Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile NEL PICCOLO CENTRO TERMALE, DOVE LA COMUNITA’ STRANIERA E’ MOLTO FORTE, LA LEGA CHIEDE IL VOTO AGLI IMMIGRATI CON UN APPOSITO VOLANTINO SCRITTO IN RUMENO… NIENTE “FOERA DI BALL”, ORA PROMETTE CASA E LAVORO AI ROMENI IN CAMBIO DEL VOTO
Succede a Salsomaggiore Terme dove, il prossimo fine settimana, andranno a ballottaggio i due candidati a sindaco, la Democratica Anna Rosa Ceriati ed il leghista Giovanni Carancini.
Ed è proprio il nome di quest’ultimo che è apparso su migliaia di volantini che in questi giorni stanno facendo il giro della nota stazione termale.
Il contenuto?
A una prima occhiata, difficile a dirsi, visto che il testo è tutto in rumeno.
Ma dopo una semplice traduzione, il volantino — che mette in bella mostra i simboli di Pdl e de La Destra di Storace — recita così: “Il voto è un vostro diritto, usatelo. Vota Carancini, siamo per riconoscere i diritti fondamentali a ogni persona, come il diritto al lavoro, alla ricerca di soluzioni abitative, alla salute e all’istruzione e in particolare alla vita sociale e civile di Salsomaggiore. Aiutaci a risolvere i problemi della comunità a cui appartieni”.
Insomma, la Lega strizza l’occhio alla comunità rumena alla ricerca di voti nelle urne dopo dure campagne condotte contro “lo straniero”: “Dicono che se vince Pisapia, Milano si trasforma in una zingaropoli — scherza il segretario provinciale del Pd di Parma, Roberto Garbi – ma qui non siamo certo noi a flirtare con i rumeni”.
La Ceriati grida quindi al “doppiogiochismo del centrodestra per una manciata di voti” ma dalle segreterie di Pdl, Lega e La Destra prendono tutti le distanze da quel volantino: “Se è stato fatto dai miei, è stato fatto alle mie spalle — chiarisce Carancini, di lunga militanza leghista e con incarichi ed assessorati sparsi per tutto il parmense — perchè comunque è un’idea balzana nonostante io sia amico dei rumeni e so per certo che alcuni di loro mi votano e mi apprezzano”.
L’impressione è che se non fosse diventata una notizia di dominio pubblico nazionale, nessuno si sarebbe dissociato.
Ora la cosa è diventata imbarazzante e si cerca di uscirne prima che arrivino i fulmini da via Bellerio
Rimane quindi l’incognita su chi abbia commissionato i volantini e sulla effettiva strategia politica del centrodestra nei riguardi di una comunità , quella rumena appunto, molto numerosa in provincia di Parma.
Sta di fatto, comunque, che questo weekend Salsomaggiore sceglierà il suo prossimo sindaco e la Lega nord stacca di quasi 17 punti percentuali il Partito democratico.
argomento: Bossi, LegaNord, Politica, radici e valori | Commenta »
Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile SILVIO TEME I RIFLESSI NEGATIVI CHE POTREBBE AVERE ALL’ESTERO UNA SCONFITTA ELETTORALE… E IN ITALIA SI APRIREBBE LA CORSA ALLA SUA SUCCESSIONE
Fino a pochi giorni fa Palazzo Chigi ha tentato in tutti i modi di ottenere il bilaterale col presidente degli Stati Uniti.
La mediazione dell’ambasciata italiana a Washington per ottenere quel faccia a faccia con Obama a margine del G8 che sarebbe stato trasformato dal Cavaliere in un mega spot a ridosso dei ballottaggi.
Ma la Casa Bianca quel bilaterale non lo aveva in programma e non lo ha concesso. Nasce anche dalla stizza di quel rifiuto – raccontano – il blitz con il quale il presidente del Consiglio Berlusconi ha giocato la carta della disperazione.
L’abbordaggio di Barack Obama in pieno vertice, mossa pianificata e ben congegnata, tutt’altro che estemporanea come le immagini tv d’altronde hanno dimostrato.
Il tentativo ultimo di salvaguardare quel che resta dell’immagine internazionale di un premier.
Silvio Berlusconi teme che la marea elettorale in arrivo travolga anche la sua credibilità all’estero.
