Destra di Popolo.net

LA LEGA SULL’ORLO DELLA CRISI (MA DI NERVI) : “NIENTE MINISTERI, NIENTE TASSE”

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

CALDEROLI MINACCIA DI NON PAGARE LE TASSE? NESSUN PROBLEMA, BASTA PIGNORARGLI LO STIPENDIO DA PARLAMENTARE, LA VILLA, L’AUTO E I CALZINI SUDATI…DICASTERI A ROMA, ULTIMATUM DELLA LEGA: “LA FRASE ‘NIENTE TASSE NIENTE RAPPRESENTANZA PARLAMENTARE’ DIVENTERA’ ‘NIENTE MINISTERI NIENTE TASSE'”

È un vero e proprio ultimatum a governo e maggioranza quello del ministro leghista Roberto Calderoli sullo spostamento dei ministeri al Nord.
«Ci sono problemi? Benissimo, vorrà  dire che la frase “No Taxation without Representation” diventerà  “No representation? No Taxation”.
E questo è l’ultimo “avviso ai naviganti» ha detto l’esponente del Carroccio, citando all’opposto uno dei principi della democrazia americana («niente tasse senza rappresentanti parlamentari»).
Sulla questione del trasferimento al Nord di alcuni dicasteri la Lega va avanti a parole.
Come conferma il titolo in prima pagina sulla Padania, organo ufficiale del partito di Umberto Bossi: «Ministeri al Nord dopo i ballottaggi».
Non si tratta, quindi, di un caso chiuso o «congelato» o circoscritto «al trasferimento di alcuni uffici di dipartimenti della presidenza del Consiglio», di cui ha parlato il premier Silvio Berlusconi nella lunga puntata di Porta a Porta.
Lo scontro tra il Pdl e la Lega sulla questione resta fino a domenica.
E a dimostrarlo ci sono le parole di Calderoli, e non solo.
Felice Belisario dell’Idv commenta: «No ministeri, no party? Calderoli come George Clooney o, peggio, come Berlusconi, che già  in passato aveva invitato i cittadini a non pagare le tasse. Non c’è più il rispetto delle istituzioni se anche un ministro della Repubblica minaccia l’evasione totale al Nord come arma di ricatto per far sventolare la bandiera leghista su un paio di ministeri».
Per il finiano Roberto Menia la nota di Calderoli «sembra certificare il divorzio da Berlusconi e dal Pdl. Ancor prima dell’esito dei ballottaggi, i toni e la citazione usati da Calderoli evidenziano l’insofferenza della Lega, che insiste su un insensato e impossibile trasferimento dei ministeri al Nord».
Critiche dal Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati Pd: «Dal ministro leghista ascoltiamo parole che inquietano. Calderoli sta dicendo che se non verranno trasferiti i ministeri a Milano il Nord non pagherà  le tasse? Aveva ragione l’ex presidente della Repubblica Ciampi, nei giorni scorsi, ricordando che l’anti-europea Lega aveva sperato a lungo nella separazione dell’Italia, idea mai abbandonata».
A nostro parere il problema non si pone: in uno Stato normale se Calderoli non vorrà  pagare le imposte libero di farlo.
E libero lo Stato di pignorarli lo stipendio da deputato, la villa, l’auto e i pedalini.
E se incita all’evasione basta mandarlo in galera, magari in cella con due extracomunitari.
Così dispone la legge italiana.

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BOTTA E RISPOSTA TRA IL COORDINATORE REGIONALE DI FUTURO E LIBERTA’ E IL NOSTRO DIRETTORE

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

LE OSSERVAZIONI DI ENRICO NAN E LA REPLICA DI RICCARDO FUCILE

Riceviamo e pubblichiamo la nota del coordinatore regionale di Fli, Enrico Nan, a commento dell’articolo di ieri del ns. direttore

In genere non sono abituato a rispondere ai contenuti che giudico penosi, soprattutto quando non sono firmati.
Non conosco il nome dell’autore di questa esternazione che confonde il ragionamento politico con le offese, trincerandosi dietro l’anonimato.
Non posso nemmeno conoscere se si tratta di un iscritto oppure di un avversario del FLI ,oppure di qualche simpatizzante del FLI che involontariamente, per pochezza personale, fa’ il guastatore.
Come coordinatore regionale di FLI ho il dovere di accettare i confronti, sempre che abbiano un contenuto serio.
Pertanto, se sei serio, ti piace la politica e vuoi dare una mano al FLI,anche se non Ti piace il coordinatore regionale, credo che sarebbe opportuno che ci incontrassimo,anche con amici tuoi che la pensano come Te, per dibattere le questioni che hai sollevato.
Ti assicuro che non mi mancano gli argomenti. Ti assicuro che ho tante cose da farti capire, che non hai ancora capito, del nostro progetto e delle nostre strategie. Ti assicuro che usero’ argomenti politici e non scendero’ in penose offese personali come ho invece letto nel tuo commento, PERCHE LA PRIMA REGOLA DELLA POLITICA E’ IL RISPETTO DEL TUO INTERLOCUTORE.
E’ noto che il dibattito politico sta’ scadendo e che la gente si distacca perchè ritiene che il dibattito, spesso, non sia adeguato. Se credi nel progetto di Fini non prestarti a queste bassezze e fatti vivo nella nostra sede dove incontro tutte le settimane chi mi vuole bene e chi mi vuole male.
Cosi’, oltre a sentire la Tua opinione, forse riusciro’ a farti capire alcune cose che Ti sfuggono.

