Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
NEL SEGRETO DELL’URNA MISTER BERLUSCONI NON TI VEDE, MA LA TUA COSCIENZA SI’
Ci siamo, ormai manca poco. ![](http://img4.imageshack.us/img4/6953/adessobasta2.jpg)
Ecco l’ultimo sforzo da fare per completare l’opera iniziata due anni fa.
Ai ballottaggi serve coraggio, convinzione e determinazione.
Serve un voto per spodestare chi ingurgita il paese, chi lo infanga e ne gioisce.
Chi lo insulta e lo mette alla berlina.
Votate perchè, nel segreto dell’urna “mister B. non ti vede, ma la tua coscienza sì”.
La coscienza che chiama a raccolta le energie di un paese che anela ad un cambiamento.
Che vuole finalmente voltare pagina, aprire un vero e proprio rinascimento sociopolitico sulla base di quel patriottismo repubblicano fondato su “certi” valori.
E non sugli umori dei responsabili.
Votare tutti tranne i candidati di Silvio Berlusconi, significa chiudere un cerchio, completare un percorso iniziato due anni fa.
Una traversata nel deserto, perchè di questo si è trattato.
Senza dubbio difficile, impervia, con cadute, ma anche con risalite.
Con virate improvvise, con defezioni, con ripartenze.
moltissimi stop and go, ma per questo, ancora più dolce perchè finalmente in fondo al tunnel, si iniziano a scorgere i primi raggi di luce.
Una luce bella, incoraggiante, che invoglia al nuovo.
Perchè, come disse Hannah Arendt, «la politica è la facoltà di dare inizio».
E allora completiamo l’opera.
A testa alta.
(da “Il Futurista“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA HA RACCOLTO AL PRIMO TURNO IL 40,7% DEI VOTI, QUELLO DEL PDL IL 27,5%… DECIDERANNO I GRILLINI CON IL 6% E UNA LISTA CIVICA CON IL LORO 10,7% AL PRIMO TURNO… PER LA PROVINCIA LA VITTORIA DELLA SINISTRA NON SEMBRA IN PERICOLO
C’è un vento che soffia contro il centrodestra e che talvolta sospinge gli altri candidati del centrosinistra oltre i loro effettivi meriti.
È il caso, ad esempio di Trieste, città nella quale Roberto Cosolini (centrosinistra) ha vinto il suo primo tempo (ha un vantaggio del 13% ) nella partita contro il rivale Roberto Antonione (centrodestra).
Ma ora, palla al centro, domenica e lunedì si saprà se il centrosinistra guiderà la città .
Archiviata la campagna elettorale moscia (bipartisan), i programmi elettorali e i comizi simili per contenuti (gli unici che erano riusciti ad interessare i triestini erano stati quelli di Sel e del Movimento 5 Stelle) la destra si presenta più divisa che mai e il Pd spera nel ribaltone.
Dove eravamo rimasti dopo il primo turno?
Roberto Antonione 27,50%, Roberto Cosolini 40,67%, Massimiliano Fedriga (6,26%), Paolo Menis (Movimento 5 Stelle) 6,01 ma soprattutto Franco Bandelli (lista Un’altra Trieste in coalizione anche con Forza Nuova) con 10,76% di voti.
Tradotto: se il centrosinistra riuscirà a vincere a Trieste sarà grazie all’elettorato di destra.
Sembra peggio di un rompicapo ma così è.
Già perchè Franco Bandelli (detto il “rottamatore” della destra, popolare per aver ideato la maratona d’Europa, la “bavisela”) alla fine non ha sottoscritto l’apparentamento con Roberto Antonione che non ha accettato i sei punti del documento programmatico presentato da Bandelli.
Così quest’ultimo ha consigliato al suo elettorato di votare scheda bianca. Altra incognita sarà il voto del cosiddetto Pda (partito degli astenuti) che a Trieste ha superato quota 40%.
Un segnale “che viene dall’elettorato del centrodestra” era stato il commento del coordinatore Pdl Isidoro Gottardo.
Il quadro dei ballottaggi sembra essere meno complicato per la Provincia dove l’uscente Maria Teresa Bassa Poropat (centrosinistra) da sola, ha davvero trionfato al primo turno 48,48% di voti, 55.270 contro i 34 mila dello sfidante Giorgio Rot che, pure facendo meglio del suo collega Pdl Antonione, deve esorcizzare lo spauracchio della sconfitta al secondo turno.
