Luglio 7th, 2011 Riccardo Fucile
L’ASTENSIONE DETERMINANTE DEL PD HA AFFOSSATO LA LEGGE TAGLIA-PROVINCE…..CENTINAIA DI COMMENTI INFURIATI SUL SITO UFFICIALE: “OGNI VOLTA TROVATE SEMPRE UNA SCUSA PER SALVARE LA CASTA”
Sarà anche vero, come hanno precisato in queste ore tutti i big del partito, Bersani in testa,
che in materia “il Pd ha le sue idee e non va dietro a tirate demagogiche”, ma l’astensione “decisiva” alla Camera sulla legge taglia-province dell’Idv, per i militanti pesa eccome.
Il mancato voto che ha affossato, martedì in Aula, il provvedimento proposto dal partito di Di Pietro ha causato strascichi e malumori non solo interni al partito (vedi lo “smarcamento” del sindaco di Firenze, Matteo Renzi).
Commenti inferociti sul sito. Le tracce più evidenti si trovano sul sito dei Democratici, preso d’assedio da militanti a cui la linea dettata dal capogruppo Franceschini proprio non è andata giù.
Più di trecento commenti hanno invaso a caldo la sezione enti locali.
Con lo stesso filo conduttore: “occasione persa”, “segnale mancato”, “parole a cui non fanno mai seguito i fatti”, stando solo ai post più gentili.
E poco hanno rasserenato gli animi anche le rassicurazioni del responsabile Enti Locali del partito, Davide Zoggia, che online ha pubblicato le motivazioni del no e la proposta del partito per una riforma complessiva in materia (la proposta di Legge Costituzionale N. 4439 presentata il 21 giugno 2011).
Centinaia di commenti anche nella giornata di oggi tanto per far capire che anche i distinguo e le migliori intenzioni in questo caso contano poco.
Parole senza fatti.
“Ogni volta c’è una scusa buona per non mettere mano a nulla”, scrive quasi rassegnato Francesco C., “il paese si sta muovendo e voi rimanete immobili”. “Accidenti a voi…”, si rammarica Federica, “un’altra occasione persa”.
Incredulità mista a rabbia per molti dei sostenitori.
“Delusione, tristezza, amarezza, questi sono i sentimenti che provo”, elenca Rosaria M., “nell’aver appreso la notizia che vi siete astenuti”.
Ci sono poi quelli che vanno giù duro. “Siete una vergogna per l’Italia, avete dimostrato di far parte della casta”, scrive Stefano S., che arriva ad invocare un passo indietro del segretario.
“Dopo Berlusconi oggi chiedo anche a Bersani di dimettersi perchè è un’offesa ai suoi elettori”. “Ho strappato la tessera Pd, ve la rispedisco con posta prioritaria, spero che altri facciano lo stesso”, è l’auspicio amaro di Sabatino A.
L’insopportabile tatticismo. Tanti i motivi di questa rivolta telematica. C’è chi critica l’aver sostenuto indirettamente il governo, permettendogli di non andare sotto in Aula. Ad altri non va proprio giù che si sia affossato un provvedimento sicuramente “perfettibile” ma visto come un colpo alla “casta” in tempi di austerity per tutti.
Tanti poi sottolineano come si resti prigionieri di un insopportabile “tatticismo”, perdendo lo slancio di amministrative e referendum.
“Ma io veramente non capisco”, è la sintesi sconsolata di Davide B., “a meno di non voler veramente pensar male… Avevate l’occasione per ritrovare la simpatia dell’elettorato, dopo delle votazioni e un referendum che dicono molto sull’umore dei cittadini […] E cosa fate vi astenete? E in più tirate fuori proposte fantasiose quanto fuori luogo, ad un passo dal default? Ormai Berlusconi è finito, ma voi? Di fronte ad una simile cecità si rimane senza parole: rimangono solo le parolacce!”.
