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NEL PDL ORMAI VIGE IL MODELLO SANTANCHE’: “ELEZIONI COME UN RING, E’ GIUSTO SUONARLE”. MA ORA RISCHIANO DI PRENDERLE

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

(NON) ABILE E ARRUOLATA ANCHE LA MORATTI CHE LASCIA IL SUO APLOMB PER INDOSSARE I GUANTONI, MA NEL NUOVO RUOLO E’ CHIARAMENTE A DISAGIO…PENSAVA DI ASSESTARE IL COLPO DECISIVO MA E’ FINITA STESA SUL RING… IL BALLOTTAGGIO SI AVVICINA

Mai avremmo immaginato di vedere Letizia Moratti come ieri.
Di lei tutto si poteva dire tranne che fosse in sintonia con la politica urlata e un po’ killer dei nostri tempi.
Una politica fatta di insulti, di riesumazioni di peccati di gioventù, di dossieraggi. Il sindaco di Milano fino a ieri è stata tutt’altro e, se aveva difetti, erano di segno opposto: per quelli del suo schieramento, semmai, era troppo timida e troppo poco passionale, perfino algida, insomma inadeguata a stare sul palcoscenico, a scaldare i cuori, a strappare l’applauso; per i suoi rivali invece la freddezza era il segno di un irreale distacco dalla città  e dal mondo, dai problemi della gente comune. In ogni caso — ripetiamo: fino a ieri — Letizia Moratti era, nel bene e nel male, una donna di addirittura eccessivo self control, anzi di gelido aplomb.
Ieri abbiamo vista un’altra Moratti.
Alla fine del confronto su Sky con il suo rivale candidato sindaco, Giuliano Pisapia, ha colpito basso, con un’arma segreta che evidentemente aveva tenuto in serbo durante tutta la trasmissione per poter chiudere con un colpo di teatro, anzi con un colpo da pugile che avrebbe dovuto mettere ko il suo avversario.
Il sindaco di Milano ha così abbandonato il suo bon ton per passare all’attacco personale.
Diciamo subito che in questo ruolo Letizia Moratti è parsa evidentemente a disagio.
Non era lei, e lo si è visto da com’erano contratti i suoi lineamenti e da come fosse assente, sotto i suoi panni, il sacro furore di una Santanchè.
Oltretutto, dev’essere anche stata imbeccata male, perchè il dossier sbandierato —una condanna per furto d’auto — era una patacca.
Il cambio di marcia della Moratti comunque c’è stato, ed è evidentemente un ribaltone rispetto all’inizio della campagna elettorale, quando il sindaco di Milano aveva posto un “o io o lui” alla presenza in consiglio comunale di Roberto Lassini, il candidato del Pdl che ha tappezzato Milano con i manifesti “Via le Br dalle Procure”.
E forse non è un caso che il ribaltone abbia seguito di poche ore l’uscita, sul Giornale, di un editoriale del direttore intitolato “Elezioni come un ring. E’ giusto suonarle”.
Evidentemente nel centro destra sono convinti che per raggiungere la pancia del proprio elettorato un Lassini è più efficace di un’educata signora della Milano bene; e così è partito un ordine di scuderia.
Letizia Moratti ha dovuto obbedire.
Ma perchè s’è deciso questo inasprimento dei toni?
Da sinistra si è subito risposto così: il centro destra a Milano è nervoso perchè ha paura di perdere. Che lo dica la sinistra, è ovvio, Ma è anche plausibile?
A prima vista, una sconfitta del centro destra a Milano appare quasi impossibile. Però ci sono alcuni numeri e alcuni fatti che turbano i sonni del Cavaliere, il quale sa bene quali disastrose conseguenze avrebbe per lui la perdita di Milano. Cominciamo dai numeri.
Nel 2006 Letizia Moratti vinse al primo turno con il 51,97 per cento: ma aveva nella propria coalizione l’Udc e i finiani, che ora non ci sono più.
Il margine appare ancora più esiguo se lo si conteggia, anzichè in percentuale, in voti: 35 mila in più del candidato del centrosinistra, che era il debolissimo Bruno Ferrante.
Ma andiamo avanti.
In quelle elezioni comunali, il Pdl prese il 41,8 per cento; alle politiche del 2008 è sceso al 36,9; alle regionali del 2010 al 36.
Sempre alle regionali del 2010, e alle provinciali del 2009, a Milano città  il candidato del centro sinistra Filippo Penati ha superato quelli del centrodestra, Roberto Formigoni e Guido Podestà .
Insomma, anche se il Cavaliere ha fatto girare un sondaggio dei suoi, che dà  la Moratti vincente al primo turno con il 52 per cento, i numeri reali non sono del tutto rassicuranti.
E poi c’è ci sono quelli che abbiamo chiamato “alcuni fatti”.
Si potrebbe anche dire che per il momento sono, più che fatti, suggestioni.
Stiamo parlando dell’atteggiamento del tradizionale alleato, la Lega.
Quanta voglia ha di impegnarsi per la Moratti? I leghisti non la amano.
Bossi non è andato ai suoi comizi, al massimo ha acconsentito che lei venisse a uno dei suoi.
Ma se queste sono appunto suggestioni, ci sono anche dei fatti.
E i fatti dicono che in queste amministrative c’è effettivamente una prova di disimpegno da parte della Lega.
In Lombardia il Carroccio propone 70 candidati sindaco e, di questi, 49 corrono da soli.
In sette importanti comuni — Desio, Rho, Gallarate, Cassano d’Adda, Malnate, Nerviano e San Giuliano Milanese — la Lega ha rotto con il Pdl.
Bossi in questa campagna elettorale sta privilegiando soprattutto questi comuni, è stato certamente più volte (quattro) a Gallarate che a Milano: vorrà  dire qualcosa?
E vorrà  dire qualcosa anche quella battuta che Maroni — uno che non parla mai a caso — s’è lasciato scappare appunto a Gallarate?
Ha detto che la scelta di rompere con il Pdl in quel comune — che, non dimentichiamolo, è in provincia di Varese, la culla del leghismo — “ci riporta alle origini e indica anche una possibile strada per il futuro”.
Non è chiaro se la Lega lanci questi messaggi perchè davvero sia tentata di rompere, oppure se si tratti delle solite strategie interne all’alleanza.
Ma che Berlusconi cominci a essere irritato, l’ha scritto anche il Giornale.
Ecco insomma le preoccupazioni del centro destra.
Preoccupazioni che hanno portato avanti la linea dei falchi.
Una linea però rischiosa, tanto che la prima uscita della Moratti alla Gattuso pare aver prodotto un autogol.