Ma torniamo in città Trieste dove è davvero accaduto di tutto nelle due settimane precedenti il ballottaggio.
Non è infatti mancato neppure un esposto alla Procura della Repubblica annunciato dal consigliere regionale (e vice coordinatore del Pdl) Piero Tononi.
I magistrati, per la verità , si sono riservati di valutare “i fatti relativi ad alcune richieste avanzate dalla Fiamma Tricolore al Pdl riportate dagli organi di stampa”.
Si era parlato di soldi in cambio di voti ma mentre su questa faccenda rimangono molti lati oscuri ciò che è chiaro è che l’unico apparentamento riuscito al Pdl, alla fine è quello con la Lega.
Sì perchè, in base alla legge elettorale regionale, gli apparentamenti possono scattare solo se ottengono il via libera di tutte le formazioni che hanno sostenuto il candidato al primo turno.
E dunque la Fiamma, opponendo il proprio veto alle intese in via di definizione, ha rischiato davvero di far saltare il banco dell’intero centrodestra.
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA, IN UNA CITTA’ IN MANO DA SEMPRE AL CENTRODESTRA, L’ESITO E’ SUL FILO DI LANA…IL CANDIDATO DELLA SINISTRA, IL GIOVANE MASSIMO ZEDDA, PARTE DAL 45,1% CONTRO IL 44,7% DELL’ESPONENTE DEL CENTRODESTRA MASSIMO FANTOLA… SARANNO DETERMINANTI I VOTI DI FLI CHE AL PRIMO TURNO HA OTTENUTO OLTRE IL 4% DI CONSENSI
Chissà quale vento soffierà , oggi e domani, su Cagliari. ![](http://img14.imageshack.us/img14/1118/zedda222.jpg)
Se nel bel mezzo di una primavera “capricciosa” prevarrà la voglia di rinnovamento del giovane Massimo Zedda o l’impronta della continuità con le giunte di centrodestra di cui è esponente Massimo Fantola.
Il primo ha 35 anni, è in quota Sel e ad appoggiarlo c’è l’intera coalizione di centrosinistra dopo la vittoria alle primarie di gennaio.
Al primo turno ha ottenuto il 45,1 per cento dei consensi, superando l’avversario (44,7) e aggiudicandosi già un risultato storico in una città dominata da un centrodestra abituato a vincere al primo colpo.
Massimo Fantola, 63 anni, è esponente dei ‘Riformatori’, un partito nato in Sardegna e che a livello nazionale fa riferimento a Mario Segni; Fantola può contare sul sostegno di Pdl e Udc (che nell’isola è in controtendenza rispetto allo scenario nazionale), ma non di Fli e Msi Destra nazionale.
Fli ha corso al primo turno con un suo candidato, Ignazio Artizzu che ha ottenuto il 4 per cento dei consensi.
Determinante nel ballottaggio potrebbe essere proprio l’orientamento degli esponenti di Fli, anche se qualcuno dei suoi dirigenti ha manifestato di gradire il nome di Zedda, così come hanno fatto quelli nazionali di Msi Destra nazionale.
Importante sarà naturalmente anche la posizione degli indipendentisti, che avevano candidato a sindaco la consigliera regionale Claudia Zuncheddu. Nella campagna elettorale per il ballottaggio non sono mancate le critiche e neppure l’ironia.
Fantola, davanti alla presenza dei big nazionali di Pd e Sel a sostegno di Zedda ha parlato di ‘stampella rossa’.
Dichiarazioni che hanno avuto l’effetto di un boomerang quando a supporto del candidato del centrodestra, che aveva annunciato di non volere sostenitori nazionali per il ballottaggio (ma al primo turno non è certo mancata la presenza dei ministri e dirigenti nazionali del Pdl), sono arrivati i video-messaggi del presidente del Consiglio.
Presenza che ha fatto scattare la replica del Pd regionale che ha diramato una nota ironica in cui, facendo riferimento alla presenza in video del premier, ha chiosato: “Ma Massimo Fantola non aveva criticato il centrosinistra per la presenza dei padrini romani? Lui sale di livello: a suo sostegno arriva il padrone. Ed è certamente un’altra cosa”.