Parolacce che a qualcuno scappano, mentre altri si lamentano di essere stati censurati anche se la maggior parte dei commenti resta ben visibile.
C’è spazio anche per una citazione caustica: “E’ ora di smetterla di star lì a spidocchiare i peluche! Dovete andare a casa tutti, subito”.
Le spiegazioni di Zoggia.
Guarda avanti e punta a riconquistare gli “scontenti”, il responsabile enti locali del partito, Davide Zoggia, che si sta spendendo in prima persona per placare i delusi. “Comprendiamo lo stato d’animo dei cittadini sui costi della politica”, dice Zoggia interpellato da Repubblica. it, “è assolutamente legittimo, ma non stiamo buttando la palla in tribuna. Abbiamo già presentato una legge costituzionale ma nei prossimi giorni presenteremo anche una riforma complessiva che riguarda Comuni, Province e Regioni. Non è che basta fare un segno con la matita dicendo abolite, anche se sarebbe più facile: dobbiamo creare delle cose che diano dei risultati”.
Sulla reazione della base: “Abbiamo spiegato e stiamo spiegando sul nostro sito e rispondendo alle tante mail che abbiamo ricevuto qual è la posizione del Partito Democratico. Andremo avanti in tempi brevissimi con la nostra proposta”. L’impressione è che si debba fare davvero in fretta.-
Pasquale Notargiacomo
(da “La Repubblica“)
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Luglio 7th, 2011 Riccardo Fucile
RIVOLTO A SACCONI, IL MINISTRO DELL’ECONOMIA COMMENTA: “MA HAI SENTITO QUELLO CHE STA DICENDO? MA E’ SCEMO” … POI LE SCUSE PRIMA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Scaramucce a distanza con dichiarazioni alle agenzie di stampa.
Ogni tanto l’escalation nel chiuso di un consiglio dei ministri con qualche frase che trapela.
Ora il rapporto «ruvido» tra i due è venuto alla luce del sole prepotentemente: in un video divulgato da Repubblica Tv con tanto di audio inconfutabile.
I protagonisti sono due ministri: Tremonti e Brunetta. Parole pesanti del primo al secondo: «È un cretino. Ma è scemo?».
Il giorno dopo però il ministro dell’Economia ci mette una pezza e chiede scusa al collega Renato Brunetta nel corso del Consiglio dei ministri.
Lo dichiara lo stesso ministro della Pubblica amministrazione attraverso un comunicato stampa: «È venuto Giulio e mi ha abbracciato, chiedendomi scusa. Io, però, non ho ancora capito cosa sia successo. Ma si sa, non sono veloce di comprendonio».
Ma facciamo un passo indietro a mercoledì, giorno della conferenza stampa che illustra la manovra ai giornalisti.
Tremonti ha appena finito di parlare.
Brunetta prende la parola per la parte che riguarda il suo ministero.
La sede è quella del dicastero del Tesoro, via XX Settembre.
Ma galeotto è il microfono che rimane davanti alla bocca del ministro dell’economia e cattura a sua insaputa il «fuori onda» che rivolge al collega, con il quale è noto non corre buon sangue.
Così nel video ecco i velenosi commenti che Tremonti «comunica» ai funzionari del Tesoro mentre Brunetta sciorina cifre: «Questo è il tipico intervento suicida…».
Si copre il volto e si rivolge al ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, aggiungendo: «…proprio… …è proprio un cretino».
E il ragioniere: «Anche perchè in una manovra di 34 miliardi e nove… il pubblico impiego è a 0,6… è inutile che gliene parli, no?»
E Tremonti sarcastico: «Eh, ma deve parlare!».
Dall’altro lato del ministro siede il capo di gabinetto del ministero Vincenzo Fortunato che chiosa: «È un massacro».
Sarcastico Tremonti: «Devo dirlo?». Nel frattempo Brunetta in sottofondo dice: «…e in più c’è una cosa di cui nessuno si è accorto».