Enrico Nan

Il nostro direttore risponde


Caro Nan,
lasciamo giudicare chi ci legge se i contenuti del mio scritto siano o meno penosi o non siano invece verità  documentabili.
La politica dovrebbe essere anche l’arte dell’umiltà  e alle   critiche politiche si dovrebbe rispondere con adeguate argomentazioni politiche, qualora si abbiano.
Altrimenti sarebbe apprezzabile almeno un minimo di autocritica, qualità  che non pare emergere dal tuo scritto.
Confondere una analisi nell’interesse di Fli per “offese personali”   ad opera di un “anonimo guastatore” caratterizzato da “pochezza personale” non sembra andare nella direzione di un “cambiamento di rotta”.
Un coordinatore regionale di Fli avrebbe semmai dovuto da tempo ringraziare un sito come il nostro che da mesi appoggia, pur in maniera indipendente, Futuro e Libertà , invece di far finta di non conoscere nemmeno chi lo dirige.
Siamo tra i primi cinque siti di destra italiani con 1.500 entrate giornaliere, ci leggono dalle sedi nazionali dei partiti, ci leggono gruppi parlamentari, siamo monitorati persino dalla Presidenza del Consiglio, e tu, caro Nan, ci scrivi solo ora per offenderci?
Hai trovato solo adesso il tempo di inviarci una mail quando avresti potuto e dovuto in tanti mesi mandarci magari “due righe due” di ringraziamento?
Visto che sono stato pregato di dare una mano a Fli a Genova e l’ho fatto ben volentieri accettando un incarico (non una carica)   nella direzione provinciale, vuoi forse dire che non conosci un dirigente del tuo partito?
Il mio nome è scritto in evidenza in alto a destra, sono uno come vedi che ci mette la faccia, non faccio parte di quelli che tramano dietro le quinte.
E la mia storia politica, se permetti, testimonia per me, così come la mia coerenza.
Non ho necessità  che qualche maestrino dalla penna azzurra mi spieghi il progetto di Fini, forse lo conosco meglio di tanti che se lo appuntano sul petto, ma soprattutto cerco di trasmetterlo all’esterno.
Anche arricchendolo nelle metodologie propagandistiche, che vengano capite o meno dai notabili.
Badando ai contenuti, non alle beghe correntizie nazionali o locali.
Leader si diventa sul campo, quando si viene riconosciuti come tali, non per nomina divina.
Hai tante cose da farmi   capire? Ascolterò volentieri, ma forse ne ho più io da far comprendere a te.
Se vuoi un confronto nel merito e nei contenuti sono a tua disposizione.
Anche perchè non ho mai sostenuto che “non mi piace il coordinatore regionale”, io collaboro con tutti a due sole condizioni: che siano in buona fede e che capiscano di cosa si parla.
E soprattutto facciano seguire alle parole i fatti.

Riccardo Fucile

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ALTRO GIRO DI VALZER DI VITTORIO FELTRI: RITORNA A “IL GIORNALE”

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

LASCEREBBE “LIBERO” PER ARRIVARE PER LA TERZA VOLTA A “IL GIORNALE”, STAVOLTA IN VESTE DI EDITORIALISTA E ANCHE AZIONISTA… ORMAI AI REDATTORI DEI DUE QUOTIDIANI GIRA LA TESTA

Non ci crederete. Vittorio Feltri è a un passo da un nuovo clamoroso colpo di scena.
Un ritorno (stavolta sarebbe il terzo!) a “Il Giornale” di via Negri.
Un ritorno ancora una volta diverso, come editorialista principe e anche come azionista, e ancora una volta al fianco di Alessandro Sallusti, proprio ieri operato al cuore.
Un ritorno che lo vede abbandonare (per la terza volta) Maurizio Belpietro a “Libero”, cioè nel quotidiano che lui stesso ha fondato (e poi provato ad uccidere), e poi di nuovo scelto come casa per una avventura in doppia conduzione.
Vi siete persi? Ecco il riassunto di questa danza immobile…
1) Età  preistorica: Feltri e Belpietro conoscono i primi successi insieme all’”Europeo”, poi all’”Indipendente”, e infine al “Giornale”. Meditano persino di comprare un Casale insieme.
2) Età  mediovale: Belpietro va a “Il Tempo”.
3) Età  premoderna: Belpietro torna a “Il Giornale” e Feltri se ne va a “Il Giorno” a fargli concorrenza.
4) Età  del ferro: Feltri fonda “Libero” per sfidare Belpietro a “Il Giornale” e incontra Sallusti come partner.
5) Età  medievale. Belpietro se ne va da “Il Giornale”, lasciandolo a Mario Giordano, per andare a “Panorama”
6) Età  contemporanea: Giordano viene cacciato e a “Il Giornale” torna Feltri (con Sallusti, e con la Santanchè).
7) Età  della cronaca: Belpietro lascia “Panorama” e va a “Libero”.
8) Poi Feltri lascia “Il Giornale”, la Santanchè e Sallusti (nomignolo caustico: “Rosa e Olindo”), per tornare come il Cavaliere pallido di Clint Eastwood, al fianco di Gene Hackman Belpietro..