Cinzia Simbula
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
MA ANCHE QUELLE FONDATE, CIOE’ QUASI TUTTE….ECCO QUALI SONO I PROCEDIMENTI PENALI GIA’ CONCLUSI E QUELLI ANCORA IN CORSO.. IL PREMIER SI E’ SALVATO SPESSO PER AMNISTIA O PROMULGANDO LEGGI CHE DERUBRICAVANO IL SUO REATO
1. Falsa testimonianza P2.
Accusa fondata: la Corte d’appello di Venezia dichiara B. colpevole, ma salvo per amnistia.
2. Corruzione Guardia di Finanza.
Accusa fondata: Fininvest pagò tre tangenti di £ 100 milioni ciascuna per addomesticare verifiche fiscali. Il corruttore Sciascia e i finanzieri corrotti sono condannati, B. è assolto per “insufficienza probatoria” grazie alla falsa testimonianza di Mills.
3. Fondi neri sui terreni di Macherio.
Accusa parzialmente fondata ( £ 4,4 miliardi pagati in nero all’ex proprietario): B. assolto da appropriazione indebita, frode fiscale e un falso in bilancio; salvo per amnistia da un altro falso in bilancio.
4. Fondi neri sull’acquisto di Medusa.
Accusa fondata: il manager Fininvest Bernasconi dirottò £ 10,2 miliardi in nero su 5 libretti al portatore di B., che però è assolto dal falso in bilancio per insufficienza di prove: è troppo ricco per potersi essere accortodell’introito.
Lo incassò a sua insaputa.
5. All Iberian-1.
Accusa fondata: condannato in primo grado a 28 mesi per £ 23 miliardi di finanziamenti illeciti a Craxi, B. si salva in appello per prescrizione grazie alle attenuanti generiche.
6. All Iberian-2.
Accusa fondata: B. assolto dai falsi in bilancio per £ 1200 miliardi di fondi neri esteri “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato” (depenalizzato dallo stesso B.).
7. Caso Lentini.
Accusa fondata: per i 10 miliardi versati in nero dal Milan al Torino in cambio del calciatore, il falso in bilancio è prescritto grazie alle attenuanti generiche e al taglio della prescrizione previsto dalla riforma del governo B.
8. Bilanci Fininvest 1988-’92.
Accusa fondata: prescrizione del falso in bilancio e dell’appropriazione indebita nell’acquisto di diritti tv, per attenuanti generiche e prescrizione abbreviata da B.
9. Consolidato Fininvest.
Accusa fondata: ancora prescrizione grazie alle generiche e ai nuovi termini della legge B. anche per i falsi in bilancio da £ 1500 miliardi di fondi neri su 64 società offshore del “comparto B” della Fininvest.
10. Sme-Ariosto/1.
Accusa infondata: non c’è prova che i sicuri pagamenti di Previti ai giudici Squillante e Verde con soldi Fininvest fossero legati all’affare Sme e ordinati da B. (assolto).
11. Sme-Ariosto/2.
Accusa fondata:B.assolto dai falsi in bilancio relativi ai pagamenti ai giudici “perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato” (l’ha depenalizzato lui).
12. Mondadori.
Accusa fondata: gli avvocati Fininvest Previti, Pacifico e Acampora corruppero il giudice Metta con £ 420 milioni (soldi di B.) per annullare il lodo Mondadori, ma B. si salva grazie alla prescrizione abbreviata dalle solite generiche.
13. Corruzione Saccà .
Accusa parzialmente fondata: è provato da intercettazioni che B. chiese a Saccà di sistemare a Raifiction alcune sue protette e gli promise aiuti per la sua attività privata di imprenditore,ma è assolto perchè Saccà (dirigente del servizio pubblico) non sarebbe un incaricato di pubblico servizio.
14. Compravendita senatori.
Accusa parzialmente fondata: B. e suoi uomini offrirono posti di sottogoverno e sostegno elettorale al sen. Randazzo (Unione) per votare contro Prodi. Ma B. è prosciolto: non è istigazione alla corruzione, solo “malcostume”.
15. Caso Sanjust.
Accusa parzialmente fondata: l’ex marito di Virginia Sanjust, amante di B. fu degradato e trasferito dal Sisde per ordine di Palazzo Chigi. Ma B. è assolto dall’abuso d’ufficio e dal mobbing: il trasferimento potrebbero averlo deciso Letta e il gen. Mori.
