Destra di Popolo.net

HANNO MESSO LE MANI NELLE TASCHE DEGLI ITALIANI

Luglio 15th, 2011 Riccardo Fucile

LA MANOVRA COLPISCE TUTTI ED E’ PARI A 1.200 EURO L’ANNO A FAMIGLIA… SALVI I COSTI DELLA POLITICA, MENTRE IL PDL PENSA SOLO A SALVARE PAPA DALL’ARRESTO.. IL PALAZZO HA UN COSTO DI 13 MILIARDI DI SPESE ANNUE, I TAGLI NON ARRIVANO A 50 MILIONI

Ora che tutto è definito si può dire con cognizione di causa: la   manovra che stasera avrà  il via libera definitivo della Camera dei deputati — oltre ad avere più speranze di deprimere la crescita economica che di incrementarla — è una enorme operazione di sottrazione di reddito ai danni dei ceti medi e medio-bassi.
Lo si deve al combinato disposto di due scelte di Giulio Tremonti: per la correzione dei conti da una cinquantina di miliardi (a regime, cioè a fine 2014), il ministro dell’Economia ha puntato quasi tutto sulle maggiori entrate — ovvero più tasse — e le ha fatte pagare quasi tutte ai soliti noti.
La pressione fiscale generale, lo hanno spiegato ieri i tecnici del Senato, salirà  di almeno 1,2 punti percentuali solo con l’applicazione dei 20 miliardi di tagli lineari alle agevolazioni fiscali (nel 2014 sarà  al 43,7 per cento, sempre che i numeri del governo siano buoni).
Ma questo tipo di intervento pesa quasi solo sui redditi meno sostanziosi.
Il governo ha in pratica deciso che ciò che finora era “scaricabile” dalla dichiarazione dei redditi viene tagliato del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento l’anno successivo. Di cosa si parla lo spiega uno degli allegati alla manovra, una lista di 483 tipi di regimi di favore fiscale, una giungla stratificata in quarant’anni che vale 161 miliardi di euro l’anno e contiene di tutto: non solo le agevolazioni per la palestra o per comprarsi il Suv, come disse Tremonti, ma anche quelle per la famiglia (valore: 21,44 miliardi) o per lavoro e previdenza (56,8): detrazioni e deduzioni per dipendenti e pensionati, i figli a carico, le spese mediche e per l’istruzione, i mutui sulla casa e gli asili nido, la previdenza complementare e gli     assegni al coniuge, le assicurazioni sulla vita, le spese funebri e i contributi alle Onlus o alle Chiese.
Una stangata sui redditi medio-bassi già  quantificata: una normale famiglia di lavoratori pagherà  1.200 euro l’anno in più.
La situazione peggiora ancora se si calcola anche il taglio alle agevolazioni Iva: non solo i cosiddetti “forfettini” o “forfettoni”— regimi fiscali semplificati che riguardano centinaia di migliaia di contribuenti — ma pure l’imposta più bassa sulle ristrutturazioni edilizie o il risparmio energetico.
Tutta roba che finisce per incidere sui prezzi e porta il totale del danno complessivo di questi tagli per la nostra famiglia media alla cifra di 1.800 euro.
Il ministro peraltro, col suo emendamento, s’è lasciato le mani parecchio libere.
Nel maxiemendamento si legge infatti che i regimi di favore fiscale verranno decurtati del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento l’anno successivo e in un altro comma si stabilisce che il taglio lineare può essere evitato se entro il settembre 2013 viene approvata una riforma sul tema che produca negli stessi anni un risparmio di 4 e 20 miliardi.
Solo che la scure lineare di Tremonti, al momento, ha tagliato assai di più di venti miliardi: il 5 e il 20 per cento di 161 miliardi — la torta complessiva – significa che il governo si appresta a far pagare ai cittadini italiani, all’ingrosso, 8 miliardi di tasse in più tra due anni e 32 nel 2014.
Un’enormità , due punti di Pil di imposte sottratti ai cittadini con un emendamento di qualche riga e un allegato: secondo fonti di maggioranza, il ministro dell’Economia s’è tenuto largo per incentivare il Parlamento ad approvare di corsa la riforma da 20 miliardi che presenterà  in autunno.
Peccato che nessuno finora pare essersene accorto e comunque di certo non deputati e senatori.
E a questo capolavoro vanno pure aggiunte le altre chicche della manovra: i ticket sanitari, gli aumenti sul bollo dei dossier titoli che valgono due miliardi e mezzo l’anno, la stabilizzazione delle maggiori accise sulla benzina, gli aumenti Irap su banche e assicurazioni (che pagheranno i clienti) e magari pure gli interventi sulle pensioni e quei tagli di spesa che si potrebbero tranquillamente chiamare “tasse a scoppio ritardato”.
I 9,6 miliardi sottratti dal governo a regioni ed enti locali, infatti, saranno recuperate attraverso l’aumento delle addizionali.
Le mani nelle tasche degli italiani non volevano metterle, ma poi già  che c’erano…

Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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L’ITALIA STRINGE LA CINGHIA, LA CASTA NON MOLLA UN EURO

Luglio 15th, 2011 Riccardo Fucile

IL PALAZZO DEI PRIVILEGI: GLI UNICI CHE NON PAGANO MAI…SU UNA MANOVRA DA 70 MILIARDI I TAGLI ALLA POLITICA SARANNO IRRILEVANTI, ECCO I CONTI

Su una manovra finanziaria complessiva che il relatore al Senato Gilberto Pichetto Fratin valuta (esagerando) avere un impatto vicino ai 70 miliardi di euro, quanto contribuirà  la politica?
Dai primi calcoli fatti dopo il passaggio a Palazzo Madama, si deduce che si tratti di una somma assai trascurabile.
L’unica norma inserita nel pacchetto — qualcuno maligna per far sì che i gruppi politici non facciano cadere il governo — è la soppressione del contributo ai partiti in caso di interruzione anticipata della legislatura.
A questa norma, già  prevista nella prima bozza della manovra, l’aula del Senato ha aggiunto una ulteriore soppressione.
Quella relativa al “versamento della quota annua di rimborso, spettante (…) anche nel caso in cui sia trascorsa una frazione di anno”.
Che vuol dire? Che non solo cade la norma odiosa per cui i partiti prendono rimborsi per i cinque anni della legislatura anche se questa si interrompe a metà , ma che i contributi pubblici, se la legislatura si interrompe dopo due anni e tre mesi, non copriranno per intero l’anno in corso.
In termini economici cosa vuol dire?
I calcoli sono semplici: se la legislatura continua sino alla naturale scadenza il risparmio è zero. Se si interrompesse adesso, i partiti oggi in Parlamento non prenderebbero il rimborso degli anni 2012 e 2013, ma dei 500 milioni complessivi, otterrebbero solo le tre tranches (300 milioni totali) che hanno già  incassato.
Questo, ovviamente, non vuol dire che quei soldi non verranno spesi (le nuove elezioni porteranno nuovi rimborsi di simile entità ), ma che, salvo modifiche da parte di Montecitorio, la norma che fino a quest’anno ha fatto si che Ds, Dl, Forza Italia e An incassassero i rimborsi relativi alle consultazioni politiche del 2006, non sarà  più valida.
È questa, in realtà , l’unica legge che, messa a sistema, consente di operare dei tagli strutturali di una qualche rilevanza, evitando il “cumulo ” di soldi ottenuti dagli stessi partiti per partecipare alle elezioni.
L’altra norma individuata per gli stessi soggetti pesa assai meno: dal 2013, infatti, i partiti dovranno rinunciare ad una somma di rimborso di 7,67 milioni complessivi ogni anno.
Per gli “stipendi” di deputati e senatori si dovrà  attendere l’apposita commissione che dovrà  comparare indennità , diaria e benefit di tutti i parlamenti d’Europa per mettere in linea Camera e Senato con il Bundestag o con l’Assemblea nazionale francese.
Se il calcolo fosse fatto sulla sola “indennità  ” – che in Italia tocca gli 11mila euro (record continentale) contro i 2.921 della Spagna e i 6.892 della Francia – il livellamento la porterebbe alla cifra di 5.300 euro.
La commissione ancora da istituire, però, dovrà  prendere la cifra nel suo complesso, aggregando anche i “servizi” che eventualmente siano utilizzati dagli altri parlamentari d’Europa. Insomma , il calcolo pare assai complicato.
Gli altri tagli, quelli alle auto blu e agli aerei blu (di cui tra l’altro, per motivi di sicurezza, non si conosce l’utilizzo dall’anno 2009), non peseranno pressochè per nulla, visto che il grosso della spesa è dato dalla presenza degli autisti ormai in servizio effettivo per conto dello Stato (due autisti per ogni vettura).
Non sono toccate le grosse voci della spesa pubblica: gli 8 miliardi e mezzo degli enti territoriali, i 3 miliardi degli organi Costituzionali (1,7 solo per i bilanci di Camera e Senato), i 2,5 miliardi delle “consulenze esterne” nella pubblica amministrazione.
In Grecia, con la crisi economica, hanno tagliato le Province da 57 a 13, i Comuni da 1034 a 325 e propongono di ridurre i deputati da 300 a 200.
Noi, che stiamo un po’ meglio della Grecia, conserviamo tutte le Province, le Regioni con o senza lo statuto speciale e contiamo 945 tra deputati e senatori contro i 661 parlamentari tedeschi.
Toccateci tutto, ma non la casta.

