Destra di Popolo.net

IL SOTTOSEGRETARIO LEGHISTA BELSITO RIEMERGE DALLE ACQUE SENZA SCORTA ROMANA E SI IMPROVVISA DIFENSORE DEI LAVORATORI

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

DOPO LA DENUNCIA DEI SINDACATI DI POLIZIA GENOVESI, GLI HANNO TOLTO LA SCORTA ROMANA CHE COSTAVA 50.000 EURO L’ANNO E L’HANNO AFFIDATO AD AGENTI GENOVESI… E’ VICEPRESIDENTE DI FINCANTIERI DA ANNI, IMPOSTO DA BOSSI A BONO, MA ORA A GENOVA DICE CHE VUOLE SFIDUCIARNE I VERTICI: OTTIMA IDEA, ALLORA COMINCI PURE DA SE STESSO

Nel cinema neorealista del dopoguerra Francesco Belsito non avrebbe mai potuto interpretare la parte del protagonista, ma forse avrebbe potuto ritagliarsi un ruolo di   buon caratterista.
Ha invece preferito dedicarsi alla politica, prima facendo da autista tuttofare di Alfredo Biondi in Forza Italia, poi passando a fare il dipendente del gruppo regionale ligure della Lega, quindi il custode delle segrete stanze finanziarie di via Bellerio, come travet di fiducia dello rimpianto Maurizio Balocchi di cui ha finito per ereditare segreti, la carica di segretario amministrativo della Lega e soprattutto il posto da sottosegretario alla Semplificazione.
Il poveretto come si muove fa danni e, purtroppo per i leghisti ligur,i tende a non stare molto fermo.
Chi sperava che perlomeno facesse disastri solo a Roma è andato deluso: come hanno denunciato i sindacati di polizia, Belsito per almeno venti giorni al mese è a Genova, costringendo la sua scorta-status symbol, composta di agenti romani, ad accompagnarlo in Liguria.
Con un costo supplementare per il contribuente di 50.000 euro l’anno per la trasferta dei poliziotti.
Ora qualcuno finalmente l’ha capito e la sua   scorta è stata affidata al personale della Questura di Genova.
D’altronde quando è a Genova si nota la sua Porsche Cayenne parcheggiata negli spazi riservati della Questura (altro fatto che ha generato polemiche tra il personale, ritenendolo un privilegio di Casta).
Anche il Questore ritiene infatti Belsito un soggetto a rischio e quindi va controllato (in quanto pare avrebbe ricevuto non meglio precisate minacce, stando alle fonti ufficiali).
Che qualcuno se la possa prendere con il povero anonimo Belsito in fondo è la dimostrazione che matti in giro ve ne devono ancora   essere parecchi.
Una volta se la prendevano con i primi attori, non con le comparse.
Certo è un presenzialista, non c’è occasione pubblica dove non emerga dalle acque (si è immerso persino al Cristo degli Abissi durante il Raduno nautico padano per far piacere a Bossi), ma rimedia più critiche che consensi.
I sindacati di polizia lo attaccano: “Ha causato uno spreco di 50.000 euro, mentre, a causa dei tagli, a Genova manca il carburante alle volanti e ci sono stato assegnati solo 10.000 euro per la manutenzione di tutti i mezzi in dotazione”.
E ancora bastonate: “E’ stato sbalorditivo il silenzio di Belsito sui carichi di lavoro del servizio scorte di Genova, ora ci aspettiamo che faccia assegnare gli organici e i mezzi necessari, troppo facile sedersi solo in prima fila alla festa della polizia”.
Ma non è che Belsito goda di maggior seguito all’interno del suo stesso partito in Liguria se nell’unica federazione che gestiva da commissario, quella del Levante, ha   dovuto annullare 24 ore prime del suo svolgimento l’assemblea per l’elezione della segreteria, in quanto aveva sbagliato i calcoli: la sua candidata avrebbe perso, non avendo la maggioranza dei consensi.
Quindi “contrordine padani”, tutti a   casa, assemblea rinviata a tempi migliori.
E chi si aspettava che esibisse prima o poi a favore di telecamere la sua sedicente laurea in Scienze politiche che nessuno peraltro ha mai visto (ma che lui ha citato nel sito del Governo), è rimasto tuttora deluso.
Dopo aver cambiato diverse versioni e facoltà , smentito persino da “Libero” sull’origine inglese del suo titolo di studio, il caratterista si è superato: “devo salvare l’Italia dalla crisi, non ho tempo per le sciocchezze”.
Ed eccolo fiondarsi sulla protesta dei lavoratori Fincantieri di Sestri Ponente contro la minacciata chiusura dello stabilimento al grido di “Sfiduciamo i vertici Fincantieri”. Che sia la volta buona che il caratterista abbia deciso di ritirarsi dalle scene dell’avanspettacolo?
Eh si, perchè Belsito è da anni nel consiglio di aministrazione di Fincantieri nella qualità  di vicepresidente, messo lì da Bossi per tutelare gli stabilmenti del Nordest di Monfalcone e Marghera, anche a danno degli altri.
E quando è stato nominato sottosegretario non si è dimesso, semplicemnete si è “autosospeso” da Fincantieri (percependo sempre l’appannaggio o no?).
In pratica il primo a doversi sfiduciare da solo, avendo sempre condiviso le mosse di Bono, dovrebbe essere lui, altro che girare per i cantieri a fare il “personaggio in cerca d’autore”.
Non a caso a stimolarne l’attivismo operaistico è stato il consigliere regionale della Lega, Edoardo Rixi che era stato almeno sincero: “io a Sestri ci abito e devo anche poter uscire di casa, si faccia qualcosa”.
A differenza di Belsito, lui la scorta   non ce l’ha.