Lesto Tremonti mentre parlotta con Fortunato, s’inserisce con una battuta a Brunetta: «Neanch’io?».
La sala ride e Brunetta rassicura un paio di metri più in là : «No, tu te ne sei accorto».
Ma non è finita.
Brunetta continua il suo intervento e il ministro dell’Economia si spazientisce sempre più.
Ad un certo punto si rivolge a Sacconi: «Maurizio, è scemo eh?».
E il ministro del Welfare: «Io non lo seguo neppure».
Brunetta procede. Ora parla della visita fiscale: «Sarà obbligatoria nei giorni prefestivi…». E Tremonti: «…o nei giorni che precedono la manovra».
E l’ultima battuta prima di confermare il suo pensiero: «Questo è proprio un cretino».
I due insieme sono come il fiammifero con il fuoco.
Infatti, come è successo mercoledì, il 12 novembre del 2009 mentre Brunetta presentava un pezzo della riforma sulla Pubblica amministrazione, il «professor Giulio», scrive Verderami sul Corriere del giorno dopo, bocciava il «professor Renato»: «Non si fa la semplificazione con una nuova regolamentazione », ha iniziato a ripetere dando sulla voce del collega.
Si è scatenato il parapiglia, e per una volta Letta è intervenuto a sostegno di Tremonti. Alla fine, dopo ripetuti colpi sotto la cintura, Brunetta si è alzato e ha teso la mano al ministro dell’Economia, che non ha contraccambiato, anzi: «Non ti avvicinare, altrimenti ti prendo a calci in…».
Questo è purtroppo lo stato di degrado morale e di sfiducia reciproca in cui versa il governo del nostro Paese.
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Luglio 7th, 2011 Riccardo Fucile
LA PRESA DI POSIZIONE DELLA SEZIONE RIVIERASCA DI FUTURO E LIBERTA’ DOPO LE POLEMICHE DIMISSIONI DI DIRIGENTI E ISCRITTI
Il Circolo Fli di Rapallo, per voce del suo coordinatore Miguel Garcia Niccoli, di concerto con i
consiglieri comunali Roncagliolo e Zunino, in merito alle recenti vicende interne che hanno portato alle dimissioni di Rosella Oddone Olivari e di molti altri esponenti e militanti della provincia di Genova, esprime totale e incondizionata solidarietà con le posizioni da essi assunte.
Il nostro Circolo chiede con un accorato appello che rientrino al più presto in seno al movimento, per continuare, dall’interno del Fli, l’azione di trasparenza e rinnovamento avviata.
Al Vertice nazionale chiediamo con voce vibrante che ponga in atto non solo a livello locale tutte le misure perchè vi siano i presupposti organizzativi e politici per questo ritorno, e se occorre, che metta mano ferma e decisa su una certa dirigenza, che a vari livelli si è dimostrata e si dimostra inadeguata agli ideali di Futuro e Libertà , a partire da Legalità , Nazione e Merito, espressi a più riprese dal presidente Fini.
Che siano altri ad andarsene, quelli che hanno sbagliato, e non coloro, che mossi dalle migliori intenzioni, hanno portato alla luce situazioni poco chiare.
Il treno futurista, che ha offerto a tanti giovani e tante persone comuni il sogno di una politica autenticamente nuova, spingendo molti di loro a partecipare attivamente per la prima volta, non si può fermare, non si deve fermare.
Liberiamo il nostro movimento da vecchi e logori modi di fare politica, e che lo spettacolo della pacifica rivoluzione futurista possa finalmente cominciare.
( da “Levante News“)
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Luglio 7th, 2011 Riccardo Fucile
STUDIO CENSIS-UNIPOL: IL DIPENDENTE PRIVATO CHE LASCERA’ IL LAVORO NEL 2040 PRENDERA’ SOLO IL 52,4% DELL’ULTIMO STIPENDIO….L’ITALIA HA LA PIU’ ALTA SPESA PENSIONISTICA, SUL TOTALE DELLE PRESTAZIONI SOCIALI: 60,7%, CONTRO UNA MEDIA DEL 40% DEGLI ALTRI PAESI EUROPEI
Oggi sono due terzi, domani sarà solo la metà .
