Luglio 10th, 2011 Riccardo Fucile
CHI E’ ANDATO A FAR VISITA AL COORDINATORE REGIONALE DI FUTURO E LIBERTA’ POCHI MESI PRIMA ERA STATO OGGETTO DI UNO SCOOP DELLA GIORNALISTA MARIA TERESA FALBO CHE SI ERA INFILTRATA NELLA LOGGIA…. TRA INCAPPUCCIATI, AFFARI E INFILTRAZIONE NEI PARTITI
La “società ” genovese del rito scozzese ha il suo tempio negli uffici delle aziende dei
fratelli Mamone.
Oltrechè gli stessi imprenditori, ne fanno parte anche dirigenti di Confapi e del Cad, Centro d’ascolto del disagio, e poi professionisti e impiegati.
Lo squarcio sul mondo della massoneria arriva da una giornalista “infiltrata”. Maria Teresa Falbo, ex ufficio stampa Confapi
Una giornalista infiltrata svela l’esistenza – e gli appartenenti – di una loggia che ha sede a Fegino proprio nella sede di alcune delle società dei Mamone, fratelli di sangue e, in questo caso, anche di obbedienza.
Il tempio che ospitano è frequentato anche da numerosi dirigenti di Confapi, l’associazione di categoria che rappresenta le piccole e medie imprese.
Se qualcuno pensava che i massoni liguri fossero “in sonno”, due casi attualissimi dimostrano che i “fratelli” sono ben svegli.
La prima vicenda che raccontiamo è relativa all’elenco ufficiale di una loggia genovese, la “Alberto Fortis”, un “muratore” dei primi dell’800.
Lo scoop è di Maria Teresa Falbo, scrittrice e giornalista romana specializzata in cultura e teatro.
Il suo Babilonia swing è una pubblicazione cartacea spedita a mille destinatari scelti, ed è consultabile sull’omonimo sito Internet dove si può leggere il suo reportage.
Mentre lavorava come ufficio stampa per Confapi Liguria a cavallo del 2009 e del 2010, alla Falbo fu proposto di entrare nella massoneria.
“Quando mi venne fatta la proposta- spiega – pensai subito alla possibilità di poter raccontare questo mondo dall’interno”.
Dopo quattro mesi di attesa Maria Teresa Falbo viene accolta nella loggia appartenente all’obbedienza del Supremo Consiglio d’Italia e San Marino del 33° e Ultimo Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato.
La sua sorellanza avviene con una cerimonia in cui viene incappucciata (“io non potevo vedere e quando me lo tolsero gli altri avevano i cappucci neri con i buchi per gli occhi”) e invitata a pronunciare le formule di rito nei locali di via Fegino 3.
Della loggia fanno parte i padroni di casa, i fratelli Vincenzo e Gino Mamone (quest’ultimo a capo della Ecoge, sotto processo per corruzione e indagato per turbativa d’asta e false fatturazioni in un’altra inchiesta), il padre Luigi e il nipote con lo stesso nome. Vincenzo Mamone, la cui ex moglie alcuni anni fa, attraverso la Casa della Legalità aveva raccontato, ma senza poterla documentare, della sua appartenenza alla massoneria e dei suoi viaggi di “fratellanza” a Sanremo e Montecarlo, è anche uno dei dirigenti di Confapi.
E della Loggia fanno parte altri vertici di Confapi: Luigi Mamone, Pietro Capalbo, Raffaele Martino e poi il direttore Roberto Parodi.
“Ricordo la signora Falbo- dice Parodi – ha lavorato per noi per qualche tempo poi il rapporto si è interrotto. Non sapevo nulla dell’articolo. Noi massoni siamo un potere occulto? Macchè, e poi guardi che gli elenchi della loggia sono pubblici. Vederli? Mah credo non siano così facilmente reperibili”. Da quest’anno Confapi, dopo una battaglia di ricorsi al Tar contro Confindustria è tra l’altro presente nel consiglio della Camera di Commercio con Giuseppe De Gregori, avvocato albergatore, ed è un’associazione sempre più importante nella provincia di Genova.