Eduardo di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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BERLUSCONI ASSEDIATO MA NON MOLLA: “NON LASCIO, PROVINO A SFIDUCIARMI”

Luglio 15th, 2011 Riccardo Fucile

IL PREMIER RIPUDIA I TAGLI DEL TESORO E TEME LE MOSSE DI MARONI… DAL BUNKER DI PALAZZO GRAZIOLI MANDA A DIRE: “CHI SOSTIENE CHE STO PER CEDERE SBAGLIA”

“So che qualcuno dice in giro che potrei mollare, lo deluderò anche stavolta. Io non intendo lasciare il passo a nessuno”.
Il “gioco di palazzo” per farlo fuori lo intravede chiaro all’orizzonte, adesso che la manovra sta per diventare legge.
Il partito del governo tecnico si agita, pronto magari all’assalto sulla scia del prossimo terremoto dei mercati.
Silvio Berlusconi resta blindato a Palazzo Grazioli, ma da lì lancia ai pochissimi collaboratori con cui ormai accetta di parlare – in una settimana segnata dal silenzio e dai forfait a tutti gli appuntamenti ufficiali – messaggi decisi, perfino di sfida:”Se hanno i numeri mi sfiducino in Parlamento”.
Il premier quei numeri ritiene di averli ancora, lo dimostrerà  oggi con il via libera alla manovra salva-conti. E poi nei mesi a seguire, sostiene.
Allora anche l’uscita di Bossi sul governo che “deve temere”, l’accenno a un possibile governo tecnico, nella lettura del presidente diventa “solo una battuta paradossale”.
Certo, Silvio Berlusconi si sente stretto all’angolo.
Tra il Quirinale che ormai detta la linea della “coesione” nazionale e gli congela ogni velleità  di rimpasto, Tremonti che evoca il Titanic e i consueti avvertimenti del Senatur.
Ma non si dà  per vinto e, riferisce un uomo di governo che lo ha sentito, mette in guardia i pretoriani: “C’è qualcuno che fa girare la voce di un mio abbandono in modo malizioso, ci sono anche altri deputati che invece sono terrorizzati che questo possa davvero accadere. Ma possono stare tranquilli. Di questi momenti ne abbiamo già  affrontati, anche questa volta la spunteremo”-
Detto questo, è un presidente del Consiglio che si tiene fuori dai giochi, costretto al silenzio per non turbare i mercati.
Provato anche fisicamente, oltre che abbattuto, come riferiscono i frequentatori abituali della sua residenza. Segnato ancora dalla sentenza sul lodo Mondadori, ma anche dall'”assedio” delle inchieste giudiziarie sui suoi uomini di partito e di governo.
Per non dire della tempesta finanziaria, sulla quale è stato esautorato in toto dal ministro dell’Economia e dalla “regia” del Colle nella trattativa con le opposizioni.
Abbattuto e sfiancato, dunque. Così, il Cavaliere annulla in sequenza prima la visita di Stato di oggi a Belgrado, suscitando l’irritazione della presidenza serba per la terza missione cancellata da ottobre ad oggi.
Poi, rinuncia anche in serata ai funerali del militare morto in Afghanistan, Roberto Marchini. Soprattutto, non si presenta nemmeno al Senato nel momento in cui viene approvata la manovra del salvataggio dei conti, lasciando non casualmente l’intera scena a Tremonti.
“Avevo progettato il taglio delle tasse, approviamo una manovra che contiene solo tagli, per di più alle famiglie” è lo sfogo che autorevoli fonti attribuiscono al premier.
Non sente per nulla sua, insomma, quell’operazione finanziaria tutta lacrime e sangue.
Nel silenzio del capo tacciono ministri e dirigenti, spariti i coordinatori Pdl. “Non sappiamo che faccia, a cosa pensi, siamo nel caos anche noi” ragiona uno di loro sconfortato in un Transatlantico deserto in serata.
Boatos di nuove intercettazioni in arrivo su uomini di governo avvelenano il clima.
Il neo segretario Alfano parla nel primo pomeriggio a lungo con Marco Milanese (sotto richiesta di arresto) nei salottini della Corea di Montecitorio.
Poi con il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, finito sotto inchiesta per camorra. Grane giudiziarie che toccheranno il culmine oggi col voto sull’arresto di Alfonso Papa in aula. Ma soprattutto, nel partito del premier c’è la sensazione diffusa che l’alleanza indissolubile con la Lega si sia dissolta.
E che il Carroccio si prepari “a staccare la spina, se non ora, alla ripresa di settembre”.
Ieri mattina, ai banchi del governo a Montecitorio, lungo colloquio tra Umberto Bossi e Roberto Maroni, alla guida dell’ala più recalcitrante del partito.
E poche ore dopo, è cambiata la linea dei lumbard sull’arresto del pidiellino Papa ed è arrivata perfino la mezza apertura a ipotetici governi tecnici.
Quel che è certo, raccontano nella cerchia leghista, è che il Senatur considera il momento delicato e la permanenza al governo a questo punto tutta da discutere, fin dalle prossime settimane.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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NAUFRAGHI ALL’IMPROVVISO