E’ il rapporto tra il primo assegno previdenziale del neopensionato e il suo ultimo stipendio: una percentuale destinata a scendere pesantemente nel corso degli anni e ad essere solo parzialmente sostituita dalle (eventuali e naturalmente a pagamento) polizze integrative.
Le stime, decennio per decennio, sono riportate in un nuovo studio nato dalla collaborazione tra Censis e Unipol.
Il dipendente privato che è andato in pensione nel 2008 – per esempio – ha incassato una pensione che vale il 68,7% dell’ultima retribuzione.
Suo figlio, invece, quando lascerà il lavoro nel 2040 prenderà solo il 52,4% dell’ultimo stipendio.
Molto peggio andrà invece agli autonomi, già penalizzati da una «finestra mobile» che li costringe ad aspettare sei mesi in più rispetto ai dipendenti prima di incassare il primo assegno previdenziale.
Artigiani e commercianti, tanto per citare due categorie, vedranno crollare il primo incasso pensionistico dal 67,9% dell’ultimo guadagno nel 2008 al 31,8% nel 2040.
In altre parole, la quota perderà più della metà del proprio peso.
E le pensioni private e aggiuntive?
«Il contributo della previdenza complementare – si legge nello studio – integrato nella stima sulla base di una aliquota del 6,91%, contiene lo svantaggio delle generazioni più giovani soprattutto per i lavoratori dipendenti, per i quali il tasso (di sostituzione) si ferma nel 2040 al 63% circa, mentre per gli autonomi raggiunge il 42% circa». Naturalmente gli assegni integrativi dipenderanno dall’entità dei contributi che saranno prima stati versati.
Ma, almeno nello scenario preso in considerazione nel rapporto Censis e Unipol, non basteranno a riportare le lancette dell’orologio al 2008 e ai suoi tassi di sostituzione comunque più generosi.
Per non parlare poi dell’età pensionabile, destinata a crescere in un mix che va dall’agganciamento alla speranza di vita, alle finestre mobili (più lente ad arrivare di quelle fisse) fino al passaggio da 60 a 65 anni per le donne nel settore privato.
Intanto, per ora, l’Italia resta, tra i grandi Paesi d’Europa, quello che ha di gran lunga la più consistente quota di spesa pensionistica sul totale delle prestazioni sociali: nel 2008 era al 60,7%, contro il 43% della Germania, il 45,8% della Francia, il 39,7% del Regno Unito e il 39,6% della Spagna.
E tra gli obiettivi delle tante riforme previdenziali che hanno caratterizzato il nostro Paese negli ultimi 20 anni c’è naturalmente quello di riequilibrare i conti pensionistici, in un orizzonte che abbraccia tutte le politiche sociali dei prossimi anni.
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Luglio 7th, 2011 Riccardo Fucile
ALLA VIGILIA DELLA SENTENZA MONDADORI, PRECIPITANO I SATELLITI DI BERLUSCONI: MEDIASET, MONDADORI E MEDIOLANUM SEGNANO UN PESANTE PASSIVO IN BORSA
Silvio Berlusconi ha perso per strada 800 milioni di euro. Li ha persi in tre mesi: da aprile a
oggi. Un periodo complicato per il premier.
Il caso Ruby che arriva in tribunale, la batosta elettorale, lo schiaffone dei referendum e il governo più pericolante che mai nonostante gli Scilipoti di turno. I mercati finanziari, come spesso accade, fiutano il pericolo e si regolano di conseguenza.
I grandi investitori prendono le distanze dal Cavaliere. Anzi, se possono lo scaricano proprio.
E così, in Borsa, le aziende targate Fininvest hanno perso quota.
Mediaset è calata del 28 per cento da aprile. Mondadori si è ristretta del 14 per cento e Mediolanum del 16 circa.