Inoltre, alcuni esponenti di Confapi fanno anche parte del Cad, i Centri di Ascolto del Disagio, associazione nazionale di volontariato (ma a Genova scrive lettere anti moschea al sindaco, organizza corsi di lingue a pagamento e offre attestazioni energetiche) presieduta in Liguria da Enrico Sivori, radici democristiane e diverse militanze in quell’area politica.
Ultimi tentativi (entrambi abortiti dopo annunci e conferenze stampa) di Sivori e degli amici della loggia e di Confapi quelli di dar vita alla Lista Centro per Biasotti alle ultime Regionali e poi di far decollare in Liguria la lista “Noi nord” del sottosegretario Vincenzo Scotti.
Pare che i duemila iscritti fossero legati alle aziende Confapi e ai volontari del Cad, e il partito a maggio aveva già trovato la sua sede: nell’ospitale tempio massonico di via Fegino.
Certificato antimafia e legge sulla privacy.
Per quanto legata alla tradizione, anche la massoneria si adatta ai tempi. Leggendo le quattro pagine del modulo di richiesta di adesione, si può così notare una postilla apparentemente contraddittoria per una società segreta. Si tratta infatti del paragrafo con cui, come fosse la stipula di un contratto di assicurazione, al richiedente viene chiesto di firmare «il trattamento dei dati personali….potranno formare oggetto di trattamento».
Il resto del modulo richiede la compilazione di una serie di voci. Indirizzo, età , lavoro, titolo di studio, ma anche se si è figli o parenti di altri affiliati.
Sono riportati anche i tre gradi di obbedienza: iniziato, regolarizzato, affiliato.
Al nuovo fratello o sorella viene consegnato anche il calendario delle riunioni (chiamate la “tornate”) di loggia che per la “Alberto Fortis” dal settembre 2009 al giugno 2010 avevano una cadenza bimensile con tanto di “agape”, ovvero cena sociale, il 22 dicembre e il 25 giugno a Sasso Marconi, vicino Bologna dove si trova la sede centrale.
Sul tesserino, chiamato Brevetto, è scritta una frase che impegna «le autorità massoniche del mondo» ad accogliere e assistere «il possessore del presente Brevetto».
Nella loggia genovese, quando la frequentava la giornalista Maria Teresa Falbo, erano iscritte almeno 19 persone.
Nell’elenco ci sono imprenditori, commercianti, direttori di banca, architetti, professionisti, funzionari, dipendenti di aziende di settori strategici, e anche l’autista dell’amministratore delegato di una delle più grosse aziende alimentari del nord ovest.
M.P.
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Luglio 10th, 2011 Riccardo Fucile
ESULTANZA DELLA BASE DI FLI: FINALMENTE SI SONO TOLTI DAI COGLIONI…LE TRE QUINTE COLONNE DEL PREMIER RICHIAMATE PER GARANTIRE LA MAGGIORANZA IN PERICOLO, IN VISTA DEGLI ARRESTI DI PAPA E MILANESE
“La proposta di Angelino Alfano di una costituente popolare in grado di realizzare in Italia un soggetto politico che si ispira a valori e programmi del Ppe e la decisione di Berlusconi di non ricandidarsi alle elezioni del 2013 con la scelta delle primarie quale strumento di rinnovamento e di partecipazione aprono nuovi scenari per il centrodestra italiano. Da subito, quindi, intendiamo lavorare in piena autonomia e senza vincoli di partito per costruire la nuova casa dei moderati italiani”, hanno spiegato i tre annunciando la loro uscita da Fli lanciando l’associazione “Fare Italia per la costituente Popolare”.
Una motivazione politica patetica per il rientro alla base degli infiltrati che da mesi lavoravano all’interno di Fli per sottrarre altri deputati senza però riuscirvi.
I vertici di Futuro e libertà (a cominciare da Gianfranco Fini) sapevano benissimo dell’imminente ‘fuoriuscita’, data per scontata già da tempo.