Michele Brambilla
(da “La Stampa”)

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CORRUZIONE E L’OMBRA DELLA ‘NDRANGHETA: ARRESTATO IL CANDIDATO DEL PD A SAVONA

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

A DUE GIORNI DAL VOTO, SCOPPIA IN RIVIERA LA QUESTIONE MORALE NEL PD…ARRESTATO PER TANGENTI ROBERTO DROCCHI, DIRIGENTE PUBBLICO DI VADO LIGURE E CANDIDATO ALLE COMUNALI…CON LUI IN CARCERE ANCHE IL CALABRESE DOMENICO FOTIA

Le fatture false nascoste in un pallone aerostatico che volava sui cieli di Savona.
È la nota di colore in un’inchiesta che invece dipinge una Liguria dai toni sempre più cupi.
Doveva diventare il capogruppo del Pd a Savona. A tre giorni dalle elezioni comunali invece è finito in manette.
Non poteva andare peggio a Roberto Drocchi. E anche al Partito Democratico.
Ma non è soltanto l’arresto ad aver portato un terremoto in Riviera.
Sono anche le circostanze in cui è maturato. E le accuse.
La Procura di Savona ha indagato Drocchi per corruzione.
Insieme con lui ha arrestato altre tre persone, tra cui Pietro Fotia, un imprenditore originario di Africo (Reggio Calabria) di cui da tempo in città  si discute molto per la sua vertiginosa ascesa nel settore dei movimenti terra, per i tanti appalti che riceve dagli enti pubblici locali.
Non solo: in casa del fratello Donato Fotia (anch’egli indagato, anche se il gip ha respinto la richiesta di arresto nei suoi confronti) il 22 dicembre scorso gli investigatori calabresi avevano arrestato un commerciante indagato per associazione a delinquere (in quell’inchiesta Fotia non è indagato).
Insomma, gli ingredienti per far esplodere la “questione morale” nel Pd savonese e ligure ci sono tutti.
A tre giorni dalle elezioni che si annunciano combattute, nonostante da queste parti il centrosinistra abbia sempre fatto il bello e il cattivo tempo. Anche perchè i cittadini sono stati scossi leggendo le accuse mosse ai quattro arrestati.
E a Drocchi, che di lavoro fa il dirigente ai Lavori Pubblici nel comune di Vado, importante centro della provincia di Savona.
Scrive il gip: “Donato e Pietro Fotia, della società  di scavi Scavoter, effettuavano elargizioni di denaro in favore di Roberto Drocchi capo settore Lavori Pubblici del Comune di Vado Ligure e legale rappresentante della squadra di Basket Riviera Vado Basket in cambio del compimento da parte del pubblico ufficiale di più atti contrari ai propri doveri di ufficio consistiti nell’aggiudicazione alla Scavoter di appalti in assenza dei presupposti di legge”.
La storia parte da una banalissima verifica fiscale.
E al centro di tutto ci sono la società  di basket di cui Drocchi era dirigente e le fatture, “false” secondo la Procura: la Scavo Ter dei fratelli Fotia versava dieci volte tanto quello che la squadra riceveva dal principale sponsor, la Tirreno Power (non toccato dall’inchiesta).
Le ricevute, secondo i pm, sarebbero state preparate in tempo reale da un commercialista mentre cominciavano gli accertamenti della Finanza.
Un po’ perchè gli arrestati volevano evitarsi guai fiscali, un po’ forse anche perchè — avrebbero accertato gli investigatori — un ispettore di polizia ha avvertito il gruppo delle indagini.
E poi, come in una commedia di costume, ci sono le classiche buste: tre, ricevute dal consigliere comunale del Pd (e, appunto, dirigente del vicino comune di Vado) davanti alle telecamere piazzate dalla Procura di Savona.
Drocchi, secondo l’accusa, collaborava molto strettamente con gli imprenditori: al punto che negli uffici della Scavo Ter gli investigatori avrebbero addirittura sequestrato una lista completa dei prossimi appalti di Vado Ligure.
Un elenco di cui nemmeno il sindaco di Vado era a conoscenza.
Un impegno molto ben remunerato, secondo i pm, che parlano di centinaia di migliaia di euro intascate dalla società  sportiva.
E qui, per gli elettori savonesi si aggiungono altri “dettagli” non graditi, anche se totalmente estranei alle indagini: il principale sponsor ufficiale della squadra di basket del candidato Pd è la Tirreno Power, colosso dell’energia che vorrebbe raddoppiare una centrale a carbone alle porte di Savona.
Un progetto contestatissimo dalla città , le cui sorti potrebbero essere decisive anche per le elezioni.
Ripetiamo: Tirreno Power non c’entra in alcun modo nelle indagini.
Tutt’altra storia.
Ma lo stesso quella sponsorizzazione del colosso dell’energia alla squadra del candidato Pd ha fatto storcere il naso a molti.
Il nodo della questione, però, è un altro: l’arresto del candidato. E gli appalti pubblici, soprattutto quelli relativi al movimento terra.
Da anni Christian Abbondanza, della Casa della Legalità , ha sollevato la questione sul suo sito blog: “Bisogna fare chiarezza — chiede Abbondanza — sugli appalti per i movimenti terra soprattutto relativi ai porticcioli (di cui si stanno occupando altre procure del Ponente) e sulle bonifiche. Gli enti pubblici di tutta la Liguria, non importa se di centrosinistra o centrodestra, scelgono spesso le stesse aziende senza compiere accertamenti adeguati. Piccole società  sono diventate colossi grazie agli appalti pubblici. Alcune appartengono anche a famiglie citate nei rapporti della Direzione Investigativa Antimafia (i fratelli Fotia, va detto, non sono indagati per associazione a delinquere)”.
Abbondanza propone al Pd: “Sia istituita una commissione indipendente per verificare i rapporti finanziari dei propri candidati e amministratori e i contributi ricevuti dal partito, da comitati elettorali e associazioni a partire almeno dal 2005. A livello regionale e in ogni provincia”.
Denunce e proposte cadute nel vuoto.
Anzi, Christian Abbondanza e la sua Casa della Legalità  sono sempre stati oggetto di attacchi durissimi da parte di tutti i partiti, soprattutto dai vertici del Partito Democratico ligure.

Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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PISAPIA FU ASSOLTO, ECCO COSA DICONO LE CARTE SUL CANDIDATO SINDACO DI MILANO: LA MORATTI FORSE SI E’ CONFUSA CON BERLUSCONI CHE ALL’AMNISTIA NON RINUNCIO’

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

LA VICENDA RISALE AL SETTEMBRE DEL 1978 QUANDO I TERRORISTI DI PRIMA LINEA RUBARONO UN FURGONE….UN ITER PROCESSUALE INIZIATO NEL 1980 E CHIUSO 8 ANNI DOPO CON L’ASSOLUZIONE DI PISAPIA PER NON AVER COMMESSO IL FATTO

In 25 secondi, studiatamente gli ultimi del faccia a faccia con Giuliano Pisapia su Sky, le parole di Letizia Moratti risultano contraddette due volte dalle sentenze: da quella d’Appello che il sindaco tace, e da quella stessa di primo grado che lei cita.
Moratti richiama un verdetto d’Assise del 1984 per affermare che solo un’amnistia aveva salvato il rivale da una condanna per furto, ma tace che Pisapia in Appello era poi stato assolto nel merito nel 1986 «per non aver commesso il fatto».
E anche solo restando alla sentenza di primo grado del 1984, fa credere che alla base dell’applicazione dell’amnistia vi fosse da parte dei giudici un’affermazione di responsabilità  di Pisapia per il furto del 1978, mentre invece nella motivazione la Corte d’Assise esplicitamente scriveva che, se non fosse intervenuta l’amnistia, avrebbe comunque «assolto per insufficienza di prove» Pisapia.
La storia vera comincia la sera del 19 settembre 1978, quando a Milano i terroristi di «Prima Linea» Massimiliano Barbieri, Roberto Sandalo e Marco Donat Cattin rubano un furgone Fiat, e Barbieri viene arrestato.
Due anni e mezzo dopo, Sandalo, “pentito” come anche gli altri due, spiega il furto come finalizzato a un progetto (poi mai attuato) di sequestro di William Sisti, capo del servizio d’ordine del «Movimento lavoratori per il socialismo» che aveva avuto violenti scontri con l’«Autonomia operaia» cittadina, e al quale il «Collettivo» studentesco della libreria di via Decembrio, nel quale all’epoca militavano attivamente Massimiliano Trolli (ex di Lotta Continua) e suo cugino Giuliano Pisapia, addebitava pestaggi di “compagni”, come un disegnatore di murales ridotto in fin di vita.
Barbieri, che secondo Sandalo e Donat Cattin voleva colpire Sisti «come carta di credito per entrare in Prima Linea», nell’estate 1978 li porta dunque in una casa di benestanti nel centro di Milano, dove vivevano Trolli e «il cugino», cioè Pisapia.
Tutti e tre i pentiti collocano nella casa alcune riunioni di luglio 1978 nelle quali «venne avanzata la proposta di compiere un’azione punitiva contro Sisti» da sequestrare, picchiare e liberare con la colla nei capelli.
Ma i tre pentiti divergono sul ruolo di Pisapia: per Sandalo era presente; lo stesso dice Barbieri, che però per la riunione operativa indica una data in cui Pisapia era a Santa Margherita Ligure bloccato da un’ulcera, attestata sul ricettario milanese del medico Carlo Agnoletto (zio di Pisapia); invece Donat Cattin esclude Pisapia fosse alla riunione.
E’ notorio che per questa vicenda Pisapia nel 1980 fu arrestato con due accuse: partecipazione alla banda armata «Prima Linea», e concorso morale (luglio 1978) nel furto del furgone poi commesso (settembre 1978) da Sandalo-Barbieri-Donat Cattin.
Resta 4 mesi in carcere, ma per la banda armata neppure viene processato, direttamente prosciolto su richiesta del pm Armando Spataro.
E’ invece rinviato a giudizio in Corte d’Assise per il concorso morale nel furto del furgone, anche qui noto negli archivi (es. Ansa dell’11 giugno 1982).
Finisce con una amnistia.
Nella motivazione di primo grado la Corte d’Assise tende a escludere «sovrapposizione di ricordi» nella versione di Sandalo, ritiene «poco verosimile che Barbieri abbia clamorosamente errato», appare dubbiosa rispetto a Donat Cattin che dice che Pisapia non c’era, e svaluta il certificato medico.
