Giugno 22nd, 2011 Riccardo Fucile
IL NOSTRO PAESE CITATO DI FRONTE ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO PER UN EPISODIO DEL 2009: DUECENTO MIGRANTI FURONO RIPORTATI A TRIPOLI… DOVEVANO ESSERE CONDOTTI IN ITALIA E LA POSIZIONE DI CIASCUNO DI LORO ESAMINATA SINGOLARMENTE
L’Italia contro la Corte europea dei diritti dell’uomo: Roma dovrà rispondere a Strasburgo, di fronte all’Europa intera, per aver respinto – due anni fa, a 35 miglia a sud di Lampedusa – duecento rifugiati politici.
L’esito creerà un precedente e influirà sulle politiche sia italiane che comunitariesull’immigrazione.
Contro l’Italia si sono schierati 24 migranti, undici somali e tredici eritrei.
Il ricorso (il numero 27765/09) è stato presentato dagli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, membri del direttivo dell’Unione forense per i diritti dell’uomo.
Al centro di questa causa internazionale, la condotta delle autorità italiane: la storia comincia nel 2009 e il primo a raccontarla è stato il giornalista Riccardo Iacona nel documentario “Respinti”.
Il 6 maggio, tre barconi con 200 passeggeri a bordo, sono stati intercettati in acque di competenza maltese dalla Guardia Costiera italiana.
Ma invece di essere soccorsi e sbarcati, sono solo stati trasferiti sulle navi militari italiane e riportati dritti dritti a Tripoli nelle mani delle forze libiche.
I 24 migranti hanno riferito agli avvocati che durante il viaggio le autorità italiane non li hanno informati su dove sarebbero stati portati e, calpestando il diritto d’asilo, non gli è mai stato chiesto da dove provenissero.
La Convenzione Sar impone invece l’obbligo di riportare i rifugiati “in a safety place”che non è nè la nave soccorritrice, nè — a detta del Parlamento europeo – un porto libico.
Non solo: la Convenzione di Ginevra, di cui l’Italia è firmataria, prevede che nessun Paese “potrà espellere o respingere, in nessun modo, un rifugiato verso le frontiere dei luoghi dove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità ”.
“Nel ricorso — spiega Lanna – noi solleviamo diverse questioni, relative principalmente alla non ottemperanza di quanto previsto dall’articolo 3 della Convenzione per i diritti dell’uomo (divieto di tortura e di maltrattamenti, ndr), dall’articolo 4 del quarto protocollo allegato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divieto di espulsioni collettive di stranieri, ndr) e l’articolo 13 della stessa Convenzione (diritto a un ricorso effettivo)”.
L’onere della decisione spetta alla Grande Camera della Corte Europea, composta da 17 giudici.
Unico testimone italiano del respingimento è Enrico Dagnino, fotoreporter, che tra il 6 e il 7 maggio del 2009 si trovava a bordo del pattugliatore Bovienzo della Guardia di Finanza.
Per l’avvocato Lanza “si tratta di un caso di grande interesse a livello mondiale. Basti pensare che tra i terzi intervenuti nella causa troviamo due organi importanti dell’Onu come l’Alto Commissariato per i rifugiati e l’Alto Commissariato per i diritti umani. Ci sono poi le più importanti organizzazioni non governative e associazioni, fino ad arrivare alla Columbia University”.
Il verdetto arriverà dopo l’estate.
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Giugno 22nd, 2011 Riccardo Fucile
NESSUNA ISTITUZIONE HA COMMENTATO IL DELIRIO SECESSIONISTA DI MARONI A PONTIDA…IN PIENA TRANCE AGONISTICA E IN UN CRESCENTE DELIRIO DI ONNIPOTENZA IL SASSOFONISTA SI SENTE UNA ROCK STAR E SI AGITA SUL PALCO
Il sogno secessionista di Roberto Maroni espresso poeticamente domenica a Pontida sembra non l’abbia ascoltato praticamente nessuno.
O, quanto meno, nessuno ha deciso di prenderlo abbastanza sul serio da replicare, attaccare o preoccuparsi.