Non a caso nessuno dei tre ‘dissidenti’ era stato inserito nell’elenco dei 18 componenti del nuovo ufficio di presidenza del partito nominato stamane con una nota ufficiale di Italo Bocchino.
“Il distacco era nell’aria da mesi, le prime avvisaglie ci sono state all’Assemblea di Milano del febbraio scorso, era solo questione di giorni”, riferiscono fonti finiane, che aggiungono: “Sono stati messi nella condizione di lasciare senza poter dire di essere stati cacciati, non avevano alternative, sono destinati a tornare in un Pdl già morto, il loro futuro è segnato”.
Lo strappo annunciato oggi, fanno notare, è stato dettato per lo più dal “rancore” per incarichi e aspettative deluse.
Qualcuno si chiede se dietro questa mossa ci sia lo zampino del Cavaliere. Tra questi Roberto Menia che sottolinea “la singolare coincidenza” di lasciare Fli proprio in questi giorni di fuoco per Silvio Berlusconi, dal Lodo Mondadori alla bufera giudiziaria del caso Milanese: “Sembra che abbiano deciso di andar via su sollecitazione di qualcuno che oggi è in grossa difficoltà …”. “L’uscita di Ronchi e Urso è una non-notizia, essendosi posti da tempo fuori dal partito”, taglia corto Bocchino, il primo a commentare dopo aver chiamato tutti per concordare una linea unitaria.
La risposta migliore in realtà la sta dando la base di Fli sul web: “finalmente i sabotatori si sono tolti dai coglioni”.
Probabilmente sono stati fatti rientrare d’urgenza alla casa madre: devono conpensare numericamente gli imminenti arresti di Papa e Milanese.
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Luglio 10th, 2011 Riccardo Fucile
I FINANZIERI INVIATI DAI PM DI NAPOLI VOGLIONO CAPIRE COSA SI CELA DIETRO LA FONDAZIONE DELLA LIBERTA’…IL MISTERO DI UN FINANZIAMENTO DI 165.000 EURO
La Digos ha bussato a casa di Silvio Berlusconi. 
I poliziotti che indagano su 11 bonifici sospetti pagati da un’impresa sospettata di corrompere Marco Milanese, il deputato del Popolo della libertà in attesa di autorizzazione all’arresto, si sono presentati con un mandato di perquisizione davanti alla prima magione della storia di amore clandestino tra Veronica Lario e il giovane imprenditore di Milano 2.
Gli agenti si sono dovuti fermare davanti al cancello che in passato era stato protagonista di un pezzo di storia del rapporto mafia-politica.
Proprio quel glorioso portone di ferro che in passato i mafiosi avevano fatto saltare in aria con un chilo di polvere esplosiva (suscitando la celeberrima risata di Silvio Berlusconi intercettata mentre parlava con Dell’Utri di Vittorio Mangano) ha fermato i finanzieri spediti da Napoli a Milano dal pm Vincenzo Piscitelli.
Gli investigatori volevano capire chi si nascondesse dietro la Fondazione delle libertà e la sorpresa è stata grande quando hanno scoperto che la Fondazione sospettata ha sede in questa villa coperta dalle guarentigie parlamentari del presidente del consiglio.
Per spiegare perchè la Digos sta indagando a via Rovani bisogna partire da un appunto del consulente del pm Vincenzo Piscitelli.
Scrive il dottor Luigi Evelino Mancini “Sul conto Eurotec risultano disposti n. 11 bonifici, il primo in data 4 dicembre 2008 l’ultimo il 21 maggio 2010 per importi unitari di 15.000 ( complessivi euro 165.000 ) in favore della fondazione Casa della Libertà sul conto di cui quest’ultima è titolare presso la Cassa di Risparmio di Rieti con sede a Roma, piazza Montecitorio”.
La Eurotec non è una società qualsiasi.
E’ al centro dell’inchiesta su Marco Milanese della Procura di Napoli e anche della seconda indagine del pm Paolo Ielo a Roma.
