Destra di Popolo.net

NO PINOTTI NO PARTY: FUTURO E LIBERTA’ RICORDA ALLA SINISTRA CHE ESISTONO ANCHE GLI “ULTIMI”

Maggio 21st, 2011 Riccardo Fucile

OLTRE 300 INVITATI DELLA GENOVA BENE HANNO CELEBRATO I 50 ANNI DELLA SENATRICE PD NEL LUSSUOSO CONTESTO DI VILLA ROSETTA… FUORI   VOLANTINAVANO LE DONNE FUTURISTE CON UNA DELEGAZIONE DI RAGAZZE MADRI, SENZA CASA, PRECARIE, DISOCCUPATE, EX TOSSICODIPENDENTI…. CLAMOROSO SUCCESSO DELLA MANIFESTAZIONE DI FLI: CENTINAIA DI PERSONE SOLIDALI CONTRO LA CASTA

“Oltre 300 invitati sono arrivati alla spicciolata a Villa Rosetta, lascito affidato all’Istituto Don Orione a Mulinetti di Recco; ad accoglierli la senatrice Pd Roberta Pinotti, nonostante le polemiche seguite a questo suo raffinatissimo party per festeggiare i cinquant’anni.
Dentro la villa agenti della Digos e all’esterno body guard a controllare, lista degli invitati alla mano, gli ospiti.
Una decina, all’esterno, le persone disagiate che con la loro silenziosa presenza vogliono ricordare alla senatrice che esistono ragazze-madri senza casa, precari, disoccupati, giovani che tentano il recupero dalla droga o dopo avere conosciuto il carcere minorile.
Con loro Paola Cassinelli Del Guercio a testimoniare, per le donne del Fli, la situazione degli “ultimi”.
(da Levante News)

“Roberta Pinotti non ha proprio l’atteggiamento della regina della festa per i suoi 50 anni, celebrati nella nobile dimora di Villa Rosetta, a Mulinetti.
C’è quasi tutto il Pd, ma anche papabili per prossime nomine e poi un po’ tutte le cariche cittadine, dal presidente del porto a quasi tutti gli assessori regionali.
Dell’imminente corsa per le elezioni genoovesi nessuno parla.
Forse per la protesta che hanno inscenato le donne di Futuro e Libertà , l’argomento resta tabù.
Là  fuori, oltre il cancello, Paola Del Guercio (ispirata al blitz nei giorni scorsi da un ex missino doc come Riccardo Fucile) insieme ad altre ragazze porge volantini agli invitati.
Dicono che un parlamentare del Pd offende i cittadini spendendo cosi tanti soldi per una festa.”
(da il Secolo XIX)

Sull’iniziativa di Fli torneremo in dettaglio, anche alla luce dell’incredibile successo che ha riscosso in città , con congratulazioni che arrivano da destra e da sinistra, ma soprattutto da tanti cittadini comuni.
L’amica Paola è stata sommersa da centinaia di sms, fermata per strada da tanti genovesi che volevano dirle: “finalmente una destra vera, diversa, che si occupa della povera gente”.
E tra chi si dichiara d’accordo ci sono anche esponenti politici del Pdl e del Pd, non diciamo altro.

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IL VECCHIO TEATRINO DELLA POLITICA, BOSSI PROMETTE DUE MINISTERI A MILANO MA ALEMANNO GLI SPEGNE SUBITO LO SPOT: “BALLE, I MINISTERI RESTANO QUA”

Maggio 21st, 2011 Riccardo Fucile

LA SORPRESA CHE AVREBBE DOVUTO RISERVARE BOSSI E’ LA SOLITA PATACCA LEGHISTA RICICLATA…IL SINDACO DI ROMA NON MOLLA I SUOI FEUDI, MENTRE FAMIGLIA CRISTIANA ATTACCA “L’ARROGANTE OCCUPAZIONE TELEVISIVA” DI BIN BERLUSCOKEN

