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FINI SUL DECRETO CALDEROLI: “UN VOLANTINO DELLE FESTE PADANE” E SUL GOVERNO: “LA MAGGIORANZA INDICHI UN ALTRO PREMIER”

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

ALLA CONVENTION DEL TERZO POLO IL PRESIDENTE DELLA CAMERA CRITICO ANCHE SULLA MANOVRA: “RINVIA I NODI STRUTTURALI”

«Dobbiamo dare atto a Casini di averlo capito qualche tempo prima: dar vita ad alleanze coatte rischiava di imprigionare le energie più sane della società  e di cancellare una vera democrazia dell’alternanza di cui il Paese ha bisogno».
Lo ha detto il leader di Fli Gianfranco Fini nel suo intervento all’auditorium della Conciliazione per la convention del Terzo polo, di fronte a 1.300 persone, con in prima fila Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli e Raffaele Lombardo.
Fini ha sottolineato che ciò che unisce Udc, Fli, Api e Mpa «è la volontà  di archiviare un bipolarismo primitivo, unico in Occidente che non sa individuare valori comuni anche se riguardano l’interesse nazionale. Un interesse – ha aggiunto – che invece non è la bandiera del centro, della destra o della sinistra ma degli italiani orgogliosi della propria storia, una bandiera che deve essere la stella polare di una politica consapevole che archiviare il bipolarismo non significa cancellare una democrazia dell’alternanza basata su valori condivisi».
Su un nuovo assetto della politica italiana che immagini il dopo-Berlusconi, Fini ha poi detto che «la maggioranza debba indicare un nuovo premier e il Terzo polo, in questo caso, non si tirerà  indietro».
E ha proseguito: «La maggioranza ha il diritto-dovere di indicare un nuovo premier, sulla base di un’agenda di 2 o 3 cose da fare al più presto. Serve un uomo che archivi il libro dei sogni e serve un governo serio che si presenti in parlamento e si rivolga alle opposizioni le quali, credo, si assumeranno le loro responsabilità . Il Terzo polo – ha concluso Fini – non si tirerebbe indietro, non guarderebbe dall’altra parte».
Nel corso del suo intervento alla convention del Terzo Polo il leader di Futuro e Libertà  ha criticato anche la manovra economica che «rinvia alla prossima legislatura la definizione dei nodi strutturali, mentre fa pagare oggi ai cittadini costi che rischiano di non poter pagare alla luce del drammatico impoverimento delle famiglie denunciato dall’Istat».
Fini ha sottolineato però che «se la casa brucia le opposizioni non fanno un ostruzionismo che non verrebbe capito dalla gente» ma ha anche aggiunto che «se dovranno esserci in futuro altri momento di coesione questa prova non dovrà  essere chiesta soltanto alle opposizioni. Noi in questa circostanza – ha concluso Fini – abbiamo dimostrato di amare l’Italia più di quanto contrastiamo l’attuale governo».
Tranchant anche sul disegno di legge Calderoli: «L’Italia non ha bisogno del ddl Calderoli che assomiglia più a un volantino per le feste padane che non al testo del governo per ridisegnare l’architettura costituzionale», ha detto Fini.

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UNA SPOLVERATA DI PEPERONCINO PER LA POLVERINI VALE UN ELICOTTERO DAL COSTO DI 15.000 EURO

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

PER PRESENZIARE ALLA KERMESSE ORGANIZZATA DA ROSITANI (PDL) “RIETI CUORE PICCANTE”, LA PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO OPTA PER UN ELICOTTERO DELLA PROTEZIONE CIVILE…LE STRADE ERANO TRAFFICATE MA, A QUEL PUNTO, NON POTEVA STARSENE A CASA?