«Ho una nuova maggioranza» annunzia allora al presidente Usa quasi per disinnescare le notizie che fra tre giorni varcheranno i confini.
Il premier avverte il rischio che tra poche ore, da lunedì, possa essere considerato una volta per tutte un’anatra zoppa dalle cancellerie.
Per lui sarebbe l’inizio della fine.
D’altronde, il giudizio maturato in seno alla diplomazia Usa sul presidente del Consiglio italiano è noto, già filtrato attraverso i cables di WikiLeaks pubblicati a febbraio.
Un premier che «con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole» ha offeso «quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader politico europeo» si leggeva nelle 30 mila pagine di documenti top secret.
E ancora, «la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa e ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell’Italia».
Questo e altro nei cables carpiti da Assange.
Berlusconi si sente dunque sotto scacco al cospetto dei grandi, prova a suo modo a risalire la china, davanti alle telecamere.
Tanto più adesso che la piena elettorale è in arrivo e qualcuno in Italia già lavora a un governo tecnico, facendo leva anche sull’indebolimento internazionale.
Sa che la freddezza di Washington può diventare il vero detonatore della crisi. Soprattutto se la situazione economica dovesse evolvere negativamente e le richieste dell’Unione europea dovessero diventare più pressanti.
In Italia, in sua assenza, la missione di costruire argini è assegnata ai luogotenenti pidiellini.
«Comunque vadano i ballottaggi il governo andrà avanti–mette le mani avanti Gaetano Quagliariello – perchè avremo la maggioranza in Parlamento che ci consentirà di andare avanti».
Eccola la strategia, un governo che si prepara a blindarsi alla Camera e al Senato, forte dei numeri, per resistere al crollo di consensi fuori dal bunker.
Va da sè che in questa chiave il presidente del Consiglio non si sente affatto rassicurato dal Carroccio tornato minaccioso.
«Sono stanco dei personalismi dei nostri e dei distinguo dei leghisti» si lamentava anche ieri a margine del G8 di Deauville, la testa assai lontana dalla crisi economica internazionale, dalla primavera araba, dalla guerra in Libia e di tutti i dossier sul tavolo del vertice.
C’è altro a cui pensare, c’è Calderoli che suona la campana dell’ultimo avvertimento, c’è Bossi che prende di nuovo le distanze da una campagna «troppo nervosa».
Tutto questo per Berlusconi ha lo stesso effetto dei lampi che precedono il temporale. Preludio, intanto, di una sconfitta che lo stesso premier ritiene ormai pressochè inevitabile nella sua Milano.
Sta di fatto che Berlusconi ha deciso nelle ultime ore di campagna di tentare di salvare il salvabile. E puntare tutto su Napoli, puntare al «pareggio».
Di questa campagna elettorale comunque il Cavaliere si è già stancato. E non ne fa mistero.
Guarda oltre e non vede rosa: c’è tutto un mondo fino a ieri vicino che adesso marca platealmente le distanze.
La Marcegaglia denuncia i dieci anni sprecati, in cui il «Palazzo ha pensato ad altro» e per otto su dieci anni il governo lo ha avuto in mano proprio Berlusconi.
E poi c’è il fronte Pdl, sempre più instabile anche quello.
Per un Formigoni che già invoca le primarie e preannuncia la sua candidatura, c’è un fedelissimo, Cicchitto, che lo bacchetta ed esclude «qualsiasi passo indietro» del premier.
Ma sono tutte avvisaglie della slavina che da martedì minaccia di trasformarsi in valanga.
Lopapa Carmelo
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, elezioni, Esteri, governo, Milano, Napoli, Obama, PdL, Politica, radici e valori | 1 Commento »
Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile DOPO LE PROMESSE AI TAXISTI E I FINTI ROM ANTI-PISAPIA, ORA PURE IL CANTANTE SE NE VA….LEI DENUNCIA: “ABBANDONATA DAL PDL”
Le sta provando proprio tutte, Letizia Moratti. 
Per recuperare i sette punti che al primo turno l’hanno distanziata da Giuliano Pisapia, in questi ultimi giorni che precedono il ballottaggio sta snocciolando promesse mirabolanti.
Sanatoria delle multe. Parcheggi gratuiti. Accesso gratis al centro per i residenti. E ora anche il blocco delle licenze di taxi fino al 2015, anno dell’Expo.