Luglio 15th, 2011 Riccardo Fucile

IN POCO TEMPO SI E’ PASSATI DALL’OSTENTATO OTTIMISMO AL “SIAMO SUL TITANIC” DI TREMONTI: ESPLODONO LE CONTRADDIZIONI E LE CONTRAFFAZIONI DEL GOVERNO…SUGLI ITALIANI UNA NUOVA BOTTA DA 1.000 EURO L’ANNO

Ora qualcuno dovrà  spiegare agli italiani come sia stato possibile, dall’oggi al domani, passare da “La nave va” di Silvio Berlusconi al “Titanic” di Giulio Tremonti. Qualcuno dovrà  chiarire a un’opinione pubblica confusa come sia stato possibile precipitare in poche ore dalla leggenda berlusconiana su un’Italia “che è già  uscita fuori dalla crisi e l’ha superata molto meglio degli altri”, alla tregenda tremontiana intorno a un Paese che a causa del suo debito pubblico “rischia di divorare il futuro nostro e quello dei nostri figli”.
In questo abisso di contraddizione politica e di contraffazione mediatica è racchiuso il fallimento di un governo che per tre anni ha colpevolmente negato l’evidenza, e che adesso è brutalmente travolto dall’emergenza.
Nessuno ha spiegato e spiegherà  ai cittadini storditi dalla stangata in arrivo questo clamoroso e doloroso cortocircuito.
Soprattutto non lo farà  l’unico artefice del colossale inganno, cioè il presidente del Consiglio.
Il Cavaliere Inesistente, come da romanzo di Calvino. Da una settimana non si vede e non si sente.
Il Paese è nel mirino della speculazione, alla quale offre ogni pretesto possibile per attaccare: un premier bollato come “corruttore” da una pronuncia civile derivata da una sentenza penale passata in giudicato, una maggioranza lacerata dalle guerre intestine, una teoria di ministri mascariati da richieste di processo per mafia o lambiti da scandali affaristici e da faide interne agli apparati dello Stato.
L’Italia, in queste penose condizioni, torna ad essere la seconda “i” dell’acronimo dei derelitti di Eurolandia: siamo “Piigs”, insieme a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Berlusconi tace.
Raccontano che sia occupato dall’organizzazione delle sue prossime ferie ad Antigua. Da mattatore del Villaggio Globale ad animatore del Villaggio Vacanze, come già  gli successe nell’estate rovente del 2006.
L’assordante silenzio è colmato da una esplicita supplenza.
Sul fronte internazionale, la Merkel e Bernanke incoraggiano l’Italia a non desistere dal rigore.
Sul fronte interno, il presidente della Repubblica e il governatore della Banca d’Italia ottengono quel frammento di “coesione nazionale” utile a portare a casa almeno questa manovra.
Il ministro dell’Economia va in Senato a mettere la faccia sul maxi-decreto da ultima spiaggia, da approvare subito, pena l’attacco finale dei mercati.
Tremonti fa un discorso grave, da “ora delle scelte irrevocabili”. Rilancia l’immagine apocalittica di un’Europa che incontra “un appuntamento col destino”, consapevole che “la salvezza non arriva dalla finanza ma dalla politica” e che “la politica non può fare errori”. Ma neanche lui spende una parola per giustificarsi e per scusarsi, di tutti gli errori madornali che questo governo ha commesso dal trionfo elettorale dell’aprile 2008 in poi.
Non un “mea culpa”. Solo l’appello accorato a unire le forze, perchè “il Paese ci guarda, guarda il governo, guarda la maggioranza, guarda l’opposizione”.
L’appello va raccolto.
