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TRA PISAPIA E SALVINI SCEGLIAMO PISAPIA: LA MORATTI E’ SOLO UN PRESTANOME

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

CON UN VICE-SINDACO RAZZISTA NON PUO’ ESSERCI NESSUNA CONVERGENZA IDEOLOGICA… NON DIMENTICHIAMO LE SUE FRASI CONTRO I MERIDIONALI CHE PUZZANO, LA SUA RIVENDICAZIONE “PADANIA NON E’ ITALIA”, IL SUO DISPREZZO DELL’UNITA’ NAZIONALE, LA SUA COSTANTE ISTIGAZIONE XENOFOBA… PISAPIA E’ DISTANTE DA NOI, MA E’ UNA PERSONA PERBENE E INTENDE IMPEGNARSI NEL SOCIALE

Tra dieci giorni vi sarà  il ballottaggio a Milano e diversi esponenti dei partiti tagliati fuori dal rush finale stanno esprimendo il proprio orientamento.
E’ di oggi la dichiarazione dei grillini che lascieranno libertà  di voto ai propri elettori anche se, sottolineano, “molti dei nostri stanno con Pisapia”.
Altrettanto sembra orientata a fare “Futuro e Libertà “, dove solo Urso e Ronchi, adempiendo al loro ruolo di quinte colonne dei berluscones, dichiarano che non vi possono essere dubbi nel preferire la Moratti, mentre Granata ha affermato che voterebbe Pisapia.
E parere di molti opinionisti che per i finiani sia un modo per non decidere, ma che sotto sotto le simpatie vadano per i candidati che si oppongono al Pdl.
Non vediamo, in questa posizione, nessuna anomalia:
1) Perchè non si tratta di “tradire una tradizione di destra”, essendo il governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti non una coalizione di destra, ma un esecutivo affaristico-razzista con una spruzzatina di deputati venduti.
E chi ha radici culturali di destra nulla può avere a che spartire con quella che Staiti ha definito la “becerodestra” al potere in Italia.
2) Perchè non si può uscire da quella corte di miracolati, corrotti e puttanieri e poi appoggiarli anche solo localmente.
Si deve solo contribuire alla loro dipartita il prima possibile, dopo tutto il fango, le calunnie, le diffamazioni, i dossier taroccati, i falsi attentati, le false escort che hanno vomitato contro chi ha osato dissentire dal loro unico interesse: salvarsi il culo dai processi.
Mai in Italia si era assistito a operazioni sporche come quelle messe in atto da un partito di accattoni che, sotto di 9 voti alla Camera, invece che avere la dignità  (da uomini di vera destra) di sottoporsi al giudizio degli elettori, ha condotto una lurida campagna acquisti di deputati, formalizzando un “gruppo dei venduti”, cosa che non sarebbe accaduta in alcuna democrazia occidentale.
3) Nessun uomo di destra può appoggiare un candidato il cui leader chiama una delle principali istituzioni del Paese un “cancro da estirpare” e i giudici “brigatisti”.
Un uomo di destra ai processi si presenta e si difende, non fugge da vigliacco.
A destra si sta con coerenza e dignità , e, quando si vince, dimostrando semmai umiltà , non arroganza.
Nell’interesse del popolo italiano, non a difesa dei propri.
Un uomo di destra vuole vedere emergere chi vale e chi merita, non servi e maggiordomi, donnette isteriche e piduisti riciclati.
4) Un uomo di destra ha rispetto per chi ha scelto itinerari diversi, opposti ai suoi, ma li ha percorsi con coerenza.
Non esistono più nemici, come farebbe ancora comodo a qualcuno, ma solo avversari, con cui confrontarsi.
Noi abbiamo l’orgoglio di cercare di far “vincere” le nostre idee, affinchè diventino patrimonio comune e maggioranza nel Paese, ma se provassimo a farlo con l’inganno, con la corruzione, con l’intrallazzo, avremmo già  perso in partenza.
Perchè avremmo tradito proprio quelle idee.
E chi governa deve essere pulito e non concedere favori a nessuno, neppure a figli aspiranti Batman.
5) Il confronto a Milano non è in realtà  tra Pisapia e Mestizia Moratti, ma tra Pisapia e il leghista Matteo Salvini, già  designato vice-sindaco con poteri di controllo sulla stessa sindaco.
Matteo Salvini rappresenta l’antitesi dei valori di destra ed è il modello del becerume leghista, degli egoismi e degli interessi di bottega di appena il 9% dei milanesi.
Leggesi che sta sui coglioni al 91% dei meneghini e degli italiani.
La sua attività  politica è limitata a far finta di cacciare i rom, salvo poi farsi beccare in un fuori onda dove dice l’opposto. Circostanza che in qualsiasi altro Paese civile lo avrebbe fatto cacciare a pedate nel culo dal partito, salvo ovviamente che dal circo Barnum di via Bellerio.
Salvini è colui che fa finta di non volere i profughi e gli immigrati a Milano, ma poi non ha la coerenza di dimettersi dal partito quando Maroni glieli impone.
E’ il classico esponente della Lega “di lotta” anticasta che percepisce 16.000 euro al mese dal Parlamento europeo dove non lo vedono mai.
E’ quel losco figuro che cantava in compagnia di altri beoni padani canzoni da caserma contro i “meridionali che puzzano” o che si fa fotografare con la maglietta “Padania is not Italy”, ma non gli fa schifo incassare lo stipendio dallo Stato italiano.
E’ colui che gira nei quartieri fomentando avversione verso gli immigrati, salvo dimostrare l’incapacità  del suo governo di allontanare dal paese chi veramente delinque e di assicurare invece strutture e integrazione a chi vive onestamente.
Qualcuno dirà  che Pisapia ha un passato in Rifondazione e un presente nel partito di Vendola: certo, siamo distanti da lui su molti temi, ma mai quanto l’altro potenziale sindaco che usa Mestizia come prestanome.
Dalla Milano da bere non vogliamo passare alla Milano dei   beoni e dei ladroni.
Per questo voteremmo per un volta un avversario almeno leale e che offre garanzie di impegno sociale verso i più deboli.
La “becerodestra” è come il muro di Berlino: bisogna prima abbatterla per poter ricostruire una nuova destra civile, sociale e nazionale.
Anche turandosi il naso.

