Maggio 22nd, 2011 Riccardo Fucile LA LETTERA DELL’AMICA PAOLA DEL GUERCIO: DALLA DIFESA DELL’OSPEDALE AL PINOTTI DAY, SEMPRE IN PRIMA LINEA NELLA TUTELA DEI PIU’ DEBOLI….LA BEFFA FUTURISTA ALLA SENATRICE PD HA SPIAZZATO LA NOMENKLATURA: E I GENOVESI LA SOMMERGONO DI SOLIDARIETA’ CONTRO L’ARROGANZA DELLA CASTA
Sono una giornalista e da oltre trent’anni mi occupo di volontariato, di ragazze madri, di bambini e di persone con gravi disagi sociali, sempre esponendomi in prima persona, portando di notte d’inverno coperte ai barboni con associazioni conosciute e a volte anche partecipando economicamente senza ricevere finanziamenti da nessuno.
Le problematiche sociali che ritengo ingiuste, come la chiusura dell’ospedale di Recco che ha lasciato completamente scoperto il Levante cittadino da ogni assistenza medica, mi spingono a protestare in maniera convinta, vivace ed attiva.
La mia protesta nei confronti della senatrice Pinotti è fondamentalmente legata alla denuncia di un atteggiamento politico da parte di chi si rivolge a queste fasce sociali unicamente per raccogliere voti mentre, pur nella libertà di comportamento della propria vita privata,dimostra la propria personale incongruenza “tra il dire e il fare”.
La protesta organizzata da Fli non è stata certo “becera e disgustosa”, come affermato dall’ex sindaco di Recco, Bucilli: forse gli riesce difficile immedesimarsi nelle esigenze di tante persone indigenti che non riescono ad arrivare a fine mese, preferendo frequentare e difendere eventi mondani?
Sono problemi suoi.
Nella splendida cornice di Villa Rosetta, Futuro e Libertà si è semplicemente attestata fuori dal cancello con dieci persone disagiate: con la loro silenziosa presenza hanno voluto rappresentare e ricordare alla classe dirigente della Sinistra genovese e ai loro salotti buoni che esistono disoccupati, ragazze madri, senza tetto, giovani che tentano il recupero dalla tossicodipendenza dopo aver conosciuto il carcere minorile.
Problemi di cui le Istituzioni e tutti i partiti dovrebbero occuparsi nel concreto, non solo evocarli quando fanno passerelle in Tv.
E che dovrebbero indurre ad avere coerenza tra le posizioni politiche espresse e la gestione di una festa che era sì privata in quanto ad invitati, ma resa di dominio pubblico dagli stessi organizzatori, visto gli inviti alla stampa e i fini politici che si sarebbe prefissa.
Forse a qualcuno da’ fastidio che stia emergendo una destra sociale, attenta alle esigenze dei cittadini, vicina agli “ultimi” e non alla Casta, una destra movimentista e futurista che abbatte steccati e si distingua dai bolsi politicanti.
Il giorno dopo mi sono commossa per le centinaia di persone che hanno voluto ringraziare Fli per questa iniziativa, sommergendomi di sms, fermandomi per strada, telefonandomi e pregandoci di andare avanti perchè “questa è la destra che vogliamo”.
Tranquilli, siamo solo all’inizio.
Paola Del Guercio
politiche sociali FLI
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Maggio 22nd, 2011 Riccardo Fucile NEANCHE IL PD GENOVESE DIFENDE IL PINOTTI PARTY, CI PENSA IL BERLUSCONES LUSSANA, GRAN STRATEGA POLITICO (INFATTI A GENOVA IL PDL HA SEMPRE PERSO) ED ESPERTO GASTRONOMO
Peccato che l’edizione genovese de “Il Giornale”, che comprende qualche paginetta locale, oltre
a quelle nazionali, la leggano in pochi.
Se qualche politologo o esperto in comunicazione la analizzasse per almeno una settimana (di più sinceramente non avremmo il coraggio di chiedergli, come sacrificio rituale) potrebbe facilmente comprendere come mai Genova, a differenza di Bologna o di altre città dell’Emilia, della Toscana “rossa”o del Piemonte, vede il centrodestra in minoranza da decenni.