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VERDETTO DELLA CASSAZIONE: SI VOTERA’ ANCHE SUL NUCLEARE

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

BOCCIATO IL TENTATIVO DEL GOVERNO DI CANCELLARE IL REFERENDUM SUL RITORNO ALL’ENERGIA ATOMICA…TRASFERITO IL QUESITO SULLE NUOVE NORME EMANATE COL DECRETO OMNIBUS… L’AGCOM RICHIAMA LA RAI: “SUI REFERENDUM INFORMAZIONE INSUFFICIENTE”

Si voterà  il referendum sul nucleare.
La Corte di Cassazione ha accolto l’istanza presentata dal   Pd che chiede di trasferire il quesito sulle nuove norme appena votate nel decreto legge omnibus: quindi la richiesta di abrogazione rimane la stessa, ma invece di applicarsi alla precedente legge si applicherà  appunto alle nuove norme sulla produzione di energia nucleare (art. 5 commi 1 e 8).
La decisione è stata presa a maggioranza dal collegio dell’Ufficio Centrale per il referendum della Cassazione, presieduto dal giudice Antonio Elefante.
Dovranno però essere ristampate le schede, visto che i quesiti andranno riformulati in base al testo del decreto omnibus.
Secondo indiscrezioni trapelate ieri dal Viminale, i tempo tecnici per rifare tutto il materiale entro il 12 e 13 giugno ci sarebbe, ma mancano ancora conferme ufficiali. Per trovare l’unico precedente simile, bisogna riandare indietro nel tempo al 1978 quando il via libera definitivo alla consultazione su legge Reale e finanziamento pubblico dei partiti arrivò a dieci giorni dalla scadenza (anche in quel caso era stata cambiata in extremis dal Parlamento la legge oggetto dei quesiti) senza comprometterne l’esito.
Altro problema è poi rappresentato dal voto degli italiani all’estero, che hanno già  iniziato a votare per corrispondenza sul vecchio quesito.
“Si afferma la forza serena della Costituzione contro il tentativo giuridicamente maldestro di raggirare il corpo elettorale, cioè 40 milioni di cittadini”, ha commentato l’avvocato Gianluigi Pellegrino che ha sostenuto per il Pd le ragioni referendarie davanti alla Cassazione.
La sentenza della Suprema corte è stata accolta naturalmente con entusiasmo anche dal comitato promotore. “Questa volta le furberie alle spalle degli italiani non passano. La Cassazione censura l’arroganza del governo e riconsegna nelle mani dei cittadini il diritto a decidere sul nucleare e del proprio futuro”, commentano dal quartier generale di ‘Vota Sì per fermare il nucleare’.
La Corte, prosegue la nota, “ha arginato i trucchi e gli ipocriti ‘arrivederci’ al nucleare e ha ricondotto la questione nell’alveo delle regole istituzionali, contro l’inaccettabile tentato scippo di democrazia”.

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BERLUSCONI VUOLE LA RESA DEI CONTI ANCHE CON TREMONTI: “GIULIO COMPLOTTA, POSSO FARNE A MENO”

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

“SE LASCIA NON MI STRACCIO LE VESTI”: CONTINUA LA CACCIA ALLE STREGHE NEL MANICOMIO PIDIELLINO…TREMONTI: “SE E’ COSI’ MI DIMETTO”…LA LEGA IN CONFUSIONE PRENDE TEMPO

Sono trascorse appena 24 ore dalla chiusura dei seggi e il crollo elettorale colpisce il cuore politico del governo, allargando la crepa tra Berlusconi e Tremonti.
Già  da Bucarest, commentando con Bossi i risultati, il premier aveva individuato nella mancata riforma del fisco la vera causa della «batosta» e nel   ministro dell’Economia il responsabile primo.
Ma ieri trai due la frattura è arrivata quasi a un punto di non ritorno.
Con Tremonti che, pronto alle dimissioni, ha preteso dal Cavaliere un comunicato per smentire l’attacco pubblico pronunciato poche ore prima. E tuttavia la sostanza non cambia.
Berlusconi si è infatti convinto che il ministro dell’Economia abbia «complottato» alle sue spalle per scalzarlo da palazzo Chigi.
Non un piano teorico, ma un un’offensiva molto concreta, che avrebbe raggiunto il suo culmine proprio ieri, con il vertice a palazzo Chigi tra il ministro dell’Economia e i vertici della Lega.
Un summit con Berlusconi assente, in volo dalla Romania, durante il quale, stando a quanto hanno riferito al Cavaliere, Tremonti avrebbe esplicitamente fatto riferimento a un cambio in corso alla guida del governo.
«Dovete essere voi a chiedergli un passo indietro, è questo il momento giusto».
Una staffetta, quella tra Berlusconi e Tremonti, giustificata dalla pesantezza della sconfitta e dalle severe misure finanziarie che attendono il paese a giugno.
È per questo che il premier è stato così tagliente quando, poche ore dopo, parlando con i giornalisti al Quirinale, ha voluto umiliare pubblicamente il ministro dicendo che a via XXSettembre spetta soltanto il compito di «proporre», mentre la decisione sulla riforma del fisco è riservata a palazzo Chigi.
In privato Berlusconi è ancora più caustico, come se abbia deciso di spingere Tremonti con le spalle al muro, mettendolo nella condizione di farsi da parte.
«È lui che ci ha fatto perdere le elezioni al Nord, poche storie. Ormai quando appare in televisione, con quella faccia, la gente pensa aVisco. Se dovesse andar via non mi straccerei le vesti».
Evocare il ministro delle Finanze dell’Ulivo, quello che lo stesso Tremonti sbeffeggiava come «Dracula all’Avis», nel linguaggio di Berlusconi è più che un insulto, è una condanna politica.
E difatti, ai piani del Pdl, riferiscono che Berlusconi sia ormai pronto a fare a meno dell’uomo che finora ha custodito i conti pubblici.
Avrebbe anzi già  garantito a Bossi, nel colloquio avuto ieri all’ora di pranzo, che nel caso al posto di Tremonti andrà  un uomo gradito al Carroccio.
Se non direttamente un leghista.
I ministri del Pdl raccontano del resto che anche tra i padani la fiducia nel ministro dell’Economia abbia subito uno scossone.
Ieri ad esempio Calderoli e Maroni non hanno fatto mistero di non aver gradito la conferma di Attilio Becera come direttore dell’Agenzia delle entrate.
«Ma come – è sbottato Calderoli – quel Befera, con le sue ganasce fiscali, ci ha fatto perdere al Nord e Tremonti cosa fa? Al primo Consiglio dei ministri lo conferma direttore? Cose da pazzi».
Insomma, anche dentro la Lega, come nel Pdl, la confusione dopo il voto è massima e non si riesce più a distinguere bene tra amici e nemici.
Così per il momento Bossi ha deciso di prendere tempo, aspettando la fine di giugno per decidere cosa fare.
Nella settimana dopo Pontida (che si terrà  il 19 di giugno) è calendarizzata alla Camera la discussione sul cambiamento di maggioranza richiesta da Napolitano.
E potrebbe essere quello, se la Lega non trovasse più le ragioni dell’alleanza, il terreno per una rottura con il centrodestra.
Al momento comunque il Carroccio si è messo di nuovo alla finestra, «dietro il cespuglio» come disse Bossi qualche mese fa. E tuttavia Tremonti, che oggi subirà  un processo in contumacia all’ufficio di presidenza del Pdl (Berlusconi ha chiesto che si voti un documento per mettere fretta al ministro sulla riforma del fisco), è convinto di avere delle buone armi in arsenale per resistere agli attacchi.
«Non parlo – ripete ai suoi – per un po’ non esisto».
Gli basta quello che gli altri dicono di lui, gli attestati di stima che raccoglie a livello europeo. Persino un rivale come il governatore Mario Draghi ieri gli ha dato atto di aver garantito la tenuta dei conti pubblici, di aver raggiunto un’ ottima performance nella lotta all’evasione e di aver anticipato la manovra a giugno.
Tremonti è anche sicuro che Napolitano, con lo spettro della Grecia dietro l’angolo, non consentirà  a Berlusconi di farlo fuori, esponendo il debito italiano a una possibile speculazione. E, al fondo, anche la sponda con la Lega reggerà .
Il rapporto tra Bossi e Tremonti, oltre che sulle cene degli ossi, è cementato dal sistema di potere che ruota intorno alle fondazioni bancarie del Nord.
E non basterà  un Befera a scardinarlo.