I tre titoli in questione sono andati molto peggio dell’indice generale del listino borsistico, che nello stesso periodo ha fatto segnare un arretramento del 6,6 per cento. Tutti questi ribassi hanno avuto un effetto concreto sul portafoglio del capo del governo.
Le sue partecipazioni personali nelle tre società del gruppo adesso valgono 2,6 miliardi contro i 3,4 miliardi di aprile.
Fanno 800 milioni in meno, una perdita secca del 23 per cento in soli tre mesi, mentre un Berlusconi sempre più affannato tentava di salvare quel che resta della sua leadership.
Non è una catastrofe, certo. Un recupero è sempre possibile.
Inoltre, aziende come Mediaset o Mondadori vantano bilanci solidi e chiuderanno comunque il bilancio con utili importanti.
Il barometro della Borsa, però, segna tempo brutto.
E il segnale non va sottovalutato.
L’incertezza sul futuro del premier preoccupa i mercati.
Parafrasando la recente copertina dell’Economist, settimanale di riferimento per i grandi investitori internazionali, si può dire che “L’uomo che ha fottuto un intero Paese” rischia di perdere la sua presa sul governo.
E i gestori dei fondi, da Wall Street a Londra, temono che le aziende Fininvest vengano contagiate dalla debolezza politica del loro azionista.
Come se non bastasse, Berlusconi deve guardarsi le spalle anche sulla scena della finanza nazionale.
Ad aprile, con la clamorosa disfatta di Cesare Geronzi, costretto a lasciare (dopo solo un anno) la presidenza delle Generali, è venuto a mancare un punto di riferimento tradizionale per il Cavaliere. E non è ancora finita.
C’è grande attesa per il rinnovo del patto di sindacato di Mediobanca, in autunno.
E qui gli amici del premier come Salvatore Ligresti, di fatto commissariato da Unicredit, e i soci francesi come Vincent Bollorè, sembrano ridotti sulla difensiva.
Berlusconi, ovviamente, si rende conto della situazione e questo non fa altro che aumentare il suo nervosismo.
Lo dimostrano uscite come quella di un paio di settimane fa, quando con l’aria della vittima sacrificale si chiedeva dove avrebbe trovato i soldi per far fronte a un’eventuale sentenza sfavorevole sul lodo Mondadori.
Per male che vada, il conto finale da pagare alla Cir di Carlo De Benedetti sarà di 750 milioni, una somma sicuramente alla portata della Fininvest.
Anche in questo caso, quindi, non c’è nessuna catastrofe in vista, ma la vicenda della casa editrice resta comunque una di quelle che ha contribuito ad amplificare il clima d’incertezza sui mercati.
Senza contare che alla Corte europea di Giustizia di Lussemburgo pende un’altra vecchia vertenza di carattere fiscale, sempre sulla Mondadori, che in teoria potrebbe risolversi con un altro salasso di 300 milioni per la holding del Cavaliere.
Tra gli osservatori c’è chi sostiene che l’improvviso vertice di famiglia tra Berlusconi e i figli convocato a fine maggio sia servito proprio a concordare una nuova strategia di gruppo per far fronte a un futuro prossimo ricco di incognite.
I motivi della riunione a Palazzo Grazioli sono rimasti riservati.
Di lì a un mese, però, la Fininvest ha annunciato che non distribuirà dividendi ai propri azionisti.
E cioè le sette holding controllate dal fondatore del gruppo e dai suoi cinque eredi: Marina e Pier Silvio, nati dal primo matrimonio, e poi Barbara, Eleonora e Luigi, figli di Veronica Lario.
Niente dividendi, quindi. Una decisione per certi aspetti sorprendente.
L’ultima volta che i Berlusconi erano rimasti a secco risale al 2002.
Da allora bilanci più che floridi e utili di conseguenza. Con ricchi premi ai soci.