Il fatto stesso che il quotidiano diretto dal sig. Santanchè venda a Genova, nell’edizione del lunedì, giorno in cui è privo della cronaca locale, le stesse copie degli altri giorni, testimonia che i non certo numerosi lettori lo acquistano indipendentemente dalla sue pagine locali.
Che ci siano o meno, sarebbe la stessa cosa probabilmente. Il che non depone a favore della sua efficacia.
E qua sbagliano: perchè leggere soprattutto gli editoriali del caporedattore locale, Massimiliano Lussana, è estremamente interessante ed educativo, guai se non ci illuminasse ogni giorno con la sua visione strategica su come deve essere la destra genovese: perbene, berlusconiana e gastronomica.
Ovviamente da quando Fini è passato all’opposizione, la lista dei buoni è diminuita, mentre è aumentata quella dei politici da attaccare.
Ma Lussana è notoriamente uomo di mondo, ama avere buoni rapporti con (quasi) tutti e soprattutto con la sinistra locale, si compiace delle congratulazioni e dei riconoscimenti che gli vengono dai notabili del Pd.
Ogni tanto fa finta di litigare salvo poi riconciliarsi a tavola.
E’ cosi che volano via antipatie, contrasti e magari anche querele.
E a Lussana non poteva sfuggire la vicenda “No Pinotti, no party” e prendere due tramezzini con una fava: essere invitato dalla Pinotti al party e usufruire pertanto del servizio di lusso e bastonare i finiani che contestano la senatrice Pd per una festa sopra le righe, in un periodo di grave crisi occupazionale ed economica, in cui tante famiglie non arrivano a fine mese.
Scrive Lussana: “chi ha aderito in buona fede a Fli non poteva mai pensare che la sua forza moderata fosse arruolata per distribuire volantini contro un compleanno privato, pagato con soldi privati. Roba che nemmeno ai tempi delle contestazioni sessantottine sarebbe accaduta”.
Oddio che scandalo, madame…
Abituato a giustificare una destra che rincorre da venti anni i soliti beceri temi dei rom e degli immigrati, ad enfatizzare minuzie e quisquilie, a costui giunge forse difficile comprendere che un personaggio politico ha una veste pubblica quando vuole dare al suo compleanno una immagine mediatica?
Si informi Lussana sul motivo per cui è stata data pubblicità alla festa, con relativa lista di invitati e cornice di lusso.
Se Lussana ha ritenuto di ricamarci sopra solo ora, il motivo è un altro: si è reso conto che l’iniziativa ha avuto un impatto molto forte nell’opinione pubblica cittadina (e lo testimoniano le centinaia di persone che hanno espresso solidarietà a Fli).
Lussana evita così di dire due cose che la sua sensibilità giornalistica ha certamente captato: le critiche feroci che sono salite dalla base Pd , spiazzata di fronte all’immagine pubblica di una casta di sinistra che affitta location di lusso e da una destra sociale che contrappone precarie, disoccupate, emerginate, ragazze madri.
La seconda cosa è che la base Pdl sta con Fli in questa battaglia: si informi Lussana su quanti e qualificati esponenti del Pdl (e di partiti di sinistra) hanno sostenuto questa “beffa futurista”, congratulandosi in privato con gli organizzatori.
Ecco allora il motivo del patetico tentativo de Il Giornale di difendere la Pd Pinotti: “è stata una serata gradevole, molto sobria, senza eccessi e soprattutto lontanissima da sprechi e lussi. Certo, una magnum di spumante c’era ( una sola per 300 invitati? n.d.r.). Certo, la torta ai frutti di bosco era grande. Certo, le focacce al formaggio non sono mancate. Certo, prosciutti, formaggi e sfiziosità abbondavano” scrive Lussana.
Si dimentica magari di scrivere quanti fossero realmente gli invitati, quanti gli uomini della sicurezza privata ingaggiati, come fosse esclusiva la location….
Ma si spinge a garantire: “tranne che Roberta sia stata malignamente truffata dai signori del catering, che abbia speso trentamila euro per la festa è assolutamente impossibile”.