Tuttavia la Corte prende atto che anche Sandalo e Barbieri «non hanno esplicitamente parlato di uno specifico apporto di Trolli e Pisapia all’episodio del furto».
E conclude che, «nell’irrisolto contrasto» tra le dichiarazioni di Donat Cattin e quelle «non meno rilevanti deponenti in contrario di Barbieri e Sandalo, nei confronti di Pisapia potrebbe essere emessa solamente una pronuncia di assoluzione per insufficienza di prove».
Poichè però nel 1978 era intervenuta una amnistia, «per giurisprudenza consolidata l’amnistia prevale» tranne nel caso di assoluzione piena: quindi il dispositivo della terza Corte d’Assise il 22 ottobre 1984 ritiene «amnistiato il reato ascritto» a Pisapia e dichiara «il non doversi procedere».
Pisapia rinuncia all’amnistia e fa ricorso alla Corte d’Assise d’Appello, che lo assolve nel merito.
I giudici scrivono che dalla «coabitazione di Pisapia con il cugino Trolli» e dall’«adesione di Pisapia all’ideologia di sinistra» possono «sorgere al più soggettivi sospetti» ma non certo «la prova di un coinvolgimento che connoti estremi di rilevanza penale».
In più, i giudici di secondo grado, diversamente da quelli di primo, ritengono la presenza di Pisapia alla riunione di fine luglio 1978 «del tutto smentita» dal certificato medico che lo indicava fermo a Santa Margherita Ligure, per la stessa ulcera per la quale ulteriore «documentazione sanitaria» lo mostrava «ricoverato in ospedale a Santa Margherita dal 12 al 18 giugno e dal 24 giugno al 3 luglio». La conclusione della terza Corte d’Assise d’Appello l’8 marzo 1986 è dunque che «non vi è prova, nè vi sono apprezzabili indizi, di una partecipazione di Pisapia al furto, sia pure sotto il profilo di un concorso morale: va pertanto assolto per non aver commesso il fatto».
Finita? Non ancora.
Neppure l’accusa impugna l’assoluzione di Pisapia, ma il 3 marzo 1987 la Cassazione rileva un errore nella formazione del collegio d’Appello, annulla la sentenza per tutti gli imputati e quindi fa ricelebrare il processo di secondo grado.
E’ solo un formalità : infatti sia la Procura generale sia le difese chiedono ai giudici del processo-bis d’Appello di confermare le statuizioni riguardanti ciascun imputato, e la nuova Corte lo fa per tutti gli imputati (compreso Pisapia) nelle ordinanze del 3 dicembre 1987, 25 febbraio, 28 marzo e 14 aprile 1988.
A chiudere lo svuotato Appello-bis resta il «non doversi procedere non potendo essere proseguita l’azione penale» già  definita dalle ordinanze sui vari imputati; e cioè, nel caso di Pisapia, dall’assoluzione passata in giudicato per non aver commesso il fatto.
Un dato definitivo che relega in secondo piano la scelta del sindaco di connotare negativamente l’amnistia attribuita (erroneamente) al rivale nonostante di un’amnistia vera abbia usufruito, per fatti parimenti datati, il capolista della sua lista Pdl, Silvio Berlusconi, per il quale 21 anni fa la Corte d’Appello di Venezia dichiarò nel 1990 l’amnistia della «falsa testimonianza» imputatagli per aver negato l’iscrizione alla loggia P2 di Licio Gelli.

Luigi Ferrarella
(da”Il Corriere della Sera“)

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MACCHINA DEL FANGO IN AZIONE: FALSE ACCUSE DI ESTORSIONE PER DANNEGGIARE BOCCHINO NELL’ULTIMA SETTIMANA ELETTORALE

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

INDAGATO PER TRUFFA E CALUNNIA UN EX MILITANTE DEL MSI, MA CHI SARA’ MAI IL MANDANTE DELL’OPERAZIONE?…SI ERA PRESENTATO IN PROCURA DICENDO DI AVERE LE PROVE (RISULTATE POI DEI FALSI) DI PROMESSE DI ASSUNZIONI ALLA CAMERA IN CAMBIO DI DENARO…DOVEVA SERVIRE PER DANNEGGIARE L’IMMAGINE DEL PARTITO ALLE ELEZIONI COMUNALI DI NAPOLI? E A CHI AVREBBE GIOVATO?