Dal 2008 al 2010, per dire, Silvio e famiglia si sono spartiti almeno 200 milioni all’anno.
Adesso la musica è cambiata. Per effetto del calo dei profitti delle principali controllate (Mediaset e Mondadori) gli utili della Fininvest spa si sono ridotti dai 217 milioni del 2009 agli 86 milioni dell’anno scorso.
Un risultato comunque positivo, tale da consentire, volendo, la distribuzione di un dividendo, anche se ridotto rispetto al recente passato.
Invece no, cedola rinviata.
Incombe la sentenza sul lodo Mondadori. E allora è meglio tenere risorse in cassa. Poco male, le holding personali di Berlusconi e figli dispongono di riserve per centinaia di milioni.
Per le piccole spese dovrebbero bastare.
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Luglio 7th, 2011 Riccardo Fucile
INDAGINE A ROMA SUI FINANZIAMENTI AI GIORNALI DI ANGELUCCI… “LIBERO” NON AVRA’ PIU’ I VENTI MILIONI DI EURO PREVISTI
Il giorno nero dei giornali finanziati dai contribuenti è stato il 28 giugno scorso.
Il Dipartimento dell’editoria della Presidenza del Consiglio guidato da Elisa Grande quel giorno ha messo la parola fine alla grande abbuffata dei furbetti della stampa assistita.
A farne le spese sono stati Il Roma e l’Umanità (incredibile a dirsi ma il glorioso ex organo del Psdi è esistito fino alla fine del 2010), vicini a Italo Bocchino, ma soprattutto Libero e Il Riformista facenti capo al gruppo guidato dal deputato eletto nel Pdl Antonio Angelucci.
Il Dipartimento non ha fatto distinzioni tra nemici di Berlusconi e amici del premier. Anche Tempi di Luigi Amicone, venduto in abbinamento con Il Giornale dei Berlusconi, è finito nel mirino per una fattura che insospettisce gli occhiuti controllori del Dipartimento editoria.
E anche l’amico di Berlusconi, Valter Lavitola, sarà presto sottoposto con il suo Avanti (insieme ad altri giornali) a un controllo per verificare se le copie dichiarate per ottenere i contributi sono reali.
Gli accertamenti su Tempi e L’Avanti però sono agli inizi e potrebbero concludersi con un nulla di fatto.
Quelli su Libero e il Riformista; Roma e Umanità invece sono conclusi.
Sia Tonino Angelucci che la società partecipata con una quota del 37,4 per cento dalla (ormai ex) moglie di Italo Bocchino, Gabriella Buontempo, controllavano – secondo il Dipartimento editoria – non una ma due testate e hanno chiesto i contributi per entrambe facendo finta che non avessero nulla in comune dal punto di vista societario. Dopo una lunga indagine però la Guardia di Finanza e l’Autorità Garante delle Comunicazioni hanno scoperto l’inghippo: Umanità (Edizioni Riformiste Società Cooperativa in liquidazione) e Roma erano controllati entrambi dalla società Edizioni del Roma Spa partecipata dalla (ex) moglie di Bocchino.
Allo stesso modo sia la Editoriale Libero Srl sia la Edizioni Riformiste società cooperativa (quasi omonima di quella dell’Umanità ma editrice del Riformista) facevano capo alla persona fisica di Antonio Angelucci.
Dopo una deliberazione unanime della Commissione consultiva del Dipartimento editoria, presieduta dal sottosegretario Paolo Bonaiuti e alla quale partecipano anche i rappresentanti della Fieg (editori) e Fnsi (giornalisti) il direttore generale Iannelli del dipartimento editoria, guidato dalla dottoressa Grande, ha emanato una raffica di una mezza dozzina di decreti contro i quattro giornali per chiedere indietro i contributi degli anni già pagati e per bloccare quelli ancora da erogare.