Poi pero ci ripensa :.”anche se ne avesse speso trecentomila o tre milioni di euro, non sarebbe questo il punto. Il punto centrale è che trovo sacrosanto scandalizzarsi per lo spreco di soldi pubblici, non per come uno usa i suoi, di soldi”
Infatti, Lussana, ognuno i suoi soldi li spende come crede.
Ma con che coerenza va poi in Tv a dire di voler rappresentare le precarie, le disoccupate, le famiglie in difficoltà ?
Come fa a dichiarare che qualsiasi famiglia con due stipendi avrebbe potuto permettersi una festa del genere?
Forse lei, che ha un stipendio da 15.000 euro al mese, con un marito direttore generale della Asl, non certo quelle di impiegati, operai e pensionati.
Chi si candida a sindaco deve avere una veste pubblica adeguata: se una
voleva che la sua festa rimanesse privata, perchè ha invitato i direttori dei quotidiani genovesi?
Perchè la cosa rimanesse riservata?
Ma ci faccia il piacere, direbbe Totò.
Alla festa della Pinotti la senatrice ha potuto scegliere tra 14 diversi tipi di divise da far indossare nell’occasione al personale di sala.
Che abbia chiesto il parere tecnico a qualche giornalista che di camerieri e di servizi se ne intende?
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Maggio 22nd, 2011 Riccardo Fucile DOPO LA SCONFITTA AL PRIMO TURNO LA MORATTI HA MESSO SUL TAVOLO UN ALTRO MILIONE DI EURO PER LA RIMONTA…IL DETTAGLIO DEL DILUVIO DI QUATTRINI INVESTITI PER LA RICONFERMA A SINDACO, TRA FESTE, MANIFESTI, BANCHETTI, APPOGGIO ALLE LISTE COLLEGATE, SPAZI PUBBLICITARI
Cinque anni fa, per il suo debutto come candidata sindaco, Letizia Brichetto Arnaboldi dichiarò di aver speso, per la campagna elettorale, 3.642.900 euro. Una cifra più alta, invece, risultò tra le “erogazioni liberali” a partiti e enti depositate alla Camera: Gianmarco Moratti aveva donato 6.335.000 euro al comitato elettorale della moglie.
Quelle cifre, per quanto milionarie, oggi scolorano.
Soltanto in fatture ufficiali, entro lunedì prossimo, i Moratti e il Pdl avranno speso oltre quindici milioni.
Inutile fare calcoli, pensare cosa si potrebbe comprare con tutti quei soldi: finora non sono serviti ad assicurare la vittoria al primo turno.
Bilanci depositati alla mano, la seconda campagna elettorale di Letizia Moratti è già costata 7 milioni e mezzo, al netto del milione in più che si presume stia spendendo in questi giorni di feroce rincorsa del suo avversario Giuliano Pisapia. Il Pdl, partito di cui la Moratti ha preso la tessera, non è da meno: nel bilancio preventivo depositato per legge all’Albo pretorio, il partito ha dichiarato 3 milioni di spesa.
In più, per non sbagliare, ha aggiunto anche 500mila euro per la campagna elettorale nei consigli di zona cittadini: nove zone, 4.500.000 euro.
Soldi sprecati, si potrebbe dire: perchè il centrodestra ha perso in tutte le circoscrizioni.
Costa organizzare cene elettorali, inondare la città di maxi manifesti, comprare i gazebo con schermi al plasma e biliardini.
Nel preventivo – la Moratti l’ha depositato solo dopo Pisapia che, con l’intera coalizione, non superava il milione e mezzo – per la «produzione, l’acquisto o l’affitto di materiale e mezzi di propaganda» è iscritta la spesa di un milione.
Altri due sono serviti per distribuire questo materiale e per comprare spazi su radio, tv, giornali, cinema, teatri.
Con un milione e 350mila euro è stato pagato il «personale utilizzato e ogni prestazione o servizio inerente alla campagna»: dai comunicatori agli pseudo-volontari per i gazebo.
Letizia – anzi, Gianmarco – non ha però solo pagato la sua campagna elettorale di 4 milioni e mezzo ufficiali.