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GOVERNO BATTUTO QUATTRO VOLTE ALLA CAMERA SU MOZIONE DI FUTURO E LIBERTA’: 264 A 254, CON 12 RESPONSABILI ASSENTI

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

PER IL GOVERNO UN’AMARA RIPRESA DEI LAVORI PARLAMENTARI, DOPO LE AMMINISTRATIVE… ESECUTIVO BATTUTO POI ANCHE DA MOZIONI IDV E PD SU CUI AVEVA ESPRESSO PARERE NEGATIVO

Rientro amaro in Parlamento per il governo alla ripresa dei lavori parlamentari dopo le amministrative.
Infatti la maggioranza è stata battuta in Aula alla Camera nel corso delle votazioni delle mozioni sulla situazione delle carceri.
L’esecutivo è andato sotto quattro volte: sui documenti presentati da Fli, dal Pd e da Idv su cui aveva espresso parere negativo e che invece sono stati approvati dall’Assemblea di Montecitorio, poi sul testo, respinto, presentato dalla maggioranza su cui il parere era positivo.
Il testo di Fli, su cui il governo aveva espresso parere contrario, è passato con 254 no e 264 sì, quindi dieci voti di differenza.
Il testo della mozione impegna il governo «ad assumere iniziative volte ad adeguare, in vista dei prossimi provvedimenti finanziari, la spesa pro capite per detenuto, prevedendo, rispetto alla base del 2007, una riduzione non superiore a quella media relativa al comparto Ministeri».
Nella mozione si chiede poi l’impegno dell’esecutivo «a predisporre sul piano normativo un complesso di riforme – dalla depenalizzazione dei reati minori, a una più ampia e più certa accessibilità  delle misure alternative alla detenzione, dalla definizione di parametri più accessibili per la conversione delle pene detentive in pene pecuniarie, ad una più severa limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere – che avrebbero, nel complesso, un effetto strutturalmente deflattivo, concorrendo a migliorare le condizioni di detenzione e a rendere servibili quegli strumenti di trattamento che perseguono le finalità  rieducative costituzionalmente connesse alla pena».
Infine si chiede di «implementare il «piano carceri» attraverso il ricorso a forme di partecipazione privata ai programmi di edilizia penitenziaria, utilizzando quegli strumenti di mercato che, anche sul piano urbanistico, possono incentivare gli investitori privati a collaborare con lo Stato ad un progetto di riconversione del sistema e dei modelli di detenzione e di riqualificazione delle case circondariali e di reclusione non più utilizzabili per l’ospitalità  dei detenuti».
I Responsabili «delusi» si fanno sentire.
È tra le file del neogruppo nato a sostegno del governo Berlusconi che si registrano le assenze più evidenti che hanno portato il governo ad andare sotto nella prima votazione a Montecitorio dopo la pausa elettorale.
Oggetto del voto, le mozioni delle opposizioni sulle carceri, in particolare quella di Fli, nulla di grave dunque, ma nel gruppo di Scilipoti&co. gli assenti sono stati ben 12 su 29, tra i quali spiccano Francesco Pionati e Maria Grazia Siliquini che attendono ancora una nomina da sottosegretario.
Assenti anche il neoministro Saverio Romano e Arturo Iannacone, il neoconsigliere economico del premier, Massimo Calearo e poi tra i neofiti della maggioranza si segnalano assenti anche Luca Barbareschi e Italo Tanoni.
Non hanno partecipato al voto – che si è concluso con 264 sì per la mozione firmata dal finiano Della Vedova, e 254 no, 4 astenuti tra i quali i Pdl Luigi Vitali e Marcello De Angelis – anche 16 deputati del Pdl, tra i quali il vicecapogruppo Massimo Corsaro e Nicola Cosentino, e 2 dell’Mpa.
Assenti anche due deputati della Lega.
Si vedono i primi effetti dello Tsunami di domenica e lunedì: dopo la botta elettorale la maggioranza evapora anche in Parlamento.
Tira una brutta aria e lo si capisce dall’assenza in Aula dei sottosegretari dei cosiddetti Responsabili.

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MORATTI E BERLUSCONI, E’ LITE: “SILVIO, FAI UN PASSO INDIETRO”, “TI LASCIO SOLA, COSI’ PERDI TU “

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

LETIZIA: “NON VOGLIO PIU’ INTROMISSIONI NE’ COMIZI DAVANTI AI TRIBUNALI, SONO IO CHE VINCO O PERDO, DECIDO IO COME PORTARE AVANTI LA PARTITA”…SILVIO: “E IO MI SFILO, SE PERDI E’ SOLO COLPA TUA, HAI LA PUZZA SOTTO IL NASO”

“Non voglio che si parli più di giustizia, di temi nazionali. Basta intromissioni e comizi davanti a Palazzo di Giustizia.Sono io che vinco o perdo, è la mia partita e voglio essere io a decidere come portarla avanti”.
Letizia Moratti non ha usato toni morbidi con il premier ieri, durante un rapido incontro, e ha posto una serie di condizioni: “Per continuare la battaglia, è necessario che tu faccia un passo indietro, bisogna trattare dei problemi della città , non del governo”.
E’ il messaggio che Silvio aspettava: così, in caso di sconfitta, potrà  dare la colpa alla Moratti.
Di conseguenza non parteciperà  alla campagna elettorale in queste due settimane: niente comizi, niente raduni, niente show davanti alle aule processuali.
Il Pdl milanese gli ha chiesto perlomeno di organizzare una iniziativa con Bossi, ma lui a impegnarsi per la Moratti e di sfilare accanto al Senatur non ne vuole neppure sentir parlare.
Prima erano tutti amiconi, ora non riconosce più nessuno.
Della Moratti ora dice, con la solita modestia: “Se non fosse stato per me, avrebbe perso già  al primo turno, non ha mai attirato le simpatie della gente, ha la puzza sotto il naso”.
E per il compagno di merende Umberto: “Ha remato contro, tifa per Tremonti, ma il gioco non gli riuscirà “.
E’ un clima di veleni quello che si respira all’interno della maggioranza.
Il premier fa i conti con la sconfitta, difficile se non impossibile recuperare al ballottaggio uno svantaggio simile.
Silvio se la prende anche con Formigoni, reo di non essersi impegnato abbastanza nella campagna elettorale.
Poi ritorna sui suoi soliti temi: “Dobbiamo smascherare chi sta dietro a Pisapia”. E oggi escono i soliti manifesti in cui chiede ai milanesi di non consegnare la città  ai centri sociali.
Ai ministri ha detto “ora metteteci voi la faccia”, lui non lo farà .
La strategia sarà  quella di depotenziare il voto per non far ricadere la sconfitta sul governo.
Se prima il voto era politico e a favore o contro di lui, ora improvvisamente è un semplice voto amministrativo.
Nello stato maggiore del Pdl si fa strada la convinzione che l’impostazione della campagna elettorale sia stata completamente sballata e che Silvio abbia solo creato danni alla Moratti.
Ma il premier, annichilito ormai dalla sua presunzione, ha ancora il coraggio di dire: “Senza di me si perde, ma non posso fare tutto io”.
In effetti per la vittoria della sinistra ha già  fatto abbastanza.