Il peperoncino ha buoni effetti terapeutici: anestetico, afrodisiaco, antibatterico.
Ma provoca irritazione ai politici, un terribile vuoto di memoria e una profonda crisi d’identità .
Con la solennità  del luogo e la tenacia di una ex sindacalista, ieri mattina nel palazzo regionale, Renata Polverini ha invocato le forbici di casta: tagli ai privilegi spropositati, ai soldi spesi male, ai trattamenti speciali.
Un urlo: “Basta”. E che cavolo!
Con lo stesso completo verde oliva pugliese, il presidente del Lazio ha chiesto un passaggio a un elicottero noleggiato dalla Protezione civile per spegnere gli incendi durante l’estate.
La giornata era ancora lunga: la Polverini doveva tagliare — e stavolta l’ha fatto davvero — il nastro per la prima fiera campionaria di “Rieti cuore piccante”, una passione di Guglielmo Rositani, ex senatore di Alleanza nazionale e ora consigliere Rai devoto al Cavaliere, fondatore e presidente dell’Accademia reatina del peperoncino.
Alle ore 18, la Polverini atterra con un po’ di ritardo all’aeroporto Ciaffulli, un’auto con il sindaco Giuseppe Emili aspetta a motori spenti.
Ma i più nervosi sono i camerieri che osservano il rinfresco in Prefettura, un omaggio per le autorità  in trasferta con le fuoriserie di Stato: il ministro Paolo Romani, i sottosegretari Roberto Rosso (Agricoltura) e Alfredo Mantica (Esteri), i consiglieri Rai, Antonio Verro e Alessio Gorla.
Nessuno ha il coraggio di afferrare le bruschette con la ‘nduja prima che le mani di Romani e Polverini possano graffiare la tavolata, mentre la gente guarda spaesata il palazzo Papale vuoto, dove — dicono i manifesti — Rositani e istituzioni apriranno le danze.
La Polverini e Rositani lasciano senza esitazioni la Prefettura e quei prodotti tipici, quelle 400 specialità  di peperoncino, che soltanto a Rieti puoi trovare.
à‰ impossibile capire se la Polverini che annuncia i risparmi di casta sia la stessa Polverini che ordina un elicottero per la festa del piccante.
Non risponde: “Non ho nulla da spiegare. Pago tutte le spese che faccio, non scoprirai nemmeno una cena a mio carico. L’importante è che non vado con i soldi pubblici, vai tranquillo caro”.
L’affettuoso “caro” del presidente regionale è accompagnato da spintoni e insulti di Rositani: “Vada via, cretino, altrimenti la prendo a schiaffi. Non ha capito? Le do uno schiaffo”.
Non è facile condannare il volo del presidente Polverini, più di 15 mila euro per un viaggio di 60 chilometri, la strada statale Roma-Rieti è un girone dantesco con curve bastarde, code irritanti, fameliche prostitute e simpatici autostoppisti.
E non provate a suggerire il treno diretto.
Arriverà , abbiate fede: a Rieti l’aspettano dai tempi di Giovanni Giolitti.
Una speranza rinvigorita negli ultimi vent’anni con le promesse proprio di Rositani che, calabrese di Varapodio (ora è sindaco), sul miraggio ferroviario ci ha costruito una carriera politica.
Tra enormi peperoni rossi e verdi di polistirolo, piantine messicane che decorano la piazzetta, ieri era il giorno di Rositani.
Una gloria cercata con passione, e forza: la Rai ha annullato il Consiglio di amministrazione per l’invito a casa Rositani, qualcuno ha colto al volo (la Polverini in senso letterale), qualcuno ha declinato (il direttore generale Lei).
In piedi sul palchetto davanti ai porticati, come se fosse un comizio di Totò, Rositani raduna e mostra a una folla (modesta, in verità ) i grandi di Roma che visitano la città  di Rieti.
Paolo Romani ha una faccia stanca e dubbiosa.
Del tipo: io che ci faccio qui?
L’agenda del ministro era strana: una cerimonia ad Herat in Afghanistan e un intervento per “Rieti cuore piccante”.
Non è preparatissimo: “Dobbiamo fare ricerca sul peperoncino per le nostre industrie”. Il sindaco Emili è onesto: “Non mi piace il peperoncino, però possiamo investire”.
La Polverini scalda il pubblico come fosse in concerto: “Rieti è il centro agricolo più grande d’Europa. Questo fine settimana entrerà  nella vostra storia”.
Ma è ancora il sindaco Emili a stupire: “Ringraziamo i rappresentanti esteri. E in particolare l’ambasciatore dello Zimbabwe. Applausi”.
Come, come? Il Paese che ispirò una battuta telefonica di Mauro Masi: “Le pressioni per bloccare Annozero… nemmeno nello Zimbabwe”.