Ha pagato una cena elettorale per mille donne e ha finanziato le tre liste civiche che l’hanno sostenuta, con risultati in gran parte deludenti.
I “Giovani per Expo” hanno preventivato una spesa (che dovrà poi essere ritirata, fra un mese, con le fatture reali) di 970mila euro: la lista ha preso 1208 voti, come dire che convincere ogni elettore è costato 803 euro.
Fuori da queste cifre, per ammissione della stessa Moratti, è il libro patinato inviato a 600mila famiglie sui “Cento progetti realizzati” dalla giunta.
La tesoreria del Pdl, invece, dovrà saldare il conto della festa di fine campagna di otto giorni fa: 180mila euro per riempire via Dante di tavolate di cibo e bevande, con concerto di Ron, Meneguzzi e Scanu.
Ma tutto questo, come si è visto, non è bastato.
Ora servono nuovi sforzi. E nuovi, massicci investimenti.
Dopo il divorzio consensuale con la Sec, società di comunicazione vicina a Cl che non aveva condiviso la strategia della Moratti di accusare con falsità Pisapia, la Moratti ha rivoluto accanto a sè un vecchio amico, Paolo Glisenti (e il suo braccio destro Roberto Pesenti): per lui, si dice, niente assegno milionario, ma la promessa – visto che, comunque, la Moratti resta commissario di Expo – di un ritorno nel board dell’evento da cui si dovette dimettere per le troppe polemiche anche legate al suo presunto stipendio di 750mila euro l’anno (come consulente della Moratti in Comune, ha invece di certo preso di soldi pubblici 472.200 euro in tre anni).
Con un congedo dal suo incarico in Amsa è arrivato – e non gratis – per occuparsi del web un altro ex uomo della Moratti, Filippo De Bortoli.
Sta partendo, poi, la nuova tranche di affissioni, volantini, spot, che costerà all’incirca mezzo milione.
E per tentare di riempire le piazze – visti i precedenti poco lusinghieri – si cercano artisti disposti a mettere la faccia (a pagamento, s’intende) per concerti pro-Moratti.
Tre eventi con contorno di gadget e buffet, in tre periferie.
Costo stimato: 100, 150mila euro per ognuno.
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Maggio 22nd, 2011 Riccardo Fucile L’ASSEMBLEA NAZIONALE DEI FINIANI HA DIMOSTRATO CHE URSO E RONCHI RAPPRESENTANO SOLO SE STESSI…ORA RINVIANO IL RITORNO AL PDL PERCHE’ NON SANNO SE BERLUSCONI E’ ANCORA IN GRADO DI GARANTIRE LORO QUALCOSA E PER QUANTO TEMPO
Fuori il ‘pornoberlusconi’ dal centrodestra. 
E, soprattutto, ben venga — rapidamente, s’intende — la fine del Cavaliere.
È tutta colpa sua, del “grande inquinatore del centrodestra italiano”, dell’uomo che “disdegna la legalità alleandosi con una forza antinazionale come la Lega” e soprattutto, “che appoggia a Napoli un uomo di Cosentino inseguito dalla Procura per fatti di camorra” se la legislatura sta tramontando — e male — anzi — tempo.
Certo, ammette Fini, qualche errore è stato commesso, “ma io rivendico la strategia di un percorso avviato quando eravamo ancora nel Pdl e lo rialzerei anche oggi quel famoso dito; errori sì, ma la strategia era giusta.
C’è l’estremismo alla base del Pdl e della Lega; dietro Lettieri c’è l’ombra di Cosentino, non si può votare. Comunque, Berlusconi ha perso ma il governo arriverà alla fine della legislatura”.
Una triste considerazione che mal si concilia con un popolo finiano determinato a far fuori il Cavaliere e a costituirsi al più presto come forza politica “di governo”.
Che, però arranca e rischia di perdere ancora pezzi.
Ma respira la prospettiva di “una nuova primavera che avanza” e sente — almeno a detta di un Carmelo Briguglio in grande spolvero — che “la terza Repubblica è vicina e noi ci candidiamo a governarla”.