Cosa c’è dietro questo valzer ossessivo? Prima di tutto i soldi: tantissimi, per tutti (a suon di “buone uscite” e di “buone entrate”). E il gusto dell’avventura, della battaglia e della polvere da sparo.
Quindi il fiuto per le notizie e per il vento che cambia.
Feltri è il primo grande direttore nel campo del centrodestra a teorizzare la fine dell’era berlusconiana e gli eccessi arcoriani (“Se devo scopare mica ho bisogno della claque”).
E per un po’ di tempo con Belpietro a “Libero” fa un gioco delle parti perfetto.
Littorio gioca da corsaro, Maurizio da istituzionale (“Ci siamo incontrati con Berlusconi, in tre, ma il Cavaliere non aveva occhi che per lui”).
Adesso invece, è tutto da rifare: Feltri è tentato di tornare a casa, in cambio di una quota pantagruelica (si dice il 10%) del quotidiano di via Negri.
Posizionato nel modo migliore, insomma, per un cambio di stagione in cui contrariamente al passato, i premier passano e i quotidiani restano.
Perchè a Feltri l’idea di fare un giornale di opposizione contro la sinistra fa prudere le mani. Belpietro resta padrone di casa, le quote girate dagli Angelucci a Feltri tornano a casa (per un accordo le detiene finchè resta nel quotidiano) e si ricomincia il ballo di san Vito dei giornali di destra, con i redattori che guardano affranti il calendario delle direzioni a targhe alterne.
I giorni pari Belpietro è a “Libero” e Feltri al “Giornale”.
I giorni dispari viceversa.
E i lettori?…

Luca Telese

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TRE GIORNI IN ALBERGO A 4 STELLE, PAGA TUTTO IL PDL: PER RIEMPIRE LE PIAZZE A SOSTEGNO DELLLA MORATTI IL PREMIER NON BADA A SPESE

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

ARRUOLATI NEI CIRCOLI DEL CENTRO SUD DIVERSE CENTINAIA DI PIEDIELLINI: ARRIVANO DA TRAPANI, BARI, COSENZA, CATANIA, PALERMO, ROMA…DEVONO FARE PRESENZA AL CONCERTO DI GIGI D’ALESSIO E PROPAGANDA NELLE PIAZZE….ALLOGGIATI AL RAMADA HOTEL E IN ALTRI ALBERGHI DEL CENTRO

Arrivano da Trapani e Bari, da Catania e da Cosenza, da Palermo e da Roma.
Difficile che abbiano approfondito temi come l’efficacia di Ecopass, le prospettive di Expo 2015, la riqualificazione dei Navigli o le due nuove linee del metrò, difficilissimo che ne siano fascinati ma non si sa mai.
Certo è che la prospettiva di una gita milanese, tre giorni pagati in hotel a quattro stelle, non se la potevano far sfuggire.
Eccoli scendere dai pullman che li hanno accolti al parcheggio degli arrivi di Linate. Eccoli entrare alla reception del Ramada Plaza Hotel, moderna struttura in via Stamira d’Ancona, a settecento metri dalla sede di viale Monza del coordinamento provinciale del Popolo delle Libertà , il grande finanziatore della trasferta.
Paga Silvio, à§a va sans dire.
L’obiettivo, del partito, è di riempire le piazze oggi, quando sotto il Duomo risuoneranno le milanesissime note di Gigi D’Alessio a chiudere il concerto per Letizia Moratti, e domani sera nei quattro appuntamenti della sindaca uscente in giro per la città .
L’obiettivo, loro, è godersi gratis la città , fare numero e volume, mettersi in mostra.
Sono i giovani dei circoli Pdl del sud, arruolati all’ultimo momento dai vertici berlusconiani per l’ultimo sprint di una campagna elettorale in cui tutto sembra permesso, presenze eterogenee e presunti impostori, calunnie e manifesti urticanti, etichette di “test nazionale” e quelle opposte di “semplice consultazione amministrativa” sui temi cari ai milanesi.
Chissà  se lo sanno i dodici ragazzi e ragazze di Bitonto che alle cinque del pomeriggio si ritrovano a vagare tra l’edicola e il bar dello scalo, in attesa di andare ad occupare una delle settanta stanze che il partito ha riservato ai suoi giovani rinforzi, prenotate per gruppi di città , nemmeno per nome: chi si fosse aggregato all’ultimo momento sarebbe stato comunque il benvenuto.
Sono 140 e sono solo una parte dei giovani supporter della Moratti per tre giorni, scortati da grosse auto scure che fanno la staffetta tra il Ramada e Linate, e solo in un albergo.
File ordinate, trolley identici, identica la fede.
I venti arrivati nel primo pomeriggio da Trapani e Palermo si imbarcano su un enorme torpedone color crema e la scritta ben evidente accanto al conduttore: “Riservato Berlusconi”.
Altri gruppi erano attesi tra ieri sera e stamattina, coi treni dal Lazio, con gli aerei da Catania.
Claque eterogenee per dimostrare che «siamo tantissimi» come da jingle, per riempire i vuoti degli astenuti al primo turno.
Del resto, sulla presenza capillare di giovani morattiani si era basata una bella fetta della campagna della signora Brichetto Arnaboldi, che aveva disseminato la città  di tendoni con universitari e liceali a distribuire volantini e a giocare a biliardino.
Per tacere delle note, e vituperate, pagine di Facebook e Twitter, travolte da uno sghignazzo.
Le grandi manovre erano ben visibili all’ora di pranzo in viale Monza, sotto i bandieroni tricolori e azzurri che ornano la sede del Popolo della Libertà .
Qui, da uno dei pullman che sarebbe poi andato, di lì a qualche ora, a prelevare i ragazzi e a depositarli all’hotel, si scaricavano scatoloni di magliette bianche e la scritta “Letizia sindaco” in blu sul cuore, ancora nel cellophane e pronte da scartare stamattina.
Ultime elargizioni di una campagna elettorale da 12 milioni di euro dichiarati dalla candidata del centrodestra, i gadget inclusi nel tutto compreso dell’ultima volata elettorale.
Li vedremo a cantare Miele e L’amore che non c’è con Gigi, a ballare il liscio con Letizia e gli anziani della pista di bocce in zona stazione Centrale, a intonare L’isola di Wight con i Dik Dik, Cuore matto con Little Tony e A chi con Fausto Leali l’ultima sera prima del silenzio elettorale.
Sono i giovani (non) milanesi del Pdl.
L’ultimo miracolo italiano.