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IN SICILIA SU 90 CONSIGLIERI REGIONALI 28 SONO INDAGATI

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

A PALAZZO DEI NORMANNI UNO SU TRE HA PROBLEMI CON LA GIUSTIZIA…L’ULTIMO DELLA LISTA E’ CATENO DE LUCA, ARRESTATO PER TENTATA CONCUSSIONE…E NON MANCANO I CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA

Uno su tre è indagato, sotto processo oppure è già  stato condannato per reati che vanno dal peculato alla truffa, passando per associazione mafiosa e abusi d’ufficio vari.
Un record, quello dell’Assemblea regionale siciliana, che vede 28 deputati su 90 nella poco onorevole lista di persone che hanno avuto o hanno ancora a che fare con la giustizia.
L’ultimo in ordine di tempo a essere finito agli arresti domiciliari è stato il deputato autonomista di Sicilia Vera, Cateno De Luca: i pm lo hanno arrestato per “tentata concussione” nella compravendita di un terreno nel suo Comune, Fiumedinisi, del quale è anche sindaco.
A precedere De Luca, il Pid Fausto Fagone, finito in carcere per concorso in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Iblis: la stessa inchiesta che vede indagato il presidente della Regione Raffaele Lombardo e il deputato Giovanni Cristaudo.
Ma le cronache siciliane ormai settimanalmente raccontano di politici regionali coinvolti in inchieste giudiziarie: agli arresti domiciliari è finito pure Riccardo Minardo, esponente dell’Mpa accusato di truffa ai danni dello Stato e dell’Unione europea.
In manette anche Gaspare Vitrano, parlamentare del Partito democratico arrestato mentre intascava una presunta tangente per il fotovoltaico.
Tra gli scranni dell’Assemblea regionale non mancano poi i condannati con sentenza definitiva e quelli che per evitare lunghi processi hanno patteggiato la pena.
In questo secondo elenco c’è a esempio il deputato e sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, che nel suo palmares vanta una non onorevole condanna definitiva per peculato: utilizzò l’autoblu fino in Puglia per partire in crociera con la moglie.
Mentre Salvino Caputo, collega del Pdl che presiede la commissione Attività  produttive, è stato condannato a due anni (pena sospesa) per abuso d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico: secondo il Tribunale di Palermo, l’ex sindaco di Monreale nel 2004 avrebbe dispensato dal pagamento di multe automobilistiche un assessore e l’autista del vescovo.

(da “La Repubblica“)

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IL PARLAMENTO DEGLI INQUISITI: SOTTO ACCUSA UNO SU DIECI, SONO 84 IN TOTALE, 49 DEL PDL

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

TRA CONDANNE, PRESCRIZIONI E PROCESSI SUGLI SCRANNI C’E’ LA BANDA DEI DISONESTI…DALLA CORRUZIONE ALLA MAFIA UNA SERIE DI REATI INFAMANTI: DA GENNAIO SONO STATE BEN NOVE LE RICHIESTE DI ARRESTO