E se, per arrivare a questo più che ambizioso traguardo ci si dovrà turare il naso e votare i candidati di sinistra contro Berlusconi, ebbene si faccia: “Come si fa — si è chiesto, impunito, Gianmario Mariniello di Generazione Italia — a superare il berlusconismo votando i candidati di Berlusconi?”.
Già .
Ecco allora che dietro quelle “mani libere” ai prossimi ballottaggi, strategia peraltro già annunciata qualche giorno fa, ma ratificata ufficialmente dall’assemblea nazionale, si cela un disegno che punta dritto al cuore del Cavaliere; votare e far votare per Pisapia e De Magistris.
Insomma, Milano e Napoli valgon bene un voto al centrosinistra.
Berlusconi — è stato l’invito del capogruppo Benedetto Della Vedova — si dedichi alle sue passioni senili e lasci la politica”.
“Se avessi parenti a Milano — è stato il passaggio di Nino Strano, quello che festeggiò a mortadella e champagne la caduta del governo Prodi — mi verrebbe troppo difficile dir loro di votare Moratti”.
Perfino lui.
Che ha sdoganato Pisapia benedicendo persino la pazza idea “di trasformare Milano in capitale del turismo gay; San Francisco ne ha beneficiato, in fondo…”.
La linea è chiara. Perchè, incita Italo Bocchino sempre più a suo agio nei panni dell’incendiario, “Fli non farà mai la ruota di scorta del berlusconismo!”. Qualcuno, invece, ancora ci pensa. E medita di fare le valigie.
Doveva essere il gran giorno dell’addio di Adolfo Urso e Andrea Ronchi, il primo lusingato da fin troppo tempo dalle invitanti pressioni di La Russa e Gasparri, il secondo con tanta voglia di andarsene per una pruriginosa storia personale ancora non risolta e, comunque, in vista di un lauto compenso garantito da Berlusconi.
Già : ma Berlusconi è ancora in grado di garantire qualcosa?
E, semmai perdesse Milano, quale sarebbe la prospettiva di un doloroso ritorno a casa?
Ecco, ieri all’assemblea nazionale di Fli, residence di Ripetta stracolmo di tutto il gotha dei “neri” di un tempo, Urso e Ronchi sono rimasti tutto il tempo immobili tra la platea inneggiante le tonanti parole di Italo Bocchino sotto lo sguardo compiaciuto di un silente Gianfranco Fini.
Nessuna presa di posizione ufficiale, solo un “non ora ” come risposta alla ripetuta richiesta di fare una scelta definitiva e, soprattutto, apparentemente impermeabili alle critiche feroci che più che un oratore gli ha sparato addosso: “Stiamo sempre a parlare di falchi e colombe — ha ironizzato Fabio Granata — ma almeno chiudiamo una categoria, quella dei piccioni viaggiatori che vanno di qua e di là ”.
Solo al momento del voto della relazione di Italo Bocchino, Urso e Ronchi hanno lasciato la sala, saettati da sguardi torvi e da qualche fischio sommesso.
Se il Cavaliere non perderà Milano, subito dopo i ballottaggi, i due finiani lasceranno senza dubbio Fli, ma fino a quel momento Bocchino potrà parlare di “partito unito, pronto a essere determinante alle prossime elezioni; sconfitto Berlusconi a Milano, avremo una prateria davanti”.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 22nd, 2011 Riccardo Fucile ORA ANCHE IL BANCHIERE PONZELLINI PRENDE LE DISTANZE DAL CARROCCIO IN CRISI DI IDENTITA’: “MAI VOTATO LEGA”…. ESASPERANDO IL CONFLITTO SOCIALE IN DIVERSI QUARTIERI POPOLARI, LA LEGA HA FINITO DI PAGARNE LO SCOTTO PROPRIO IN QUELLE ZONE… LA EVIDENTE INADEGUATEZZA DELLA SUA CLASSE DIRIGENTE
La notizia, a Milano, è che la Lega non sta facendo la campagna elettorale per il ballottaggio.
Deve essere altrove, ma dove?