Ieri il pm Ielo ha fatto arrestare Tommaso Di Lernia e Massimo De Cesare per un’indagine per finanziamento illecito ai partiti che vede indagato anche Milanese.
Il deputato del Pdl è accusato di essersi fatto comprare proprio dalla Eurotec una barca per 1,9 milioni di euro in cambio della nomina di un uomo che interessava alla cricca degli appalti Enav: il presidente di Tecnosky, Fabrizio Testa.
Il pm Piscitelli sottolinea che nello stesso periodo in cui Eurotec pagava in natura Milanese con l’acquisto gonfiato della barca, effettuava i bonifici alla Fondazione Casa dele Libertà . Proprio quella che ha sede a casa Berlusconi.
La Fondazione Casa delle Libertà è presieduta da Sandro Trevisanato, un uomo fondamentale nel sistema di potere di Giulio Tremonti.
Questo avvocato veneziano 73enne è stato eletto nel 1994, sottosegretario alle finanze con ministro Tremonti nel primo governo Berlusconi.
Secondo gli accertamenti degli investigatori la Fondazione che incassa i soldi della Eurotec ha tre indirizzi, tutti e tre finiti ieri nel mirino delle perquisizioni di ieri.
Il primo è a Venezia in via Miranese 3, dove ha sede anche una società di Trevisanato. Il secondo in via Uffici del Vicario a Roma ma è stato abbandonato da poco probabilmente per un ufficio in via dell’Umiltà dove si trovano anche uffici dei politici del Pdl dai quali gli agenti si sono tenuti alla larga ieri.
Infine c’è il terzo indirizzo, quello più delicato: Milano, via Rovani 2.
Risulta poi che il dominio internet della Fondazione sarebbe stato recentemente registrato (nonostante la Fondazione abbia sede in Veneto dal 2000) a Milano a casa Berlusconi e che a seguire la pratica è stata Clotilde Strada, la collaboratrice che raccoglieva al telefono le confidenze di Nicole Minetti sul “culo flaccido” del premier.
Per capire l’importanza di questa pista però bisogna partire dalla casa di via Campomarzio 24 a Roma, pagata da Marco Milanese e abbandonata nottetempo dal ministro Giulio Tremonti.
Il pm Vincenzo Piscitelli ha convocato a testimoniare il segretario generale dell’ente proprietario: il Pio Sodalizio dei Piceni.
Il signor Alfredo Lorenzoni ha raccontato. “Il contratto è stato stipulato il l febbraio 2009 ed ha per oggetto un appartamento di 200 metri situato in via Campo Marzio 24 molto più grande quindi e con un salone affrescato. Il canone di locazione per questo immobile è stato stabilito in 8.500 euro mensili”.
La casa, prosegue Lorenzoni, aveva bisogno di una ristrutturazione.
“Quindi concordammo contrattualmente con il Milanese l’esecuzione a suo carico di lavori per una cifra complessiva di 200 mila euro (conteggiati secondo il nostro prezzario ) dal cui ammontare andava mensilmente scomputato il canone di locazione fino al raggiungimento di quell’ importo.
I lavori sono stati effettivamente eseguiti dalla ditta esecutrice EDIL ARS di Roma, società facente capo a Angelo Proietti ed Achille Scaramucci, quest’ultimo anche sodale del Pio Sodalizio.
La locazione fu stipulata per uso ufficio e foresteria e l’immobile mi risulta frequentato abitualmente dal Ministro Giulio Tremonti. In sostanza si tratta della casa del Ministro”.
A questo punto i pm hanno verificato che, per effetto dello scomputo dei lavori, i pagamenti sono iniziati solo nel luglio del 2010, per un totale dei pagamenti, fino al mese di giugno scorso, di 108 mila euro.
Pagati fino all’ultimo euro da Marco Milanese e non da Giulio Tremonti.