Tiziana de Giorgio- Massimo Pisa
(da “La Repubblica”)

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BERLUSCONI DA VESPA SPIEGA LA SCONFITTA: “E’ STATA COLPA DI TUTTI TRANNE MIA”, “CHI VOTA A SINISTRA E’ SENZA CERVELLO”

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

I CANDIDATI DEBOLI, LE CONCESSIONI ALLA LEGA, IL BLOCCO MEDIATICO CONTRO DI LUI, I MAGISTRATI, LA CRISI ECONOMICA… SUL CROLLO DELLE SUE PREFERENZE PERSONALI A MILANO LA COLPA E’ “DELLA CONFUSIONE SULLA SCHEDA ELETTORALE”

La scheda elettorale ha creato “confusione”, poi queste amministrative “sono particolarissime” perchè “influisce la personalità  del candidato” e quelli del Pdl, Letizia Moratti e Gianni Lettieri in particolare, “erano deboli”.
Mentre Manes Bernardini a Bologna “non aveva nessuna possibilità ” ma “è stato scelto dalla Lega”.
E come se non bastasse, a remare contro durante la campagna elettorale ci si sono messi anche i magistrati che “mi hanno gettato addosso discredito, fango, angoscia, problemi con i familiari”.
Per non parlare del “blocco mediatico della sinistra, un blocco mediatico terrificante: Corriere della Sera, Sky, La7 e le trasmissioni Rai pagate con i soldi di tutti che stanno con la sinistra”.
Anche “la sconfitta della Moratti è colpa della disinformazione dei media”. Silvio Berlusconi spiega così a Porta a Porta la sconfitta del primo turno. Persino l’impassibile Bruno Vespa appare, a tratti, confuso dalle risposte.
E sembra in imbarazzo quando il premier si scaglia contro “il blocco mediatico della sinistra”, pensando all’intervista che appena venerdì scorso il Cavaliere ha diffuso a reti quasi unificate: tg1, tg2, tg4, tg5 e Studio Aperto. Tanto che l’Agcom è dovuta intervenire e multare.
“Una multa folle — dice il premier — non credo che la Rai pagherà ”.
Vespa è un professionista di lungo corso e fa finta di nulla.
Lascia parlare il Presidente del Consiglio. E lui, a briglie sciolte, cerca di convincerlo che la sconfitta elettorale al primo turno è colpa di tutti tranne che sua.
Ma sul simbolo non c’era scritto “Silvio Berlusconi”?
E i manifesti elettorali nelle città  non avevano il suo volto invece di quello dei candidati?
Non era stato lui a ripetere fino allo sfinimento che “il voto a queste amministrative è importante per rafforzare il governo nazionale”?
Ancora: i gradini di palazzo di Giustizia per chi sono stati trasformati in palchi per arringare i “passanti”, muniti di bandiere del Pdl, contro i magistrati “eversivi, cancro della democrazia”?
Domande che non sono state poste, rimaste quindi inevase.
La “versione di Silvio” andata in onda a Porta a Porta comincia con l’analisi del voto e, passando per qualche battuta su Ruby, le accuse ai candidati Pisapia e De Magistris, qualche stilettata alla Lega con marcia indietro incorporata, arriva alla rassicurazione che figli e nipoti dell’amico Gheddafi sono vivi e stanno bene.
“Queste sono elezioni particolarissime in cui influisce la personalità  del candidato”, dice.
E attribuisce la propria debacle in termini di voti (da 53mila preferenze del 2006 ai 28 mila) alla confusione sulla scheda e alla crisi economica.
“Ho preso meno preferenze — dice — perchè chi faceva la croce sopra al simbolo del Pdl con il nome della Moratti, poichè era riportato anche il mio nome, credeva di avermi dato la preferenza”.
Poi l’immancabile attacco ai candidati sindaci Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris.
“Come fa a governare Pisapia che non ha mai amministrato neppure un’edicola di giornali” e che “in Parlamento ha fatto solo leggi a tutela terroristi, o per l’eutanasia?”, ha detto.
Mentre su De Magistris: “Non credo che ci sia una persona con la testa sulle spalle che possa votare per il signor De Magistris; uno che vota per il signor del De Magistris vada a casa, si guardi nello specchio e dica sono un uomo o una donna senza cervello”.
Ma la sorpresa vera è il commento sul candidato sindaco a Bologna, Manes Bernardini: “A Bologna il candidato lo ha deciso la Lega ed era un candidato che non aveva nessuna possibilità . E’ stata una concessione fatta a un alleato, perchè per essere alleati ogni tanto qualche concessione bisogna farla”.
Non solo, sempre sulla Lega, il premier garantisce che “a luglio Tremonti e la Lega pensavano fosse opportuno andare a nuove elezioni, ma il mio senso di responsabilità  mi portò ad escluderlo perchè in un momento di crisi globale, quando le agenzie di rating ci mantenevano la fiducia solo per la stabilità  di governo, non avere stabilità  avrebbe significato essere posti sotto attacco della speculazione internazionale”.
Però con Umberto Bossi “c’è un accordo e una amicizia assoluta.
Lui vuole bene a me e io voglio bene a lui e ci siamo detti che lasceremo insieme. Questa amicizia e collaborazione non è mai stata messa in dubbio”.
Inoltre il premier garantisce che non ci saranno sorprese da parte della Lega. “Lo escludo nella maniera più assoluta, non ci sono purtroppo alternative a questa situazione”.
Anche perchè, aggiunge, “sono l’unico che può tenere insieme il centrodestra”.
Capitolo magistratura.
“Mi hanno gettato discredito, fango, angoscia, problemi con i familiari e mi hanno impedito di lavorare”, ha detto il Cavaliere.
“Leonardo da Vinci avrebbe finito la Gioconda se fosse stato preso a schiaffi tutto il giorno? Solo grazie ai miei genitori che mi hanno dato una scorza dura e una resistenza disumana ce l’ho fatta”.
E ancora: “Noi pensiamo che la sovranità  appartenga al popolo? No è di Magistratura democratica e dei suoi pm”, ha aggiunto il premier. “