Proposte che minano pezzi del suo programma e smentiscono cinque anni d’amministrazione (smantellando di fatto l’Ecopass, per esempio).
Ma promesse insidiose, perchè puntano direttamente al portafoglio dei milanesi. Quella sui taxi, poi, cerca di recuperare una categoria che tradizionalmente vota per il centrodestra (soprattutto Lega) ma che non ama il sindaco uscente.
A Milano ci sono 5 mila tassisti, che con amici e famigliari formano un bacino di circa 15 mila voti.
Crederanno alle lusinghe fuori tempo massimo di Letizia?
“Sono boutade pirotecniche”, secondo Maurizio Pessato di Swg, “che difficilmente riusciranno a spostare l’elettorato milanese. Promesse troppo tardive perchè i cittadini di Milano ci possano credere”.
Se fra i sostenitori di Pisapia prevale comunque la cautela, i segnali che provengono dalle file del centrodestra sembrerebbero indicare invece l’accettazione di una possibile, eventuale sconfitta.
Umberto Bossi non si è fatto vedere al comizio di Letizia Moratti. E perfino Silvio Berlusconi abbandona Milano e punta su Napoli, dove andrà a chiudere la campagna di Gianni Lettieri contro Luigi De Magistris.
Il cerchio sembrerebbe chiuso se si considerano le dichiarazioni dei giorni scorsi di Roberto Formigoni (“Come presidente di Regione ho lavorato con sindaci e presidenti di Provincia di ogni colore”) e del capogruppo della Lega nord Matteo Salvini (“Se vince Pisapia non sarà uno tsunami, sarà il mio sindaco”).
Area ciellina del Pdl e leghisti: sono le due ali “deboli” dello schieramento Moratti: riusciranno a mobilitare il loro elettorato per il ballottaggio?
Pessato ricorda comunque che al secondo turno cambia la “platea elettorale”, la base di chi va a votare può essere anche molto diversa dal primo turno, dunque tutto può succedere.
Ancora non si può descrivere Lady Letizia come una desperate housewife, tradita ieri sera anche da Gigi D’Alessio, che in polemica con la Lega ha disertato il concerto in suo sostegno in piazza Duomo.
Affluenza scarsa, malgrado i “figuranti” chiamati da fuori, con viaggio aereo pagato e hotel a quattro stelle garantito.
Altri “figuranti” su cui la città (e la Procura) s’interroga sono quelli che girano i quartieri e i mercati — secondo alcune denunce — recitando la parte dei rom pro-Pisapia o degli operai che si preparano a costruire moschee.
Nel pomeriggio, a Sky, Moratti ha fatto un confronto televisivo con una sedia vuota, per rimarcare la mancata partecipazione di Pisapia (che ha spiegato: “Non mi ha ancora chiesto scusa per le accuse false che mi ha rivolto alla fine del primo confronto”).
Il sindaco uscente ha puntato, più che sulle sue proposte, sulla critica, spesso caricaturale, al programma dell’avversario. Ecopass, moschee, “zingaropoli”, Pgt (Piano di governo del territorio), “scarsa credibilità ” della sua coalizione.
Scaricata da Berlusconi, secondo cui i cattivi risultati del primo turno sono da addebitare ai “candidati deboli”, Moratti replica facendo capire di essere stata danneggiata invece proprio dai comizi del presidente del Consiglio davanti al tribunale di Milano: “Si sono sovrapposte immagini che dovevano essere date e che però hanno attratto l’attenzione su problematiche diverse rispetto alla città di Milano. È stata danneggiata la possibilità di parlare dei programmi e delle cose concrete”.
La polemica ha investito anche un candidato della lista del Pdl a Milano, Carmine Abagnale, carabiniere e delegato del Cocer dell’Arma (l’organismo di rappresentanza sindacale dei carabinieri).
Non solo ha fatto campagna elettorale esibendo la sua divisa, ma il 10 maggio scorso ha anche inviato un messaggio e-mail propagandistico usando la posta elettronica e gli indirizzi istituzionali di tutti i militari dell’Arma in forza a Milano.
È quanto denuncia Luca Marco Comellini, segretario del Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm).