Nessuno può giocare a dadi contro il proprio Paese, all’insegna dello sfascismo e del peggiorismo.
Nessuno si augura che l’Italia faccia la fine della Grecia, che trascini nel baratro se stessa e l’intera unione monetaria europea.
Nessuno spera che la caduta di Berlusconi sia uno spettacolo che valga “qualunque prezzo”, compresa la bancarotta nazionale.
Dunque la manovra-lampo deve passare.
Ma nel momento in cui il Parlamento assume fino in fondo questa responsabilità , non si può non dire di chi è la colpa, se oggi siamo arrivati a questo durissimo tornante della Storia.
E soprattutto non si può non dire che l'”imperativo categorico”, al quale ora l’insipienza e l’incoscienza di chi governa ci ha costretto, ha un costo sociale enorme, e purtroppo ancora una volta squilibrato a danno di chi è più debole.
Un ceto medio ormai sempre più esteso e indifeso è obbligato a ingoiare i ticket sanitari, il blocco dei contratti nel pubblico impiego, la riduzione delle cattedre nella scuola, in prospettiva persino il colpo di scure sulle detrazioni fiscali per i coniugi e i figli a carico.
A regime, solo per le ricadute sull’Irpef, una “botta” stimata in oltre 500 euro a famiglia.
E a poco servono le presunte “correzioni perequative”, come la rimodulazione della “patrimoniale mascherata” sui conti di deposito o il contributo di solidarietà  sulle pensioni d’oro.
Ancora meno servono le privatizzazioni e le liberalizzazioni alle vongole, come dimostra la penosa Vandea corporativa degli avvocati-deputati del Pdl, che gli ha fruttato la blindatura di un Ordine professionale ancora una volta sacro e intoccabile. Sale sulle ferite di un corpo sociale che paga sempre.
Lieve prurito sulla pelle di categorie che non pagano mai.
Anche il centrosinistra è costretto a turarsi il naso e a lasciare che la manovra passi così.
Con tutte le sue iniquità  qualitative e le sue criticità  quantitative, che pesano e peseranno. Non solo sulle tasche dei contribuenti, ma anche sul giudizio dei mercati. Questa manovra da 40, 49 o 65 miliardi che siano, infatti, rischia di non bastare a fermare l’onda speculativa che monta.
La calma apparente degli ultimi due giorni è già  finita. La Borsa torna a perdere, i titoli bancari tornano a cadere, lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi torna sopra a quota 300, all’asta dei Btp il “premio di rischio” richiesto per investire sull’Italia sale a livelli mai conosciuti dall’avvento dell’euro.
È il segno che la “cura” non basta, perchè nonostante tutto non appare credibile nè sulle politiche di risanamento nè, meno che mai, sulle politiche di crescita.
Non basta inchinarsi doverosamente al totem del “pareggio di bilancio”: va inseguito nei fatti, non solo celebrato nelle parole.
E questa manovra non da sufficienti sicurezze.
Questo è il “conto” da saldare, che il Cavaliere Inesistente lascia sul tavolo della crisi. Senza battere ciglio e senza pagare “pegno”.
Lo rammentino gli italiani, quando saranno in fila con il portafoglio aperto per una visita medica, o verseranno il bollo sui Bot.
Soprattutto, lo ricordino nel segreto dell’urna, quando saranno richiamati a votare.
A questo punto, speriamo davvero il più presto possibile.
Naufraghi all’improvviso, forse siamo ancora in tempo per scendere dal Titanic.

Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)

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INTERNET E TV SECONDO L’AMO DEL TROTA

Luglio 15th, 2011 Riccardo Fucile

IMBARAZZANTE PERFORMANCE DI BOSSI JUNIOR A UN CONVEGNO SULLA TV DEL FUTURO…L’APPROCCIO PADANO AI NEW MEDIA GELA I RELATORI DELL’INCONTRO E SCATENA IL SARCASMO IN RETE

Parla il Trota e cala il silenzio. Imbarazzato.
A un convegno romano sulla tv, hanno pensato bene di chiedere a Renzo Bossi la sua opinione su Internet, nuovi media e televisione del futuro: lui interviene mandando un videomessaggio, la platea si gela — raccontano i presenti — il video finisce online, e gli utenti della Rete si scatenano.
“Vai Trota, il mondo ittico con te e l’unica rete che ci piace è quella in cui un giorno rimarrai impigliato”; “Ma chi gli ha scritto un discorso che non è neanche in grado di leggere?”; “Ma quale sarebbe la generazione a cui appartiene?”.
Questo il tenore dei commenti postati su Youtube sotto il Trota-messaggio: non convince il consigliere regionale in Lombardia, anche se ufficialmente lui è “responsabile Lega Nord media” nel partito di papà  Umberto.
L’occasione per la performance è il convegno “Vecchia TV vs Nuova TV” che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma.
Un’incontro per riflettere su nuovi formati e nuovo pubblico della televisione nell’epoca di Internet.
Al tavolo i responsabili delle aziende di tlc come Telecom, broadcaster come Rai, Mediaset e Sky, giornalisti ed esponenti del mondo politico (da Paolo Gentiloni del Pd a Roberto Rao del’Udc).
Quello che forse gli internauti non sanno sono le facce basite dei relatori quando sul maxischermo della Casa del cinema di Villa Borghese di Roma è partita la clip in cui il Trota cerca di spiegare l’approccio padano alla tv digitale e al web 2.0.
Dopo gli interventi di Giancarlo Leone, Vicedirettore Generale della Rai e Gina Nieri, consigliere di amministrazione di Mediaset, appare il faccione di Renzo.
Cinque minuti di intervento che lasciano interdetti tanto i relatori quanto la gente in platea.
Alla fine il videointervento è riuscito a strappare anche qualche applauso di circostanza, ma la sensazione dominante, come confermano alcune persone presenti, era di imbarazzo totale.
Mentre i vari ospiti discernevano di cacth-up television, di copyright su Internet e dei problemi che “l’auto-comunicazione di massa pone alla politica”, come sostiene Manuel Castells, il Trota che fa?
Approccia un ragionamento in cui cerca di tenere assieme i social network e il digitale terrestre in una nuova prospettiva di comunicazione iper-localista.
Tratteggia una Rete verde (padana, non ecologista), un web stretto nella valle del Po.
Sarebbe anche un’opinione legittima se non fosse parso fin troppo evidente che Bossi Jr. non capiva esattamente i contenuti del testo del suo intervento.
Per tre volte si incespica prima di riuscire a pronunciare l’astruso sostantivo “pluralismo” e non lesina pause per rituffarsi negli appunti e riprendere il filo di un ragionamento che sembra proprio non riuscire a governare.
Cita anche Outside.in, il super-aggregatore di notizie messo a punto dalla Cnn che collega più di 84mila cittadine grazie al lavoro di blogger e cronisti locali.
Niente male, peccato però che secondo lui, il servizio abbia messo in rete 250 realtà  e serva soprattutto per vedere la programmazione di cinema e teatri.
Poi la chicca: “Bisogna valorizzare la comunicazione locale — sostiene — Con il passaggio al digitale terrestre, le televisioni regionali si trovano a dover fare dei grossi investimenti. Dobbiamo aiutarle. Ma sono convinto che con un forte impegno si possa portare a casa”.
Il Trota farebbe meglio a spiegare il concetto a suo padre che siede in consiglio dei ministri in modo da consentire al Senatur di farsi portavoce degli interessi dell’emittenza locale.
Una cosa difficile, dato che le piccole tv di tutta Italia sono in rivolta contro il piano del governo di esproprio delle frequenze tutto a vantaggio degli incumbent (Rai e Mediaset).
Se fosse stato un esame sul web, Renzo sarebbe stato bocciato.
E invece era il Corecom, un organismo di nomina politica dove hanno pensato bene di garantire una bella platea al figlio del Capo.
O forse il Trota l’ha fatto apposta: voleva essere bocciato anche in web.
Tanto per non perdere l’abitudine.

Lorenzo Galeazzi e Federico Mello
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL VIRUS MINZOLINI COSTA 10 MILIONI DI EURO ALLA RAI: LA CONCESSIONARIA SIPRA DENUNCIA IL GRAVE DANNO DEL TG1 PER LA RACCOLTA PUBBLICITARIA

Luglio 15th, 2011 Riccardo Fucile

SHARE AL 20% IN CADUTA LIBERA, TRE ANNI FA ERA AL 30%….IL TG1 E’ ORMAI UN VELENO PER I PROGRAMMI CHE SEGUONO E UN BALSAMO PER LA CONCORRENZA…TRE MILIONI DI TELESPETTATORI IN MENO IN TRE ANNI