Bei Francesco
(da “La Repubblica“)

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IL PIANO DEL GOVERNO PER TAGLIARE LE TASSE A COSTO ZERO E’ COME IL GIOCO DELLE TRE TAVOLETTE: UN PUNTO IN MENO DI IRPEF E UN PUNTO IN PIU’ DI IVA

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

UNA LEGGE DELEGA DA PRESENTARE SUBITO   COME SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE…TASSARE MENO LE PERSONE E DI PIU’ LE COSE: 1% IN MENO DI TASSE SUI REDDITI FINO A 28.000 EURO, 1% IN PIU’ DI IVA PER I BENI DI CONSUMO…ALLA FINE IN TASCA IL CONTRIBUENTE AVRA’ IN TASCA SEMPRE GLI STESSI SPICCIOLI

«Giù le tasse prima dell’epilogo della legislatura», ha detto la Confindustria.
«Ridurre le aliquote ai lavoratori», ha tuonato Mario Draghi.
Un pressing crescente sul ministro dell’Economia, culminato ieri con la stoccata di Berlusconi. Ma Giulio Tremonti un piano ce l’ha e ora è pronto a rompere gli indugi.
È il massimo che un Paese indebitato come l’Italia può fare, a suo giudizio, per alleggerire il peso delle tasse. Oltre non si può andare se non si vogliono scassare i conti pubblici.I lavori dei quattro tavoli tecnici sulla riforma fiscale, partiti in sordina da qualche mese, sono giunti al termine e il 7 giugno ci sarà  la riunione plenaria per esaminare preliminarmente i risultati.
Il ministro si è affidato prudentemente a coordinatori bipartisan: i quattro tavoli li guidano Vieri Ceriani (Bankitalia, già  collaboratore di Vincenzo Visco); Giarda, l’uomo dei numeri di Ciampi; Mauro Marè, che ha scritto un libro con Giuliano Amato e Enrico Giovannini, presidente dell’Istat e proveniente dall’Ocse.
La sintesi politica del loro lavoro, che dovrebbe essere il nocciolo della riforma, è già  filtrata nelle grandi linee.
Come pure il crono-itinerario che prevede il varo di un disegno di legge delega prima dell’estate, l’approvazione in autunno e poi – sul modello della legge sul federalismo – una serie di decreti delegati nel corso della prima metà  del 2012 con l’obiettivo di portare a regime la riforma nel 2013, fine legislatura.
La filosofia è quella tremontista, tant’è che sul sito del Tesoro figura da qualche tempo la riproduzione anastatica del «Libro bianco» del 1994.
Parola d’ordine «dalle persone alle cose».
E proprio questa sarà  la prima mossa della legge delega che, stando alle indiscrezioni, dovrebbe realizzare il miracolo di una riforma fiscale a «costo zero».
L’obiettivo sembra quello di ridurre di 1 o 2 punti le prime due aliquote Irpef (oggi al 23 per cento sotto i 15 mila euro e al 27 fino a 28 mila euro).
Dove si troveranno le risorse? Appunto, aumentando le tasse sulle cose: l’Iva dovrebbe crescere di 1 o 2 punti dall’attuale livello del 20 per cento per i beni di consumo, restare ferma al 4 per i beni di prima necessità  e salire in tutte quelle aliquote intermedie (come l’edilizia) che beneficiano di trattamenti agevolati.
Un capitolo a parte sarà  dedicato alle accise, cioè le imposte di fabbricazione, sui prodotti energetici che con la riforma federale – in modo assai discreto – sono passate da Comuni, Province e Regioni, allo Stato centrale e potranno essere manovrate a piacimento.
L’altra grande opzione è quella del quoziente familiare.
Berlusconi da quando gli è stato proposto dagli esperti di fisco di matrice cattolica non manca occasione per perorarne la causa.
Permettere di dividere il reddito familiare per il numero dei componenti e di abbattere l’imponibile, favorisce le famiglie numerose e rende meno conveniente il lavoro della donna. Costa molto (almeno 10 miliardi) ma nella laica Francia ha dimostrato di funzionare.
Dove trovare le risorse? L’idea è quella di compensare le nuove spese, sfoltendo le varie detrazioni e deduzioni sui carichi familiari oggi in vigore.
Infine le imprese. Il piano prevede che le risorse ottenute dalla lotta all’evasione siano destinate alla riduzione della tassazione sulle imprese.
Nel mirino c’è l’Irap con l’eliminazione dall’imponibile del costo del lavoro.
Ma qui siamo ancora nel campo delle ipotesi.