Stasera grande concerto in piazza Duomo per Pisapia.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, governo, Milano, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile OSSESSIONE GIUDIZIARIA: UN PAESE UMILIATO DA UN PREMIER CHE DENIGRA LA MAGISTRATURA ANCHE DAVANTI AI GRANDI DEL MONDO…SARKOZY SI IRRITA E LO RICHIAMA ALL’ORDINE
Il Cavaliere sbarca in Normandia e mostra il lato B dell’Italia al “signor Obama”, davanti agli altri capi di Stato attoniti.
Una sequenza di fotogrammi incredibile, oltre ogni imbarazzo. “In Italy we almost have a dictatorship of left judges”. “In Italia abbiamo quasi una dittatura dei giudicI
di sinistra”.
Ieri al G8 francese. Centre International di Deauville, i cosiddetti grandi della terra si stanno accomodando al tavolo rotondo del summit. Berlusconi è in piedi e ha le mani poggiate sullo schienale della poltrona bianca a lui assegnata.
Ha lo sguardo vigile, segnato da un sorriso nervoso. Aspetta qualcuno.
Cioè il presidente americano, che entra accompagnato dal padrone di casa Nicolas Sarkozy.
Obama raggiunge il suo posto e si siede. Il premier scatta, ma non si dirige subito verso di lui. Prima si avvicina alle transenne e a gesti invita un uomo in completo grigio a riprendere la scena.
Berlusconi torna indietro e con la mano sinistra avvita la spalla di Obama. Si china e inizia a parlare. Ma il presidente degli Stati Uniti non capisce.
Passa una donna dai capelli neri. È un’interprete. Obama la ferma, poi si alza e dà le spalle al tavolo. Berlusconi fa un monologo di pochi secondi. L’interprete traduce.
Le telecamere catturano l’ossessione del Cavaliere grazie al labiale: “Per noi è fondamentale la riforma della giustizia perchè in questo momento abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra”. Obama ascolta.
Lo sguardo del premier tradisce una cupezza da malato terminale della politica. Un piazzista triste che sa di fare una mossa disperata.
Obama non sa che rispondere, colto di sorpresa. Berlusconi ha le mani incrociate sul petto, d’ improvviso le agita e fa il tocco e ritocco con Obama, come Totò nella famosa scena nel treno con l’onorevole Trombetta.
Lo spot elettorale è finito. Il premier torna alla sua poltrona bianca e incrocia Sarkozy, visibilmente spazientito.
Il presidente francese fa un segno inequivocabile a Berlusconi: “Adesso hai finito, possiamo cominciare?”.
Il surreale intermezzo di due minuti al G8 di Deauville è l’ultima marchetta elettorale del Cavaliere prima del ballottaggio di domenica e lunedì prossimi.
Nella maggioranza il clima oscilla tra il 25 luglio e così il premier ha pensato di reclutare un inconsapevole Obama per il suo spot internazionale per fini casalinghi. Una figuraccia che supera tutte le altre gaffe precedenti e disseminate in vari punti dell’orbe terracqueo.
Il Cavaliere è solo e vuole fare colpo sugli italiani facendosi immortalare mentre spiega al “signor Obama”, come l’ha chiamato l’altra sera a Porta a Porta da Bruno Vespa, che lui, Berlusconi, in Italia è perseguitato dai magistrati, “ha subìto più di venti processi” e che adesso grazie “alla nuova maggioranza” farà la riforma della giustizia.
Lo stesso ritornello ripetuto mercoledì sera alla cena di Confindustria, reduce da Vespa, dove aveva dato la sua versione dell’articolo uno della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica in cui la sovranità appartiene a Magistratura Democratica e ai suoi pubblici ministeri”.
Colpisce poi una coincidenza. Il biennio a luci rosse del Cavaliere, racchiuso dallo scandalo di Noemi Letizia a Casoria all’eventuale sconfitta di Letizia Moratti a Milano, si apre e chiude nel segno di Obama.
Come se il presidente americano, l’amico “giovane, bello e abbronzato”, fosse il confidente preferito di Berlusconi.
Un altro show, infatti, fu preparato per la conferenza stampa finale del G8 dell’Aquila. L’occasione ideale per far dimenticare i casi di Noemi e Patrizia D’Addario.
Era il luglio del 2009. L’inner circle del premier temeva che uscissero fuori presunti scatti hard di Villa La Certosa e il capo dello Stato chiese una tregua per lo svolgimento del vertice internazionale.