In ritardo di un paio di anni, inchieste giudiziarie per la carta di credito, un terno di multe e clamorose censure e omissioni, la Rai scopre il problema Augusto Minzolini. Che per il presidente Paolo Garimberti è serio e preoccupante.
Che per il direttore generale Lorenza Lei è tema di riflessioni profonde.
Forse le analisi di Sipra, la concessionaria pubblicitaria di viale Mazzini, suona la campana persino per chi vuole apparire sordo.
La crisi di ascolti del Tg1 è ormai una malattia cronica: “Per l’anno in corso possiamo stimare un danno di almeno 10 milioni di euro”, dicono fonti interne di Sipra
La cura per conciliare Minzolini e le notizie è introvabile, e l’azienda ha rinunciato volentieri.
Ma la tassa-direttorissimo è troppo alta, anche per i berlusconiani più spinti, ecco perchè soltanto il Consiglio di amministrazione conoscerà  l’inarrestabile discesa del Tg1. Il primo telegiornale del servizio pubblico, ridotto a una civetta del Cavaliere, fa male ai conti di viale Mazzini.
Il Tg1 al 20 per cento di share è un veleno per i programmi che seguono e un balsamo per la concorrenza.
Nella preziosa fascia 19:45-21:00, presidiata dal Tg1 di Minzolini, Rai1 perde 3,10 punti rispetto al 2010 e addirittura 4,4 sul 2008, direzione di Gianni Riotta.
L’anonimo indice share ha un costo: “Un punto di share vale 20 milioni di euro nell’intera giornata di Rai1, tre punti in prima serata almeno 40 milioni”.
E Minzolini cade al centro di quel pezzetto di palinsesto, le quattro ore più ambite dagli inserzionisti.
Il Tg1 fa peggio del gioco a premi che precede e azzoppa il varietà  che segue, dunque brucia 10 milioni di euro poichè influenza un’ora su quattro: “La cifra è calcolata a mercato costante. Non è nemmeno pessimistica”, spiegano in Sipra.
L’autodistruzione del Tg1 può ritoccare all’insù i 10 milioni, a giugno Minzolini ha registrato un minimo storico al 20,6% di share con 3,6 milioni di telespettatori.
I numeri fanno impressione se paragonati al 2008, l’ultimo anno completo di Riotta a Saxa Rubra.
Non è passata un’epoca, eppure la differenza è impressionante : appena tre anni fa, 6,5 milioni di italiani guardavano il telegiornale di Rai 1 che pietrificava i rivali con il 30% di share.
Abboniamo il 2009 al direttorissimo perchè spezzettato con l’addio di Riotta, l’interim di Andrea Giubilo e il suo arrivo.
Nel 2010, però, Minzolini ha già  sperperato l’eredità : via mezzo milione di spettatori che, in queste settimane, salgono a 800 mila.
Ora il Cda processerà  l’ex notista politico, i consiglieri tempesteranno di domande i vertici di Sipra e il risultato sarà  un prevedibile nulla di fatto.
Come sempre.
La verità  su Minzolini l’ha detta il medesimo Minzolini: “Resterò al mio posto finchè dura il governo di Berlusconi”.
Più lunga sarà  la permanenza al suo posto (pubblico) e più grave sarà  il danno per l’azienda.
La spesa è lunga e ancora aperta: 458 mila euro di multe dall’Autorità  di garanzia, 86 mila euro di viaggi e cene con la carta di credito di viale Mazzini.
La raccolta pubblicitaria va male, il servizio pubblico arranca ovunque e fatica a sopportare fallimenti come il Tg1 e la trasmissione di Sgarbi.
Ma Il direttorissimo è intoccabile fin quando vuole Lui.

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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UN MINISTRO È PER SEMPRE: NEL “PARTITO DEGLI ONESTI” NON SI DIMETTE NESSUNO

Luglio 15th, 2011 Riccardo Fucile

NON SI MUOVE IL MINISTRO ROMANO, IMPUTATO PER MAFIA, RESTA IL GENERALE ADINOLFI, NON SI MUOVONO MILANESE E TREMONTI, STESSA COSA PER CESARO