Gli investigatori hanno cominciato a studiare bene il giro di affari della Edil Ars, scoprendo che questa società vantava un imponente giro di affari con la società informatica pubblica, controllata dal Ministero dell’economia, Sogei, un feudo di Marco Milanese che — secondo il capo di Gabinetto di Tremonti, Vincenzo Fortunato, ha pilotato le nomine di questa come di tante altre società pubbliche per conto del ministro.
Sul rapporto tra la società di Angelo Proietti e la Sogei il senatore dell’Italia dei Valori Elio Lannutti aveva presentato un interpellanza: “per quanto risulta all’interrogante”, scriveva Lannutti, “in particolare, nell’anno 2010, sarebbero stati affidati all’Edil Ars lavori di manutenzione ed impiantistici per circa 6,2 milioni di euro, di cui circa 5,3 milioni a trattativa diretta (86,6 per cento). Fra questi circa 2,5 milioni di euro sono stati assegnati con procedura secretata”.
In più Lannutti sottolineava che la figlia di Angelo Proietti era stata assunta dalla Sogei.
E indovinate chi è il presidente della Sogei?
Sandro Trevianato, proprio il presidente della Fondazione Casa della Libertà .
Nominato da Tremonti a presiedere la Sogei nel secondo Governo Berlusconi 2001-2006 e tornato su quella poltrona nel 2008 con il ritorno del duo Milanese-Tremonti a via XX Settembre.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 10th, 2011 Riccardo Fucile
NEL 1991 LA CORTE D’APPELLO ANNULLA IL LODO ARBITRALE E SFILA IL GRUPPO EDITORIALE A DE BENEDETTI…IL CORRUTTORE E’ CESARE PREVISTI CHE, CON PACIFICO E ACAMPORA, PAGO’ IL GUIDICE VITTORIO METTA
Che la sentenza Mondadori del 1991 che annullò il Lodo arbitrale e sfilò il primo gruppo editoriale italiano a Carlo De Benedetti consegnandolo a Silvio Berlusconi fosse comprata, dovrebbero saperlo tutti.
Il corruttore si chiama Cesare Previti che, assieme agli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora, pagò il giudice Vittorio Metta per conto di B. e con denaro della Fininvest di B., utilizzatore finale del mercimonio criminale.
Da vent’anni dunque il presidente del Consiglio possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali, usandoli per accumulare utili e consensi. Ma non vuole saperne di restituire il maltolto. Un po’ di storia.
Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni di Leonardo Mondadori, annuncia: “Non voglio restare sul sedile posteriore”.
De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all’assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s’impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio 1991.
Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre del 1989, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice.
Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s’impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anti-craxiano a quello filo-craxiano.
La “guerra di Segrate”, per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione.
Il lodo arbitrale, il 20 giugno 1990, dà ragione all’Ingeg
nere: il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare a lui. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera.
Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, assieme ai Formenton, impugna il lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma.
Se ne occupa la I sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch’egli intimo di Previti.
La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio 1991.
Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi.
L’Ingegnere lo sapeva già : un mese prima il presidente della Consob, l’andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. “Correva voce — testimonierà De Benedetti — che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell’avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi… Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani”.
Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l’intera torta.
I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni. Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull’editoria, impone una transazione nell’ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest.
Indagando dal 1995 sulle rivelazioni della Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre un fiume di denaro dai conti esteri Fininvest a quelli degli avvocati del gruppo e da questi, in contanti, a Metta.
Il 14 febbraio ’91 dalle casse All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto “Mercier” di Previti.
Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto “Careliza Trade” di Acampora.
Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto “Pavoncella” di Pacifico.
Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l’accusa, Metta.
Il giudice, nei mesi successivi, acquista e ristruttura un appartamento per la figlia Sabrina e compra una nuova auto Bmw, il tutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni).
Poi lascia la magistratura, diventa avvocato e dove va a lavorare con la figlia Sabrina? Allo studio Previti, naturalmente.
Al processo, Previti giustificherà quei 3 miliardi Fininvest in Svizzera come “tranquillissime parcelle”, ma non riuscirà a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo.