Tutto andò liscio e nell’ultimo incontro coi giornalisti (il portavoce Bonaiuti consentì le domande solo ai cronisti amici), Berlusconi rivelò: “Ho avuto un rapporto molto cordiale con Obama. A cena siamo stati seduti vicini e ci siamo parlati in modo simpatico. Lui mi ha parlato della sua vita privata, io gli ho parlato della mia vita privata (la separazione da Veronica Lario, ndr). Abbiamo aperto un discorso che potrà sfociare in una stima, simpatia, amicizia”.
Peccato che tre mesi dopo al G20 di Pittsburgh Michelle Obama, la first lady della Casa Bianca, si tenne lontano da Berlusconi.
Il premier le corse incontro per abbracciarla ma lei, impassibile e gelida, gli tese solo la mano. Scrisse il Telegraph: “Gli ha stretto la mano con la stessa prudenza con cui avrebbe dato da mangiare a un coccodrillo”.
Imbarazzante, come al solito.
In Italia, il labiale di Deauville ha scatenato una serie infinita di reazioni.
Prima fra tutte quella di Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati: “Non ci prestiamo a strumentalizzazioni elettorali. È molto grave però che questo sia accaduto all’estero, e che una fondamentale istituzione dello Stato venga denigrata anche agli occhi di uno dei più potenti capi di Stato al mondo”.
Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani azzecca una battuta perfetta: “Oggi Berlusconi è riuscito a togliere due minuti del G8 a Obama per dire che il problema degli italiani sono i giudici rossi. Magari gliene ha parlato per chiedere un intervento della Nato contro le toghe”.
È toccato ad Antonio Di Pietro fare invece uno scomodo parallelo per Berlusconi.: “Mi auguro che il presidente statunitense gli abbia risposto a dovere, spiegandogli come si comportano negli Usa per casi simili. Ci riferiamo al caso di Strauss-Kahn che, per un presunto rapporto sessuale non consenziente, è stato tirato giù dalla scaletta dell’aereo e sbattuto nel carcere di Harlem, mentre in Italia, il caso Ruby è stato portato in Parlamento per impedire alla magistratura di indagare”.
Un Berlusconi “skhandaloso”, ieri in Normandia.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Costume, Esteri, Politica, radici e valori | Commenta »
Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile IL CALCOLO E’ STATO FATTO BASANDOSI SULLE SOLE ORE IMPIEGATE IN PARLAMENTO E IN COMMISSIONE PER DISCUTERE DI EX CIRIELLI, LODO ALFANO E VARIE
Quanto sono costate le leggi “ad personam” che il Parlamento ha cucito addosso al
presidente del Consiglio Berlusconi in questi anni?
Un calcolo complessivo è praticamente impossibile da fare.
Ma per i soli lavori parlamentari, vale a dire per le sole ore impiegate da deputati e senatori in commissione e in aula per discutere di “ex Cirielli” o di “Lodo Alfano” lungo i tornanti del decennio 2001-2011, un calcolo si può fare.
Uno l’ha fatto l’Idv : lo studio ci informa che la spesa è stata esorbitante, due miliardi e 259 milioni di euro per i soli dieci provvedimenti che riguardano i guai di Berlusconi con la giustizia e il conflitto di interessi diretto.
Per ottenere la cifra, si è partiti dalle ore che Camera e Senato hanno dedicato alla discussione di questi provvedimenti: a Montecitorio, tra aula e commissioni, se ne è parlato per 731 ore e mezza (praticamente un mese intero in dieci anni contando giorno e notte).
A Palazzo Madama per 629,23.
I numeri, tratti dalle banche dati delle due assemblee sono considerevoli. si pensi che in un anno l’aula di Montecitorio si riunisce approssimativamente per 760 ore e quella del Senato per circa 500.
Ma come fare a sapere quanto “costa” un’ora di lavoro alla Camera o al Senato?
Il vicepresidente del gruppo Idv a Montecitorio Borghesi ha pensato di ricavarlo attraverso un calcolo.
Ha diviso le ore complessive di seduta dell’ultimo biennio per il costo di ciascuna Camera.
E ha ottenuto un dato (ripulito dai soldi dei rimborsi ai partiti che alla fine non ricadono sul funzionamento del lavoro d’aula o di commissione) che è di 1.859.447 euro per Montecitorio e di 1.428.045 per Palazzo Madama.