Italo Bocchino, vice presidente di Fli, doveva essere infangato in questa ultima settimana di campagna elettorale con un’accusa infamante.
Aver estorto, tra il 2006 e il 2010, 3 milioni di euro in contanti a giovani diplomati e laureati in cambio della promessa di assunzioni nel personale della Camera.
La macchinazione aveva come suo protagonista Giancarlo Battista, 52 anni, romano, ex iscritto al Msi, “giornalista” con precedenti per truffa.
L’uomo che lunedì si era presentato ai carabinieri con un esposto di sei pagine in cui riferiva di essere stato il collettore del denato chiesto da Bocchino, nonchè con sei cd di file audio registrati clandestinamente (in cui l’asserita voce di Bocchino già  ad un primo ascolto tale non è) e documenti della Camera (risultati falsi”, dopo la perquisizione della sua abitazione, è stato indagato dal pm Antonio Cederna per calunnia e truffa.
Ieri Bocchino, che è parte lesa, è stato sentito dal pm e ha escluso di aver mai conosciuto Battista.
Sarebbe interessante conoscere a questo punto, escludendo che si tratti di una iniziativa personale, chi è il mandante di questa sporca operazione.
A chi avrebbe giovato uno sputtanamento di Bocchino nell’ultima settimana elettorale.
Un grave danno a Fli, soprattutto a Napoli.
Dove il terzo polo si pone, non a caso,   come alternativa di centrodestra al Pdl di Cosentino.

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LA RUSSA E IL VOLO DI STATO PER VEDERE L’INTER: LA CORTE DEI CONTI APRE UN’INCHIESTA

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

I GIUDICI CONTABILI VOGLIONO ACCERTARE QUANTO ABBIA PESATO SULLE CASSE STATALI….PER IL MINISTRO L’USO DELL’AEREO DI STATO ERA INDISPENSABILE PER LA SUA SICUREZZA

Quando la vicenda fu resa pubblica lui assicurò di aver avuto un «comportamento irreprensibile».
Adesso saranno i giudici contabili a stabilire se sia davvero così.
La Corte dei conti avvia un’inchiesta sulla decisione del ministro Ignazio La Russa di utilizzare un aereo di Stato per andare alla partita dell’Inter il 5 aprile scorso.
E delega gli accertamenti alla Guardia di Finanza che dovrà  acquisire i piani di volo e l’intera documentazione relativa al viaggio, anche per verificare se con il titolare della Difesa fossero a bordo altre persone che non fanno parte dello staff.
L’obiettivo appare evidente: stabilire quanto abbia gravato la trasferta sulle casse statali, ma soprattutto se si tratta di esborso che si poteva evitare. Non solo.
I magistrati vogliono poi scoprire se anche in altre occasioni non istituzionali sia stato utilizzato questo tipo di velivolo.
Accade tutto un mese fa, quando La Russa è in tribuna a San Siro per seguire la sua Inter impegnata nella partita di Champions League contro lo Schalke 04. L’incontro finisce nel peggiore dei modi con la sconfitta dei nerazzurri per 5-2 e nella notte il ministro rientra nella capitale.
Come si sia mosso lo svela tre giorni dopo il quotidiano Il Fatto: aereo P180 dell’Arma dei carabinieri all’andata, aereo dell’Aeronautica militare con numero identificativo MM62210 per il ritorno con decollo alle 23.
Le informazioni sono precise, il ministro non può negare.
E infatti ammette che sono proprio questi i mezzi utilizzati, sostenendo però che il suo comportamento è stato perfettamente regolare.
«Motivi di sicurezza – spiega La Russa in una nota – mi impongono anche contro il mio volere di non usare voli di linea. E poi basta guardare qual era il giorno della partita: tornavo dall’Afghanistan con voli programmati da Roma a Milano da tempo».
Giustificazioni che evidentemente per i giudici della Corte dei conti non sono sufficienti a giustificare il decollo dei due velivoli militari.
Già  in passato è stato infatti evidenziato come chi ricopre ruoli istituzionali non debba gravare sul bilancio pubblico per quanto riguarda i propri impegni privati. E questo principio è stato recepito nel 2008 in una direttiva emenata dal governo tuttora in carica, dopo che lo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi era finito sotto inchiesta – poi archiviata – proprio per aver fatto salire a bordo degli aerei di Stato numerose ragazze, il cantante Mariano Apicella e altri ospiti delle sue feste a Villa Certosa in Sardegna.
Analoga decisione la procura della Repubblica di Roma l’aveva presa nei confronti di Clemente Mastella e Francesco Rutelli che con un volo ufficiale erano andati al Gran Premio di Monza quando erano al governo.
La magistratura contabile deve invece valutare l’eventuale danno all’Erario e per questo si terrà  conto anche del rispetto delle regole varate da palazzo Chigi.
«Il trasporto aereo di Stato – sono queste le disposizioni – è concesso secondo criteri di economicità  e di impiego razionale delle risorse, previa rigorosa valutazione dell’impossibilità , dell’inopportunità  o della non convenienza di ricorrere ad altri mezzi di trasporto, ovvero previa verifica delle specifiche esigenze di alta rappresentanza in relazione alla natura dell’evento».
L’inchiesta avviata dalla Corte dei conti dovrà  stabilire se tale regola sia stata rispettata in questo e in eventuali altri casi di utilizzo dei velivoli.
Anche perchè la stessa direttiva come questo tipo di trasporto «è consentito esclusivamente alle personalità  destinatarie del volo e ai componenti della delegazione della missione istituzionale» mentre «l’imbarco di personale estraneo alla delegazione ma accreditato anche in relazione alla natura del viaggio e al rango rivestito dalle personalità  trasportate, è consentito in via del tutto eccezionale e previa rigorosa valutazione».

Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera”)

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DENUNCIA DELL’OCSE: AL FISCO IL 46,9% DEI SALARI, L’ITALIA SALE AL QUINTO POSTO

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

ABBIAMO I SALARI TRA I PIU’ BASSI D’EUROPA E IL CARICO FISCALE TRA I PIU’ALTI…PRESSIONE IN CRESCITA DELLO 0,4% NEL 2010…IL CUNEO FISCALE E’ 11 VOLTE SUPERIORE ALLA MEDIA ED E’ TORNATO AI LIVELLI DEL 2000

L’Italia resta in fondo alla classifica Ocse sui salari, ma sale dal 23° al 22° posto superando la Grecia.
Lo rileva l’organizzazione parigina nel rapporto ‘Taxing wages’.
Il salario netto medio di un single senza figli a carico in Italia è stato di 25.155 dollari nel 2010.
La cifra è inferiore sia alla media Ocse (26.436 dollari), che a quella dell’Ue a 15 (30.089).
Il salario lordo è stato invece di 35.847 dollari, lievemente superiore alla media Ocse (35.576), ma inferiore a quella europea (42.755).
In questa classifica l’Italia è al 19° posto.
A salari bassi si aggiunge il carico fiscale, aumentato di 0,4 punti percentuali rispetto al 2009, quando si attestava al 46,5%.
Il cosiddetto cuneo fiscale, che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore, in Italia è “almeno di 11 punti più alto della media Ocse per ogni tipo di famiglia” ed è al 46,9% se si considera il lavoratore single senza figli.
Nella classifica dei Paesi membri dell’Ocse, aggiornata alla fine dello scorso anno, l’Italia sale così dal sesto al quinto posto per peso fiscale sugli stipendi, sorpassando l’Ungheria (46,4%) e restando dietro Belgio (55,4%), Francia (49,3%), Germania (49,1%) ed Austria (47,9%). Il Paese dove il fisco è più lieve è il Cile (7%).
Nel dettaglio, l’Italia sale poi dal quinto al terzo posto, con un cuneo fiscale del 37,2%, se si considera la tassazione sul salario nel caso di una famiglia monoreddito con due figli.
Secondo lo studio Ocse, rispetto al 2009 emerge un incremento di 0,03 punti percentuali per i single, derivanti dall’incremento delle tasse sui redditi (+0,1 per le famiglie).
La tassa sui redditi in Italia è pari al 15,4% del costo del lavoro, i contributi a carico del lavoratore (sempre single e senza figli) ammontano al 7,2% e quelli a carico del datore di lavoro al 24,3%, per un costo del lavoro totale di 47.347 Dollari (a parità  di acquisto), al quattordicesimo posto tra i 33 paesi Ocse.
Se si guarda alla serie storica, salendo al 46,9% nel 2010 (dal 46,8% indicato per il 2009) il cuneo fiscale si riporta ai livelli del 2000 dopo avere toccato un minimo del 45,7% tra il 2003 e il 2005, mentre tra tutti gli altri tipi di famiglie rispetto al 2000 emerge un incremento massimo di 0,2 punti e tra i salari più bassi c’è stata una riduzione di 5,2 punti percentuali rispetto al 2000.
Il cuneo fiscale nel 2010 è stato peraltro pari al 43,6% (+0,1 dal 2009 per l’aumento delle tasse sui redditi)) per i salari più bassi nel caso del single e al 27,2% (+0,2 dal 2009) per il single con due figli.
Il rapporto Ocse mette in risalto che l’inasprimento del peso fiscale sulle retribuzioni l’anno scorso ha riguardato 22 paesi sui 34 dell’organizzazione e che l’Europa che si conferma l’area dove il cuneo fiscale drena gli stipendi di oltre il 40% per i single e oltre il 30% per le famiglie con figli.
Negli Stati Uniti il cuneo fiscale incide per il 29% sui single e per il 16,3% sulle famiglie con figli.
“Con la stessa pressione tributaria della Germania, gli italiani risparmierebbero 1.400 euro l’anno di tasse. In termini di gettito complessivo, sempre a parità  di condizioni fiscali tra i due paesi, l’erario italiano riceverebbe 82 miliardi in meno”. A fare questa dichiarazione, dopo aver letto i risultati presentati oggi dall’Ocse, è stato il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi.
Infatti, a fronte di una pressione tributaria in italia pari al 29,1% del pil, il carico fiscale tedesco raggiunge il 23,7% del pil: praticamente 5,4 punti in meno.
“Se, come dimostrano i dati Ocse, i lavoratori dipendenti presentano un livello di tassazione non più sostenibile – conclude Bortolussi –   le cose non vanno certo meglio per le imprese, anzi. Sempre secondo una nostra elaborazione su dati Ifc e World bank, l’Italia presenta il record europeo di importo totale delle tasse sugli utili di impresa (68,6%). Le imprese tedesche, sempre per fare un confronto con il nostro paese, registrano un carico fiscale del 48,2% sugli utili, vale a dire 20,4 punti in meno”.