E’ durata poco l’attesa per la sorpresa annunciata ieri da Roberto Calderoli per ribaltare il voto delle elezioni amministrative a Milano.
In un’intervista alla Padania il ministro leghista ha scoperto le carte svelando quelle che secondo il Carroccio saranno le novità  in grado di confermare Letizia Moratti a sindaco del capoluogo lombardo.
Decentramento dei ministeri, riforma del fisco e Senato federale: ecco, afferma Calderoli, le “prossime mosse” del governo.
L’uscita di Calderoli ha fatto venire allo scoperto lo stesso Umberto Bossi. Decentrare alcuni ministeri a Milano e intervenire sulla pressione fiscale, secondo il leader del Carroccio, “sono tutte e due cose possibili”, certo è che “dobbiamo portare i ministeri a Milano e penso ne arriveranno due”.
Parole che dopo il disimpegno della prima fase della campagna elettorale fanno ora da prologo all’annuncio di una partecipazione in prima persona a sostegno di Letizia Moratti. “Sì, mi impegnerò contro Pisapia, perchè rischia di trasformare Milano in una zingaropoli”, ha affermato Bossi.
“Farò almeno un comizio”, ha precisato.
Il leader leghista è intervenuto anche sulle indiscrezioni sui possibili scenari futuri delal maggioranza. “Tremonti è molto amico di Berlusconi, non gli farebbe mai uno scherzo del genere, non accetterebbe”, ha sostenuto Bossi rispondendo alla domanda dei giornalisti se il ministro dell’Economia potrebbe sostuire Berlusconi nel ruolo di premier.
l clima all’interno del centrodestra resta comunque teso e la promessa di portare due ministeri da Roma a Milano sembra preludere a nuovi conflitti. L’annuncio di Bossi e Calderoli è stato subito bocciato come “telenovela” dal sindaco della capitale Gianni Alemanno.
“Ribadisco che sono pure balle – ha tagliato corto Alemanno – i ministeri da Roma non si muovono. La Lega può fare tutti gli annunci che vuole ma Roma è capitale secondo la Costituzione e tutti i ministeri e le agenzie che hanno sede a Roma non si spostano e il Pdl – e lo stesso premier – sono garanti di questa situazione”.
Intanto anche il settimanale cattolico Famiglia Cristiana esprime oggi tutta la sua indignazione per l’occupazione televisiva compiuta l’altra sera da Silvio Berlusconi. Ieri, scrive in un editoriale sul suo sito internet il periodico, “sono state scritte due brutte pagine: una da un primo ministro e proprietario di televisioni che si arroga prerogative inaccessibili agli avversari politici; l’altra da un giornalismo tv che non tiene dritta la schiena ma si genuflette”.
Se già  il titolo del commento rivela gli umori del giornale (“L’arroganza a reti unificate”), il testo scritto da Giorgio Vecchiato è ancora più duro.
Sulle “cinque interviste in un colpo solo” Vecchiato osserva che “è stato lui a imporle. Un primo pacchetto ai tre tg di mediaset, che sono cosa sua sebbene Berlusconi sostenga da sempre di non interessarsi alle sue aziende, almeno in prima persona.
Evidentemente ci sono altre persone cui basta ricevere una telefonata, pronte a obbedir tacendo. Poi i due maggiori tg della Rai, primo e secondo: e qui il discorso, già  parecchio delicato, ulteriormente si complica”.

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MOSCHEE E AREE DI SOSTA PER I ROM A MILANO? MA SE E’ STATO IL PDL AD APPROVARLE NEL PGT 2010, ORA FA FINTA DI NULLA?

Maggio 21st, 2011 Riccardo Fucile

SONO BEN 10 LE MOSCHEE SORTE A MILANO DA QUANDO GOVERNANO PDL E LEGA: CHI VOGLIONO PRENDERE PER I FONDELLI?…HANNO VOTATO UN ANNO FA UN EMENDAMENTO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA CHE HA INTRODOTTO GIUSTAMENTE i LUOGHI DI CULTO PER TUTTE LE RELIGIONI E ORA SPARANO AI PASSERI?