Come sempre, a sua insaputa.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
LA GAFFE CON IL “CORRIERE DELLA SERA” E’ SOLO IL CULMINE DI UNA MEMORABILE SERIE DI AUTOGOL DELL’ODONTOIATRA BERGAMASCO… IL SUO MINISTERO PATACCA CON 73 DIPENDENTI COSTA 2,6 MILIONI DI EURO E FA SOLO SPOT: SE VOLESSE DAVVERO TAGLIARE LE SPESE INUTILI, DOVREBBE ELIMINARE PER PRIMO SE STESSO
C’è un modo per semplificare il governo: eliminare il ministero per la Semplificazione. ![](http://img651.imageshack.us/img651/4828/calderolicalderolirogo5.jpg)
Un eldorado romano diretto dal leghista Roberto Calderoli, dove 73 infaticabili filologi esaminano leggi, testi, atti e decreti regi in italiano dantesco.
E poi zacchete: puliscono, tagliano, bruciano.
Il ministro è veloce a infilare trapani e forbici, fedele al suo mestiere originario di odontoiatra a Bergamo: ieri ha confessato al Corriere della Sera di voler chiudere l’ufficio del ministero di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma, complice un trasloco di massa di un paio di ministri e del Colle a Milano.
Poi ha capito di averla sparata più grossa che in tante (e notevoli) occasioni precedenti.
E in panico, smarrita la lucidità che partorì la legge (porcata) elettorale, ha cercato di smentire l’intervista, secondo lui vittima di un’incomprensione, di un’interferenza telefonica tra un comizio e una tavolata.
La direzione del Corriere risponde con un comunicato, Calderoli annuncia querela e il direttore Ferruccio de Bortoli raddoppia: “Le confermo quanto le ho già scritto. Raramente mi è capitato di avere a che fare con una persona confusa e in malafede come lei, ma ormai non mi stupisco più di nulla. Sa che le dico? La querela la faccio io. E le chiederò anche i danni per le troppe interviste che generosamente le abbiamo fatto in questi anni”.
Un numero che sarà abbondante, eppure mai pari ai tagli del Semplificatore. Nessun regista americano si sarà accorto di una scena memorabile, ancora a disposizione di chi adora l’azione e le facce drammatiche: il ministro Calderoli che, in giacca di pelle e cravatta verde di ordinanza, dà fuoco a un muretto di cartoni contenenti 29.100 leggi inutili.
Un bel falò di 375.000 fascicoli e fogli che Gian Antonio Stella, un anno fa sul Corriere, calcolava in una sforbiciata al minuto del super-eroe Calderoli. Mentre il governo sfornava pacchi di nuove leggi e nuovi articoli ugualmente incomprensibili.
L’avviso di sfratto (a mezzo stampa) del ministro per il palazzo di San Lorenzo in Lucina è andato perso.
I 73 dipendenti del ministero per la Semplificazione erano momentaneamente assenti o irraggiungibili. Tutti.
Compreso il sottosegretario Francesco Belsito, la folta pattuglia della struttura di missione, la segreteria tecnica, un doppio ufficio stampa, portavoce e collaboratori.
Un encomiabile guardiano, di passaggio al capezzale di Calderoli, ci guarda con aria esterrefatta: “Che vuole? Oggi è venerdì di ballottaggio. C’è solo la sorveglianza”.
Sul sito del ministero benedicono l’operazione Taglialeggi, scritta con la maiuscola: “Via 411.298 atti per un risparmio di carta di 75,6 milioni l’anno”.
E ricordano che restano 10.000 leggi in pericolo, che diventeranno presto 5.000.
Ma come fa Calderoli a infiammare una norma al minuto e dove ha preso 411.298 atti?
Deve rallentare, altrimenti manca legna per ardere.
Forse domani Calderoli rettificherà la rettifica, i 73 di San Lorenzo in Lucina saranno salvi e con loro i 2,6 milioni di euro per pagare stipendi e cancelleria. L’impresa titanica è un’altra: come semplificare Calderoli.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
VIA PADOVA, DALLA RIVOLTA ALLE FESTE DI STRADA: DOVE IL BERLUSCONISMO PAGA DAZIO E LA LEGA PERDE IL 25% DI CONSENSI… MARONI E LA RUSSA HANNO MANDATO I MILITARI, MA LA SINISTRA CON L’ASCOLTO HA PRESO PIU’ VOTI…”PISAPIA OGNI SETTIMANA SI FACEVA VEDERE, LA MORATTI L’ABBIAMO SOLO VISTA IN TV A FARE PROMESSE”
I destini dell’Italia si decidono a Milano e il destino di Milano si è già deciso in periferia, per esempio a via Padova.
La casbah, il ghetto, il Bronx di Milano per le cronache.