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LA LEGA GREGARIA E LO SPECCHIO INFRANTO: UN CARROCCIO TRAINATO DA ASINI E UN ELETTORATO CHE NON SI RICONOSCE PIU’ ALLO SPECCHIO

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

UN PARTITO A RIMORCHIO DEGLI INTERESSI PERSONALI DEL PREMIER E UN ELETTORATO PADANO FLUTTUANTE CHE USA LA LEGA PER RIVENDICARE O PROTESTARE…PDL E LEGA CONDIVIDONO LO STESSO RETROTERRA CULTURALE, PER QUESTO HANNO PERSO ENTRAMBI… LO SPECCHIO BERLUSCONIANO SI E’ DEFORMATO

La “strategia della sineddoche”, questa volta, non ha funzionato.
O meglio: ha funzionato al contrario.
La sineddoche. Una parola usata per identificare la parte per il tutto. O viceversa.
Milano, Italia: come evocò, per primo, Gad Lerner vent’anni fa. E viceversa. Oggi: Berlusconi riassunto di Milano. E viceversa.
La guerra personale fra Berlusconi e i Magistrati e ai Comunisti.
Riassunta nella consultazione amministrativa di Milano. E viceversa.
La strategia della sineddoche, al primo turno delle amministrative, ha travolto l’inventore, Silvio Berlusconi.
Insieme alla sua candidata milanese, Letizia Moratti.
E ha annichilito il suo non-partito: il Pdl.
Neanche il 29%, a Milano. Un calo di oltre 7 punti rispetto alle Regionali del 2011. Addirittura 12 rispetto alle precedenti Comunali del 2006 (considerando insieme Fi e An).
La “strategia della sineddoche”. Ha proiettato i suoi effetti all’esterno. Coinvolgendo il suo principale alleato. La Lega Nord.
Fino a ieri anello forte del Centrodestra. Ora non-si-sa-più.
Perchè la Lega, a Milano, si è fermata al 9 %. Quasi 6 punti al di sotto rispetto alle Regionali del 2010. Meno che a Bologna.
Indubbiamente pochino per la Lega Padana nella Capitale della Padania.
Il fatto è che la sineddoche milanese, nella costruzione di Berlusconi, ha ridotto la realtà  a uno stereotipo banale.
Con l’esito di scoraggiare una componente ampia degli elettori di centrodestra. E di far scomparire la Lega e i leghisti.
Provo a spiegarmi meglio.
Fra i segreti del successo di Silvio Berlusconi c’è la capacità  di rappresentare una parte del sentimento del Paese.
Trascurata e rimossa da altri attori politici, soprattutto dalla Sinistra. L’individualismo, lo spirito imprenditivo, l’insofferenza verso le regole, lo Stato e il pubblico.
Un’etica relativa, intrisa di gallismo e omofobia.
Berlusconi ha “rappresentato” tutto questo.
L’ha messo in scena sui (suoi) media. Ne è divenuto il campione esemplare. La Lega l’ha assecondato. Anche perchè, in parte, condivide questo retroterra socioculturale. Marcato dalla personalizzazione.
Se Berlusconi è il Pdl, la Lega si riconosce in Bossi.
Anche se ha un radicamento sociale ben diverso, rispetto al Pdl.
Di suo, la Lega ha aggiunto altri tratti del “carattere nazionale”, particolarmente sviluppati nel Nord. Il localismo, le paure verso gli stranieri e la globalizzazione. I
l distacco nei confronti di Roma, dell’Europa, del Mondo.
“Insieme”, Pdl e Lega, Berlusconi e Bossi, hanno conquistato Roma. Partendo da Milano.
Padrona di Roma e dell’Italia. Insieme? Qui sta il problema.
Perchè lo specchio berlusconiano, negli ultimi tempi, si è deformato in modo rapido e violento.
Berlusconi ha ridotto, per intero, la sua rappresentazione politica e sociale intorno a se stesso.
Tutti i problemi del governo e del Paese: ridotti ai suoi personali problemi con la giustizia.
Alla sua guerra contro i magistrati. Milanesi.
Così, Berlusconi ha usato una volta di più le elezioni, queste elezioni – amministrative – come una resa dei conti – politica.
E ha trasformato Milano nel teatro simbolico della battaglia. Tra se stesso e i “suoi” nemici. Si è “imposto” come capolista del Pdl alle comunali. Ha “imposto” alla candidata Moratti il suo linguaggio e i suoi argomenti. Ha, di fatto, sponsorizzato il candidato Lassini. Quello che: “fuori le Br dalla Procura di Milano!”. Ha occupato la scena milanese. Ogni lunedì davanti alla Procura, un comizio.
Assecondato da una claque “grigia”, aizzata dalla Santanchè.
Una parte dell’Italia berlusconiana, però, ha guardato lo specchio e non si è riconosciuta.
Così, la Moratti ha perso 11 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni. Finendo sotto di quasi 7 punti rispetto a Pisapia.
Lassini, il campione del neo-berlusconismo aggressivo, ha racimolato 800 preferenze. Ventesimo in graduatoria.
Lui, Silvio, ha quasi dimezzato le preferenze personali rispetto a cinque anni fa (e questa volta non potrà  accusare i sondaggisti comunisti di aver taroccato i dati sulla sua popolarità ).
Allargando lo sguardo agli 11 capoluoghi delle Regioni del nord dove si è votato, il Pdl ha perduto dappertutto rispetto alle Regionali del 2011 (unica eccezione Novara) e, in misura ancor più ampia, rispetto alle Comunali del 2011.
Insomma, Berlusconi è andato troppo oltre.
Il suo specchio, ieri, rifletteva, in parte, il sentimento popolare. Oggi invece riflette solo i suoi interessi. Ma lui non se n’è accorto. Continua a considerarlo e a considerarsi il riassunto del senso comune.
La Lega, in questo gioco, è apparsa gregaria.
Le sue bandiere – il Nord, il Federalismo – si sono allineate dietro all’unico stendardo issato dal Cavaliere. La giustizia.
E poi, la responsabilità  di governo rende difficile fare anche l’opposizione.
Ma oggi la Lega governa. In centinaia di Comuni, 14 Province, 2 Regioni. E a Roma. Accanto a Berlusconi.
Come spiegare ai suoi elettori che “non c’entra” con gli effetti della crisi? Come spiegare agli ascoltatori incazzati di Radio Padania che è giusto giustificare le avventure erotiche del Presidente del Consiglio?
E assecondarne le battaglie per una giustizia giusta (per se stesso)?
Difficile.
Così, anche così si spiega il risultato deludente della Lega in queste elezioni. Non solo a Milano. Un po’ dovunque.
Non tanto in termini di amministrazioni conquistate o perse. In 40 dei 49 comuni maggiori (di 15 mila abitanti) del Nord in cui è presente si va al ballottaggio.
Ma di peso elettorale.
La Lega è scesa in misura significativa, rispetto a un anno fa. Quasi dovunque. In 9 capoluoghi di provincia su 11.
Unica vera eccezione: Bologna, dove però presentava il candidato sindaco della coalizione.
Il che evoca l’ombra inquietante del passato.
La Lega fluttuante, che passa dal 10% al 3%, nel corso degli anni Novanta. Dopo il 1996. E negli anni 2000 risale. Faticosamente. Al 4% nel 2006. Per impennarsi, dopo il 2008 e fino al 2010. Quando supera il 10%. E tocca il 12%, secondo i sondaggi degli ultimi mesi.
La Lega fluttuante. Radicata, dal punto di vista organizzativo e dell’elettorato “fedele”, sale e scende sulla spinta degli elettori “infedeli”.
Che la scelgono e la usano in base ai momenti.
Per rivendicare e/o protestare. Perchè è il sindacato del Nord e delle province produttive.
Il partito del federalismo che garantisce meno tasse, più servizi, risorse e poteri. Non il contrario, come si comincia a temere.
Di certo non è votata per difendere Silvio, i suoi interessi, le sue battaglie personali con i magistrati.
Per questo il futuro della coalizione è difficile da decifrare.
Perchè Berlusconi, ormai, è prigioniero della propria sindrome autistica. Perchè la Lega, senza Berlusconi, rischia di ritrovarsi fuori gioco.
Lontana da Roma. Improduttiva.
Un amplificatore dei disagi e del malessere che finisce ai margini della scena politica.
Perchè insieme a Silvio rischia di apparire schiava di Roma, alleata del Sud (unica zona dove il Pdl abbia mantenuto i suoi consensi).
E poi è difficile fare la Lega “responsabile”.
D’altronde, oggi, fare i “responsabili” accanto a Berlusconi, nel senso comune significa essere “reclutati”.
Ma è difficile anche fare gli estremisti. Perchè lo spazio estremo l’hanno occupato Berlusconi, La Russa, la stessa Moratti.
Così la strategia della sineddoche di Berlusconi rischia di lasciare senza parole i due leader del Centrodestra. Bossi e Berlusconi.
Non parlano, per ora.
E parlarsi tra loro, in futuro, sarà  difficile.

Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica“)

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BOSSI IN BRAGHE DI TELA: “SE PERDIAMO A MILANO, DIFFICILE EVITARE LA CRISI”

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

“SILVIO SI STA GIOCANDO TUTTO, NOI RISCHIAMO DI FARE LA FINE DEGLI ASCARI CHE DIFENDONO L’ULTIMO FORTINO”…”E TRA DUE ANNI TORNIAMO AL 4%”…. NELLA LEGA SCOPPIANO CASI “DI INCOSCIENZA” … PANICO DA POLTRONE NELLO STATO MAGGIORE PADANO

“Se la   Moratti perde anche il ballottaggio, per noi è difficile rimanere lì”. Questa volta Umberto Bossi pesa ogni singola parola.
Non è più il tempo della campagna elettorale.
Ma quello di capire quale strada debba imboccare la Lega.
Il voto di Milano – tradizionalmente vittorioso per il centrodestra – si è improvvisamente trasformato nel momento delle scelte.
“La situazione – ripete il Senatur ai big del Carroccio – non è facile. Noi ci impegneremo fino al 30 maggio, ma la vedo complicata”.
La tensione è altissima.
Il summit convocato nella sede di Via Bellerio assume contorni drammatici.
Il leader lumbard invoca la calma: l’ipotesi di una rottura con il premier non può essere presa alla leggera.
Ma l’incubo di tornare nel limbo della marginalità  si materializza come uno spettro. Il Senatur fuma il sigaro e sfoglia i dati di tutte le elezioni locali. Davanti a lui ci sono Calderoli e Maroni, Cota e Giorgetti, Reguzzoni e Renzo Bossi.
La sconfitta milanese è qualcosa di più di un semplice passo indietro.
Può mettere in crisi il sistema di potere che negli ultimi vent’anni ha governato il cuore industriale del Paese. “Sarebbe la fine di un ciclo”.
E proprio per questo rischia di determinare scelte radicali in quello che Berlusconi ha sempre definito “l’alleato più fedele”.
Perchè a quel punto “la crisi sarebbe alle porte”.
Una svolta che Bossi non vorrebbe compiere, ma teme possa diventare una opzione obbligatoria: “Possiamo ancora rimanere lì?”.
Del resto, il risultato del centrodestra è inaspettato. Lo ha spiazzato. Il suo “fiuto” questa volta ha tradito.
E ora l’analisi è impietosa.
E sebbene ci sia stato un rimpallo di responsabilità  tra i quadri leghisti sulle scelte delle candidature, le accuse del Senatur sono rivolte in primo luogo al Pdl e al Cavaliere.
“È crollato il Popolo delle libertà  e ci ha trascinato verso il basso”, è la sua analisi.
Quasi per sollevare l’umore della sua truppa, legge persino il misero 9% a Milano in controluce: il Carroccio perde quasi 6 punti rispetto alle regionali, ma ne guadagna un paio nel confronto con le comunali.
Ma cinque anni fa la situazione era molto diversa, il Carroccio non aveva monopolizzato le stanze del potere come ora.
“Il problema – ripete allora ai suoi fedelissimi – non è la nostra tenuta. Noi, dopo la vicenda immigrati, potevamo essere travolti. Ma non è stato così. Il problema è il Pdl”.
È l’asse tra la Lega e il Pdl, l’abbraccio tra Bossi e Berlusconi.
L’interrogativo del “capo” allora diventa un rovello nella seduta-fiume convocata nel bunker milanese.
Tutti si rendono conto che questo sta diventando il “momento della verità “. “Se si perde a Milano – è la sua analisi – Berlusconi non avrà  solo contro i magistrati, ma in Parlamento verranno meno i Responsabili, il Quirinale non potrà  che fare il suo dovere e via dicendo. Per risollevarsi dovrebbe fare la riforma fiscale, quella costituzionale, rilanciare l’economia. Ma non sarebbe in grado di farlo”.
E per rendere tutto ancora più drammatico cita il piano di Tremonti presentato all’Ue che prevede tagli per 8 miliardi quest’anno, il prossimo e nel 2013.
Non solo. “Tutti gli chiederanno di dimettersi e lui non lo farà . In quella situazione rischiamo di fare la fine degli ascari che difendono il forte e tra due anni torniamo al 4 per cento”.
Una prospettiva che terrorizza tutto lo stato maggiore padano.
Bossi chiede allora di lavorare “ventre a terra” per cercare di ribaltare la situazione a favore della Moratti.
Per evitare così la scelta più traumatica.
In caso di successo, allora, “potremo organizzare il rilancio e le riforme. Solo così ha senso restare. Altrimenti per noi è difficile reggere”.
Anche perchè tutti i big leghisti sanno che la base è una pentola in ebollizione.
Rischia di scoperchiarsi con un boato.
Ma recuperare a Milano è “complicato”.
Tra i potentati meneghini – anche Berlusconi – già  circola un sondaggio che vede volare Pisapia. “Silvio – dice il Senatur ai suoi – deve tirare fuori qualcosa dal cilindro. Non può dire ora che è un voto locale”.
Eppure c’è un altro aspetto che fa infuriare il Carroccio.
La lotta intestina nel Pdl.
Il loro dito indice è puntato contro il Governatore Formigoni e contro Cl, accusati di aver votato contro Berlusconi.
“Quello – è il sospetto di Bossi riferendosi al presidente lombardo – pensa di poter approfittare della crisi interna al suo partito”.
Accuse che un po’ tutti confermano e che nello stesso tempo fanno salire ulteriormente la tensione e la preoccupazione per un futuro incerto.
La lista degli addebiti verso il Pdl si allunga: ognuno dei presenti al vertice riferisce un episodio che conferma l’analisi del Senatur.
E a questo punto la memoria corre a sei mesi fa.
Quando, dopo lo strappo di Fini, si aprì la prima riflessione nella maggioranza. “Avevamo detto a Silvio che doveva preparare l’alternativa a se stesso. Doveva indicare un nome. E invece ha scommesso su stesso pensando al 2013. Ma così o vince tutto o perde tutto”.
Dopo il 30 maggio, dunque, l’equilibrio della politica potrebbe d’un tratto cambiare.
La Lega sa bene che a giugno ogni crisi di governo non può portare alle elezioni anticipate.
“Ma nessuno – avverte il leader lumbard – può dire quale sarà  la soluzione. Ci chiederanno l’allargamento a Casini e ci parleranno di un governo istituzionale. Noi aspetteremo e vedremo”.