“Garanzia di luoghi di culto per tutte le religioni rappresentate in città , di ogni culto”.
L’impegno non è estrapolato dal programma di Giuliano Pisapia, che secondo la Lega in spolvero celodurista vorrebbe riempire Milano di minareti, ma dal Pgt firmato Letizia Moratti e approvato dalla maggioranza in Comune.
Che, con due emendamenti approvati dalla maggioranza nel giugno 2010, prevede la realizzazione delle moschee e anche “le aree di sosta per i nomadi”.
Il consigliere del Carroccio, Matteo Salvini, era assente alla votazione ufficialmente perchè impegnato nel suo incarico di europarlamentare o comunque non ha avuto il coraggio di esprimere il suo dissenso, squagliandosi.
Gli sarà  sfuggito il Pgt voluto dalla maggioranza di cui ha fatto parte per cinque anni, tanto da essersi guadagnato la poltrona di vicesindaco in caso di vittoria della Moratti.
Va detto: Salvini ha spesso criticato le decisioni della giunta, come su Ecopass.
Salvo però allinearsi allegramente.
“Ma ero da solo”, ripete.
Come se uno anche da solo non potesse votare contro.
In realtà  al momento l’unico confermato sarebbe ancora Salvini, con le 8913 preferenze, gli altri sei consiglieri di cui parla gli sono stati garantiti da Moratti: in caso di vittoria il premio di maggioranza sarà  spartito anche con il Carroccio.
Così Salvini si impegna in una campagna elettorale dagli antichi toni belligeranti che ricorda quella di dieci anni fa, quando i vari Borghezio giravano per Milano gridando “Bastoni a Palazzo Marino”.
Uno slogan studiato per il candidato consigliere Massimiliano Bastoni che però non ha mai avuto grande fortuna: lunedì ha conquistato appena 602 voti.
Ed è il secondo più votato dopo Salvini.
Visti i “risultati” è difficile immaginare che il Pdl sia disposto a lasciare posti in consiglio, considerato che 600 voti li ha presi il 31esimo candidato della lista. Ma in campagna elettorale è lecito dire di tutto.
Soprattutto se il candidato sindaco che si sponsorizza deve recuperare sette punti di distacco dall’avversario in due settimane.
Si spara su Pisapia. E sul suo programma.
“Trasformeranno Milano in una zingaropoli”, è l’accusa più gettonata.
Ma anche “Pisapia vuole costruire la moschea più grande d’Europa” piace molto, tanto che persino Silvio Berlusconi, nella maratona televisiva serale (cinque tg diversi: Studio Aperto, Tg4, Tg5, Tg1 e Tg2), lo dice: “La sinistra prevede la costruzione di una grande moschea”.
Ignorando però che a Milano di moschee ce ne sono già  dieci, abusive e non. Tutte sorte in questi anni in cui il comune è stato guidato proprio dal centrodestra.
Da viale Jenner a via Padova, poi Cascina Gobba, via Quaranta, via Stadera, via Meda e altre.
Luoghi di culto. Indispensabili in una città  che aspira a tornare a essere una metropoli europea, tanto che la giunta di Letizia Moratti ha dovuto far fronte al problema e ha inserito nel Pgt la “garanzia di costruire luoghi di culto per tutte le religioni rappresentate in città ”.
Approvato dal consiglio.
Così come approvati dalla maggioranza due emendamenti al testo che hanno specificato come la garanzia è “per ogni culto”.
Così a Milano oggi è riconosciuto il diritto per tutte le religioni di richiedere aree dove poter realizzare i propri luoghi di culto.
Un Pgt fortemente voluto da Carlo Masseroli, assessore ciellino della giunta morattiana. In pieno accordo con il sindaco e con la maggioranza.
Eppure i manifesti della Lega recitano “Milano zingaropoli con Pisapia, più campi nomadi e la più grande moschea d’Europa”.
Il candidato del centrosinistra ovviamente smentisce e smaschera per primo il giochino della maggioranza: “Mi accusano di voler prevedere una struttura multiculturale e multietnica dicendo che comporterebbe decine di moschee, la zingaropoli; ma dovrebbero considerare quanta credibilità  ha questa affermazione. Bossi e tanti elettori della Lega non sanno che il centro multiculturale è già  previsto dal piano di governo del territorio approvato dal centrodestra”.
Nel dettaglio entra Pierfrancesco Maran, consigliere uscente del Pd e riconfermato con 3530 preferenze. “In occasione dell’adozione del Pgt, nel luglio del 2010, il consiglio con una votazione bipartisan aveva introdotto le innovazioni sul diritto ai luoghi di culto. E, sempre il consiglio comunale, a maggioranza, questa volta con il solo voto del centrodestra e di Letizia Moratti, aveva poi approvato l’intero Piano. Se Letizia Moratti ha cambiato idea deve proporre una modifica, cioè una variazione, del suo Pgt, intervenendo contro se stessa”.
La Lega fa finta di nulla.
Igor Iezzi, segretario provinciale e candidato consigliere comunale sconfitto con appena 363 voti, ribatte che il Pgt “è stato approvato in Consiglio comunale senza il nostro voto”.
Il determinante voto leghista?
Se ci fosse stato l’eurodeputato Salvini il Pgt mica sarebbe stato approvato.
Il pallista non ha neanche avuto il coraggio di essere presente e votare contro, figurarsi…