I big si danno appuntamento nel fortino di via Bellerio, raggiungibile da Varese e Bergamo con la tangenziale nord, senza metter piede nella metropoli contesa dove nessuno di loro peraltro ha casa.
Zero comparsate televisive. Zero comizi programmati.
Solo cinque giorni dopo la breccia di Pisapia, il Carroccio fa atto di presenza appiccicando in giro dei manifesti-spauracchio su un’inverosimile Zingaropoli. Già gli appuntamenti centrali del 29 aprile e del 13 maggio scorsi, con un Bossi in tono minore e una Moratti in camicetta verde seta, avevano richiamato un pubblico inequivocabilmente scarso; confermando l’impressione che la reconquista di Palazzo Marino non fosse in cima alle aspirazioni del capo leghista.
Come spiegare altrimenti la testa di lista rinunciataria affidata a un giovane come Matteo Salvini, certo popolare fra gli ascoltatori di “Radio Padania” per le sue sparate contro i rom “peggio dei topi”, ma ben lontano da un profilo amministrativo, di governo?
Vero è che dai tempi lontani di Marco Formentini (sindaco) e di Giancarlo Pagliarini (ministro del Bilancio) Milano non ha più avuto un dirigente leghista di rilievo nazionale.
Proprio quest’ultimo, il vecchio Paglia, quando ha capito che Bossi accodaval a Lega alla Moratti, gli ha fatto il dispetto di candidarsi sindaco con una lista autonoma.
E ora, dopo aver goduto del voto disgiunto di almeno un migliaio di elettori leghisti, per il ballottaggio dice di aver già deciso: “La Moratti non è mica adatta a fare il sindaco”.
Se i big restano lontani, chiusi nella periferia di via Bellerio, chi presidia per conto di Bossi la Milano degli affari e dei danèe?
L’uomo a cu ila Lega delegava la sua rappresentanza nell’establishment ambrosiano, il banchiere Massimo Ponzellini, all’indomani della scoppola elettorale s’è fatto vedere alla Scala per il concerto di Daniel Barenboim, mal rasato e faccia scura.
Non sembra più nemmeno lui, forse perchè la vigilanza di Mario Draghi sta creando un sacco di grane alla sua Banca Popolare di Milano.
Aduso negli ultimi anni a ostentare la parentela col potente capo lumbard Giancarlo Giorgetti, ora il Ponzellini si affretta a dichiarare — ohibò — di non avere mai votato Lega.
E con fatalismo soggiunge: “Quando il vento cambia, chiniamo la testa”.
Rinfoderato il sogno di orientare la prossima successione di Giuseppe Guzzetti al vertice della Fondazione Cariplo, i dirigenti leghisti racconteranno forse ai nipotini quella serata di gala al Castello Sforzesco, era il 2 ottobre 2009, quando i potenti li omaggiavano e il vicepresidente dell’Unicredit, Fabrizio Palenzona, commise perfino l’ingenuità di presentarsi in cravatta verde alla prima del kolossal “Barbarossa”.
Chi se ne importa dello sperpero di denaro pubblico per la produzione del film, aggravato dal fiasco successivo ai botteghini: Milano pareva ai loro piedi. Tanto è vero che alle regionali del 2010 la Lega a Milano balzò al 14%.
Un voto d’opinione che seppero valorizzare grazie a un luogo comune mai verificato: il mito del Carroccio unico partito di massa radicato sul territorio.
Davvero? Pochi mesi dopo la serata della Lega superpotente al Castello Sforzesco, febbraio 2010, scoppiava la rivolta degli immigrati nel quartiere di via Padova.
Ma è proprio lì che verranno al pettine i nodi di un movimento nordista che ha dirottato su Roma i dirigenti più capaci, ignorando la crucialità di Milano.
Oggi te lo dicono sottovoce: “Se avessimo candidato Roberto Maroni a Palazzo Marino, invece di metterlo a capo del Viminale…”.
Fatto sta che drammatizzare le tensioni della società multietnica ha provocato una reazione ben diversa da quella attesa, fra i cittadini coinvolti in continue, inutili provocazioni.
L’ultima, lo scorso Natale, quando un dissennato assessore comunale cercò di vietare le luminarie d’auguri scritti nelle varie lingue degli immigrati.