Claudio Tito
(da “La Repubblica“)

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CORSA AI BALLOTTAGGI, ECCO CHI DECIDERA’: DAL TERZO POLO AGLI ASTENUTI PER ARRIVARE AI GRILLINI

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

IL PESO DI CHI NON E’ ANDATO A VOTARE, DEI CENTRISTI E DEL MOVIMENTO CINQUE STELLE…SOLO A NAPOLI C’E’ UN 40% DI ASTENUTI CHE FA GOLA

Astensionismo, Terzo Polo e 5 Stelle.
Eccole le tre variabili che avranno un peso decisivo per l’esito dei ballottaggi delle amministrative in programma tra 15 giorni.
“Napoli e Milano? Risolveremo questo problema prendendo una iniziativa politica e il giorno per annunciarla è oggi” annuncia Francesco Rutelli.
Uscito dalle urne con un risultato non proprio brillante (in alcuni casi è   stato superato dai 5 Stelle), il polo centrista si ritrova comunque ad essere decisivo tra 15 giorni.
Quando, in particolare a Milano e a Napoli, l’arrivo dei consensi terzopolisti potrebbe far pendere la bilancia nell’una o nell’altra parte.
Condizionando l’esito di consultazioni che non si limiterà  ai sindaci.
Ma avrà  una ripercussione sulla tenuta dell’esecutivo.
C’è poi un altro aspetto che non va sottovalutato.
E’ l’astensionismo che, in particolare a Napoli ma anche altrove, ha colpito duro. Senza dimenticare l’exploit dei 5 Stelle che, in alcune realtà , sfiorano le due cifre.
Milano e Napoli dunque.
Nel capoluogo lombardo Giuliano Pisapia ha fatto il pieno di consensi, attestandosi su un 48% che fa gridare al miracolo. Letizia Moratti è ferma al 41,6%.
Per questo entrambi gli sfidanti, ma in primis la Moratti, guardano con interesse a quel 5,5% conquistato dal candidato del Terzo Polo.
Non a caso la Moratti dopo aver alzato i toni in campagna elettorale, adesso blandisce la Milano “moderata”.
Che, però, per bocca di Manfredi Palmeri resta vaga: “Daremo
indicazione ai candidati in relazione ai temi della città ‘”.
Pisapia, invece, esclude nuovi apparentamenti pur mandando un messaggio a Terzo Polo e 5 stelle (3,2%): “Penso che possano avere fiducia in me”.
Secca la prima replica del movimento vicino a Beppe Grillo: “Noi non diamo e non daremo indicazioni di voto”.
A Napoli la situazione è molto più complessa.
Perchè la partita non è solo legata ai voti terzopolisti e all’astensione ma anche interna al centrosinistra.
Se il candidato del Pdl Gianni Lettieri, forte del 38,5%, guarda a quel 9,7 di Casini e soci, il suo antagonista, l’ex pm Gianni De Magistris (27,5%) deve prima risolvere la questione dei rapporti con il Pd e con l’ex prefetto Morcone che ha raccolto il 19%.
Questione non da poco, viste le polemiche che hanno segnato l’opposizione partenopea e i continui affondi di De Magistris contro l’ex governatore del Pd Antonio Bassolino.
Quello che appare certo è che il Terzo Polo (9,7%) non si schierarà  mai con il “giustizialista” De Magistris.
Casini lo ha detto in tutte le salse. Ma c’è dell’altro.
Ovvero il primo “partito” della città : gli astenuti che sfiorano il 40%.
Un bacino di consensi che se conquistati, anche solo parzialmente, cambierebbe l’esito finale.
A Trieste, invece, la partita è aperta.
Al primo turno i candidati sono andati in ordine sparso e Roberto Cosolini del centrosinistra ha ottenuto il 40%, staccando Roberto Antonione del Pdl (27,56%).
Dato per scontato che il 6% della Lega confluirà  su Antonione, gli appetiti del centrodestra si concentrano sui voti del candidato della Destra (10%).
In ballo anche il 6% dei % stelle e il 5 % dei terzopolisti.
In Sardegna la sfida è tra Massimo Zedda del centrosinistra al 45,11 e Massimo Fantola al 44,72 per cento. Con il Terzo polo al 4,46.
Al sud occhi puntati sulla Calabria dove Pdl e Udc hanno stretto alleanza.
A   Cosenza se la vedono Mario Occhiuto, sostenuto da Pdl e Udc , al 45,63% ed Enzo Paolini (lista civica, sel, idv) al 36,85 per cento.
Da tenere presente il 16 per cento che si è raccolto intorno al sindaco uscente Salvatore Perugini del Pd.
Sfida anche a Crotone tra Peppino Vallone del centrosinistra (25,67) e Dorina Bianchi (pdl-udc) al 20,35 per cento.
In Toscana, invece, va al ballottaggio Grosseto: Emilio Bonifazi, centrosinistra, si ferma al 45,83%, Mario lolini del centrodestra al 35,41.
Qui conterà  anche il movimento 5 Stelle e il suo 5,16 per cento.
E il peso dei 5 stelle si sentirà  ancor di più a Rimini dove Luigi Camporesi vola all’11,31 per cento.
Una valanga di voti che, a secondo di come saranno indirizzati, deciderà  il ballottaggio tra Andrea Gnassi del centrosinistra (37,94%) e Gioenzo Renzi (34,70).
Oltre Milano, altri due ballottaggi al nord: a Rovigo dove il Terzo Polo e Varese, dove la corsa sarà  centrodestra, arrivato al 49,36% e centrosinistra al 30,25. Anche qui, decisivo il terzo polo con il 6,87%.
Sono sei invece le amministrazioni provinciali che decideranno al secondo turno il loro presidente (Macerata, Mantova, Pavia, Reggio Calabria, Vercelli e Trieste).
A Macerata il candidato del centrosinistra Antonio Pettinari (43,11%) si confronterà  con il candidato del centrodestra e presidente uscente Franco Capponi (42,76%).
A Mantova Alessadro Pastacci (centrosinistra) ha ottenuto il 41,81% mentre il candidato di centrodestra Gianni Fava il 41,09%.
A Pavia il candidato del centrodestra Ruggero Invernizzi (44,11%) se la vedrà  con Daniele Bosone del centrosinistra (33,82%), mentre a Reggio Calabria il candidato del centrodestra Giuseppe Raffa (45,4%) avrà  come avversario il candidato del centrosinistra uscente Giuseppe Morabito (26,58%).
A Vercelli il candidato del centrodestra Carlo Riva Vercellotti ha ottenuto il 49% dei voti mentre quello del centrosinistra Luigi Bobba il 33%.
Infine, a Trieste, il presidente uscente di centrosinistra, Maria Teresa Bassa Poropat (48,5%) andrà  al ballottaggio con il candidato di centrodestra Giorgio Ret (29,8%).