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CHI FORNISCE AL PREMIER LE STORIELLE DA OSTERIA CHE POI LUI RACCONTA IN GIRO? GIORGIO STRACQUADANIO

Maggio 21st, 2011 Riccardo Fucile

GRAZIE A QUESTO RUOLO DI BARZELLETTIERE STA SALENDO NELLE PREFERENZE DEL PREMIER, NOTO UTILIZZATORE FINALE… PETTINATURA DA PARROCO E BLAZER DA YACHTMAN SEMBRA ARRIVATO DA “LA SAI L’ULTIMA?” DIRETTAMENTE A MONTECITORIO

Il gioviale Giorgio Stracquadanio deputatissimo Pdl è un collezionista e questo non depone granchè: spesso i collezionisti sono vittime di ossessioni. Stracquadanio, però, ha occupato una postazione fino a poco fa inedita: quella di porta-barzellette, nel senso che le va raccogliendo.
Non per se stesso, ma per interposta persona.
L’utilizzatore finale è lui, il grande Capo Silvio.
Non che il premier l’abbia mai investito ufficialmente dell’incarico, ma la cosa è nota negli ambienti che contano (quelli dei barzellettieri): il prestigioso incarico Stracquadanio, à§a va sans dire, se lo è straguadagnato.
Ora il ridanciano deputato, pettinatura da parroco, guardaroba da yachtman, blazer marinari, oro da tutti i bottoni (giusto: a Montecitorio non si passeggia forse in Transatlantico?) è incappato in una nuova gustosa storiella.
Che gioia per Berlusconi, Stracquadanio dovrebbe essere una Pasqua! Invece, tentenna dopo l’indignazione suscitata dall’elegante barzelletta sulla mela (al sapor di… abbiamo tutti saputo di cosa) di cui è l’orgoglioso fornitore. La neo gag, a quanto pare, sarebbe terribile e quindi il Cavaliere ne andrebbe ghiotto, pronto a raccontarla pure in Consiglio europeo.
Rispetto a questa, la mela e dintorni sarebbe quasi adatta a Biancaneve, esperta del ramo, nel senso del frutto.
Il potere ha sempre creato nuovi mestieri e nuove mansioni.
Il Cavaliere gran raccontatore e inventore della militanza della barzelletta ha bisogno di un fornitore di materia prima e fresca.
Un tempo, quando la politica non era show, c’erano figure più arcaiche.
C’era lo spazzolatore di forfora (accompagnava il doge bianco Carlo Bernini). Il giocatore di spizzichino (variante del tresette caro a Ciriaco De Mita). Il segretario sommelier (Enrico Manca andava pazzo per il bicchierino di porto). Oggi Raffaele Lombardo, governatore della Sicilia con psicosi dell’avvelenamento, gira con l’assaggiatore, manco fosse un Borgia, una maharani, o Alì Babà .
Il porta-barzellette è ruolo nuovo e di spicco nella filologia comunicativa del Cavaliere, uomo di spettacolo e avanspettacolo, prima di tutto.
E gli argomenti delle barzellette esprimono bene le metamorfosi e le evoluzioni del rapporto con la pancia del suo popolo, con le istituzioni, con la percezione di poter alzare il tiro. In principio, il filone preferito era napoleonico.
Poi, dalle storielle in cui Dio era suo vice e Gianni Letta girava il mondo per mausolei e santi sepolcri all’altezza, lui risorgeva e via così con miracoli di ogni tipo – altro che padre Pio – si è arrivati al simpatico genere da osteria.
Ora Stracquadanio vive in uno stato di beatitudine.
Dopo una performance in cui ha dato in escandescenze ad “Annozero” ma che secondo lui ha spezzato il gioco di Santoro (prima di andarci, ha studiato tutte le puntate precedenti), ha ricevuto una telefonata di Berlusconi: “Sei stato bravissimo”, gli ha detto.
Per paura di spezzare l’incanto in cui si trova, esita, dopo il fattaccio della mela, a riportare al premier la nuova scabrosissima barzelletta.
L’ha sottoposta come test a varie persone: ululando lo hanno pregato di interrompere il racconto: “E’ quasi da crisi di governo”.
Il barzellettiere di gran rango deve anche saper usare il pudore preventivo.