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GLI ULTIMI GIORNI DELL’IMPERO: BERLUSCONI E LE CINQUE FAZIONI INTERNE CHE LOTTANO PER SPARTIRSI LE SUE SPOGLIE

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

ATMOSFERA DA IDI DI MARZO, MA NON SARA’ BOSSI A FAR FUORI IL PREMIER… CINQUE I GRUPPI INTERNI AL PDL ORMAI ORGANIZZATI: QUELLO DI TREMONTI CHE SI E’ MESSO DA PARTE UN GRUZZOLINO, QUELLO DI FORMIGONI E CL, QUELLO DI SACCONI APPOGGIATO DALLA CISL, QUELLO DEGLI EX AN E QUELLO DI SCAJOLA… O SALTA DOPO I REFERENDUM O A SETTEMBRE

“Siamo agli ultimi giorni dell’Impero…”.
Non è uno qualsiasi, a raccontarmi il clima che prelude a avvelena la possibile fine del berlusconismo.
È un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che descrive così le convulsioni interne al Pdl, alla vigilia dei ballottaggi.
Magari il Cavaliere ci stupirà  ancora una volta, con uno scatto di reni e di bile che gli ha già  permesso più volte, in passato, di risorgere dalle sue ceneri.
Ma nella sua cerchia più ristretta, quella che “abita” Palazzo Chigi, sono ormai in pochi a crederci ancora.
“C’è un’atmosfera da Idi di marzo. Aspettiamo solo di capire chi saranno i congiurati. E si sbaglia chi pensa che a colpire alle spalle il premier sarà  Bossi. Non è così. A farlo fuori, se si perde a Milano, saranno i suoi stessi luogotenenti, dentro il Popolo delle Libertà “.
Forse è una previsione azzardata.
Ma il mio interlocutore, “informato dei fatti”, racconta di un partito ormai totalmente dilaniato e sgovernato.
Diviso in fazioni, “che già  si litigano le spoglie del capo”.
Una fazione, la più forte, è qualla di Giulio Tremonti.
Il ministro dell’Economia non firma nè autorizza più nulla.
Blocca tutto, non spende più un euro. Si narra che stia precostituendo un “tesoretto” segreto dentro il bilancio dello Stato, con il quale lanciare e finanziare il vero “piano di sviluppo” se e quando gli sarà  affidato un governo “di emergenza”, per portare il Paese fuori dalla crisi.
Un’altra fazione è quella di Roberto Formigoni. Il governatore della Lombardia, con la rete di Comunione e Liberazione, si sta smarcando su tutto.
Dalla campagna elettorale della Moratti al difficile rapporto con la Lega.
E ormai non fa mistero di voler correre in prima persona, per il dopo Berlusconi. “Io ci sarò”, dice.
Lui “c’è già  adesso”, chiosa l’anonimo sottosegretario.
Una terza fazione è quella di Maurizio Sacconi.
Persino il ministro del Welfare, con la sponda della Cisl di Raffaele Bonanni, sta tessendo la trama di un’area moderata, catto-socialista, da contrapporre all’ala militarista pidiellina.
Una quarta fazione, la più attiva e articolata, è quella degli ex An che fanno capo a La Russa e Alemanno, e che punterebbero a de-berlusconizzare il partito e a rifondarlo sulle basi identitarie di una destra sarkoziana, o neo-gollista.
Una quinta fazione – ora tuttavia fiaccata dalle nuove rivelazioni sullo scandalo Anemone – sarebbe quella di Claudio Scajola, che punterebbe a un approdo uguale e contrario: liquidare il Pdl, sciogliere il patto scellerato con il Senatur, e tornare allo spirito della prima Forza Italia, anche senza l’anima post-missina, se serve.
Ognuno di questi aspiranti leader può vestire i panni di Bruto.
Ragiona ancora la fonte di governo: “Se si perde a Milano, l’idea è questa: si propone cortesemente al Cavaliere un’uscita consensuale, e pilotata, e si fa subito un altro governo con un premier indicato da lui, e scelto tra uno dei capi delle fazioni in lotta.
Possibilmente Tremonti.
Se Silvio rifiuta, e si ostina a resistere, allora l’appuntamento è a settembre: si lasciano passare i referendum, che saranno un’altra botta, si lascia passare l’estate, e poi alla ripresa d’autunno i congiurati escono allo scoperto, e fanno fuori il vecchio Cesare”. A quel punto, tutto è possibile.
Si apre la crisi, esplode il regolamento di conti nella destra, e forse si fa un “governo di salute pubblica”, con chi ci sta e con o senza un pezzo di Pdl, che fa la manovra lacrime e sangue e la nuova legge elettorale, e poi riporta alle urne un Paese finalmente “riformato”.
Questi sono gli scenari che circolano.
Irrealistici? incredibili? Può darsi, anche perchè si fa qualche fatica a immaginare che il Cavaliere, per quanto disperato e isolato, si lasci “assassinare” così.
Ma di questi “fantasmi”, ormai, si parla nei corridoi di Palazzo Chigi.
Come diceva De Filippo: non è vero, ma ci credo.