Un sopruso cui si oppose lo stesso Matteo Salvini.
L’offesa recata a quartieri difficili dove operano però numerosi soggetti impegnati nell’integrazione, ha finito per punire gli imprenditori della paura: nei seggi di via Padova, via Adriano, via dei Transitila Legaha subito un tracollo di voti.
Così come nelle altre zone in cui ha esasperato lo scontro, intorno ai campi rom e ai centri sociali.
I risultati del voto comunale, con una flessione di quasi cinque punti percentuali rispetto alle regionali dell’anno scorso, confermano chela Legaa Milano è un partito d’opinione dall’elettorato molto fluttuante.
Un’esigua minoranza.
E’ vero che dispone di una base di militanti significativa, caratterizzata da un rapporto fideistico con i loro capi.
A orientarli, però, è una potente ideologia, non un modello di governo amministrativo.
“La base sta dove sto io”, si è vantato giovedì Umberto Bossi.
Ma non a caso per limitare le defezioni e motivare i suoi a votare la detestata Moratti, deve far ricorso alle solite trivialità in stile “zingaropoli” della cosiddetta, famigerata “pancia leghista”.
Col rischio di innescare un effetto perverso, sulle frequenze di “Radio Padania Libera”: l’emittente di via Bellerio, diretta da Matteo Salvini, che viene spacciata per termometro degli umori popolari.
Trasmette sfoghi xenofobi e lamentele antiromane, alimentando l’equivoco di una Milano molto distante da quella reale.
Col risultato di rendere impossibile alla Lega un’evoluzione moderata; tanto meno un rinnovamento dei suoi quadri milanesi, condannati all’agitazione e negati all’amministrazione. Irrimediabilmente minoritari.
Quando poi la realpolitik impone di sostenere la Moratti o di schierarsi con Berlusconi contro i giudici, giocoforza il mugugno dilaga finchè si spengono i microfoni e si censurano i blog.
La leggenda della “pancia leghista” spacciata per volontà popolare, diviene un racconto impossibile quando la realtà impone smentite evidenti: i costi e le tortuosità del federalismo; il crollo della diga anti-immigrati nel Mediterraneo; l’anacronismo delle proteste contro i festeggiamenti dell’Unità d’Italia.
Milano è sensibilissima nel cogliere le novità della storia, dalla rivoluzione araba alla nuova politica americana.
Per la prima volta la Lega avverte l’inadeguatezza del suo vocabolario, di più, la necessità di una revisione strategica.
Affiorano così, fra i militanti, le domande più scomode.
Ma Bossi è ancora lucido? Perchè dovremmo credere al talento politico del Trota e dei cortigiani? La lottizzazione delle cadreghe di sottogoverno non ci sta rendendo uguali agli altri partiti?
Per tacitare l’inquietudine, la risposta viene dilazionata al raduno di Pontida, domenica 19 giugno.
Come se di nuovo il rito comunitario e il discorso del capo, suggellati da un giuramento, potessero miracolosamente infondere l’armonia perduta.
Magari col favore della solitudine politica e dell’opposizione che fra i militanti esercitano un fascino nostalgico.
Mentre i dirigenti sanno benissimo che lasciare il governo, dopo dieci anni quasi ininterrotti, sarebbe molto costoso.
Il vero trauma che sta vivendo la Lega non è la perdita di una Milano che mai è stata sua, dove si muove con disagio, distante dagli oligarchi Pdl e ancor più dalla sindaca miliardaria. No.
La delusione cocente è scoprire che la decadenza di Berlusconi reca sventura anche ai suoi alleati.
Berlusconi consuma, dissipa il suo patrimonio di consensi, non lo trasferisce. Dal Castello Sforzesco a via Padova, risuona patetica quella voce rauca che da un quarto di secolo ripete “La Legace l’ha duro!”, esponendosi a crudeli verifiche.
Gli vogliono bene, proteggono la sua vecchiaia.
Ma Bossi sa di non poterli chiamare a raccolta in difesa della Moratti.
La Lega è altrove.
Gad Lerner
(da “La Repubblica“)
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