Denise Pardo
(da “L’Espresso“)

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MUOIA SANSONE MA CHE FANNO I FILISTEI?

Maggio 21st, 2011 Riccardo Fucile

LO SMARRIMENTO DELLA DESTRA…. LE ANALOGIE TRA LA VITTORIA DI FINI AL PRIMO TURNO A ROMA NEL 1993 E QUELLA ATTUALE DI PISAPIA A MILANO…LA CERTIFICAZIONE DELLA DISPERAZIONE DI CHI METTE IN ATTO LA CACCIA ALLE STREGHE

Lo stato confusionale in cui è precipitato il centrodestra dopo la vittoria di Pisapia a Milano, ex Berluscoland, è del tutto comprensibile, così come l’afasia del Cavaliere.
Meno logico lo smarrimento della destra dentro e fuori al Pdl, perchè la destra un evento così lo ha già  visto e dovrebbe essere capace di riconoscerlo. Successe nel ’93.
Allora l’outsider che stupì tutti con il successo al primo turno era Gianfranco Fini. E il potere che si sgretolò tra il primo e il secondo turno a Roma fu quello della Democrazia cristiana, assai più antico e radicato di quello del patron del Milan.
In molti hanno rimosso il fatto che il famoso endorsement berlusconiano in favore di Fini arrivò dopo la vittoria al primo turno, quando un Cavaliere sicuramente più giovane e intuitivo fiutò l’aria di disfacimento della Balena Bianca.
Le stesse, identiche accuse su cui oggi il Pdl imbastisce la sua campagna contro Pisapia — amico dei violenti e dei centri sociali, ex-estremista convertito al doppiopetto — erano all’epoca rivolte ai missini, giudicati dal sistema di potere del tutto impresentabili in un contesto democratico.
E lo stesso slogan che oggi i milanesi hanno visto su tutti i muri sopra al simbolo del Pdl (“Non lasciamo la nostra città  in mano alla sinistra”) all’epoca impiastrava la Capitale, tale e quale ma rovesciato di segno: “Non lasciamo la nostra città  in mano alla destra”.
Oggi come ieri, una strategia risibile e di retroguardia, che anzichè creare improbabili mobilitazioni contro i “nuovi barbari” certifica la disperazione di chi l’ha messa in atto.
E allora è davvero singolare che la destra non riconosca il dèjà  vu che si sta dipanando sotto i suoi occhi.
Possibile che i La Russa, gli Alemanno, gli Storace, i Matteoli, i Ronchi, che quella stagione l’hanno vissuta da protagonisti, non ne annusino la simmetria con l’attuale?
Possibile che non vedano le analogie tra il crollo dell’impero democristiano e la rapidissima decadenza del berlusconismo?
Possibile che gli sfugga la nemesi del “fuori casta” Giuliano Pisapia arrivato a chiudere il ciclo dell’ex fuori casta Silvio Berlusconi?