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IL MITO DELLA PADANIA E’ AL CAPOLINEA, IL NORD TRADISCE IL CENTRODESTRA: IL PDL PERDE L’8%, LA LEGA IL 5%

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

I VECCHI METODI DI RASSICURAZIONE FONDATI SULLA PAURA DEL MONDO E DEGLI STRANIERI NON FUNZIONANO PIU’…E LA FIGURA DELL’UOMO CHE SI E’ FATTO DA SE’ E’ INSUFFICIENTE

Le consultazioni amministrative appena svolte hanno evocato un cambiamento profondo del clima d’opinione.
Eppure, nel corso della Seconda Repubblica, il Centrosinistra aveva vinto e governato a lungo a livello locale.
Non solo nelle tradizionali zone di forza – l’Emilia Romagna e le regioni del Centro. Ma anche altrove. In molte aree del Sud e del Nord. Solo che ce n’eravamo scordati.
Perchè dopo il 2006 – e ancor più dopo il 2008 – il centrosinistra è arretrato dovunque. Ma soprattutto nel Nord. “Espugnato” dalla Lega.
Che alle Regionali del 2010 è penetrata anche nelle “zone rosse”. Così si è imposto il mito del “Nord padano”. Un concetto entrato nel linguaggio comune.
E insieme si è affermata la convinzione che il centrosinistra sia troppo “romano” per essere accettato e creduto nel Nord. Un’idea, peraltro, non infondata.
Che, però, indica una deriva. Non un destino.
Così, fra gli attori politici e gli elettori di centrosinistra, si è diffuso un inferiority complex nei confronti della Lega.
Considerata come unica e ultima erede dei partiti di massa. In grado di “presidiare” il territorio. Il voto ha ridimensionato, in modo brusco, questi sentimenti. Soprattutto nel Nord. Dove i partiti di governo hanno subito le sconfitte più brucianti.
Non che altrove le cose, per loro, siano andate meglio. A Napoli, in particolare. Dove però da quasi vent’anni governava il centrosinistra. Ma è nel Nord padano che sono avvenuti i mutamentipiù rilevanti.
A partire da Milano, la capitale della Seconda Repubblica.
Senza dimenticare Trieste, che solo Riccardo Illy, in passato, era riuscito a “sottrarre” alla destra. Oppure Novara, la capitale leghista, il feudo di Cota, governatore del Piemonte.
Ma il cambiamento del Nord sconfina ben oltre i luoghi simbolici del centrodestra e della Lega. Basti esaminare il bilancio dei comuni maggiori (con più di 15mila abitanti) dove si è votato: 133 a livello nazionale.
In precedenza, 73 erano amministrati dal centrosinistra e 55 dal centrodestra. Gli altri da giunte di segno diverso.
Ebbene, in queste elezioni il centrosinistra ne ha conquistate altre 10. Il centrodestra ne ha perse 17. Di cui 14 appartengono al Nord “padano” (con l’esclusione, cioè, dell’Emilia Romagna). Dove, tra le città  al voto, il centrodestra ha fatto eleggere solo 8 sindaci, mentre prima ne aveva 22.
Mentre il centrosinistra, parallelamente, è passato da 17 a 29.
Se analizziamo il risultato ottenuto dai partiti (al primo turno) questa impressione si rafforza ulteriormente.
Nei comuni del Nord padano dove si è votato, infatti, il Pd ottiene il 27%.
Come alle precedenti Comunali, ma con un incremento di 2 punti rispetto alle Regionali di un anno fa.
Mentre i partiti di governo sono slittati vistosamente, rispetto al voto del 2010.
La Lega di quasi 5 punti (si ferma al 10,9%).
Il Pdl addirittura di 8. Oggi si è attestato sul 22,5%.
Così, nelle città  del Nord al voto, il Pd è divenuto il primo partito.
Rispetto al passato recente, si tratta di una novità  evidente.
Altro aspetto rilevante, il successo delle liste di sinistra – su tutte Sel. Non solo perchè in grado di imporre il proprio candidato a Milano, ma perchè, in generale, ha conseguito un risultato più che doppio rispetto alle Regionali (4,6%).
Anche in termini assoluti.
Inoltre, va segnalata la crescita elettorale del Movimento 5 Stelle, promosso da Beppe Grillo, che supera anch’esso il 4% dei voti validi.
Questi dati certificano la pesante sconfitta del centrodestra e il parallelo successo del centrosinistra nel Nord.
Ma, in assenza di analisi più approfondite, è difficile ricavarne significati chiari. Semmai, alcune ipotesi, che provo a tratteggiare di seguito.