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QUANDO IL DIBATTITO POLITICO FINISCE IN OSPEDALE: NEL PAVESE I POLITICI SI PRENDONO A PUGNI

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

A SAN GENESIO SI PRENDONO A CAZZOTTI UN CONSIGLIERE REGIONALE DELLA LEGA E UN CANDIDATO SINDACO EX LEGHISTA…TUTTI AL PRONTO SOCCORSO A FARSI MEDICARE

L’incontro in Comune tra il consigliere regionale Angelo Ciocca (Lega) e il candidato sindaco Giampiero Zetti (leghista della prima ora poi passato alla Lega Padana Lombarda e quindi a una lista civica con molti esponenti del centrosinistra) è terminato in ospedale.
Opposte le versioni: “Ciocca mi ha aggredito”, avrebbe detto Zetti.
“Non è vero, è successo il contrario”, avrebbe raccontato il leghista ai carabinieri.
Una cosa è certa: ieri mattina alle 10.30 Giampiero Zetti, candidato sindaco alle comunali di San Genesio, è andato in comune per chiedere il permesso per organizzare la festa di partito per la chiusura della campagna elettorale.
Ma a rendere più “calda” la campagna elettorale nel cuore della notte ci aveva pensato un volantino diffuso per le vie del paese in cui si accusava Ciocca (citato, pur non essendo indagato, negli atti dell’inchiesta “Infinito” della procura di Milano, che ha portato a 300 arresti per ‘Ndrangheta in tutta la Lombardia), di essere il “sultano” di San Genesio.
Un volantino condito da mille accuse: si parlava di una laurea “comprata” in Nicaragua, di presunti affari poco puliti.
Ciocca non ha gradito: “Tutte calunnie”.
E appena ha incontrato il candidato avversario sono volate parole grosse, poi botte.
Racconta Zetti: “Appena uscito dall’ufficio mi è arrivato non so se uno schiaffo o un pugno sulla guancia sinistra. Ho sbattuto la testa, adesso ho un bernoccolo. Mi si sono rotti gli occhiali. Mi sono alzato e ho detto: “Angelo, ma che cosa fai?”. Lui mi ha detto: “Abbi il coraggio di firmare quello che scrivi”, parlando del famoso volantino”, racconta Zetti che promette denuncia.
Opposta la versione di Ciocca: “Ho preso un pugno nello stomaco”.
Di sicuro per “moderare” il dibattito politico sono dovuti intervenire i carabinieri.
E le ambulanze: sia il candidato sindaco che il consigliere regionale sono stati ricoverati al policlinico San Matteo di Pavia.
Zetti è stato sottoposto a una tac, mentre Ciocca è uscito in sedia a rotelle.
Ma chi è Angelo Ciocca?
Avversari e amici lo chiamano il Brad Pitt della politica. Un paragone che lo lusinga, un po’ per il Brad, che sa di attore, un po’ per il Pitt che sa di mastino. Ciocca, 35 anni e fazzoletto verde di ordinanza, è il consigliere regionale lombardo eletto con il maggior numero di preferenze.
Con quasi 19 mila voti, dentro la Lega, ha sbaragliato addirittura “il trota”, al secolo Renzo Bossi.
Ciocca insomma è nato leghista.
Un po’ perchè ce l’ha nell’animo, un po’ perchè dalle sue parti la Lega la fa da padrona.
Siamo a San Genesio ed Uniti, 3.900 abitanti sulla strada che collega Pavia a Milano: qui la Lega raccoglie oltre il 60 per cento dei consensi (e una volta erano perfino di più).
Siamo, tanto per capirci, nel paese finito all’onore delle cronache perchè l’allora sindaco (proprio Giampiero Zetti, passato dal centrodestra al centrosinistra), aveva deciso di far montare dei grossi cancelli di ferro all’imbocco del paese: a una certa ora, le porte della città  si chiudevano.
Un po’ come nel Medioevo, l’idea era quella di combattere i furti tenendo fuori la “brutta gente”.
Ecco, questa è la culla di Ciocca.
Ma lui agli onori delle cronache ci è finito recentemente per altre ragioni meno pittoresche: le carte dell’inchiesta sulla ‘Ndrangheta in Lombardia raccontano “dei suoi rapporti con l’avvocato Pino Neri, finito in carcere nel maxi blitz del 13 luglio. I due, nella primavera del 2009, sono stati filmati dai carabinieri mentre si incontravano per discutere di pacchetti di voti da dirottare su un candidato gradito alle cosche”.
Scrivono i magistrati: “Neri ha assoluta necessità  di far eleggere alle consultazioni elettorali di Pavia un proprio uomo, Rocco Del Prete, e a tal fine si rivolge a Ciocca”.
Una storia che ha imbarazzato il Carroccio tanto da spingere la Padania a smentire parlando di “allucinazioni” e di “insinuazioni”.

Andrea Ballone e Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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MULTA DI 100.000 EURO AL TG1: PREMIER “SOVRAESPOSTO” SECONDO I DATI AGCOM

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

L’AUTORITA’ PER LE GARANZIE HA DATO ORDINE DI “IMMEDIATO RIEQUILIBRIO” TRA LE FORZE DI MAGGIORANZA E QUELLE DI OPPOSIZIONE… I TG CONTROLLATI DAL GOVERNO CONTINUANO A NON RISPETTARE LA PAR CONDICIO