Mentiranno pure Acampora e Pacifico. E così Metta, che tenterà di spacciare l’improvvisa liquidità per un’eredità .
L’ex giudice giurerà di aver conosciuto Previti solo nel ’94, ma i pm Boccassini e Colombo scopriranno telefonate fra i due già nel 1992-’93.
Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d’appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio 1991: il giorno dopo la camera di consiglio.
Un’impresa mai riuscita a un giudice, nè tantomeno a lui, che impiegava due-tre mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che qualcuno l’aveva scritta prima che la Corte decidesse.
Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d’appello accoglie il ricorso della Procura e li rinvia a giudizio tutti, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche.
Perchè a lui sì e agli altri no?
Per “le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sè giustifica l’applicazione” delle attenuanti.
La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è “ragionevole” e “logico” che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui.
Ma un fatto tecnico come le attenuanti “per la condotta di vita successiva all’ipotizzato delitto” giustifica le attenuanti ad personam.
Anzichè rinunciare alla prescrizione per essere assolto nel merito, B. prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati.
In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi.
Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (comma 2 art. 530) per Mondadori.
Nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina un nuovo appello che condanni pure per Mondadori.
Il 23 febbraio 2007, in Corte d’appello, Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, “in continuazione” con le condanne ormai definitive per Imi-Sir.
Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu “stilata prima della camera di consiglio”, “dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti” e al di “fuori degli ambienti istituzionali”. Tant’è che al processo ne sono emerse ”copie diverse dall’originale”.
B. era all’oscuro dell’attività corruttiva dei suoi legali (che non assistevano la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocati Mezzanotte, Vaccarella e Dotti)?
Nemmeno per sogno: aveva — scrivono i giudici — “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”.
Del resto “l’episodio delittuoso si svolse all’interno della ‘guerra di Segrate’, combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell’acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione”.
Quando De Benedetti, sconfitto dalla banda Previti-Metta & C, accettò la transazione Ciarrapico per recuperare almeno parte del maltolto, si verificò un fatto inspiegabile: B. si oppose con foga al tentativo — assolutamente normale — della Cir di accennare, nel preambolo dell’accordo, alla sentenza che aveva appena annullato il lodo.
Perchè mai non voleva firmare un atto che facesse riferimento alla sentenza Metta? Perchè — deduce la Corte — era “a conoscenza dell’inquinamento metodologico a monte determinato dall’intervenuta corruzione del giudice”.
Alla fine i giudici citano la testimonianza “pienamente attendibile” della Ariosto, cui Previti aveva confidato “probabilmente nel luglio 1991 di essere stato lui a vincere la guerra di Segrate, e non Dotti”.
Anche i giudici d’appello definiscono Berlusconi il “privato corruttore”.
Ma, diversamente dai loro colleghi che avevano disposto il rinvio a giudizio, stabiliscono che Previti, Pacifico e Acampora non concorrono nel reato del giudice Metta, bensì in quello del “privato corruttore”, cioè di B.: “L’attività degli extranei nella consegna del compenso illecito si sostituisce a una condotta, che, altrimenti, sarebbe giocoforza posta in essere, in via diretta, dal privato interessato… La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”.
In pratica i tre avvocati Fininvest agirono come intermediari di B. che li incaricò di pagare Metta e, in seguito alla sentenza comprata, s’intascò la Mondadori.
Essi, diversamente da lui, non meritano le attenuanti generiche, “non ravvisandosi alcun elemento positivo per attenuare il trattamento sanzionatorio”.
E questo per “l’enorme gravità del reato [e per] la gravità del danno arrecato non solo alla giustizia, ma all’intera comunità , minando i principi posti alla base della convivenza civile secondo i quali la giurisdizione è valore a presidio e a tutela di tutti i cittadini con conseguente ulteriore profilo di gravità per l’enorme nocumento cagionato alla controparte nella causa civile e per le ricadute nel sistema editoriale italiano, trattandosi di controversia (la cosiddetta guerra di Segrate) finalizzata al controllo dei mezzi di informazione; [per] la spiccata intensità del dolo; [per] i motivi a delinquere determinati solo dal fine di lucro e, più esattamente, dal fine di raggiungere una ricchezza mai ritenuta sufficiente”.