Nella realtà , un mondo in miniatura.
Quattro chilometri, cinquecento negozi, cento più di corso Buenos Aires, 130 mila abitanti, ovvero un milanese su dieci, cinquanta comunità straniere da tutti i continenti.
Durante i mondiali di calcio dell’estate scorsa, con le bandiere di ogni colore, sembrava d’essere a New York.
Una media città italiana che per un anno e mezzo, dopo la rivolta del febbraio 2010 in seguito all’assassinio di un ragazzo egiziano alla fermata dell’autobus 56, è diventata la capitale della paura, il laboratorio del rancore politico contro gli immigrati.
Con Maroni che schierava l’esercito per strada, il vicesindaco della Moratti, Riccardo De Corato che firma per il coprifuoco, l’assessore al decoro urbano, Maurizio Cadeo, che arriva a far oscurare le luminarie natalizie con gli auguri in inglese, cinese e arabo.
Non bastasse, in campagna elettorale, gli strateghi della destra aggiungono il carico da novanta della «grande moschea» («Pisapia la farà qui, dove sennò?») e della «zingaropoli» di via Idro.
Il risultato, la risposta dei cittadini spaventati?
In un anno, dalle regionali del 2010 al primo turno delle comunali, nei nove seggi di via Padova la Lega perde un elettore su quattro, il centrosinistra balza avanti di dieci punti, Berlusconi e lo sceriffo De Corato franano nelle preferenze.
Una piccola rivoluzione, come nel resto di Milano.
Ma qui, nel laboratorio della paura cittadino, ancora più inattesa.
Il giorno dopo è partito un ciclopico scaricabarile.
La Moratti se l’è presa con De Corato, impegnato a imprecare contro la Lega, che nel frattempo attribuiva tutte le colpe alla latitanza del sindaco e, massì, «all’estremismo del Pdl».
«Perchè di colpo – spiega il Davide Boni presidente del consiglio regionale – quelli di Berlusconi, alla disperata caccia di voti, si son messi a fare i leghisti più leghisti di noi, con quelle trovate del piffero di smontare gli auguri di Natale».
In mancanza di meglio, alla fine la destra milanese s’è inventata un altro, formidabile spauracchio da affiancare alla magistratura di sinistra.
Ed ecco, dopo le toghe rosse, le tonache rosse.
Pericolosa categoria di preti sovversivi che spazia dal cardinal Tettamanzi allo storico parroco di via Padova, il settantacinquenne popolarissimo don Piero Cecchi.
Passando s’intende per don Virginio Colmegna, il sindaco dei poveri che secondo i berluscones avrebbe trasformato la casa della carità in fondo a via Padova, mirabile esempio di solidarietà e accoglienza, in un «covo di propaganda elettorale per Pisapia».
Una verità un po’ più onesta la racconta uno dei tanti leghisti «smarronati», Alessandro Valsasina, presidente dell’associazione dei commercianti di «via Padova futura», fondata subito dopo la rivolta di febbraio, con la benedizione del Carroccio.
«Premesso che non sono diventato di sinistra, tocca ammettere che Pisapia è partito dalle periferie. Qui passava ogni settimana e ascoltava tutti, mentre la Moratti l’abbiamo vista soltanto in tv a fare promesse».
Cinque anni di promesse, il recupero del parco del Trotter, che era una promessa elettorale già ai tempi di Pillitteri, le piste ciclabili, i bellissimi progetti da archistar per il rilancio delle periferie, i poliziotti di quartiere, la lotta ai racket e così via, per cinque anni.
Ma nel terremoto elettorale delle periferie milanesi non ci sono soltanto gli errori degli strateghi della destra o l’abilità di un candidato della sinistra che finalmente mette il naso oltre la fatidica cerchia dei Navigli e per giunta è proprio di sinistra, non un prefetto, un industriale o un tardo imitatore dei leghisti con la fissa dei campi rom.
La ribellione di via Padova alla paura ha radici più profonde, che rivelano il limite ultimo del berlusconismo.
Quella presunzione di volere e potere cambiare la natura dei milanesi, degli italiani, oltre ogni limite, azzerando di colpo la storia.
Prima o poi la storia di questa città , perfino di questa via, si sarebbe ribellata alla falsa immagine nello specchio.