Massimo Giannini
(da “Polis“)

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MALPENSA, IL FLOP DOPO LE PROMESSE: E LA LEGA DICE ADDIO ALL’HUB PADANO

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

LUFTHANSA LASCIA L’AEROPORTO LOMBARDO, A CAUSA DEI FAVORI GARANTITI AD ALITALIA SULLA TRATTA ROMA-MILANO….ADESSO SEA RISCHIA DI PAGARE IL CONDONO DELLE MULTE PROPOSTO DALLA MORATTI

Il fuoco amico (o presunto tale) del centro-destra lombardo e nazionale affonda un’altra volta Malpensa.
“Grazie al nostro lavoro abbiamo superato l’addio di Alitalia” aveva annunciato urbi et orbi un paio di mesi fa Letizia Moratti.
Il sogno dell’hub? No problem   –   aveva vaticinato con rara preveggenza il 16 aprile scorso   –   “potrebbe farlo Lufthansa, il primo operatore del nostro aeroporto”.
Detto fatto: due giorni fa la compagnia tedesca ha annunciato la fine dei suoi sogni di gloria su Milano.
Niente hub, spostati altrove i nove aerei della base meneghina, cancellati più di un centinaio di voli alla settimana.
L’ultimo “regalo” ai cieli del Nord del tris di dottori – Silvio Berlusconi, Roberto Formigoni e Letizia Moratti – che dal 2008 si è seduto senza troppa fortuna al capezzale della Malpensa per salvarla, così garantivano, dalla cessione di Alitalia ad Air France.
Di acqua sotto i ponti, da allora, ne è passata molta: il Cavaliere   –   sulle ali della campagna per salvare lo scalo bustocco – ha riconquistato Palazzo Chigi.
L’ex compagnia di bandiera (in effetti) non è finita direttamente a Parigi ma è stata parcheggiata pro-tempore nelle mani della cordata dei patrioti tricolori, con Air France in agguato come socio di minoranza.
L’unico obiettivo fallito è quello cui Milano teneva di più: il rilancio della Malpensa.
“Non ne permetteremo la desertificazione”, tuonava allora Formigoni. “La Lombardia è il motore dell’Italia, da qui si deve poter partire per ogni angolo del mondo”, garantiva Berlusconi.
Peccato che tre anni dopo i numeri raccontino tutt’altra storia: lo scalo lombardo è un deserto dove nel 2010 sono passati 18,9 milioni di passeggeri, due in meno di quelli che transitavano dai suoi check-in dieci anni prima e il 25% in meno del 2007.
Di più: a Linate, dove Alitalia non ha cancellato un volo, hanno viaggiato l’anno scorso 8,2 milioni di persone, il 18 per cento in meno del 2007.
Con buona pace della Lega che   –   malgrado gli interessi politici in zona   –   ha assistito senza batter ciglio all’eutanasia degli scali meneghini.
Sacrificati, dicono le malelingue, sull’altare del federalismo fiscale.
Ognuno dei tre cavalieri arrivati in soccorso di Malpensa ha dato il suo valido contributo al flop.
La prima coltellata alle spalle l’ha tirata lo stesso premier vendendo Alitalia a Roberto Colaninno & C.
La cordata italiana, appena messa la mano sulla cloche, si è comportata esattamente come lo spauracchio Air France: scegliendo Fiumicino come hub e tagliando anche l’ultimo cordone ombelicale con Malpensa.
Non solo: il presidente del Consiglio, per convincere gli imprenditori tricolori ad aprire i cordoni della borsa, ha sospeso per tre anni i poteri antitrust su Alitalia. Risultato: a Linate – in particolare sul Milano-Roma – l’ex compagnia di bandiera opera in sostanziale monopolio, malgrado sul tavolo della Sea ci siano richieste per operare 54mila slot da parte di tutti i colossi mondiali.
La stessa Lufthansa aveva fatto domanda (respinta, va da sè) per volare tra il Duomo e la capitale, minacciando azioni legali.
E secondo fonti vicine al vettore tedesco, gli investimenti su Milano, hub compreso, non sarebbero saltati se fosse stato aperto al vettore di Francoforte il city-airport milanese, il cui guai sono legati a filo doppio all’ombrello salva-Alitalia.
Non è comunque l’unica occasione persa.
L’esecutivo, negli ultimi tre anni, ha messo in più occasioni i bastoni tra le ruote a Malpensa.
Certo, il ministero degli esteri ha rinegoziato alcuni accordi bilaterali.
Ma è l’unico squarcio di sereno.
Sul tavolo di Giulio Tremonti (che ne pensa la Lega?) è fermo da tempo il decreto per l’aumento delle tasse aeroportuali necessario a finanziare gli investimenti per rilanciare lo scalo.
Singapore Airlines ha chiesto da mesi al dicastero dei trasporti l’autorizzazione a collegare direttamente Milano con New York.
Ma la domanda sonnecchia sotto un dito di polvere perchè nessuno se la sente di aggiungere un altro concorrente sulle rotte transatlantiche a un’Alitalia che fatica a decollare. E Malpensa paga.
Qualche peccatuccio (non da poco) l’hanno pure Formigoni e Moratti.
La Regione ha latitato per anni   –   salvo un timido colpo di reni di recente – sul fronte dei collegamenti tra Milano e il suo maggior aeroporto.
Tanto che la stessa Lufthansa, un po’ esasperata, ha sottoscritto un accordo con un operatore di pullman privati per trasportare i passeggeri allo scalo prima di gettare la spugna. I
l sindaco invece – impegnato a svendere i gioielli di famiglia di Palazzo Marino per tappare i buchi del bilancio cittadino e pagare le sue promesse elettorali   –   sembra aver scambiato Malpensa per un bancomat.
I conti della società  di gestione, grazie al gran lavoro di taglio dei costi del management guidato da Giuseppe Bonomi, sono in utile.
E così, approfittando della quotazione della Sea prevista il prossimo autunno,
Moratti ha deciso di spremerne un altro po’ le casse, staccandosi un dividendo straordinario di 110 milioni di euro.
Soldi che con questi chiari di luna (e con sul tavolo della Sea un piano di investimenti da 1,4 miliardi) avrebbero fatto molto comodo alla società  di gestione degli aeroporti meneghini.
Lo schiaffo di Lufthansa, ma c’era da immaginarselo, non ha cambiato i progetti del Comune.
Pecunia non olet: “L’operazione resta in piedi allo stesso prezzo”, garantisce l’assessore al Bilnacio, Giacomo Beretta.
Malpensa può attendere.
Le elezioni incombono e con lo spettro di Giuliano Pisapia sulla soglia di Palazzo Marino bisogna trovare i soldi per condonare le multe ai milanesi.