Se non sono i numeri del parlamento di tangentopoli, poco ci manca.
Quella che ha spedito in carcere il deputato del Pdl Alfonso Papa è stata la nona richiesta di arresto sul tavolo della giunta per le autorizzazioni a procedere dall’inizio della legislatura.
Tra il 1992 e il 1994, gli anni in cui le inchieste dei pm terremotarono la Prima Repubblica, furono 28.
Se però si scorre l’elenco di deputati e senatori attualmente in carica che hanno pendenze con la giustizia, allora si scopre che i numeri di oggi non sono poi così lontani da quelli della stagione di Mani Pulite.
Tra Montecitorio e Palazzo Madama siedono, in questo momento, 84 parlamentari sotto inchiesta, già  con sentenze di condanna sulle spalle, in attesa di processo oppure rinviati a giudizio.
E tra questi, ben 34 risultano condannati per reati che vanno dalla diffamazione fino all’associazione mafiosa o per una cattiva gestione di fondi pubblici di cui ora devono rispondere di tasca propria.
Altri nove legislatori sono stati beneficiati dalla prescrizione dei reati.
La lista.
E’ una lunga teoria che racconta un pezzetto di storia d’Italia.
Un elenco nel quale si può trovare la radicale eletta nelle liste del Pd, Rita Bernardini, condannata per aver distribuito marijuana durante una manifestazione per la liberalizzazione delle droghe leggere (pena estinta con l’indulto), ma soprattutto un nutrito drappello di rappresentanti del popolo con ben più gravi condanne di primo e secondo grado sul groppone: c’è, per esempio, il ministro delle Riforme e leader della Lega Umberto Bossi (condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta sulla maxi-tangente Enimont) e c’è il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri che i giudici di Palermo hanno condannato in primo grado a nove anni, e in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Del resto, è proprio il Pdl   –   quello che il neo segretario Angelino Alfano ha dichiarato di voler trasformare nel “partito degli onesti”   –   il gruppo parlamentare con il maggior numero di eletti alle prese con vicende giudiziarie.
E poi? Da chi è composta la poco lusinghiera classifica delle fedine penali sporche?
Il partito degli onesti.
Un anno fa chi aveva provato a mettere in colonna i numeri degli inquisiti non era riuscito a contarne più di 24: oggi i parlamentari del Pdl nei guai con la giustizia sono 49.
Più che raddoppiati.
Ventinove alla Camera e 20 al Senato.
Il drappello lo guida ovviamente Silvio Berlusconi, con sei processi in corso.
Ma oltre al leader, a ministri in carica e non, a ex presidenti di Regione e coordinatori regionali, ci sono anche i peones dell’avviso di garanzia o del rinvio a giudizio.
Giulio Camber è un senatore che nel 1994 ottenne 100 milioni di lire dalla banca Kreditna dicendo che poteva comprare i favori di pubblici ufficiali e evitare il commissariamento dell’istituto: condannato a otto mesi per millantato credito. Fabrizio Di Stefano, invece, è stato eletto in Abruzzo e proprio ad aprile scorso i magistrati hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione nel processo che riguarda la realizzazione di un impianto di bioessicazione di rifiuti a Teramo.
Claudio Fazzone, che siede anche lui a Palazzo Madama, ex presidente del consiglio regionale del Lazio è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio: gli contestano di aver raccomandato, via lettera, alcuni suoi amici a un manager della Asl.
A Montecitorio, invece, tra i banchi Pdl c’è Giorgio Simeoni rinviato a giudizio per truffa all’Ue nell’inchiesta sui corsi di formazione fantasma nella Regione Lazio.
Per tacere, infine, del deputato Giancarlo Pittelli che, oltre a essere coinvolto nell’inchiesta sugli ostacoli posti alle indagini dell’ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris, deve rispondere in tribunale di lesioni e minacce dopo avere aggredito un suo collega avvocato.
Spiccano, poi, l’ex comandante della Guardia di Finanza Roberto Speciale condannato in appello a 18 mesi per peculato (è accusato di essersi fatto arrivare un carico di spigole nel paesino trentino in cui era in vacanza) e Luigi Grillo condannato a un anno e 8 mesi per reati bancari.
E gli altri.
Dal gruppo del Pd è appena uscito Alberto Tedesco, il senatore pugliese indagato per corruzione e salvato dagli arresti domiciliari grazie al voto di Palazzo Madama, ma l’elenco dei democratici sotto inchiesta o con condanne comprende comunque quattro senatori e sette deputati.
Numeri che però raccontano di reati più lievi: l’accusa di diffamazione che pende sul capo del senatore Giuseppe Lumia, querelato dal suo ex addetto stampa, per esempio. Però fra i democratici c’è anche chi deve fare i conti con contestazioni più gravi: Antonio Luongo è stato rinviato a giudizio per corruzione nell’inchiesta su affari e politica a Potenza, mentre Maria Grazia Laganà    –   la vedova di Fortugno   –   è a processo per falso e abuso d’ufficio ai danni della Asl di Locri.
Nino Papania, senatore siciliano, patteggiò nel 2002 una condanna a due mesi per aver scambiato regali con assunzioni.
Ma anche la Lega che in questi giorni si lacera sulla questione morale annovera quattro deputati e due senatori inquisiti.
L’Udc ne ha cinque.
Per carità : il calcolo delle probabilità  penalizza i gruppi parlamentari più numerosi. Sorprende invece l’alta incidenza di deputati e senatori con problemi giudiziari in formazioni più piccole: i “responsabili”, per esempio, su 29 esponenti alla Camera contano un condannato (Lehner, diffamazione nei confronti del pool di Mani Pulite), un rinviato a giudizio per truffa (il piemontese Maurizio Grassano che venne arrestato nel 2009 per una truffa al comune di Alessandria e che oggi è sotto processo) e due sui quali pende una richiesta di processo per mafia e camorra (il ministro Romano e il deputato campano Porfidia).