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BERLUSCONI E BOSSI ALLA RESA DEI CONTI, MA IL METODO BOFFO PUNISCE ENTRAMBI

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

RESTA IL GELO TRA I DUE LEADER, MA LA LEGA SCONFITTA AL NORD NON PUO’ PER ORA PERMETTERSI LA ROTTURA… SEMBRANO ORMAI DUE PUGILI SUONATI SUL RING CHE SPERANO NEL MIRACOLO

All’ennesima telefonata contro il premier, il conduttore non si è più trattenuto: “Siete ossessionati da Berlusconi. Siete ossessionati dal nulla perchè il berlusconismo non esiste. Berlusconi ha intercettato ciò che c’era già  e cioè la voglia di avere più soldi, fare le vacanze, avere una bella casa e una bella macchina. Tutto questo passerà , resteranno i pensieri di Bossi”.
Cronache da Radio Padania nel day after del disastro milanese.
I pensieri di Bossi resteranno pure (anche se il federalismo la base leghista lo aspetta da vent’anni ormai) ma la realtà  di oggi è che il Cavaliere e il Senatùr somigliano entrambi a due pugili suonati sul ring.
Storditi, annichiliti dalla vittoria dei no al referendum milanese suL premier.
Difficile dire chi sta peggio tra i due, che alle sette di sera di lunedì si sono pure sentiti per telefono.
Una conversazione breve e interlocutoria.
La versione più diffusa parla di “gelo”, ma le colombe del Carroccio si affannano a precisare che “è stata una telefonata normale in cui i due si sono assicurati reciprocamente l’impegno massimo per il ballottaggio e hanno programmato un incontro per vedersi”.
I fatti però vanno nella direzione opposta.
Se non altro perchè alla vigilia del voto lo stesso Bossi aveva detto “se a Milano si perde, perde Berlusconi”, facendo trapelare la tentazione della “carognata finale”.
Ma ora che la suggestione ha preso forma nel trionfo di Pisapia al primo turno, il Senatùr ha imposto una tregua di due settimane ai suoi.
Vuole aspettare, e capire soprattutto.
Lui che si è sempre vantato del fiuto del suo naso è rimasto sbalordito dal livello di antiberlusconismo raggiunto dal suo elettorato, sfociato nel voto disgiunto o nell’astensionismo.
Per il momento, la linea si muove su due piani: “lavoriamo per vincere, poi faremo la verifica” e “non ascoltiamo le sirene” della sponda democrat per la spallata al governo.
Ma dietro l’angolo c’è il solito fantasma.
Quello di un esecutivo guidato da Tremonti.
Lo spettro che aleggia su Palazzo Grazioli è questo e lo ha denunciato ancora una volta Alessandro Sallusti nel suo editoriale di ieri sul Giornale: “Le insidie più che dall’opposizione, arrivano dall’interno. Non tutti, dentro al centrodestra, si sono disperati per il risultato di Milano. Anzi, qualcuno si è pure fregato le mani intravedendo possibilità  di scalate interne e di potere”.
Il premier però sarebbe davvero stufo del metodo Boffo imposto da Sallusti e Santanchè anche alla campagna elettorale di Milano (da Lassini alle accuse della Moratti a Pisapia).
E così ieri ci sarebbe stata un tremendo “cazziatone” al direttore del Giornale (è circolata la voce che Sallusti avrebbe avuto persino un malore).
Tutti sotto un treno, dunque.
Ed è così che è apparso ieri, in evidente stato di choc, l’intero stato maggiore pidiellino davanti alle telecamere.
Denis Verdini ha addirittura forzato la mano sostenendo che “tolta Milano, per il resto è stato un pareggio”, come se il carico politico nazionale delle elezioni meneghine fosse improvvisamente scomparso dalla scena.
Ma il giorno dopo la grande sconfitta, gli occhi erano tutti puntati sul Cavaliere.
Che ieri mattina ha visto per pochi minuti la Moratti e la Gelmini, assicurando che la campagna elettorale per il ballottaggio sarà  all’insegna dei toni bassi e del territorio.
La necessità  è quella di riacciuffare il voto moderato, quello che ha penalizzato Berlusconi lasciandolo solo con meno di 30mila preferenze. Un dato che ha spaventato e che ha convinto la Moratti a prendere le distanze proprio dal Cavaliere: “D’ora in poi risponderò solo a me stessa”. “
Dobbiamo fare anche un mea culpa” ha sottolineato ieri un La Russa visibilmente provato dalla sconfitta.
Si cambia totalmente registro, insomma.
E, soprattutto, il Cavaliere starà  lontano da lei, anche se ufficialmente ha detto che “c’è ancora la possibilità  di vincere e io ce la metterò tutta”.
Ma da dietro le quinte.
Ecco, questa è la vera novità  del giorno dopo il bagno di sangue elettorale: Berlusconi forse non si farà  vedere nella sua città , non alzerà  i toni contro la magistratura e bloccherà  ogni iniziativa parlamentare che possa creare frizioni o mediatiche o con gli alleati.
Profilo basso. B. ha dato il via libera solo ad alcuni manifesti che già  da oggi potrebbero comparire sotto la Madonnina: “Non lasciamo che Milano finisca nelle mani dei centri sociali”, che però non si discostano molto dalla linea Santanchè ancora all’attacco: “Con Pisapia, al comune droga e Leonkavallo”. Poi sarà  la volta di una accorata lettera aperta ai milanesi da parte del sindaco Moratti.
Berlusconi vuole depotenziare il più possibile la valenza politica del voto di Milano per evitare che l’eventuale sconfitta affondi il governo, come sperano in tanti.
Così fino ai ballottaggi non si sentirà  parlare di riforma della giustizia, di processo breve e di legge per l’allargamento della compagine governativa, di nuovi sottosegretari e di comizi davanti al tribunale.
Anzi, con il placet di Ghedini, ieri sera presente al vertice dei colonnelli a Palazzo Grazioli, il Cavaliere potrebbe decidere di disertare, almeno per un paio di settimane, persino le aule del tribunale di Milano.
Le guerre private, stavolta, vanno messe da parte.