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DRAMMA FINCANTIERI: CRISI DELLE CROCIERE E CONCORRENZA COREANA, COSI’ L’ITALIA HA PERSO IL SUO PRIMATO

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

ORDINI CROLLATI IN TRE ANNI, ORA ANCHE I TEDESCHI VENDONO DI PIU’…I PAESI ASIATICI HANNO PRESO IL SOPRAVVENTO NEL MERCATO DEI MERCANTILI….DAL REX ALL’ANDREA DORIA: QUI SONO STATI COSTRUITI PEZZI DI STORIA DELLA NAVIGAZIONE

Da quanti punti si può prendere la devastante crisi della cantieristica italiana? Nell’arco di un triennio, il mercato delle costruzioni si è assottigliato al punto che quello che Fincantieri costruiva in un anno (dodici navi) ora è quasi il portafoglio ordini mondiale da qui al 2014 (14 navi, 6 per Fincantieri).
Ma è proprio perchè il male è noto da tempo che il piano fa ancor più infuriare lavoratori e istituzioni.
«Ci sentiamo presi in giro, per anni Fincantieri ha detto di voler ampliare il suo cantiere di Sestri, ribaltandolo in mare e ora che il governo ha stanziato 70 milioni di euro annuncia di volerlo chiudere. Se il piano non viene ritirato questa città  entrerà  in sciopero generale», annuncia il sindaco di Genova Marta Vincenzi.
Il conto più salato lo paga la Liguria, regione che vive di mare, che concentra nei suoi tre porti il sessanta per cento del traffico italiano di container, che ha costruito le ammiraglie della marineria italiana e le grandi navi militari.
La chiusura di Sestri Ponente (777 dipendenti) e il trasferimento forzato di cinquecento degli ottocento dipendenti del cantiere di Riva Trigoso si tradurrebbe nella perdita secca di duemila posti di lavoro, se si estende il dato anche alle aziende dell’indotto.
«Diciamo la verità , il problema della cantieristica italiana è la mancanza di ordini, non il piano industriale Se gli ordini arrivassero, non saremmo pronti a finanziare le navi come finanziamo quelle che fanno in Corea» dice Giovanni Berneschi, presidente della banca Carige.
In effetti, per l’economia ligure la chiusura di Sestri sarebbe un colpo mortale. Nessuno accetta che possa essere cancellata la fabbrica-simbolo di Genova, nata duecento anni fa sulla spiaggia per mano di un maestro d’ascia, sopravvissuta all’Unità  d’Italia, a due guerre mondiali, a tutte le crisi economiche.
Qui sono nati il Rex, l’Andrea Doria, la Michelangelo, una via l’altra fino alla Costa Pacifica, 114.500 tonnellate di stazza lorda, la più grande nave mai costruita per un armatore italiano (la Costa).
Due bacini sempre in servizio, il primo in cui si costruisce lo scafo e il secondo che serve per l’allestimento.
In mezzo, cerimonie di varo mutate nel tempo, prima lo scivolamento a mare, poi l’allagamento del bacino.
Tecniche differenti, uguale suggestione.
Ogni varo, una festa, per gli operai e per la città . Perchè un cantiere che costruisce navi è ricchezza e lavoro per tutto il territorio.
Così è stato fino al 2007, perchè Fincantieri aveva affidato a Sestri Ponente il compito di costruire navi da crociera, affiancando i cantieri di Marghera e Monfalcone.
Poi l’inizio della flessione: il portafoglio ordini, nel 2008, è ancora gonfio di navi, ma l’attività  comincia a rallentare.
Le navi vengono consegnate e non vengono sostituite da altre con la stessa intensità .
Impossibile, d’altra parte, pensare ad altri tipi di navi.
Da tempo Fincantieri è uscita dal business delle navi mercantili, ormai appannaggio quasi esclusivo dei cantieri asiatici (Corea e Cina hanno insieme il 70% del mercato mondiale), più economici e veloci.
Alle navi da crociera ci si aggrappa così quasi con disperazione, ma gli italiani non sono soli.
Anche tedeschi e francesi si fanno avanti e, forti di condizioni finanziarie e di accesso al credito migliori di quelle italiane, si assicurano i pochi ordini ancora in circolazione.
Dopo vent’anni di leadership mondiale, ad aprile Fincantieri scivola al secondo posto nel mercato delle costruzioni di navi da crociera, superata dai cantieri tedeschi Meyer Wert (sette navi a sei) e insidiata con tre unità  dai francesi di Stx Europe (la cui proprietà  è però coreana).
A settembre 2010 Repubblica entra in possesso del piano industriale e lo rende noto.
L’azienda, che non può smentirne l’esistenza, garantisce che mai lo applicherà . L
unedì l’incontro con i sindacati: due cantieri chiusi, uno ridotto ai minimi termini, così come indicato nel primo piano.
In compenso sono aumentati gli esuberi, erano 2450 nella versione di settembre, ora sono 2511.