La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti “tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato azionario”. Danni da quantificare in separata sede civile.
Il 13 luglio 2007 la II sezione penale della Cassazione mette il timbro finale al caso, confermando in toto la sentenza d’appello-bis.
La vicenda — scrivono i giudici — “coinvolgente la Fininvest, fonte della corruzione e pagatrice del pretium sceleris”, cioè del “mercimonio” della sentenza Metta, non ammette attenuanti: per “l’elevata gravità del reato e del relativo danno, l’intensità del dolo, i motivi a delinquere e i comportamenti processuali” caratterizzati da “mendacio”.
A quel punto la Cir, con gli avvocati Giuliano Pisapia ed Elisabetta Rubini, chiede alla Fininvest 1 miliardo di euro di danni.
Nel 2009 il Tribunale civile di Milano condanna B. e Fininvest a risarcire Cir con 750 milioni.
Il giudice Raimondo Mesiano viene pedinato e linciato da Canale5 e dalla stampa Mondadori, addirittura perchè porta i calzini turchesi.
La Fininvest e B., diversamente da chiunque altro perda una causa civile, ottengono una sospensiva dell’immediata esecutorietà della sentenza: depositano una fidejussione e non pagano, in attesa dell’appello.
Ora è arrivata la sentenza di secondo grado ed ecco spuntare un codicillo, nascosto nella manovra finanziaria, che tenta di esentarli dal pagar.
È il “partito degli onesti”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 10th, 2011 Riccardo Fucile
UNA CONQUISTA DEGLI ANNI SETTANTA CHE PERMETTEVA DI DARE ISTRUZIONE A CHI DI GIORNO LAVORAVA VIENE ORA PESANTEMENTE TAGLIATA….SE I POVERI RESTANO IGNORANTI E’ FORSE MEGLIO?
Il governo continua a tagliare sull’istruzione e questa volta, sotto la scure del ministro Gelmini
finiscono i corsi serali delle scuole secondarie superiori.
Dall’anno scolastico 2011/2012 infatti le prime, le seconde, le terze e alcune quarte verranno abolite lasciando così progressivamente morire uno dei diritti sociali, quello allo studio, garantito dall’articolo 34 della nostra Costituzione.
Un provvedimento lasciato ambiguamente alla discrezione dei singoli uffici scolastici regionali, che possono, a seconda delle risorse, decidere di chiedere o meno l’eliminazione delle classi.
Al momento, a farne le spese sono proprio quelle regioni dove i corsi serali hanno svolto nel passato e tuttora svolgono una funzione sociale significativa soprattutto per l’integrazione degli stranieri extracomunitari.
Puglia e Sardegna in primis, ma anche Campania, Marche, Liguria, Emilia Romagna si sono adeguate alle indicazioni ministeriali, ma la sensazione è che presto molte altre regioni si aggiungeranno.
Nonostante le manifestazioni, i cortei, le proteste e i gruppi su facebook il silenzio sulla vicenda è assordante e al tempo stesso eloquente.
E’ trascorso, infatti, più di un mese da quando la professoressa Maria Tattoli, docente da più di venticinque anni nei corsi serali all’Istituto Righi di Cerignola in provincia di Foggia, ha denunciato quanto si stava verificando nella sua regione.
Il 26 maggio il dirigente scolastico del Righi ha ricevuto una mail dall’ufficio scolastico provinciale nella quale si invitava l’istituto a verificare, sull’apposito sistema intranet denominato Sidi, le classi autorizzate per l’anno scolastico 2011/2012. Da qui l’amara scoperta.
Niente più prime e seconde classi, che qui sono accorpate, e neanche terze e quarte.