Il conto più salato lo dovrà pagare il gruppo Tosinvest che controlla Libero e Il Riformista. Libero si è visto riconoscere 7 milioni e 953 mila euro per il 2006 e altri 7 milioni e 794 mila per il 2007 ed era in attesa di altri 12 milioni per il biennio 2008-2009.
Il Riformista invece ha avuto 2 milioni e 530 mila euro per il 2006 che diventano 3 milioni e 382 mila euro nel 2007.
Sommando i contributi già percepiti per il 2006 e per il 2007 (da restituire) a quelli da incassare per il 2008 e il 2009, già iscritti a bilancio, l’ammanco supera i 28 milioni di euro.
Un vero salasso che rischia di imporre in particolare al direttore Maurizio Belpietro, già consigliere e ora anche socio della Editoriale Libero, una dolorosa ristrutturazione annunciata dalla chiusura della cronaca di Roma, contestata dal Cdr del giornale.
Per mantenere gli organici attuali di Libero, che si aggirano sui cento dipendenti,
Il gruppo Angelucci dovrà tirare fuori subito 16 milioni di euro per restituire il maltolto e poi dovrà immediatamente reperire altri 12 milioni per chiudere il bilancio in pareggio.
Non basta: gli Angelucci dovranno tirare fuori anche i 5,8 milioni che la Presidenza chiede indietro al Riformista.
Tutto parte dagli accertamenti dell’Autorità Garante delle Comunicazioni .
All’esito di un’indagine dell’ apposito nucleo della Guardia di Finanza, su iniziativa del relatore Sebastiano Sortino, l’Agcom ha ravvisato sia per Angelucci sia per Il Roma il controllo di due testate.
Conseguentemente Agcom ha deliberato sia per la società Edizioni del Roma (vicina alla famiglia Bocchino-Buontempo) sia per Antonio Angelucci una multa da 103 mila euro.
A questo punto il Dipartimento della Presidenza del Consiglio ha fatto proprie quelle conclusioni.
Una scelta ovvia dal punto di vista giuridico ma per nulla scontata sotto il profilo politico.
Anche perchè la slavina che ha investito i giornali vicini politicamente a Bocchino e a Silvio Berlusconi ora potrebbe proseguire la sua corsa in Procura.
I pm di Roma hanno aperto un fascicolo nel 2010 e, dopo avere ricevuto le carte della Presidenza del Consiglio, potrebbe ravvisare anche un versante penale nell’indebita percezione di decine di milioni di euro da parte di giornali che non hanno detto la verità quando hanno chiesto i contributi.
Angelucci spera nella giustizia amministrativa. A maggio ha impugnato la delibera dell’Agcom davanti al Tar chiedendo la sua sospensione cautelare.
I magistrati romani però non l’hanno concessa e hanno solo fissato l’udienza per discutere il merito in tempi record, a ottobre.
Il Dipartimento Editoria a questo punto avrebbe potuto cedere alle pressioni politiche aspettando la decisione del Tar e invece ha preferito applicare la legge annullando subito i contributi del 2006 e 2007 e decretando il blocco per il 2008 e il 2009.
Se i magistrati non ribalteranno il verdetto della Presidenza del Consiglio, anche la società della moglie di Italo Bocchino (Gabriella Buontempo) che edita il Roma dovrà restituire 2 milioni e 530 mila euro già erogati con riserva dalla Presidenza del Consiglio per il 2008 e non incasserà mai il contributo per il 2009.
Per capire l’impatto catastrofico sui bilanci dei giornali basta leggere la relazione della società di revisione BDO che ha certificato l’ultimo bilancio di Libero con questa postilla: “i crediti al 31 dicembre 2009 includono 12 milioni di euro a fronte dei contributi all’editoria ex legge 250/90 equamente attribuiti agli esercizi 2008 e 2009 … al riguardo gli amministratori anche sulla base del parere dei propri consulenti ritengono che la società abbia pieno diritto al loro riconoscimento.