La cifra, già di per sè sorprendente (oltre un milione di euro solo per un’ora di lavoro), è stata via via moltiplicata per i dieci provvedimenti presi in esame: quelli che servivano solo ed unicamente al premier.
Vediamone il dettaglio.
Per la prima legge blocca rogatorie (la 367 del 2001) che provò a coprire i movimenti sui conti svizzeri tra Cesare Previti e il giudice Renato Squillante, Camera e Senato hanno lavorato 69,55 ore. La spesa calcolata è stata di 114 milioni di euro e spicci.
Sono stati invece di oltre 363 milioni i costi per approvare in 218 ore di lavoro il legittimo sospetto (la legge 248 del 2002) che permette di chiedere la ricusazione del giudice nel caso la difesa sollevi sospetti sull’imparzialità dello stesso.
Viene poi il tempo dei “lodi” per evitare che vadano a processo le cinque più alte cariche dello Stato. Il “lodo Schifani” (legge 140 del 2003, che la Consulta dichiarò incostituzionale l’anno seguente) ha impegnato il parlamento per 103,58 ore, con una spesa di quasi 178 milioni investita in nulla.
Alla serie della fuga dai processi per questa via, appartiene anche il Lodo Alfano (legge 124 del 2008).
Il Parlamento ne discusse per 36,17 ore, buttando a mare circa 61 milioni di euro prima che la Consulta lo impallinasse nuovamente nel 2009.
Stessa sorte per il Legittimo impedimento (legge 51 del 7 aprile 2010) che dopo 59,48 ore di lavoro e quasi cento milioni di spesa, è finito menomato sempre dai giudici costituzionali mesi dopo.
Adesso al Senato si discute il Lodo Alfano Costituzionale: non è ancora legge, ma è già costato il lavoro di 30,35 ore per 43 milioni di spesa.
Sempre sul tema la ex Cirielli che riduce i termini della prescrizione (la 251 del 2005) è stata dibattuta per 149 ore: il conto è di 242 milioni di euro circa.
La legge Pecorella, invece, che rendeva inappellabili le sentenze di proscioglimento (anche questa, la 46 del 2006, fu azzoppata dalla Corte Costituzionale nel 2007), contemplò un impiego di 107 ore: 178 milioni.
C’è poi il capitolo Gasparri. La legge che porta il suo nome (la 112 del 2004) serviva a “risistemare” il sistema radiotelevisivo: fu discussa per 542 ore, una spesa di 924 milioni. Lo stesso si cimentò poi sul processo breve.
La norma deve ancora ripassare dal Senato, ma per adesso ha visto deputati e senatori discuterne per 143 ore (235 milioni di spesa).
Il conto buca i due miliardi di euro.
E non sono state conteggiate, per scelta, altre leggi che hanno fatto bene a Berlusconi e al suo conflitto di interessi, come la cancellazione dell’imposta di successione, il decreto salva-calcio, il condono fiscale del 2003, la Salva Rete 4, le due finanziarie (2004 e 2005) che contenevano norme sul digitale terrestre in grado di favorire l’impresa di un decoder prodotto da una ditta che faceva capo a suo fratello, Paolo Berlusconi, l’estensione del condono edilizio, la previdenza integrativa individuale allargata al ramo assicurativo.
argomento: Berlusconi, Giustizia, governo, Parlamento, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile LA NUOVA LISTA ANEMONE AL VAGLIO DELLA PROCURA DI ROMA… EVIDENTI ANOMALIE NELLA COMPRAVENDITA DELL’APPARTAMENTO CON VISTA SUL COLOSSEO….UMILIATA LA TESI DELL’ACQUISTO INCONSAPEVOLE
Il fantasma del Fagutale, il mezzanino da 1 milione 700 mila euro vista Colosseo abitato dall'”inconsapevole” proprietario Claudio Scajola e acquistato per due terzi con denaro altrui, torna ad afferrare l’ex ministro.
La Procura di Roma riceverà le novecento pagine della “nuova” contabilità segreta estratta dai computer di Diego Anemone, il Grande Elemosiniere del sistema degli appalti pubblici.
E una partita che Scajola aveva dato frettolosamente e strumentalmente per archiviata (da quando aveva ritenuto che il tempo del suo breve purgatorio politico si fosse esaurito, ripeteva di essere stato “scagionato”) riprenderà esattamente dal punto in cui l’avevamo lasciata.