L’autorità  per le garanzie nelle comunicazioni ha ordinato ai telegiornali di riequilibrare la copertura degli eventi politici tra forze di maggioranza e di opposizione, e dedicare ai membri del governo un tempo «riferito solo alla loro funzione governativa, nella misura strettamente indispensabile per assicurare la completezza e l’imparzialità  dell’informazione», in particolare per il presidente del Consiglio, che è anche capolista del Pdl al comune di Milano. Così l’Agcom ha risposto agli esposti presentati, sulla base ai dati del monitoraggio sul pluralismo politico relativi alla penultima settimana di campagna elettorale (1-7 maggio).
L’Autorità  ha poi comminato una sanzione da 100.000 euro al Tg1, «per l’inadeguata osservanza dell’ordine e dei richiami rivoltigli in precedenza» in materia di par condicio, secondo quanto riferito in una nota.
«Inoltre l’Autorità , a seguito degli esposti presentati dall’Udc, ha invitato Sky a rispettare, nei confronti tra candidati sindaci e nella rappresentanza delle forze politiche, il principio di effettiva parità  di trattamento e di pari opportunità  di ascolto e visibilità »,conclude il comunicato.
Un richiamo al «rigoroso rispetto» del pluralismo è stato fatto anche dal Corecom della Lombardia alle emittenti locali e ai tg regionale della Rai.
La multa al Tg1 accerta che nel sistema dell’informazione televisiva c’è uno squilibrio strutturale che dipende dal conflitto d’interessi.
La multa stabilita a carico del Tg1 dovrebbe pagarla di tasca sua il direttore Minzolini che ha voluto imporre le sue regole, prendendosi gioco di quelle stabilite dall’Autorità .
Proprio ieri il Tg1 e il Tg5 hanno continuato a violare le disposizioni dell’Agcom mandando in onda un videomessaggio di Berlusconi, nonostante la circolare dell’11 aprile 2011, alla lettera «f», vieti esplicitamente la trasmissione di videomessaggi nel corso delle campagne elettorali all’interno dei telegiornali e dei programmi di informazione.

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LA NORMALIZZAZIONE DI REGIME AL “SECOLO D’ITALIA”

Maggio 12th, 2011 Riccardo Fucile

DOPO LA DIREZIONE “FUTURISTA” DI FLAVIA PERINA E’ ARRIVATO IL CAMBIO DI LINEA BERLUSCONIANO… IL NUOVO DIRETTORE E’ L’EX TERRORISTA MARCELLO DE ANGELIS… ORA VENDE 500 COPIE, COSI’ SONO TUTTI CONTENTI

Il Secolo definizzato impugna la spada.
Parola del nuovo direttore, il deputato del Pdl Marcello de Angelis, che ieri ha concluso così il suo editoriale di saluto ai lettori: “Torneremo a fare di questo giornale una bandiera e un simbolo, uno scudo e una spada, una piazza in cui incontrarsi e una casa comune”.
Perchè pure la spada?
Risponde de Angelis: “Perchè sin da bambino mi piacciono le storie di cavalieri come Parsifal”.
Solo che adesso i cavalieri non si chiamano più Parsifal ma Silvio Berlusconi e il nuovo direttore è stato investito del duro compito di normalizzare lo storico quotidiano della destra postfascista dopo la gestione futurista di Flavia Perina e Luciano Lanna.
Il cambio di marcia (su Roma, nella redazione di via della Scrofa) risale già  al 20 aprile scorso quando è andato via Lanna (subentrato per qualche settimana alla Perina) e il giornale è stato affidato a Girolamo Fragalà , interno di lungo corso che rimarrà  direttore responsabile con la nuova era di Angelis. Da allora giù titoli e interviste nel segno dell’ortodossia berlusconiana.
Breve carrellata.
La farsa tragicomica dei nove sottosegretari Responsabili: “Rimpasto, il Colle rovina il brindisi: ‘Parlino le Camere’”.
Lo sciopero della Cgil di venerdì scorso: “La chiamavano Cgil. Ieri in piazza uno sciopero solo politico con dipietristi e centri sociali”.
La campagna per le elezioni amministrative: “Il Cav sfida l’opposizione nelle piazze”.
La Moratti litiga con la “nemica” Santanchè sulla questione Lassini, segue ampia intervista alla sottosegretaria: “Letizia vincerebbe facile se tutti i nemici fossero come me”.
Ma la vera rivelazione della svolta normalizzatrice è l’ingresso in prima pagina del larussiano Massimo Corsaro, l’esponente del Pdl che durante il dibattito sul processo breve si beccò del “fascista” persino da metà  del suo gruppo parlamentare.
Motivo? Questa grottesca citazione: “Ci è voluto il rapimento e l’uccisione di Moro perchè si smettesse di dire che le Brigate rosse erano sedicenti, ma che erano parte integrante della cultura della sinistra”.
Ieri, nel numero d’esordio di de Angelis, il Corsaro corsivista ha menato forte contro l’ex direzione futurista: “Quel suo carezzare temi che manco Concita De Gregorio o Marco Travaglio azzardavano nei loro scritti, gli aveva garantito i peana dell’intellighenzia nostrana. Peccato che quanto a vendite si fosse rimasti a zero”.
Replica del finiano Raisi: “Con la gestione Perina il Secolo vendeva 2mila copie, oggi sono meno di 500”.
Condannato per il 270 bis, associazione sovversiva per banda armata, de Angelis era tra i neofascisti di Terza Posizione e suo fratello Nanni fu “suicidato” nel carcere di Rebibbia.
Lui, però, dopo trent’anni invoca il diritto all’oblio sulla condanna.
La sua nomina a direttore politico (lo stesso ruolo che aveva la Perina) ha pure causato un clamoroso autobuco al Secolo.
Decisa giovedì scorso dal cda del quotidiano, l’accordo era di dare la notizia all’inizio di questa settimana.
Ma è trapelata lo stesso e il giorno dopo tutti l’hanno pubblicata tranne il Secolo. Una scena tra Fantozzi e le Sturmtruppen degli ex An.
Cui adesso si aggiunge la spada di Parsifal.
In redazione de Angelis racconta di “aver trovato un clima teso perchè molti hanno sofferto questa situazione”.
Oggi vicino al ministro Matteoli, de Angelis è stato per lungo tempo seguace di Alemanno.

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