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L’INCUBO DEL PREMIER E DEL PDL: “LE TOGHE VOGLIONO UN GOVERNO MARONI”

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

BERLUSCONI TEME UN’ONDATA DI ARRESTI, IL QUIRINALE SPINGE PER UN CAMBIO AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA…E C’E’ CHI PENSA CHE MARONI POSSA GUIDARE UN ESECUTIVO PER LA RIFORMA ELETTORALE

Il Cavaliere è nell’angolo.
Dopo il trauma dell’arresto di Alfonso Papa, il cerchio sembra stringersi attorno al capo del governo e nello stesso Pdl ormai si ragiona apertamente, per salvare il salvabile, su come convincere Berlusconi a farsi da parte.
Così, in una giornata passata a Bruxelles per il vertice europeo, ma con l’orecchio a terra per captare i segnali in arrivo da Roma, il premier ha potuto tirare il fiato leggendo il monito del capo dello Stato ai magistrati e quella critica all’abuso delle intercettazioni.
“Anche Napolitano – ha commentato – è preoccupato per la situazione, teme che gli possa sfuggire di mano. Non vuole avventure in un momento così difficile di crisi di mercati e per questo ha mandato un segnale preciso alle procure”
Berlusconi si fa portavoce di quella che nel Pdl è diventata quasi una certezza: l’imminente arrivo di un’ondata di richieste di arresto, una Tangentopoli che farà  rotolare ogni settimana una nuova testa.
In questo clima da fine Impero si fanno più insistenti le manovre per arrivare a un diverso quadro politico.
Sono di queste ore i contatti dei leader del Terzo polo con Roberto Maroni, individuato come il protagonista della nuova fase che si sta per aprire.
Dopo l’estate, raccontano, matureranno le condizioni per l’apertura di una crisi di governo e sarà  proprio il Carroccio a far saltare il tappo.
Anche se Maroni, al momento, sembra deciso a non uscire dal perimetro del centrodestra, nè a farsi tentare da ipotesi di governi tecnici.
La discussione dunque è su cosa fare “dopo”.
Fini, Casini e Rutelli vorrebbero che Maroni si mettesse alla guida dell’operazione, dando vita a un “gabinetto”, retto appunto dal ministro dell’Interno, per rifare la legge elettorale.
L’idea sarebbe quella di tornare al voto nella primavera del 2012, ma l’appetito vien mangiando e nessuno esclude che un governo del genere possa proiettarsi anche oltre, fino al termine della legislatura, nel caso rimpolpando il programma con una robusta dose di privatizzazioni, liberalizzazioni e taglio dei parlamentari.
Uno scenario tutt’altro che campato per aria, che infatti mette in massimo allarme il Pdl.
“Le toghe stanno favorendo questo progetto”, si sfoga con i suoi il Cavaliere.
E un ministro, al termine di una riunione a via dell’Umiltà , confida che a Berlusconi a questo punto restano soltanto due opzioni sul tavolo: “Può anticipare tutti, replicando sul governo l’operazione che ha portato Alfano alla guida del partito. Oppure può restare fermo e subire il ribaltone, che ci sarà  comunque. Solo che, a quel punto, gli leveranno anche la pelle”.
La preoccupazione del ministro berlusconiano è condivisa da molti nella cerchia stretta del premier.
Persino Fedele Confalonieri, che ieri è andato a parlare a Montecitorio con Pier Ferdinando Casini, sembra consapevole che ormai tocchi al Cavaliere prendere atto della situazione e giocare d’anticipo
Intanto l’immobilismo del premier sta mettendo la sabbia nel motore di Angelino Alfano, che vorrebbe essere sostituito al più presto al ministero di Grazia e Giustizia per dedicarsi a tempo pieno al partito.
Oltretutto la richiesta arriva anche dal Colle in modo pressante.
Si è parlato proprio di questo ieri a margine della cerimonia con i giovani magistrati al Quirinale.
In un angolo del salone, per una decina di minuti, Napolitano, Alfano e Vietti, il vicepresidente del Csm, ne hanno discusso in maniera preoccupata.
Il Guardasigilli ha rotto il ghiaccio con una battuta: “Questa, spero, potrebbe essere l’ultima volta che vengo qui in questa veste”.
Poi, ancora scherzando, rivolto a Vietti: “Ho visto che gli avvocati ti propongono come ministro… sappi che da noi c’è sempre posto per te”.
Ma la successione a via Arenula è ancora in alto mare, nonostante l’auspicio di Alfano.
Napolitano vorrebbe vedere la partita chiusa prima delle vacanze, possibilmente già  la prossima settimana, tuttavia il nome giusto non è ancora stato trovato.
La rosa dei candidati non risponde ancora al profilo disegnato dal capo dello Stato: un Guardasigilli autorevole, che riesca a fare una riforma bipartisan della giustizia.