Massimo Minella
(da “La Repubblica“)

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BALLOTTAGGIO CON RIFIUTI: COSA PROMETTONO I DUE CANDIDATI A SINDACO DI NAPOLI PER RISOLVERE L’EMERGENZA RIFIUTI

Maggio 26th, 2011 Riccardo Fucile

DE MAGISTRIS RITIENE CHE NON VI SIA BISOGNO DI UN INCENERITORE… LETTIERI VUOLE INVECE SPEDIRE L’IMMONDIZIA IN EUROPA

Che farà  il sindaco di Napoli con l’immondizia che ciclicamente la città  sembra non essere in grado di smaltire?
Prima di rispondere a questa domanda, i due sfidanti per la poltrona di
primo cittadino del capoluogo campano, sarebbe meglio farne un’altra.
Vale a dire: quali sono i poteri del sindaco di Napoli in questa materia?
Quali sono le leve che può o non può muovere dalla sede comunale di Palazzo San Giacomo?
Dire, come è stato affermato, che il progetto di De Magistris “è uguale a quello di Pecoraro Scanio”, fa un torto a entrambi poichè oltre a mettere sullo stesso piano il (candidato) sindaco di una città  e un ministro dell’Ambiente in carica, dice una cosa che non sta in piedi.
Il sindaco di Napoli, alle condizioni date, non ha competenze sull’impiantistica per la chiusura di un ciclo più o meno virtuoso dei rifiuti: questo la legge lo affida alle Province e alle Regioni.
Cosa possono fare allora i sindaci?
Essenzialmente quattro cose: la raccolta (differenziata), la tassa sui rifiuti (che possono rimodulare) e, attraverso la società  che gestisce la raccolta (per Napoli l’Asìa) inserirsi nella parte del ciclo che riguarda lo stoccaggio a terra (con piazzole ecologiche e varie) e un’impiantistica di basso impatto.
Vediamo allora cosa offrono i programmi dei due candidati.
Partiamo da quello di De Magistris, che così lo articola.
Napoli produce 1400 tonnellate di spazzatura ogni giorno: poco meno di un terzo, 350 tonnellate circa del totale, è costituito dalla cosiddetta “frazione umida” (per lo più scarti di cibo, materiale organico).
Questo, dice il candidato sindaco del centrosinistra, in una prima fase sarà  raccolto “porta a porta” sull’intero territorio comunale e inviato negli impianti di compostaggio fuori regione.
Altre 100 tonnellate di vetro e 150 di carta e cartone arriveranno dalla raccolta in strada.
Le 800 tonnellate rimanenti, costituite da frazione secca differenziata, potranno trovare una diversa destinazione nei consorzi che si occupano del riciclo (come il Conai e il Comieco).
Il rimanente si avvierà  agli impianti esistenti in Campania: vale a dire agli Stir (un tempo Cdr, che compiono sul rifiuti un ulteriore recupero di materiale da riciclo) e quindi all’inceneritore di Acerra, che sui depliant del governo sarebbe in grado di bruciare 2000 tonnellate di rifiuti al giorno.
Se questi sono i numeri, afferma De Magistris, non c’è bisogno di costruire un secondo impianto di incenerimento della spazzatura.
A Napoli ne è previsto uno, nella zona Est della città , con una capacità  di bruciare 1200-1400 tonnellate di rifiuti al giorno.
Il candidato del centrosinistra chiederà  alla Regione di revocarne il bando per la costruzione. S
ull’impiantistica De Magistris pensa alla costruzione di tre impianti di compostaggio e alla creazione di un impianto di recupero sul modello di quello di Vedelago, piccolo comune trevigiano arrivato a un riciclo del 99% attraverso una selezione spinta della frazione secca (per maggiori informazione c’è il sito www.centrorici  clo.com  ).
A quel punto, potenziata anche la raccolta differenziata per i commercianti, De Magistris annuncia la modifica della tassa sui rifiuti, che verrebbe rimodulata non sui metri quadri della casa ma sull’effettivo conferimento di rifiuti.
Lo stesso De Magistris ritiene di poter portare la differenziata a Napoli al 66% in pochi mesi.
Cifra ambiziosa: oggi è ferma al 17,7%.
Diversa la ricetta di Lettieri.
Anche lui muove dalla raccolta differenziata estesa a tutti i quartieri: entro dieci mesi – spiega – Napoli arriverà  al 50%.
Anche questa appare una cifra considerevole ma non è nè più nè meno quella che impone la legge (per la precisione l’ordinanza della presidenza del consiglio 3639/2008), pena il commissariamento del Comune.
Anche il centrodestra prevede la costruzione di un impianto per il compostaggio, onde evitare di spedire i rifiuti umidi fuori regione con grave danno per le casse comunali.
Lettieri ritiene di mettere a regime questi due meccanismi entro dieci mesi.
In questo arco di tempo, però, cosa si fa?
La soluzione individuata è duplice: costruire nuovi siti di “trasferenza” e spedire i rifiuti in un misterioso paese straniero di cui non ha voluto rivelare, creando uno strano corto circuito: da una parte, infatti, afferma di non potersi esporre per non far sorgere problemi nel paese ospitante.
Dall’altro ritiene che il paese, dentro i confini Ue, è ben contento di ricevere l’immondizia di Napoli.
Delle due, si direbbe, l’una.
Su una cosa poi, Lettieri è stato chiaro: vuole l’inceneritore a Napoli Est.
Afferma infine che fino a quando persisterà  l’emergenza rifiuti troverà  il modo di non far pagare la tassa sui rifiuti ai suoi concittadini.
Appare evidente che due delle promesse elettorali del centrodestra (i treni verso il misterioso paese Ue e la cancellazione della tassa sui rifiuti) abbiano un considerevole costo.
Chi lo paga? Una legge obiettivo speciale richiesta al governo.

Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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