” sulla sicurezza sono perfettamente in linea con le direttive Ue?
Barrot gli fa notare che non è vero affatto: è illegale, secondo il diritto comunitario, l’obbligo di registrarsi imposto ai nomadi, anche a quelli di cittadinanza europea, e altrettanto lo è quello di costringerli a certificare la provenienza delle proprie risorse.
Altre obiezioni riguardano i decreti legislativi di recepimento delle direttive, perchè limitano la libera circolazione, i diritti ai ricongiungimenti familiari e il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
Una lunga lista.
Un vulnus, quest’ultimo, che viene denunciato con forza anche dall’agenzia dell’Onu sui rifugiati politici (Unhcr ).
D’altronde il capo del Viminale ha un rapporto tutto suo con l’Onu: l’8 ottobre del 2008 racconta alla Camera dei Deputati che l’Alto Commissario per i rifugiati politici Antà³nio Gutierres avrebbe “elogiato” l’Italia per la sua politica di accoglienza degli esuli.
Falso: nel suo rapporto Gutierres ha elogiato il Bangla Desh, l’Ucraina e gli Emirati arabi uniti, ma ha evitato accuratamente di includere l’Italia fra i “buoni”.
Ma tanto, quale deputato andrà mai a controllare?
Qualche settimana dopo la controversia sui decreti di recepimento, lo stesso Barrot è costretto, suo malgrado, a “sollecitare le autorità italiane” perchè correggano la legge sulla manovra finanziaria che viola in quattro articoli le norme comunitarie in materia di diritti degli stranieri (diritto alla casa, all’uguaglianza di trattamento fiscale, all’accesso al credito in certi consumi).
Il governo, ovviamente, se ne frega e l’Italia rischia ancor’oggi una procedura di infrazione con relativa, salatissima multa.
Una politica preoccupata solo dalla sicurezza.
Nel giugno del 2008 lo svedese Thomas Hammarberg, commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa (organismo in cui sono presenti tutti gli stati del continente, da non confondersi con il Consiglio europeo) dopo una visita in Italia si dice “estremamente preoccupato” per le discriminazioni e le violenze esercitate contro i rom (in qualche caso anche da parte di forze di polizia) e per le misure del “pacchetto sicurezza”.
“Una politica dell’immigrazione – scrive in un rapporto – non può essere ispirata solo da preoccupazioni di sicurezza. La valorizzazione dei diritti fondamentali e dei princìpi umanitari è largamente assente nelle misure prese in Italia, che rischiano di aggravare il clima di xenofobia”.
In un nuovo rapporto sull’Italia, dopo un’altra visita effettuata in gennaio, nell’aprile del 2009 Hammarberg scrive che “permangono preoccupazioni per quanto riguarda la situazione dei rom, le politiche e le pratiche in materia di immigrazione e il mancato rispetto dei provvedimenti provvisori vincolanti richiesti dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo”.
Il carcere per il reato di clandestinità : No.
Il 15 luglio del 2009 il Parlamento italiano approva la legge che istituisce il reato di clandestinità .
Da Bruxelles parte subito una richiesta di spiegazioni, in quanto la legge confligge, in diversi punti con la direttiva 2008CE/115 sui rimpatri di extracomunitari in caso di soggiorno irregolare”.
Le “difformità “, si legge nella richiesta, sono molte e, fra queste, il fatto che la legge italiana prevede l’accompagnamento coattivo alla frontiera come modalità ordinaria di espulsione mentre la direttiva dispone che la modalità ordinaria sia il rimpatrio volontario.
Il “trattenimento” nei cosiddetti centri di identificazione e di espulsione, inoltre, nelle legge italiana viene disposto in tutti i casi in cui non si può eseguire l’espulsione immediata mentre, secondo la direttiva, il trattenimento non dev’essere automatico.
Ma soprattutto la legge italiana è in contrasto con il diritto comunitario perchè contempla il ricorso alla pena detentiva (fino a 5 anni) per punire la mancata partenza volontaria nonostante la notifica di un ordine di allontanamento.
E’ proprio questa “difformità ” in materia di carcerazione che ha provocato la sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia.
Le sanzioni per inadempienza.
Va sottolineato, a questo punto, che il governo italiano si è ben guardato di recepire la direttiva 115 nonostante avesse dovuto farlo entro il 24 dicembre dell’anno scorso.
Il che costerà all’Italia altre sanzioni per l’inadempienza.
E costringerà i giudici chiamati a esprimersi su comportamenti che attengono al reato di clandestinità a non applicare la legge italiana ma ad obbedire al superiore diritto comunitario.
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