1. Anzitutto, emerge il limite del “Nord padano”.
Definizione imposta dalla Lega per “unificare il Nord”. Contro Roma e contro l’Italia. Torna, invece, a essere evidente come vi siano “diversi” Nord. Per retroterra sociale ed economico, ma anche per rappresentanza politica.
2. In particolare, si delinea l’orientamento specifico delle città  maggiori.
Hanno abbandonato il centrodestra. Tutte le capitali di regione (senza considerare Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta) oggi sono governate dal centrosinistra. Tutte. Compresa la capitale per eccellenza. Milano.
E il centrodestra, in questa tornata elettorale, è arretrata anche nelle città  medie e nei capoluoghi di provincia. Ma si può rappresentare e governare “un territorio” restando esclusi dalle capitali?3. Il centrodestra soffre di una crisi di consenso per molti versi nuova.
In passato, infatti, Lega e Pdl disponevano di un bacino elettorale comune. Edmondo Berselli lo aveva definito, con un neologismo efficace, “forzaleghismo”.
Così, le crisi della Lega corrispondevano alla ripresa di Forza Italia. E viceversa.
Oggi non è più così. Quel bacino è esondato. E i due partiti hanno perduto entrambi.
4. Anche perchè Forza Italia non c’è più. Al suo posto, il Pdl, che aggrega anche An.
Ha una base elettorale in prevalenza centro-meridionale.
La Lega, a sua volta, ha assunto un’identità  governativa. Infatti, esprime i sindaci di centinaia di Comuni, i presidenti di 14 Province e 2 Regioni. E sta nel governo, a Roma. Insieme a Berlusconi.
Usa un linguaggio da opposizione dura e comportamenti pragmatici e tradizionali. Anche a livello locale, dove, con i propri uomini, ha occupato enti amministrativi e finanziari.
Ma la distanza fra comportamenti e parole è troppo stridente per non saltare agli occhi degli elettori.
5. Nel Nord è in atto una profonda trasformazione economica e sociale.
Ha scosso alle fondamenta il sistema finanziario, la grande e la piccola impresa. Ha modificato le basi demografiche e gli stili di vita della società .
Molte zone, che fino a poco tempo fa si consideravano al sicuro dalla crisi, oggi si sentono vulnerabili.
I metodi di rassicurazione fondati sulla paura del mondo e degli stranieri non rassicurano più. E i miti della Padania e dell’Uomo-che-si-è-fatto-da-sè non bastano più a dare risposte e identità  al Nord.
6. Anche per questo, dopo alcuni anni, il centrosinistra è tornato. Per limiti altrui, ma anche per meriti propri.
Perchè dispone ancora di leader locali credibili ed esperti.
Perchè ha legami con la società  civile ed è stato in grado di mobilitare la realtà  locale.
Perchè le sue parole in questa fase appaiono meno aliene di quelle del centrodestra. Altruismo, bene comune, solidarietà  incontrano più attenzione, nel senso comune, rispetto a individualismo, paure, interessi.
L’estremismo “moderato” e aggressivo di questi tempi, infine, ha stancato.
7. Circa l’eterogeneità  delle coalizioni e il peso della cosiddetta sinistra radicale, conviene rammentare che raramente, in passato, queste differenze hanno provocato crisi locali. Perchè sindaci e governatori sono eletti direttamente dai cittadini e dispongono di una legittimazione forte. E perchè è più semplice trovare l’accordo sui temi concreti della società  e del territorio che sui principi non negoziabili. La vita e la morte. La pace e la guerra.
8. Da questo passaggio elettorale, il centrosinistra esce rafforzato.
Ma deve trarne le giuste indicazioni.
In primo luogo: il Pd non può pretendere di essere partito dominante, nè tanto meno unico. Ma è, indubbiamente, il riferimento obbligato di ogni coalizione.
Non bisogna, poi, scambiare le consultazioni locali con quelle nazionali. Anche se l’Italia è un Paese di città  e regioni.
E tutti i cambiamenti politici, sociali e culturali sono avviati e annunciati a livello territoriale. Infine: guai a rassegnarsi, al “complesso del reduce”.
Allo “sconfittismo”.
Se è possibile vincere a Milano e nel Nord, allora nulla è impossibile. Neppure a livello nazionale.

Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica“)

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GEOGRAFIA DEL DISASTRO: COSI’ BOSSI E BERLUSCONI HANNO PERSO IL NORD

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

IL FLOP DI PDL E LEGA ATTRAVERSA TUTTO IL SETTENTRIONE…IL PRIMO CAPOLUOGO DI REGIONE NON GUIDATO DAL CENTROSINISTRA E’ ROMA… NEI COMUNI OLTRE I 15.000 ABITANTI IL PDL HA PERSO 121.194 VOTI, LA LEGA 57.346

Da Torino a Trieste: l’autostrada A4 taglia il Nord da parte a parte, è la spina dorsale della «Padania», il cuore del leghismo.
Si parte da Torino, si attraversa Chivasso, Novara, Rho, Milano, Padova, Rovigo, Venezia, Pordenone, Monfalcone fino ad arrivare a Trieste.
Tutte città  che da lunedì sono governate (nel caso di Padova e di Venezia, ormai da alcuni anni) dal centrosinistra. Chi l’avrebbe detto.
Solo 120 dei 517 chilometri dell’autostrada non sono sotto giunta «rossa»: la porzione che va da Bergamo e Verona.
Un po’ poco per il cuore del Nord.
Da ieri il capoluogo di regione più a Nord governato dal centrodestra è Roma.
Il cappotto nazionale del centrosinistra sul centrodestra (che ha vinto in 85 Comuni contro 40) è plasticamente impietoso al Nord, la fortezza inespugnabile, si diceva, di Bossi e Berlusconi.
Il fortino dove il voto, almeno fino ai risultati di ieri, era poco volatile.
Il massimo della protesta nei confronti di un partito, per dire, era votare il movimento alleato. Come dei vasi comunicanti: un partito saliva, l’altro scendeva, ma il gioco era sempre (quasi) a somma zero.
Stavolta non è più così: in Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto e Friuli, il Popolo della Libertà  perde nei capoluoghi sopra i 15 mila abitanti dove si è votato ben 121.194 voti rispetto a un anno fa.
La Lega in compenso non ride, visto che di voti assoluti ne ha persi 57.346, sempre con riferimento alle Regionali 2010.
Dall’altra parte invece il partito democratico guadagna in un anno 76.264 voti.
Con un calo nei Comuni non capoluogo e un boom nelle «capitali».
A Milano, per esempio, ne guadagna 35.436, a Torino 47.305, al netto delle liste civiche di sostegno ai due candidati presidenti di Regione.
Chi ieri mattina ha letto «il mattinale», una ragionata rassegna stampa per il premier preparata tutte le mattine dagli uomini del portavoce Bonaiuti, sostiene che la maggiore attenzione fosse concentrata sulla Lega che «ha perso anche nei “suoi” territori dal Piemonte al Friuli, e questo dice che non siamo di fronte soltanto ad un problema-partito del Pdl, ma ad un verdetto negativo da parte degli elettori su tutto il centrodestra. Il che ci riporta dunque all’azione di governo».
L’analisi è corretta: più di metà  dei 57 mila voti andati in fumo, la Lega li ha persi in Lombardia. Spesso il Carroccio spiega che pur di ottenere le riforme cui tiene o le poltrone cui aspira, è disposto ad allearsi con il diavolo. Anche a costo di perdere voti.
Ma nemmeno questa attenuante, stavolta, funziona: i candidati sindaci leghisti hanno perso sia quando era alleata (Novara, Bologna) sia quando si è presentata da sola.
L’esempio più lampante è Gallarate dove non è nemmeno arrivata al ballottaggio.
In due città  la Lega ha vinto pure, ma con il brivido finale: a Cordenons, in Friuli, Mario Ongaro ha vinto per soli 700 voti. A Varese, l’uscente Attilio Fontana è stato prima costretto al ballottaggio poi ha vinto prendendo 700 voti in meno del primo turno: la sfidante ne ha recuperati più di quattromila.
L’alleanza Pdl e Lega ha vinto in due Comuni sopra i 15 mila abitanti in Emilia, ne aveva uno solo. È l’unica nota lieta.
In Piemonte governava in sei dei dieci comuni al voto. Novara certamente, ma anche Trecate, Carmagnola, Chivasso, San Mauro Torinese e Domodossola. Non ne ha più nessuno.
In Lombardia non hanno perso solo la «capitale» Milano.
Hanno lasciato agli avversari anche Rho, Arcore, Desio, Limbiate, Gallarate e Malnate.
Il centrosinistra ha tenuto anche Pioltello, Viadana e Vimercate.
I flussi elettorali In questa tornata c’è stato il boom del ricorso ai ballottaggi: secondo i calcoli del Cise (Centro Studi Elettorali) «se infatti il precedente sindaco era stato eletto al primo turno in 79 comuni, pari al 59,4% dei casi, oggi in soli 46 (34,6%) un candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi nel primo turno, mentre ben 87 città  (65,4%) hanno dovuto ricorrere al secondo per scegliere il primo cittadino. Tale aumento è particolarmente marcato al nord, dove raddoppia il numero di comuni che sono andati al ballottaggio (dai 17 della precedente tornata ai 34 di oggi, pari all’85% del totale)».
Evidentemente il ruolo del terzo polo e dei grillini ha contribuito a rendere più difficile il raggiungimento del quorum.
Ma dove sono andati i voti di Grillini e Terzo Polo?
Tranne a Milano, dove l’affluenza è rimasta pressochè uguale a quella del primo turno, la grande parte degli sconfitti al primo turno non è tornata a votare: il calo dell’affluenza è stato pari al 7,4%.
Nel complesso delle 13 città  maggiori andate al voto, i candidati di centro-sinistra hanno guadagnato quasi 130 mila voti (+16,8% rispetto al primo turno), mentre i candidati di centro-destra hanno perso oltre 21mila voti (—3,1%).
Ma secondo i calcoli dell’Istituto Cattaneo «Milano e Napoli hanno presentato due dinamiche diverse.
A Milano entrambi i candidati sono cresciuti rispetto al primo turno, ma Pisapia ha manifestato un’accelerazione più robusta: ha preso 49,8 mila voti in più (+15,8%) di quelli raccolti al primo turno; anche Moratti ha aumentato il suo numero di voti, ma in misura insufficiente (24 mila, +9,0%).
A Napoli, invece, i due candidati hanno manifestato andamenti divergenti: uno positivo per Luigi De Magistris, l’altro negativo per Gianni Lettieri.
De Magistris ha raccolto oltre 47 mila in voti in più, +21,7% (e ciò, va ribadito, al netto dell’assunto generoso secondo il quale tutti i voti per Morcone al primo turno siano confluiti su De Magistris); mentre Lettieri ne ha persi oltre 39 mila (—21,9%)».

Marco Castelnuovo
(da “La Stampa“)

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BERLUSCONI, O ROMA O MORTE: “NON FARO’ PASSI INDIETRO, MI RICANDIDO ANCHE NEL 2013”

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

LA LEGA HA CHIESTO AL PREMIER DI ANNUNCIARE DA SUBITO CHE NON SI RICANDIDERA’…LA REPLICA: “NON MOLLO, E ORA TREMONTI DEVE ALLARGARE I CORDONI DELLA BORSA”