Negli anni ’50 e ’60 via Padova era il ponte d’integrazione degli immigrati del Sud, la prima tappa dalle coree verso la conquista del benessere cittadino. Un passaggio che in altre città , Torino per esempio, non c’era, un luogo d’incontro e di solidarietà , una rete di associazioni, un quartiere vero, un fiore all’occhiello per i sindaci riformisti milanesi.
Una periferia dove le scuole erano buone come quelle del centro, con le prime elementari montessoriane e il liceo di zona, il Carducci, che valeva come i più rinomati Berchet e Parini della borghesia; le librerie e i centri culturali e i circoli sportivi; perfino il cineforum dove vedevi Ferreri e Bunuel senza doverti travestire da intellettuale di sinistra come al mitico Obraz cinestudio; bei ristoranti e negozi, la gente in strada fino a notte.
Di tutto questo paesaggio della Milano più aperta e vitale, oggi è rimasto a via Padova soltanto il parco Trotter, una scuola modello per mille bambini, dei quali seicento di cognome straniero, la più multietnica d’Italia e uno dei luoghi d’infanzia più belli e verdi di Milano, l’unica a prevedere una fattoria didattica e una piscina fra gli alberi.
Una magnifica istituzione pubblica che tira avanti grazie al sacrificio degli insegnanti, al volontarismo degli «Amici del Trotter», alla passione dei genitori che ridipingono le classi e riparano i cessi nel fine settimana.
Qui gli impresari della paura hanno spedito le camionette dell’esercito a pattugliare le notti vuote.
Pisapia e i suoi sono venuti invece in bicicletta e sono tornati con le ventotto pagine di progetto del parco da affidare all’architetto ed ex rivale Stefano Boeri.
Fra una finzione di Bronx blindato e un progetto di parco giochi per bambini, forse non ci volevano tanti spin doctors per capire dove sarebbero andati i voti.
Curzio Maltese
(da “La Repubblica“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
DUE CONSIGLIERI ELETTI NELLA LISTA DELLA PRESIDENTE DELLA REGIONE PASSANO COL PDL… LA POLVERINI DENUNCIA LA “COMPRAVENDITA DI CONSIGLIERI” E APRE LA CRISI: “NON SONO PIU’ DISPOSTA A SPENDERE LA MIA FACCIA PER QUESTI SIGNORI”
Nemmeno la scadenza dei ballottaggi ha funzionato da argine. ![](http://img339.imageshack.us/img339/267/polveriniagenzano1.jpg)
Il centrodestra nel Lazio si spacca, frana e rischia di portarsi dietro anche il governo della Regione.
Che ormai la «crisi è aperta» lo decreta la governatrice Renata Polverini a 48 ore dal voto.
Dopo settimane di polemiche per l`exploit della sua lista “Città nuove” alle amministrative (a Sora e Terracina due suoi candidati domani se la vedranno contro il Pdl), è arrivato quello che la presidente ha definito «un atto ostile del Popolo delle libertà » nei suoi confronti.
Due consiglieri eletti lo scorso anno nella sua lista, Andrea Bernaudo e Giuseppe Melpignano, decidono, a sorpresa, di passare nel Pdl.
La reazione della Polverini è furiosa: «È la fine della coalizione».
Parla di «compravendita di consiglieri alla vigilia di un voto così importante: caso di autolesionismo politico e di totale mancanza di responsabilità che supera quello dello scorso anno quando non fu presentatala lista del partito. Non sono più disponibile a spendere lamiafacciaper questi signori».
Nessuna diplomazia e nessuna cautela: la frattura è sotto gli occhi di tutti.
E mentre l`opposizione parla di un centrodestra «morto» e «al capolinea», iniziano a delinearsi anche gli schieramenti nel Pdl.
Gianni Alemanno, ad esempio, sostiene la governatrice.
Il sindaco di Roma (che da giorni lavora insieme agli ex finiani Urso e Ronchi e al sottosegretario Andrea Augello a un progetto per spostare il baricentro del partito e che vedrebbe la costituzione di gruppi autonomi in Parlamento ma federati al Pdl) auspica «un chiarimento per rilanciare l`azione del centrodestra».
Poi si fa vedere al fianco della Polverini sul palco di Terracina, a sostegno del candidato Gianfranco Sciscione contrapposto a Nicola Procaccini, Pdl ed ex portavoce del ministro Giorgia Meloni.
Da quel palco la governatrice rincara la dose:
«Qualcuno ha fatto dei giochi di potere per mettermi paura. Ma neanche il diavolo mi mette paura».