Al di là  degli esiti del ballottaggio, c’è una frana sociale e culturale mai evidente come adesso, che passa persino per gli ascolti televisivi, uno dei termometri più osservati in questi anni di videocrazia: il crollo del tg di Minzolini, lo scarso successo della striscia di Ferrara, il disastro del programma di Sgarbi ci dicono che il milieu berlusconiano ha smesso di essere attrattivo persino per l’elettorato che ancora segue il Cavaliere.
Non ascoltano, non guardano, non sentono?
Forse è vero, come ha scritto ieri Marco Tarchi sul Foglio, che il limite di Gianfranco Fini e dei finiani in questa fase è “non saper accoppiare la spregiudicatezza tattica e il senso dell’opportunità , che per un politico di professione sono doti importanti, alla sagacia strategica”.
Ma il resto della destra, quella che da mesi immagina una “fase due” del Cavaliere fondata a turno sul miraggio delle riforme economiche o del rilancio delle grandi opere, sui Responsabili o sulla riconquista del voto cattolico tramite il testamento biologico comincia a somigliare alle classi dirigenti scudocrociate che nei primi otto mesi del ’93 credevano di tenere insieme la baracca dando pieni poteri a Mino Martinazzoli, rilanciando la polemica anticomunista e alzando i toni contro i complotti della magistratura.
Insomma, il berlusconismo “muore democristiano” trascinando con sè chi avrebbe in teoria la sensibilità  e gli anticorpi per capire ciò che sta accadendo, con due significative differenze rispetto al ’93.
La prima è che nè da Casalecchio di Reno nè da altri centri commerciali arriveranno endorsement “rivoluzionari” a suggerire possibili soluzioni alla crisi.
La seconda è che non si potrà  rubricare questo finale di stagione sotto la voce del “golpe giudiziario”, come si è fatto venticinque anni fa azzerando l’analisi sul fallimento della Prima Repubblica in favore della sbrigativa lettura sulla “manovra dei pm”, visto che stavolta sono stati gli elettori a punire con un verdetto chiarissimo un sistema di potere orgogliosamente impermeabile ai cosiddetti attacchi della magistratura.
Così, a differenza che in passato, toccherà  alla politica immaginare e costruire i nuovi scenari, ammesso che ne sia ancora capace dopo un ventennio di animazione sospesa.
Incrociamo le dita.

Flavia Perina

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SCIPPO AGLI AQUILANI: SPARITI I FONDI PER LA FERROVIA

Maggio 21st, 2011 Riccardo Fucile

SI PAGANO LE PROMESSE ELETTORALI DI CHIODI… I CITTADINI ABBANDONATI NELLE NEW TOWN… SU 100 MILIONI STANZIATI, BEN 75 SONO STATI STORNATI PER ALTRE DESTINAZIONI