Singolare circostanza visto che dal palco del raduno leghista un illustre esponente delle
istituzioni come il ministro dell’Interno si è lasciato andare alle seguenti dichiarazioni: “Abbiamo un grande sogno: una Padania libera e indipendente”.
Affermazione forte che sembra ignorare l’articolo 5 della Costituzione italiana.
Dove si legge che la Repubblica “è una e indivisibile”.
La dichiarazione d’amore di Bobo Maroni, domenica omaggiato dalla folla (e persino incoronato dallo striscione a futuro premier) è caduta nel silenzio più assoluto.
E a mettere con forza l’accento sul pericolo costituito dalle tentazioni secessioniste ieri è stata solo la Cei: “La Chiesa deve frenare le mire secessionistiche”, ha dichiarato l’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace, commentando la richiesta leghista di spostare i ministeri al Nord. L’affermazione che “L’Italia del Sud si sentirà ancora più deprivata” ha sortito pure un effetto da parte del ministro Calderoli (“I trasferimenti si faranno anche al Sud”).
Su Maroni e la sua Padania libera, però, nessun commento istituzionale.
Il Quirinale non entra nel merito delle dichiarazioni di Maroni, ma rimanda alla nota rilasciata alle agenzie domenica sera.
Dove “non a caso” si fa riferimento all’intervento di venerdì scorso di Napolitano a Verona, quando il capo dello Stato ha citato — appunto — l’articolo 5 della Costituzione.
Sottolineatura, si faceva osservare, che può essere riferita anche alla richiesta leghista di trasferimento di alcuni ministeri al Nord.
Trasferimento al quale il Colle ha più volte detto di essere contrario.
Se è un commento “per deduzione” quello della presidenza della Repubblica, da parte sia della presidenza della Camera che del Senato arriva un “no comment” ufficiale.
Facile cogliere un certo imbarazzo.
E la tentazione di “dividere” la figura del leader leghista da quella del ministro.
Difficile, visto che si tratta della stessa persona.
Dice, per esempio, Giorgia Meloni “Lui parla così per aizzare la folla. Ma è comunque un grande ministro”.
L’eco “secessione secessione” di Pontida si riverbera comunque soprattutto nelle parole di Maroni.
Il quale ieri durante un dibattito con Bersani sulla sicurezza organizzato dal Pd (dove peraltro viene accolto dalla platea con un applauso) a proposito della richiesta della base si limita a dire: “Pontida è Pontida. Solo chi c’è stato capisce”.
Nessuno affonda, nè il segretario del Pd, nè il moderatore, Mario Orfeo.
E il ministro dell’Interno, a fine dibattito così replica: “Non è vero che le mie dichiarazioni sulla Padania libera sono in contrasto con il mio dicastero. D’altra parte io sto in Parlamento con un partito che si chiama Lega Nord per l’indipendenza della Padania. È un problema del Parlamento”, dice con tono più che piccato.
Accanto a lui Bersani, alla stessa domanda, si limita ad alzare gli occhi al cielo, ad allargare le braccia e a dire pacatamente: “Ha parlato di un sogno. È un sogno. D’altra parte sui sogni…”.
L’unico evidentemente a preoccuparsi per “i sogni” del titolare del Viminale è un cittadino di Alessandria che lo ha denunciato formalmente per le parole sulla Padania, che configurerebbero il “vilipendio alla Costituzione, l’istigazione a sentimenti antinazionali, l’alto tradimento”.
Aldo Flora, 67 anni, ex manager in pensione così ha spiegato la sua denuncia: “Un ministro non può dire tutto quello che vuole. Un ministro ha giurato sulla Costituzione. E non può togliersi la giacca da ministro a suo piacimento”.
Meno male che un semplice cittadino la colto nel segno: il problema della secessione e di chi istiga alla medesima si risolve semplicemente mandando le forze dell’ordine a notificare la denuncia ai “rivoluzionari da salotto” a casa loro.
Che poi la denuncia venga recapitata a un ministro degli Interni, ovvero al loro superiore, è una cosa che puà accadere solo in Italia.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Bossi, Costume, denuncia, emergenza, Giustizia, governo, LegaNord | 1 Commento »