Devono intervenire i big del partito, in testa i capigruppo alla Camera e al Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, per richiamare tutta la coalizione al «senso di responsabilità ».
Ma la paura principale è che la Polverini possa chiedere (e ottenere) la sponda del Pd per andare avanti.
Un primo abboccamento c`era stato proprio da parte dei democratici che avevano ipotizzato l`appoggio ai candidati di Città nuove contro quelli del Pdl. A stoppare qualsiasi «impiccio» è Nicola Zingaretti, presidente della Provincia: «Si vada dritti al voto», afferma.
E così chiedono anche i deputati romani, Enrico Gasbarra e Roberto Morassut.
Il segretario regionale dell`Idv, Vincenzo Maruccio, invita tutta l`opposizione a «riunirsi per definire le strategie comuni».
«Non vogliamo replicare il modello Sicilia», avverte, ricordando l`appoggio dei democratici al governatore Lombardo.
Per ora, l`opzione appare remota.
Ma per capire cosa accadrà nel centrodestra laziale bisogna aspettare i ballottaggi.
Con lo sguardo rivolto a Sora e Terracina e la testa a Milano e Napoli.
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
NELLA ROCCAFORTE LEGHISTA E’ ORMAI DISILLUSIONE: “IL CENTRODESTRA E’ INCAPACE DI RIFORME”…GLI INDUSTRIALI SI SENTONO TRADITI ANCHE DALLA LEGA: “LI ABBIAMO VOTATI MA CI HANNO DELUSO”
Nella provincia più leghista d’Italia (45% delle preferenze alle elezioni di due settimane fa) duemila imprenditori sfilano in strada, guidati da Emma Marcegaglia.
“Il centro-destra è incapace di riforme” e’ la clamorosa protesta proprio nella roccaforte di Bossi.
Obiettivo? Prendere le distanze dal governo PDL/Carroccio appoggiato con convinzione per 3 anni ma da cui ora gli industriali si sentono traditi.
Duemila industriali in corteo, ieri dopo l’assemblea di Unindustria, guidati da Emma Marcegaglia, Alessandro Vardanega e Andrea Tomat.
Una protesta silenziosa, l’hanno definita, contro l’assenza di politiche per lo sviluppo.
Comincia con un pugno alla Lega, nel cuore del sua roccaforte, l’assemblea degli industriali trevigiani.
Il presidente Alessandro Vardanega chiama l’Inno d’Italia e tutti si alzano in piedi. Persino il governatore Luca Zaia (che però non lo canta) e il vicesindaco Giancarlo Gentilini, che sull’inno non ha mai avuto incertezze.
Poi, al termine dell’assemblea, il momento più atteso: la marcia silenziosa degli imprenditori trevigiani dallo stadio di rugby di Monigo alla nuova Area Appiani, in testa il presidente nazionale Emma Marcegaglia accompagnata da Andrea Tomat e Alessandro Vardanega.
Il ministro Maurizio Sacconi, che alla camminata non partecipa, evoca quella dei quarantamila a Torino contro il terrorismo e azzarda un giudizio non proprio fortunato: «E’ una marcia contro la Cgil».
Ma i duemila imprenditori che sfilano lungo i due chilometri di viale Europa non pensano nè a Pomigliano nè alla Cgil: «Abbiamo votato per questo governo ma non ci stiamo più: i risultati sono troppo scarsi e anche la Lega sta deludendo. Adesso tocca a noi imprenditori dare il segnale che bisogna cambiare e anche in fretta».
Si sfilano un po’ di big – Gilberto Benetton, Gianfranco Zoppas, Mario Moretti Polegato, Stefano Beraldo se ne vanno un po’ prima – ma gli altri ci sono tutti. Lasciano le loro auto nel parcheggio e si sciroppano la strada, graziati da una violenta grandinata che un paio d’ore prima aveva persino interrotto l’assemblea.
Ed è un fiume di rabbia contro il governo Berlusconi, cui gli imprenditori trevigiani non credono più.
Renzo Dametto, che produce i tortellini Dalì, descrive bene la situazione: «L’idea della marcia è buona. Almeno ha il merito di muovere le acque perchè abbiamo esaurito la pazienza. Se sono col governo? No, sto con il presidente Vardanega. Perchè io sono tra quelli che aveva creduto a questo governo, ma ora non più. Non ha fatto abbastanza».
Tra i partecipanti è un crescendo di giudizi negativi.