«Per l’anno prossimo avevamo già 28 iscritti al monoennio (biennio), mi sono impegnata per tre mesi, con incontri, manifesti, passaparola, cercando persone che avevano abbandonato gli studi e ora con questi tagli tutto è svanito, ma non mi arrendo», dice Tattoli, che ha iniziato la sua battaglia riuscendo a ottenere dal direttore regionale dell’ufficio scolastico una classe, la quarta che quanto meno consentirà a diversi studenti di chiudere il ciclo scolastico.
Nel frattempo, dal Csa (centro servizi amministrativi) di Foggia, si giustificano così: «Si è deciso di adottare questo criterio per non penalizzare i corsi antimeridiani, in vista della necessità di tagliare 159 classi».
Dalla Puglia alla Sardegna i problemi sono gli stessi.
Tiziana Sanna, segretario provinciale di Cagliari per la Flc-Cgil, da un mese sta conducendo una campagna di sensibilizzazione sulla questione: «Io mi sono diplomata grazie ai corsi serali statali, posso quindi testimoniare quanto sia importante questo strumento nel nostro territorio e vederlo andare in fumo è per me motivo di sconforto. Si vuole delegare agli istituti privati le funzioni di questo tipo di istruzione, il che significherebbe l’impossibilità di accesso per la maggior parte delle persone. Sono più di tre anni che si cerca di smembrare la scuola serale, le prime già non esistono più e già dall’anno prossimo spariranno 47 classi, praticamente tutta l’offerta formativa. Cagliari si è mobilitata ma devo dire con la totale assenza del governo regionale e delle istituzioni. Ora abbiamo la manifestazione del 12 luglio a Monte Claro. In quell’occasione è previsto un incontro con la provincia, i sindacati, i sindaci e la regione».
Anche il segretario provinciale dello Snals di Cagliari Angelo Concas si è schierato contro i tagli: «La nostra posizione è molto critica, i docenti dei corsi serali avevano già fatto affidamento sui corsi del prossimo anno e ora con questi tagli si ritroveranno a spasso. Noi abbiamo segnalato la cosa alla segreteria nazionale che dovrà insistere con il ministero per risolvere la questione».
Sull’isola le esperienze positive di questi corsi sono moltissime. In provincia di Olbia Tempio, a Oschiri, paese di quattromila abitanti, l’istituto professionale Ipia(istituto professionale industria e artigianato) ha portato al diploma numerosi studenti lavoratori.
Annarita Coccu, collaboratrice scolastica, 51 anni, ne è un esempio. La signora ha conseguito quest’anno il diploma che le consentirà di poter accedere a funzioni lavorative di fascia più alta.
«Dividersi tra il lavoro, la famiglia e lo studio è stato un grandissimo sacrificio; però, la soddisfazione del diploma mi ha ripagato di tutte le fatiche. Mi dispiace moltissimo per il futuro di questi corsi. All’Istituto c’è preoccupazione per questi tagli. Molti dei docenti infatti rischiano il posto l’anno prossimo. Sono tutti insegnanti che fanno i salti mortali e macinano chilometri per venire a insegnare qui. Sarebbe davvero una beffa per il nostro paese»
Per Stefano D’Errico, segretario nazionale di Unicobas, i tagli del ministero ai corsi serali sono inaccettabili: «Questa volta non stiamo parlando di un ridimensionamento, ma di un meccanismo teso a eliminare uno strumento educativo a disposizione di chi è stato meno fortunato e non ha avuto la possibilità di continuare il proprio percorso scolastico per vari motivi. Senza considerare il fatto che il 45 per cento degli studenti di questi corsi sono extracomunitari. Togliere la possibilità agli stranieri di imparare l’italiano sa molto di provvedimento teleguidato dalla Lega».
Nel frattempo, al ministero dell’istruzione si è svolto in queste ore un incontro tra parti sindacali e dirigenti del personale del ministero.
Alla domanda sui tagli ai corsi serali il ministero ha evitato di rispondere, rinviando i chiarimenti alla prossima settimana.
Davide Mosca
(da L’Espresso“)
argomento: Gelmini, radici e valori, scuola | Commenta »