Con una differenza sostanziale, rispetto ai giorni dell’aprile 2010, quando il caso scoppiò.
Che dodici mesi di indagini dei pm umbri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, il patteggiamento e le ammissioni dell’architetto Angelo Zampolini, “corriere” e “spicciafaccende” di Anemone, hanno fissato documentalmente – e dunque in modo incontrovertibile – le anomalie di quella compravendita, umiliando la tesi dell'”acquisto inconsapevole”.
Il procuratore di Roma, Giovanni Ferrara, ripete da ieri che “ogni valutazione sulla posizione di Scajola è prematura”.
Che la decisione che dovranno prendere il procuratore aggiunto Alberto Caperna e il sostituto Ilaria Calò non può prescindere dall’esame delle nuove emergenze istruttorie di Perugia.
A cominciare dalla prova documentale che, nel maggio del 2004, Anemone versò 200 mila euro in contanti (oltre ai 30 mila per la mediazione dell’agenzia), per chiudere il preliminare di acquisto di via del Fagutale.
Circostanza, questa, che, da sola, rende inverosimile l’ipotesi di un acquirente (Scajola) che, al momento del rogito (6 luglio 2004), non si accorge, peggio “non sa”, che per la casa che sta comprando le venditrici hanno già ricevuto parte del prezzo.
I pm umbri, a lungo incerti se iscrivere Scajola al registro degli indagati per il reato di corruzione (a oggi, resta “persona informata sui fatti”), alla fine hanno deciso che, non essendo questa l’unica strada percorribile, sarà Roma a decidere sulla qualificazione giuridica della posizione del ministro, per il quale sarebbe ipotizzabile anche il reato di riciclaggio.
È un fatto che se un primo orientamento si sta facendo strada a Roma, questo è quello di “stralciare” la posizione del ministro dalle decine di posizioni minori emerse nell’inchiesta di Perugia e già trasmesse a Roma, per farne un fascicolo autonomo.
Procedura che, normalmente, prelude a un’iscrizione e che, comunque, segnala la presenza di una prima massa critica di indizi.
Che infatti non mancano.
A dispetto delle parole dell’ex ministro che insiste nel denunciare una “campagna di fango e illazioni”.
E a cominciare dalle dichiarazioni dell’architetto Zampolini, il professionista che per conto e con denaro di Diego Anemone paga in contanti la caparra di 200 mila euro per l’acquisto di via del Fagutale e che, al momento del rogito, trasforma l’ulteriore provvista nera di 900 mila euro in contanti messa a disposizione dal costruttore in 80 assegni circolari.
Interrogato il 18 maggio dello scorso anno, Zampolini dà infatti le prime due decisive martellate alla già pericolante difesa di Scajola.
“Si dava del tu con Anemone, che accompagnai anche a casa sua”, racconta.
Di più: “Il giorno del rogito, il notaio certamente non poteva non sapere che la casa di via del Fagutale valeva di più di quanto dichiarato dall’atto (610 mila euro, ndr.). Ricordo che, a un certo punto, il notaio pronunciò una frase del tipo “regolatevi come volete””.
Dalle indagini del nucleo tributario della Guardia di Finanza (depositate a Perugia, prima, e ora a Roma), sappiamo come Scajola si regolò.
Le due sorelle Papa, Barbara e Beatrice, le venditrici della casa, ricevettero dalle mani del ministro assegni circolari per 600 mila euro (il mutuo che aveva acceso) e da quelle di Zampolini assegni per altri 900 mila euro.
Il ministro non se ne accorse?
I carabinieri del Ros e la Finanza hanno documentato in questi mesi qualcosa in più (anche questi sono atti depositati).
I lavori di ristrutturazione di via del Fagutale vennero diretti dalla società “Medea”, di proprietà di Anemone e Mauro Della Giovampaola (braccio destro del provveditore alle opere pubbliche Angelo Balducci), e gli artigiani che lavorarono nell’appartamento, dall’impiantistica, agli stucchi, ai servizi, vennero saldati da Anemone, con fatture caricate su un appalto pubblico che aveva vinto (la caserma dell’allora Sisde di piazza Zama) e di cui gonfiò i costi.