“Troppi impegni per il mio funerale», si finge allegro il premier, «per cui ho dovuto rimandarlo…».
La battuta è rivolta a quanti profitterebbero volentieri del suo «momento no» per sfilargli il patrimonio politico.
Berlusconi resiste, e addirittura sfida gli aspiranti eredi.
Che in questo caso non sono i figli accorsi a Roma per consolarlo della sberla elettorale e delle altre (giudiziarie) in arrivo, ma sono anzitutto Tremonti e la Lega.
I due «asset» che fanno gola sono il partito e il governo.
Silvio-Paperone non intende rinunciare nè all’uno nè all’altro. Se li vuole tenere ben stretti entrambi. Anzi, più i pretendenti si fanno avanti convinti di cogliere l’attimo, più lui s’ntigna; le pressioni per fargli mollare l’osso stanno producendo (finora) l’effetto contrario.
Ne sa qualcosa il super-ministro dell’Economia, al quale Berlusconi ha rivolto una battuta plateale e sgarbata, un modo pubblico di metterlo in riga («Non è Tremonti che decide sulla riforma del Fisco»).
Sono seguiti momenti di tensione che una nota serale del premier tenta di stemperare. Non sarebbe in fondo la prima volta che Tremonti minaccia di prendere cappello e di andarsene.
E d’altra parte, come poteva passare inosservato, ieri mattina a Palazzo Chigi, quel piccolo corteo che vedeva in testa Bossi, dietro di lui Calderoli e Maroni, in fondo al gruppo Tremonti?
Poi il Senatùr se n’è andato e gli altri si sono chiusi in un salottino. Qualcuno assicura che Berlusconi sia stato contattato via telefono mentre tornava da Bucarest, ma il dettaglio ha relativa importanza perchè è come se Silvio fosse stato presente all’incontro nella persona di Gianni Letta, suo «alter ego».
Fonti dirette raccontano che al Cavaliere viene sollecitato un passo indietro.
Non domattina, ma quando si chiuderà  la XVI legislatura.
In pratica a Berlusconi si chiede di annunciare, solennemente e fin d’ora, che non si ricandiderà  come premier per fare largo al futuro.
E chi prenderebbe il suo posto? La persona ideale sarebbe Tremonti, è saltato fuori nel pourparler.
Al quale Tremonti il capo del governo dovrebbe conferire da subito un ruolo tale da spazzar via ogni dubbio sulla successione: di vice-premier unico o, più probabilmente, in tandem con Calderoli (pare che Maroni non sia interessato).
Questo è ciò che narra l’altissima fonte governativa.
Aggiungendo dettagli sapidi sulla reazione berlusconiana. Tutt’altro che disponibile. Anzi, decisamente stizzita.
«Annunciare adesso la data del mio ritiro? Non ci penso nemmeno. Quando dovrà  esserci il cambio sarò io a deciderlo, non lo stabilirà  nessun altro», è il leitmotiv del Cavaliere.
Bossi gli ha giurato al telefono che lui non ne sapeva nulla, che nessun tentativo di golpe è stato autorizzato «contro il mio amico Silvio».
Comunque «la Lega mi ha chiesto un faccia-a-faccia lunedì prossimo, vedremo se in quella sede avranno il coraggio di sollevare formalmente la questione dei vice-premier», è la confidenza serale concessa da Berlusconi a chi chiedeva lumi.
Per Berlusconi tutto dovrebbe restare così. Le elezioni sono state un tonfo, ma perchè cambiare?
«Adesso facciamo la riforma del fisco, recuperiamo consensi e vedrete che l’entusiasmo della sinistra si sgonfierà ».
Di allargare la maggioranza a Casini non avverte il bisogno, «i numeri in Parlamento li abbiamo», e poi l’Udc si porterebbe dietro Fini, «piuttosto morto» fa gli scongiuri il premier.
Che in apparenza sembra più flessibile sul partito, più disposto a mescolare lì le carte.
Forte in queste ore è la spinta per conferire l’eredità  Pdl ad Alfano.
Il ministro della Giustizia lascerebbe la poltrona a Lupi per diventare segretario politico.
Verrebbe affiancato dai due attuali coordinatori (il terzo, Bondi, si è dimesso). Verdini avrebbe mansioni organizzative, per La Russa verrebbe individuata una competenza «ad hoc».
Nascerebbe una specie di direttorio con dentro tutte le anime del partito.
Tifano per Alfano quasi tutti i quarantenni che Berlusconi creò a sua immagine e somiglianza. Tra i fautori più convinti spicca Michela Vittoria Brambilla, che diversamente da altri ha il «know-how» della presenza sul territorio.
Ma pure la Gelmini, spesso descritta in competizione col «gemello» Alfano, è dalla parte sua. Idem Frattini e l’intero gruppo di LiberaMente.
Correva voce di un «no» della vecchia guardia, preoccupata del salto generazionale.
In realtà  sono d’accordo Cicchitto (che ha peso notevole nel «politburo» berlusconiano) e Quagliariello; danno via libera Augello, Matteoli e Alemanno; non si mette di traverso Formigoni, nonostante coltivi ambizioni sconfinate in proprio. Insomma, in apparenza tutti d’accordo tranne Verdini.
Il quale si sente scavalcato e tradito, lui che ha salvato il governo con la campagna acquisti dei Responsabili.
E molti temono che Berlusconi farà  leva proprio su Verdini per stoppare l’«intifada». Resistere, resistere, resistere…

Ugo Magri
(da “La Stampa“)

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BOSSI ASPETTA PONTIDA PER MOLLARE BERLUSCONI

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

BOSSI PRONTO ALL’ADDIO: LO CHIEDE LA BASE, STANCA DI UN MOVIMENTO DIVENTATO PARTITO ROMANO…IL SENATUR SPERA IN UN PASSO INDIETRO DEL PREMIER PRIMA DEL 19 GIUGNO