Fabrizio d’Esposito e Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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GOVERNO, RIAPPARE LO SPETTRO DELLA CRISI E SI RAFFORZA IL RUOLO DEL QUIRINALE

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

SUL TAVOLO DELLA MAGGIORANZA GLI SCENARI LEGATI ALLA RICANDIDATURA DI BERLUSCONI

È Napolitano il vero vincitore delle elezioni, è lui che agli occhi di Berlusconi è diventato oggi l’uomo forte della politica italiana, trasformandosi nell’unico punto di riferimento dentro e fuori il Palazzo, dopo che le urne hanno distribuito cocenti sconfitte e contraddittori successi.
È sul Colle che secondo il Cavaliere siede il suo vero competitor, uscito rafforzato dal test delle Amministrative.
Berlusconi infatti è consapevole che il risultato di Milano indebolisce il suo esecutivo e lo consegna nelle mani del Quirinale, più ancora che in quelle di Bossi.
Se cadesse la «capitale» del patto tra il Cavaliere e il Senatùr, nulla andrebbe escluso: i maggiorenti del Pdl mettono nel conto persino una crisi di governo, malgrado il centrodestra paia in procinto di allargare ulteriormente la propria maggioranza in Parlamento.
Tutto (o quasi) inutile, dopo che il premier ha trasformato la sfida nel capoluogo lombardo in un referendum su se stesso.
Già  il responso del primo turno compromette le mosse future del Cavaliere, pregiudicando una sua possibile ricandidatura alle prossime Politiche, e confermando un convincimento maturato in questi mesi da Bossi, secondo cui il centrodestra perderebbe se Berlusconi si riproponesse per palazzo Chigi.
Ma intanto c’è da gestire l’emergenza, il contraccolpo immediato, siccome la perdita di Milano rischierebbe di avere sull’attuale maggioranza lo stesso effetto che ebbe sul centrosinistra la perdita di Bologna.
Le recriminazioni sulla debolezza del candidato sindaco non servono.
Non basta rilevare il fatto che la Moratti abbia ottenuto meno voti delle liste di centrodestra, elemento che da oltre un mese emergeva dai sondaggi e che aveva allarmato il Cavaliere.
E poco importa se la gestione della cosa pubblica non abbia convinto i cittadini, a causa di un’assenza di strategia su un grande evento come l’Expo. I cocci sono comunque del premier, tocca a lui pagare il conto: Bossi ieri gli ha mandato un preventivo della fattura.
Non c’è dubbio che l’eventuale punto di rottura del berlusconismo passerebbe dalla faglia che si è aperta con il Carroccio.
Ma l’arbitro della sfida è il Colle, e Verdini dice quel che il Cavaliere pensa: «In questa fase confusa è chiaro che il capo dello Stato assumerà  un ruolo determinante». Per capire fino a che punto ormai–agli occhi dei berlusconiani–si sia dilatato questo ruolo del Quirinale, il coordinatore del Pdl arriva a sussurrare con un sorriso amaro: «Ora Napolitano fa anche l’ambasciatore…».
Il riferimento è alle assicurazioni fornite ieri dal presidente della Repubblica alle autorità  palestinesi, circa il rafforzamento delle relazioni diplomatiche con l’Italia.
Così in Berlusconi si è rafforzato un sospetto che aveva preso corpo due settimane fa, quando Napolitano chiese – a sorpresa – un passaggio in Parlamento del governo dopo la nomina dei nuovi sottosegretari: «In passato non si sarebbe comportato in questo modo», commentò allora il premier guardando la curva negativa dei propri sondaggi.
Allora una parte dei dirigenti del Pdl interpretò quella esternazione del capo dello Stato come la prima mossa di una sorta di «operazione rompighiaccio», tesa a preparare il terreno a nuovi equilibri dopo le Amministrative, nel caso di un capitombolo del centrodestra.
Il capitombolo c’è stato, frutto di un’errata strategia politica e mediatica del Cavaliere, come gli ha contestato ieri lo stesso Giuliano Ferrara.
E la Moratti – che scontava anche un handicap di gestione–è stata distanziata da Pisapia, candidato del centrosinistra, giunto a un passo dalla vittoria al primo turno.
La rimonta non sarà  facile, il premier avrà  due settimane per tentare di ribaltare il risultato e non venire ribaltato, «e se la Lega non impazzisce– dice Verdini – non ci saranno problemi di governo».
Una sconfitta però metterebbe tutto in discussione.
Comunque non c’è dubbio che dopo il ballottaggio di Milano si apriranno i giochi a Roma: «A quel punto – secondo il pidiellino Napoli–entrerà  in scena il capo dello Stato, e lo farà  con un ruolo da primattore».
Una cosa che – per usare un eufemismo – non piace a Berlusconi, ma che per certi versi è imposta dalla situazione generale della politica italiana.
I successi del Pd a Torino e Bologna sono infatti condizionati dall’avanzata della sinistra alternativa e protestataria che si riconosce nei «grillini», e che ipoteca future alleanze di governo.
Lo stesso Di Pietro è minacciato nella sua leadership di partito dallo straordinario risultato di de Magistris a Napoli, patria di Napolitano, dove il Pd non arriva nemmeno al ballottaggio e deve sperare in un apparentamento con l’ex pm dell’Idv per non restare tagliata fuori.
Quanto al terzo polo, non solo non riesce ad attrarre il voto dei moderati delusi dal Pdl, ma è costretto a registrare una nuova spaccatura in Fli.
In questo scenario polverizzato, con un governo indebolito dal risultato delle urne e attraversato da sospetti e accuse tra alleati, il Colle avrà  giocoforza un ruolo crescente, mentre il premier sarà  chiamato a gestire il rapporto con la Lega e a sopire le tensioni all’interno del suo partito, dove in molti già  chiedono un «chiarimento interno ».
Servirebbe un rilancio per uscire da una fase di logoramento che dura da tempo.
Di un Berlusconi-bis, tuttavia, il Cavaliere non vuole sentir parlare: «Roba da prima Repubblica ».
Ma dovrà  pur trovare un rimedio per allontanare i fantasmi che periodicamente riappaiono, assumendo le sembianze di Tremonti.
Non è dato sapere se attorno a questo nome possa davvero formarsi una maggioranza in Parlamento per un altro esecutivo, è certo però che l’Udc attende un segnale dalla Lega per capire se ci siano le condizioni per un nuovo assetto.
«Senza una forza moderata non si governa », ha detto ieri Casini, lasciando un pro memoria a Bossi.
E al pari del capo dei centristi, anche Bersani attende di capire se il Senatùr imprimerà  una svolta.
Milano sarà  lo spartiacque, dopo il quale ogni evoluzione del quadro politico nazionale passerà  al vaglio di Napolitano, il presidente della Repubblica che–secondo Berlusconi– «ha trasformato il Quirinale nell’Eliseo».

Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera“)

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SILVIO ACCUSA LA LEGA: “DISTINGUERSI SU TUTTO NON PAGA”

Maggio 18th, 2011 Riccardo Fucile

IN VISTA DEI BALLOTTAGGI ORA I MODERATI DEL PDL SUGGERISCONO UN CAMBIO DI ROTTA… REGOLAMENTO DI CONTI TRA FALCHI E COLOMBE ALL’INTERNO DEL PARTITO

La fortezza berlusconiana mostra crepe visibili nei bastioni.
Berlusconi vede che l’onda lunga del 2008 si è andata ad infrangersi sugli scogli di Milano e della Lega, con Bossi che ieri a via Bellerio ruggiva («perdiamo per colpa del Pdl e della Moratti che è bollita»).
Nelle stesse ore, man mano che i dati veri del ministero dell’Interno confermavano le proiezioni, anche il premier accusava la Lega di avere contribuito a questa batosta, «perchè differenziarsi come hanno fatto loro negli ultimi tempi, su tutto, non paga».
Chissà  se nella telefonata che c’è stata tra i due queste cose se le sono dette in faccia.
Nel giro stretto del capo, rimasto in silenzio stampa ad Arcore con il suo portavoce Paolo Bonaiuti, c’è aria di funerale.
E molti adesso ammettono che la ricandidatura della Moratti sia stato un errore.
Lui, Berlusconi, deve ripensare la strategia di comunicazione, con quale linea riprendere la campagna elettorale per il secondo turno.
Sono tanti i dirigenti del Pdl che gli consigliano più moderazione, di concentrarsi sui problemi della città , di non continuare con il bombardamento della procura di Milano e i concentramenti rumorosi davanti al Tribunale. Ascolterà  questi consigli che anche Bossi gli aveva dato?
Riuscirà  a far emergere la vera anima moderata della Moratti e non dare ascolto alla Santanchè e Sallusti che nel partito con cattiveria hanno soprannominato Olindo e Rosa.
Adesso Berlusconi è deluso, amareggiato, stupito.
Stupito che Lettieri a Napoli non ce l’abbia fatto al primo turno mentre il «forcaiolo» De Magistris abbia superato il 20% dei voti.
Perfino a Cagliari il candidato del centrodestra Fantola è costretto al ballottaggio e a inseguire il vendoliano Massimo Zedda (Sel) addirittura in vantaggio.
Ma lo choc di Berlusconi è per la sua Milano, per il dato di Pisapia che veleggia attorno al 48%.
«Non è pensabile che una città  come Milano non possa essere governata da noi. È una città  che deve guardare avanti e non può guardare al passato».
Ha chiesto spiegazioni al coordinatore Verdini che, imbarazzato, nel pomeriggio ha subito risposto che bisognava aspettare i dati certi, i voti scrutinati e non le proiezioni.
Certo, ha provato a dire Verdini, la Moratti ha un trend negativo…
«Negativo? Pessimo. Se questi dati verranno confermati dallo scrutinio, al ballottaggio non vinceremo mai, nemmeno se recuperassimo tutti i voti moderati in libera uscita», ha osservato il premier.
Il quale è ancora più deluso, amareggiato e stupito per il flop personale come capolista del Pdl a Milano.
La città  non l’ama più?
Nella scorsa tornata aveva fatto il pieno di preferenze totalizzandone 53 mila. Un plebiscito che questa volta non c’è stato.
Una cifra terribile di sfiducia per il futuro politico di Berlusconi, che testardamente ha voluto trasformare queste elezioni amministrative in un referendum su se stesso, sul governo e sulle inchieste che lo riguardano.
Per Berlusconi a Napoli la vittoria al secondo turno potrebbe essere a portata di mano perchè il Pd non riuscirà  a trovare un accordo con De Magistris.
Poi quelli del Terzo polo mai e poi mai voterebbero per il «forcaiolo».
Ma a Milano lo spartito è diverso.
Qui il Cavaliere non ha il minino dubbio che Casini, Fini e Rutelli vogliano dargli il colpo finale del ko.
Ben sapendo che fargli perdere questa città  significa spezzare l’asse con Bossi e far cadere il governo.
Tenendo conto, ha spiegato Berlusconi, che la Lega non è andata bene a Milano.
Il Carroccio era accreditato del 15% e ora bene che vada raggiunge il 10%. Qualcuno nel Pdl sospetta che non ci sia stato un impegno forte del Carroccio, che avrebbe fatto votare per la propria lista e non per la Moratti.
Circolano le voci più incontrollate, sospetti e veleni tipici di una campagna elettorale andata male.
Veleni che scorrono anche dentro il Pdl.
La resa dei conti nel partito è rinviata alla fine dei ballottaggi, ma già  c’è chi dice «io l’avevo detto che andava a finire così».
Sono le colombe che puntano il dito contro gli «estremisti» interni, e non risparmiano nemmeno Berlusconi che ha forzato e sbagliato i toni.
C’è Scajola sul piede di guerra che attende di essere reintegrato nel governo. Non solo.
Cosa succederà  tra i Responsabili, tra i nuovi arrivati nella maggioranza che adesso sentono puzza di bruciato?
Continueranno a garantire il loro voto al governo?
Sono tanti gli interrogativi che si pone Berlusconi, il quale non vuole sentir parlare di divisioni.
Dovrà  avere il colpo d’ala, tirare il coniglio dal cilindro, salvare il salvabile alle amministrative e poi rilanciare l’azione del suo esecutivo con provvedimenti di crescita economica, di riduzioni delle tasse.
Tremonti glielo permetterà ? Sono queste le riflessioni che si ascoltano tra i dirigenti Pdl.

Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)

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