Possibile, verosimile, ragionevole, che il ministro non si accorse di non aver saldato neppure una fattura a un elettricista?
Sicuramente Scajola finì per non badare ai dettagli.
Come un trasformatore da 96 euro e un frullatore da 100.
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, Giustizia, governo, la casta, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Maggio 27th, 2011 Riccardo Fucile IL PREMIER NON VA ALL’ASSEMBLEA, GLI IMPRENDITORI ORMAI NON SI ASPETTANO PIU’ NULLA DAL GOVERNO
Silvio Berlusconi non è invitato. 
L’Assemblea annuale della Confindustria che si è celebrata ieri a Roma sancisce definitivamente la rottura tra industriali e governo.
Il premier non c’è andato e per la prima volta nella storia dell’associazione parlerà dal palco il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Per capire bene lo strappo bisogna partire dal protocollo. È prevista, da sempre, la presenza del ministro dello Sviluppo economico a cui, talvolta, si aggiunge anche il presidente del Consiglio.
Lo scorso anno Berlusconi ricopriva entrambi i ruoli, visto che Claudio Scajola si era dimesso.
L’assemblea non andò bene: il Cavaliere, tra slogan e barzellette, offrì al presidente degli industriali Emma Marcegaglia di diventare ministro.
“Quando ti ho proposto di venire ad assumere la responsabilità del ministero dello Sviluppo mi hai risposto: ‘Come la prendono in Confindustria?’
Ora ti ripropongo l’offerta, e agli industriali presenti chiedo: voi come la prendereste?”. Gelo in platea.
L’anno prima Berlusconi aveva definito Emma una “velina tutta vaporosa”. Quest’anno, quindi, Berlusconi non è stato invitato se non alla tradizionale cena con il direttivo dell’associazione, lontano dall’imbarazzo della diretta televisiva e della platea dell’Auditorium di Roma.
Il calendario aiuta: c’è un provvidenziale impegno al G8 di Deauville e ci sono le elezioni, la Confindustria non vuole diventare il palco per un comizio pre-ballottaggi. Oltre al fatto che ai vertici dell’associazione non avevano una gran voglia di organizzare un incontro ravvicinato premier-capo dello Stato, visti rapporti difficili tra le due istituzioni in questi mesi.
Ma c’è di più.
Anche alle assise del 7 maggio, quelle di Bergamo poi diventate celebri per gli applausi al manager condannato per la strage Thyssen, il governo non era stato invitato.
Perchè la Marcegaglia temeva i fischi, vista la frustrazione diffusa nella base per l’assenza di misure di stimolo alla crescita da parte del governo combinata con il timore per l’imminente manovra da 40 miliardi.
“La Confindustria non può passare all’opposizione, è costretta a essere almeno un po’ filogovernativa, ma adesso prevale la logica del fare da soli, come se la politica non ci fosse”, spiega un esperto delle dinamiche confindustriali.
C’è un parametro concreto per misurare questo distacco: la Marcegaglia ha abbandonato una formula che ricorreva sempre dall’inizio della sua presidenza fino allo scorso anno, cioè “questo governo ha la maggioranza, ha il dovere di fare le riforme e governare”.
Ora l’unico orizzonte su cui si muove la Marcegaglia è quello del dialogo con Susanna Camusso, il segretario Confederale della Cgil, per affrontare problemi come la rappresentanza sui luoghi di lavoro che il governo si rifiuta di toccare.
Ma, pur avendo poco da offrire, l’esecutivo continua a voler condizionare le scelte confindustriali.
Raccontano che Giorgio Squinzi, influente capo di Federchimica, ogni volta che si spende pubblicamente per ricordare che con la Cgil si possono anche firmare i contratti, riceva poi una telefonata del ministro del Welfare Maurizio Sacconi che lo richiama alla linea governativa.
Cioè che si parla solo con Cisl e Uil, le quali infatti stanno ipotizzando un’alleanza stabile per arginare la Cgil.
Con il governo, ormai, Emma Marcegaglia non riesce più a dialogare.
Toccherà al suo successore — dal 2012 — cercare un nuovo rapporto.
O di appoggio esplicito, come fu ai tempi di Antonio D’Amato, o di vera critica, come Luca Cordero di Montezemolo provò a fare per poi spaventarsi quando si trattava di arrivare davvero allo scontro.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Berlusconi, economia, Politica | Commenta »