“Ho troppi impegni, ho dovuto rimandare il mio funerale”.
Silvio Berlusconi sdrammatizza, ma sa bene che la data della cerimonia la decideranno i leghisti sul prato di Pontida.
E’ lì, infatti, che Umberto Bossi sceglierà  l’epitaffio al governo.
Ha aspettato troppo ad ascoltare il malessere della base, che da un anno ormai chiede al Carroccio di lasciare il premier.
Rimasti inascoltati hanno fatto sentire la loro voce punendo il partito nelle urne.
Il risultato di Gallarate, dove i voti del Carroccio sono andati al candidato del Pd e non a quello del Pdl, è il segnale più evidente ed emblematico della crisi di via Bellerio.
“Il segnale è chiaro”, ha riconosciuto Roberto Calderoli.
E per evitare che qualcuno non capisca Bossi semplifica ulteriormente: “Il governo per ora va avanti. Tranquillo non lo so, però va avanti”.
Così il 19 giugno, sul prato di Pontida, il Capo dovrà  dare al suo popolo ciò che chiede da troppo tempo ormai.
E ci arriverà  con in tasca i risultati della tornata referendaria del 12 e 13 giugno, quando gli elettori si troveranno di nuovo a sancire un verdetto su Berlusconi con il quesito sul legittimo impedimento.
Certo, serve il quorum.
Difficile da raggiungere, oggi che è stato sostanzialmente cancellato il referendum sul nucleare.
Ma basterebbe spingere quello sulla privatizzazione dell’acqua.
Ed è quello che ha fatto Bossi pochi giorni fa. “Alcuni quesiti sono interessanti, come quello sull’acqua”, ha detto.
“Avevamo chiesto a Berlusconi di fare una legge e noi l’avremmo appoggiata poi si è messo di messo Fitto e alla fine nessuno l’ha fatta”.
Riletta oggi, a sconfitta conclamata al ballottaggio, sembra l’incipit dell’epitaffio su cui il Capo sta lavorando.
Il 19 a Pontida dunque.
A tentare di recuperare la base che ha punito la Lega ormai diventata di governo e romana, non più sul territorio.
A Pontida a scusarsi, ad ammettere gli errori e rilanciare l’azione dal basso che ha fatto la fortuna del movimento, ormai diventato partito come tutti gli altri.
A Pontida, insomma, a tentare di salvare il futuro.
Senza più l’alleato Silvio Berlusconi.
Poi, il giorno dopo, i ministri leghisti scenderanno a Roma per la verifica di governo chiesta da Giorgio Napolitano dopo il rimpasto dell’esecutivo voluto dal Cavaliere per premiare i Responsabili che lo salvarono il 13 dicembre. Sarà  il caso, ma la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio oggi ha fissato proprio nella settimana tra il 20 e il 27 giugno il voto alla Camera.
Bossi confida, senza troppe speranze, in un passo indietro di Berlusconi.
Il premier ha quattro settimane di tempo per trovare una soluzione alternativa, questo il ragionamento che avrebbe fatto ieri in via Bellerio.
Mollare platealmente l’alleato è l’ultima delle ipotesi ma l’unica possibile se il Cavaliere tenterà  di rimanere in sella a ogni costo.
Ieri i due alleati hanno avuto un colloquio telefonico.
Il senatùr ha invitato il premier a tornare da Bucarest con una soluzione per il vertice di presidenza di stasera, ma il premier ha preferito posticiparlo a domani alle 18 così da ragionare “a mente fredda”.
Prima, nel pomeriggio, i due si incontreranno a Palazzo Grazioli.
Oggi Bossi ha avuto un colloquio con Tremonti al termine del Consiglio dei Ministri. Il ministro dell’economia è stato messo sotto accusa come coresponsabile della sconfitta del centrodestra alle amministrative.
A difenderlo è intervenuto Roberto Maroni, ristabilendo le priorità  delle colpe. “Sotto attacco dal voto degli italiani non è Tremonti ma è la maggioranza Il segnale c’è ed è forte, sufficientemente forte perchè non si sottovaluti. E io non lo sottovaluto”, ha detto il titolare del Viminale.
Già  Flavio Tosi, stamani, aveva inviato chiari segnali a Palazzo Grazioli.
Il sindaco di Verona non usa mezzi termini. “Dopo una sconfitta così sonora, rifletterei seriamente sull’ipotesi di fare un passo indietro”, ha detto in un’intervista a Repubblica. “Inutile girarci intorno”.
E sul sostegno della Lega , Tosi affonda: “Credo che l’alleanza non sia in discussione, ma il discorso sulla leadership è un po’ diverso”, dice.
E suggerisce: “Nel caso si ponesse davvero il problema della successione non avrei dubbi: uno dei miei”.
Con la manovra correttiva da affrontare, però, un eventuale governo di transizione difficilmente sarà  guidato dal titolare del Viminale.
E comunque molto dipende dalle scelte di Berlusconi.
Il premier si ritrova sotto attacco anche all’interno del Pdl.
Dagli stessi colonnelli che fino a pochi giorni fa lo hanno difeso a prescindere su tutto.
Lui sta valutando di rinnovare il partito, ma il tempo scade il 19 giugno a Pontida.

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S’ODE GELLI FAR FESTA: SILVIO SCEGLIE COME MINISTRO DELLA GIUSTIZIA CICCHITTO, TESSERA 2232 DELLA P2

Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile

ALFANO SARA’ COMMISSARIO DEL PDL, ESAUTORANDO VERDINI E LA RUSSA CHE PERO’ MANTERRANNO LE DELEGHE ALL’ORGANIZZAZIONE E ALLA PROPAGANDA… LUPI DIVENTEREBBE IL NUOVO CAPOGRUPPO DEL PDL ALLA CAMERA

Dopo il cappotto elettorale, il Pdl cerca nuove strade, dentro e fuori dal partito. Ieri il Cdm è stato rinviato di 24 ore per dare il tempo al Cavaliere di razionalizzare al meglio il nuovo schema del partito.
Piani che nella tarda serata di ieri, come scrive l’agenzia di stampa Agi, sono stati, in parte, svelati.
Primo punto, già  annunciato dal Corriere della Sera, il commissario (o reggente) del Pdl.
Ruolo che andrebbe al ministro della Giustizia Angelino Alfano.
A lui, scrive l’Agi, riportando fonti vicine alla maggioranza, il compito di riscrivere lo statuto.
In questo modo, però, Alfano lascerebbe il suo dicastero che passerebbe a Fabrizio Cicchitto, attuale capogruppo alla Camera.
In serata Cicchitto ha risposto a chi gli chiedeva conto di una tale nomina con un semplice “non ne so nulla”.
Lo schema berlusconiano, poi, prevede che   il vicepresidente di Montecitorio, Maurizio Lupi, diventi il nuovo capogruppo del partito.
Una riprova del nuovo schema, secondo l’Agi, sarebbe l’incontro notturno tra Ignazio La Russa e Angelino Alfano.
Incontro, spiegano fonti parlamentari del Pdl, che sarebbe servito ad aprire alla soluzione studiata dal Cavaliere.
C’è stato anche un incontro tra il premier e Denis Verdini affinchè anche l’altro coordinatore di via dell’Umiltà  possa dare l’ok al piano del presidente del Consiglio.
Oggi quindi nell’ufficio di presidenza del Pdl convocato per le ore 18 in via del Plebiscito, il Cavaliere dovrebbe già  prospettare la possibilità  che sia Alfano a guidare nel futuro il partito di via dell’Umiltà , mentre La Russa e Verdini potrebbero ricoprire incarichi legati all’organizzazione oppure restare coordinatori fino al cambiamento dello statuto.
Sarebbero questi, quindi,   i punti salienti che stanno in testa al premier, il quale, nei giorni scorsi aveva anche sposato l’idea delle primarie.
Ci limitiamo a ricordare che Fabrizio Cicchitto, dopo essersi iscritto (fascicolo n. 945, tessera 2232, data di iniziazione 12 dicembre 1980) alla loggia massonica P2, venne estromesso dal PSI.
Riammesso nell’ottobre 1987 da Bettino Craxi, ha poi adottato le posizioni del segretario del PSI, fino alla dissoluzione del partito a causa delle inchieste di Mani Pulite.
Un elemento giusto insomma, per il suo passato, a ricoprire la carica di ministro della Giustizia, secondo il premier.

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