Tremonti e Draghi, anzi, Draghi contro Tremonti. Per l’ultima volta.
La scena è l’assemblea annuale dell’Abi, l’associazione delle banche italiane, ma di banche si parla poco, perchè ogni discorso è rimandato a venerdì sera, quando si conosceranno i risultati degli stress test europei che diranno quanto sono sani gli istituti italiani.
Il tema è la manovra e soprattutto l’apocalisse sfiorata in Borsa lunedì e martedì, quando gli spread sul debito pubblico, cioè i differenziali di costo tra Italia e Germania, erano schizzati alla paurosa soglia del 3,47 per cento.
Poi è arrivata la Banca centrale europea a comprare debito italiano, fermando il panico, ma iscrivendo l’Italia di fatto alla stessa categoria dei Paesi decotti cui appartengono Portogallo, Irlanda e Grecia.
All’Abi parla per primo il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, le cui parole ora pesano doppio, visto che da novembre sarà  presidente della Bce.
Draghi dice che “occorre definire in tempi rapidissimi il contenuto delle misure volte a conseguire il pareggio di bilancio nel 2014”.
E avverte che se non si tagliano davvero le spese, i 15 miliardi previsti dalla legge delega per la riforma fiscale diventeranno 15 miliardi di nuove tasse.
E l’ultima versione della manovra, quella che sta nascendo con gli emendamenti della maggioranza, non lascia dubbi: più tasse per tutti (perchè tagliare le agevolazioni fiscali questo significa, aumento delle tasse).
Da lì arriverà  la quasi totalità  della correzione di bilancio tra 2013 e 2014.
Non ha molto altro da aggiungere, tutto quello che aveva da dire all’Italia l’ha messo nelle Considerazioni finali del 31 maggio, ricette di sviluppo ribadite dal vicedirettore Ignazio Visco davanti al Senato in audizione sulla manovra: tagli di spesa mirati e non con l’accetta, interventi sul mercato del lavoro per ridurre il precariato, veri piani di infrastrutture, risparmi di spesa strutturali e non misure una tantum.
Ma Tremonti, ormai è chiaro, ha fatto quel che poteva (o che voleva) e più in là  di così non si spingerà .
Il mondo crolla attorno all’Italia ma Tremonti, serafico, spiega che l’impennata degli spread sul debito pubblico italiano non è un problema “del singolo Stato, ma della struttura complessiva”.
Opinione singolare per un ministro dell’Economia che si trova a pagare gli interessi aggiuntivi sul debito dovuti proprio agli spread: ogni 100 punti base di rendimento richiesto dai mercati, calcola la Banca d’Italia, la spesa per interessi aumenta di 0,2 punti di Pil il primo anno (3 miliardi) e poi di 0,4 e 0,5 nei successivi due anni (altri 14).
Non proprio uno scherzo.
Ma Tremonti parla come se la crisi esterna non lo scalfisse: concede a Draghi e ai mercati che “la manovra sarà  rafforzata”, ma poi ammette che le privatizzazioni ventilate dalla maggioranza per ridurre il debito si faranno a crisi finita, cioè mai, e che la panacea dei drammi debitori è l’emissione degli Eurobond, un debito pubblico europeo sostenuto da molti ma osteggiato con forza dalla Germania, quindi impraticabile.
Tutti scrutano Tremonti per cogliere da un sospiro, da un’incertezza, da una smorfia, la risposta alla voce che ieri circolava con più insistenza: Tremonti approva la manovra e poi si dimette, non per ragioni contabili ma per lo scandalo che ha travolto il suo braccio destro Marco Milanese.
“Tremonti verso l’addio, ma a mercati chiusi”, scrive per esempio l’agenzia specializzata in finanza Mf-Dow Jones, vedendo una promessa di addio tra righe della ritrosia tremontiana a fare dichiarazioni sensibili all’assemblea dell’Abi.
La tempistica dell’addio sembrerebbe lineare: venerdì il decreto della manovra, opportunamente emendato, viene licenziato dal Parlamento e nel weekend il ministro lascia, dando ai mercati il tempo di digerire la notizia prima dell’apertura di lunedì, oppure misura l’effetto della manovra in Borsa a inizio settimana e lascia lunedì sera. Tutto chiaro?
Non proprio, visto che è Tremonti stesso a smentire, almeno in parte: “La manovra sarà  accompagnata da chi si prende la responsabilità  di averla presentata”.
E cita Tito Livio: “Hic manebimus optime”, qui stiamo benissimo.
Tremonti resta, l’ipotesi di un governo tecnico per ora non è destinata a concretizzarsi e il presidente dell’Università  Bocconi Mario Monti torna una riserva della Repubblica anzichè un imminente presidente del Consiglio o ministro dell’Economia (ipotesi questa poco allettante per tutti).
Avanti come prima, dunque: la ricetta Draghi viene rimandata ancora, Tremonti insiste con la via incrementale lasciando ai governi di domani le soluzioni davvero radicali.
Ammorbidisce i punti che avevano sollevato più proteste (tassa sui conti titoli, blocco della rivalutazione delle pensioni medie) e si rimangia le promesse di mezzo governo nella scorsa settimana anticipando il (lento) aumento dell’età  pensionabile, tagliando pesantemente i trasferimenti alle Regioni, ripristinando i ticket e rendendo permanenti l’aumento delle accise sulla benzina.
Della presa di coscienza della gravità  del momento, cui invita Draghi, c’è solo una flebile traccia: invece di rimandare tutto il risanamento alla prossima legislatura, si anticipa, ma aumentando le tasse in modo mascherato.
Si attendono le tabelle per capire bene quanto c’è di sostanzioso.
Più di così Tremonti non sa fare.
C’è da sperare che basti perchè i mercati sono in un equilibrio fragilissimo.
Se la Bce smette di sostenerci, se il testo finale deluderà  le aspettative, se le banche andranno peggio del previsto agli stress test, si ricomincerà  da capo.
E anche Tremonti tornerà  a ballare.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)

argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, economia, Giustizia, governo, la casta, Parlamento, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »

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