L’equilibrio economico e finanziario della società è strettamente legato all’ottenimento dei suddetti contributi”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 7th, 2011 Riccardo Fucile
QUESTO E’ L’EFFETTO DELL’AUMENTO DELL’IMPOSTA DI BOLLO SUI CONTI TITOLI….COLPITI I PICCOLI RISPARMIATORI…ALLARME DEGLI OPERATORI: SI RISCHIA LA FUGA DAI TITOLI DI STATO
Fuga dai titoli di Stato. 
Più che il remake di “Fuga da Alcatraz”, rischia di essere l’effetto della manovra 2011-2014 che ridurrà al minimo la rendita di Bot, Cct e Btp, soprattutto per i piccoli risparmiatori.
Un’operazione “miope, di breve periodo” secondo gli addetti ai lavori perchè “a queste cifre – spiega un operatore – gli italiani dovrebbero preferire i fondi comuni aperti sperando in rendimenti migliori.
E, in effetti, fare peggio sarebbe difficile”.
Soprattutto se il capitale del piccolo risparmiatore non supera i 10mila euro.
Una cifra che se investita oggi in Bot rende 152,5 euro netti l’anno (il rendimento lordo è al 2,14%), ma che dopo il decreto scenderà a 66,7 euro (con una perdita del 56,3%). E nel 2013 calerà addirittura a 36,7 euro (-76%).
Un effetto legato al progressivo aumento del bollo d’imposta sul dossier titoli, che aumenterà subito da 34,2 a 120 euro per arrivare a 150 nel 2013.
Con il paradosso che a rimetterci sarebbero proprio i piccoli risparmiatori, perchè con l’aumentare dell’esposizione finanziaria l’impatto dell’imposta si diluisce.
E così 25mila euro investito che oggi valgono 432,3 euro netti, sono pronti a scendere 346,5 dopo la manovra (-20%) e a 316,5 euro nel 2013 (-27%).
Sopra 50mila euro, poi, nei piani dell’esecutivo, c’è un nuovo scoglio: la tassazione sale a 120 euro subito dopo l’approvazione del decreto e a 380 euro dal 2013.
Con un’evidente sperequazione tra chi può investire tanto e chi no. Più si sale, meno è forte l’incidenza dell’imposta.
E così la mossa del governo rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio perchè i titoli di Stato sono lo strumento principe per finanziare il proprio debito. In questo modo, invece, il rischio è proprio quello di allontanare i propri finanziatori.
Ecco perchè – a giudizio di molti – la proposta del governo pare una mossa ancorata esclusivamente al breve periodo.
Anche perchè autorevoli fonti bancarie contestano i numeri presentati nella relazione tecnica della manovra.
Secondo il ministero dell’Economia, che cita una ricerca Eurisko, il 26% dei correntisti avrebbe un conto titoli con una cifra che si aggirerebbe oltre i 10 milioni di clienti.
A queste cifre l’incremento dell’imposta di bollo a 120 euro per il 2011 e il 2012 e a 150 euro per i depositi sotto i 50mila euro dal 2013 (380 euro per i depositi con valore superiore), determinerebbe un incremento del gettito nell’arco dei prossimi quattro anni di 8,8 miliardi.
Eppure sono proprio le fonti bancarie a spiegare che i conti titoli sono meno, circa 8 milioni dove sono depositati 236 miliardi di euro in titoli di Stato per un ammontare medio di 29mila euro.
A queste cifre lo sforzo richiesto ai piccoli risparmiatori arriverebbe, a regime, un miliardo di euro solo per Bot, Btp e Cct.
A meno che la stretta non spinga le famiglie verso altre scelte.
L’ultima incognita è legata alla tassazione delle rendite fiscali. La finanziaria non le tocca, ma la legge delega non esclude di portare l’aliquota dal 12,5 al 20% nel prossimo triennio.
Senza alcuna distinzione tra chi specula in Borsa e chi investe i propri risparmi nell’acquisto del debito dello Stato.
Giuliano Balestreri
(da “La Repubblica“)
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