Aggiunge Massimo Tonello di Oderzo: «E’ una marcia silenziosa. E il silenzio è molto eloquente. Questo è un segnale alla politica: siamo uniti e vogliamo cambiare le cose perchè così, è inutile nascondercelo, non si va da nessuna parte».
Lo stesso commento di Gianni Sartor, di Computer srl di Susegana: «Serve a sbloccare la situazione. Il governo poteva fare molto, ma molto di più. Per carità , c’è stata la grave crisi, ma mi sembra che abbiano perso tempo a litigare invece che a governare».
Vincenzo Papes, imprenditore medico: «In Italia ci vuole meno Stato e più impresa. Pensavo davvero che questo governo facesse di più, all’inizio ci avevo creduto pure io. Anche la Lega ha perso la spinta, a mio parere. Purtroppo manca ancora l’alternativa e la sinistra non riesce ad aggregare abbastanza».
Il costruttore Silvano Armellin di Conegliano: «Questa marcia non è la soluzione ma almeno un contributo. Noi, del resto, siamo abituati ad arrangiarci, a fare le cose da soli».
Daniele Ferrazza
(da “La Tribuna di Treviso“)
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Maggio 29th, 2011 Riccardo Fucile
A MILANO E A NAPOLI LE SFIDE PIU’ IMPORTANTI, MA SI DECIDE ANCHE LA GUIDA DI ALTRI 11 CAPOLUOGHI E 6 PROVINCE
Sono circa 7 mila i seggi elettorali insediati per i ballottaggi di oggi e lunedì. Seggi
aperti dalle 7 alle 22 domenica e dalle 7 alle 15 lunedì.
Si va al voto per decidere la nuova guida di 88 Comuni, di cui 13 capoluoghi di provincia.
L’attenzione è puntata soprattutto su Milano e Napoli, ma sono importanti dal punto di vista politico anche i ballottaggi degli altri 11 capoluoghi: Novara, Varese, Rovigo, Rimini, Grosseto, Cosenza, Crotone, Trieste, Pordenone, Cagliari e Iglesias.
Secondo turno anche per presidenti e consigli di sei amministrazioni provinciali: Vercelli, Mantova, Pavia, Trieste, Macerata e Reggio Calabria.
I ballottaggi riguardano circa 6.605.806 elettori.
Al secondo turno si sceglie solo tra i due candidati (presidenti di provincia o sindaci) che hanno ottenuto, al primo turno, il maggior numero di voti e l’elettore vota tracciando un segno sul rettangolo entro il quale è scritto il nome del candidato prescelto.
Potranno votare in occasione del ballottaggio solo gli elettori che abbiano maturato il relativo diritto entro il 15 maggio 2011, giorno in cui ha avuto inizio la votazione del primo turno; gli aventi diritto al voto possono partecipare al ballottaggio anche se non siano andati a esprimere il voto nella votazione del primo turno.
Per poter esercitare il diritto di voto presso l’ufficio elettorale di sezione nelle cui liste risulta iscritto, l’elettore dovrà esibire, oltre ad un documento di riconoscimento, la tessera elettorale.
Domenica e lunedì, per il primo turno, si vota anche in 27 comuni siciliani, chiamati a rinnovare sindaci e consigli comunali.
I candidati sono 4.775, di cui solo 951 donne, e si presentano al giudizio di 397.001 elettori.
Unico capoluogo coinvolto è Ragusa (61.711 elettori), mentre in provincia di Enna non si vota in alcun Comune.
Gli elettori dovranno scegliere 505 consiglieri comunali oltre ai sindaci: per la carica si presentano in 102.
Numerosi i casi di ballottaggio decisi per l’esito al fotofinish di due settimane fa.
Il caso più eclatante, ricorda un’analisi di Anci Comunicare, è quello del sindaco uscente di Varese, Attilio Fontana, costretto al ballottaggio per meno di 0,7 punti percentuali.
Ma il record spetta a Ginetto Perseu, candidato sindaco del centrodestra a Iglesias, che si è fermato al 49,909%, in una città con 24 mila elettori.
Un pugno di voti, insomma, lo ha costretto al ballottaggio con la candidata del centrosinistra, Marta Testa, che lo tallona con il 46% delle preferenze al primo turno.
Svetta infine il caso del Comune di Fraine, in provincia di Chieti, dove si va al ballottaggio malgrado i soli 463 abitanti: al primo turno i due candidati hanno raggiunto la perfetta parità nel numero delle preferenze e dunque si dovrà tornare al voto.
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