Oplà . Con 38 righe scritte in gergo ministerial-burocratese vengono scippati a L’Aquila 75 milioni di euro.
Un po’ meno di 2 milioni a riga. Un bel colpo, non c’è che dire.
Proprio nello stesso momento in cui Angelo Zampolini della cricca del costruttore Diego Anemone, patteggia a Perugia 11 mesi di reclusione per faccende legate ai lavori per i Grandi eventi, compreso il G8 nella città  del terremoto.
Quei 75 milioni dovevano servire a trasformare in una metropolitana di superficie la vecchia ferrovia che attraversa le zone colpite dal sisma. Un’opera nuova innestata su un impianto antico, che avrebbe dovuto decongestionare L’Aquila dal traffico di auto e camion che dopo il disastro sembra moltiplicato per dieci e togliere dall’isolamento migliaia di persone confinate nelle new town.
Cioè gli abitanti dei nuovi quartieri del progetto
Case che si stanno rapidamente trasformando in enormi e tristi reclusori, difficili da raggiungere, con bus che passano a cadenza di ore, quando va bene. E invece quei soldi prenderanno altre direzioni.
Lo scippo è riassunto in un “appuntino” passato al sindaco della città , Massimo Cialente, da Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, abruzzese a cui piace presentarsi come una specie di tutor della ricostruzione.
Il titolo della nota sarebbe incoraggiante: “Interventi sulle reti ferroviarie dell’Abruzzo funzionali alla ricostruzione e allo sviluppo post-terremoto”.
Sotto ci sono le 38 righe di testo, appunto, concordate dallo stesso Letta con l’amministratore delle Ferrovie, Mauro Moretti, e il presidente Pdl della Regione, Gianni Chiodi, che è anche commissario per la ricostruzione.       Basta poco per scoprire il trucco: il finanziamento di 100 milioni presentato come “funzionale alla ricostruzione”, in realtà  è una sottrazione secca di fondi per la città  del terremoto.
Cinquanta di quei 100 milioni vengono utilizzati per l’elettrificazione della tratta Sulmona-Guidonia, linea che con la zona colpita dal sisma c’entra poco o niente, ma per il cui ammodernamento si era speso in campagna elettorale il futuro governatore.
Altri 25 milioni vanno alle tratte Pescara-Sulmona e Sulmona-L’Aquila, binari di nuovo al di fuori delle aree colpite.
In totale fanno 75 milioni.
Per i binari che attraversano davvero le zone disastrate e lambiscono le new town, cioè la linea Sulmona-L’Aquila-Terni, ci sono solo 25 milioni.
Soldi che bastano appena per eliminare tre o quattro passaggi a livello tra Sassa e San Demetrio, ma assolutamente insufficienti per il progetto complessivo della metropolitana leggera.
Raccontano che Letta fosse raggiante al momento della consegna del foglietto al sindaco de L’Aquila, come stesse annunciando un evento memorabile, tanto che i destinatari della nota si domandano ancora se il sottosegretario fosse o no consapevole del gioco di prestigio oppure se stesse bluffando tout court.
Di certo non l’hanno presa bene.
“Il decreto per l’Abruzzo poi convertito in legge destinava 100 milioni di euro alla linea ferroviaria che attraversa le aree del cratere e invece ce ne danno un quarto. È uno scandalo e una presa in giro. Giocano senza vergogna sulla tragedia del terremoto. E magari vorrebbero anche essere ringraziati”.
Il sindaco Cialente ha chiesto subito a Letta di bloccare tutto.
Gli atti parlano chiaro, a partire proprio dal decreto legge del 28 aprile 2009, 22 giorni dopo il terremoto, che individuava gli “interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici”.
All’articolo 4 si stabiliva uno stanziamento di 100 milioni di euro “nell’ambito dell’aggiornamento per l’anno 2009 del contratto di programma Rete ferroviaria italiana (Rfi) 2007-2011”.
In premessa, l’articolo 1 dello stesso decreto stabiliva in modo chiarissimo che i quattrini dovevano andare “esclusivamente ai comuni interessati dagli eventi sismici”.
I tecnici della Provincia avevano elaborato un progetto per i circa 60 chilometri di binari delle aree del terremoto, un piano che prevedeva la metropolitana leggera da realizzare con l’elettrificazione della linea, l’eliminazione di 25 passaggi a livello, la costruzione di parcheggi di scambio per le auto dei viaggiatori.
L’idea era piaciuta e il comune de L’Aquila e la Provincia avevano chiesto i finanziamenti.
Guido Bertolaso, allora ancora capo della Protezione civile impegnato per la ricostruzione, si innamorò del piano fino ad appropriarsene e a presentarlo al presidente della Repubblica con una copertina nuova, con bene in vista il logo della presidenza del Consiglio.
Per la ferrovia-metropolitana de L’Aquila sembrava fatta.
Mancavano solo i soldi, i 100 milioni di euro richiesti, appunto.
Dopo l’entusiasmo iniziale, sullo stanziamento cadde però il silenzio.
Fino a pochi giorni fa, quando Letta si è presentato a L’Aquila raggiante con l’“appuntino” dello scippo. Il governatore Chiodi gli ha dato manforte con una dichiarazione che sembra una beffa: “A L’Aquila quei quattrini non servivano”.

Daniele Martin
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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