Liana Milella e Francesco Bei
(da “La Repubblica“)

Commento
Forse qualcuno nel Terzo Polo non ha ancora compreso che esso deve porsi come alternativo a Pdl e Lega e che deve puntare alle elezioni anticipate.
Dal punto di vista etico e programmatico, oltre che ideale, l’unica pregiudiziale che Fli dovrebbe avere è “mai con la Lega”, essendo Fli una forza politica che sul tema della coesione nazionale e della immigrazione ha una visione in completa antitesi con il Carroccio.
Come si possa appoggiare un potenziale governo con presidente un condannato per resistenza a pubblico ufficiale, nonchè fautore dell’affogamento dei profughi ad opera del criminale Gheddafi non è chiaro.
Se governo tecnico deve essere, si scelga un politico di alto profilo istituzionale, non un avvocato del recupero crediti della Avon specializzato in consulenze orali (vedi inchiesta su di lui della procura di Bologna per parcelle da 60.000 euro).
Se Fli sapesse porsi realisticamente e coerentemente come un argine alla Lega navigherebbe su ben altre percentuali di consensi.

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LE TRUPPE DI BRANCALEONE MARONI CONQUISTANO IL CARROCCIO

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

PARLAMENTARI, SINDACI E SEGRETARI: IL MINISTRO PUO’ CONTARE SU 49 DEPUTATI E HA LA MAGGIORANZA ANCHE AL SENATO…FLAVIO TOSI GONGOLA: “SI TORNI ALLE ORIGINI: ORA BOSSI E ALFANO INDICHINO UN NUOVO PREMIER”

Ritorno alle origini”, gongola il maroniano di ferro Flavio Tosi, sindaco di Verona.
È un modo per dire che all’indomani del voto su Papa, l’ala della Lega raccolta attorno al ministro dell’Interno si sta prendendo il partito.
Richiamandosi direttamente agli umori di una base sfiancata dalla convivenza forzata con Berlusconi: “Ha commesso troppi errori – insiste Tosi – e noi siamo stati costretti a pagare dazio; adesso dovrebbe farsi da parte e a indicare il nuovo premier saranno Bossi e Alfano”.
Insomma, nulla contro il Grande Capo (“grande gioco delle parti tra lui e Maroni”, ancora Tosi), ma è difficile non pensare che l’iniziativa di “Bobo” nel caso Papa serva non solo a definire una strategia per l’immediato futuro, ma soprattutto a ridisegnare i rapporti di forza dentro al movimento.
Con le truppe maroniane sempre più forti.
L’uomo del Viminale gode di un consenso fortissimo nel gruppo parlamentare della Camera. Su 59 deputati, 49 avevano firmato per sostituire il presidente Marco Reguzzoni (esponente di spicco degli iperbossiani del cerchio magico) con il bergamasco Giacomo Stucchi, molto vicino a Maroni.
È andata male solo perchè all’ultimo Bossi si è impuntato: salvo poi annunciare, qualche giorno che Stucchi a fine luglio sarà  capogruppo.
L’elenco dei deputati di osservanza maroniana comprende, tra gli altri, il bresciano Davide Caparini, componente della Vigilanza Rai, il sindaco-deputato di Cittadella Massimo Bitonci, il mantovano Gianni Fava, il segretario dei Giovani padani Paolo Grimoldi.
Tra i maroniani più spinti, spicca l’europarlamentare milanese Matteo Salvini.
Maroni ha la maggioranza, sebbene non così schiacciante, anche tra i 26 senatori, ora guidati da un altro “cerchista”, Federico Bricolo, che al recente congresso provinciale nella sua Verona non è riuscito a imporre il proprio candidato alla segreteria: l’ha spuntata un leghista molto vicino a Tosi, che – insieme al varesino Attilio Fontana – guida la nutrita pattuglia di sindaci di fede maroniana.
Solo in provincia di Bergamo sono 54 su 56, ma in generale in tutta la Lombardia il punto di riferimento dei primi cittadini in camicia verde è proprio Fontana, distintosi più volte nel criticare gli effetti delle finanziarie targate Tremonti fino a organizzare manifestazioni insieme ai colleghi del centrosinistra.
Schierata con l’astro nascente del Carroccio pure una folta rappresentanza di sottosegretari, a cominciare da Sonia Viale e Michelino Davico, di stanza proprio agli Interni.
Senza contare che il terzo ministro, Roberto Calderoli, con “Bobo” ha da tempo stretto un patto di ferro che accantona vecchie ruggini.
Un ruolo a sè se lo è ritagliato un altro big come il viceministro Roberto Castelli, che tuttavia nella scelta tra cerchisti e i maroniani non sembra avere dubbi, intrattenendo rapporti non certo idilliaci con i primi.
Poi ci sono i segretari regionali. Stanno tutti o quasi col ministro dell’Interno: dal lombardo Giancarlo Giorgetti, al piemontese Roberto Cota, dal romagnolo Gianluca Pini al friulano Pietro Fontanini.
Mancano all’appello l’Emilia e la Liguria, perchè rette da un commissario che si chiama Rosy Mauro, vicepresidente del Senato e signora del Cerchio magico.
Il veneto Gian Paolo Gobbo (è anche sindaco di Treviso), che maroniano non è, di recente ha accentuato le critiche nei confronti del premier: “Il patto con il Pdl va ridiscusso – ha detto ieri – noi non abbiamo sposato nè Berlusconi nè il Pdl”.
E si spinge oltre il suo vice Giancarlo Gentilini: “Bossi, come Berlusconi, deve avere il coraggio di delegare certi poteri”.
Capitolo governatori: Cota con Maroni, come pure il vice leghista di Formigoni, Andrea Gibelli; più ecumenico il veneto Luca Zaia, che tuttavia con l’inquilino del Viminale intrattiene rapporti più che buoni.
Insomma, la consistenza delle truppe maroniane è tale da prefigurare l’esito di quella tornata congressuale che adesso viene richiesta con ancora più forza dagli amici di “Bobo”.

Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)

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SCOPPIA LA GUERRA INTESTINA NELLA LEGA: “IL TROTA E’ DIVENTATO CONSIGLIERE REGIONALE SENZA AVERE I REQUISITI”

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

NON AVREBBE RISPETTATO I CRITERI DI ANZIANITA’ DI MILITANZA PREVISTI DAL REGOLAMENTO: SOLO DA POCO HA CHIESTO LA TESSERA DI SOCIO MILITANTE…A TERMINI DI STATUTO GLI MANCANO QUATTRO ANNI DI VITA POLITICA

Le regole valgono per tutti tranne che per il figlio del Capo.
In queste ore all’interno della Lega serpeggia una voce insistente, figlia della chiara frattura che si è aperta tra due modi di intendere il partito: quello fedele alla linea e quello fedele al Capo.
Il protagonista è Renzo Bossi, la cui unica colpa probabilmente è quella di essere una semplice e costosissima Trota in una vasca di squali.
Renzo questa volta è finito nel mirino dei franchi tiratori per aver presentato solo ora (dopo oltre un anno dalla sua elezione in consiglio regionale) la domanda per ottenere la tessera di militante della Lega Nord.
Lo ha fatto in questi giorni nella sezione di Gemonio (Varese), a confermarlo sono gli stessi responsabili locali del partito.
“Si, è vero, si è appena iscritto come militante — ha confermato Andrea Tessarolo, responsabile della sezione di Gemonio — ma ha sempre partecipato. Che poi sia socio sostenitore o militante poco importa, probabilmente si è sempre dimenticato”.
Un fatto forse politicamente poco rilevante, ma che non ha mancato di suscitare l’indignazione dei militanti di lunga data.
Quelli che nonostante diversi anni di impegno e dedizione alla causa sono riusciti appena a conquistarsi un posto in consiglio comunale o nella giunta di un paesino sperduto.
Sono proprio loro a faticare nel tenere a freno la lingua: commentano e si arrabbiano. A questo proposito si mormora che alla porta di una sezione qualcuno abbia addirittura appeso un cartello con la scritta: “Si raccolgono le uova scadute”, firmato “il militante ignoto”.
Del resto il livello di frustrazione deve essere salito alle stelle nello scoprire che anche nella Lega le regole che valgono per le persone ordinarie non valgono per la casta.
Già  la candidatura e l’elezione del giovane Bossi (che ha negato la poltrona a tanti pretendenti) erano state mal digerite da una parte consistente dei leghisti, che vedevano in questo fatto l’appiattimento della Lega ai modi e ai costumi degli altri. Ora una nuova verità  su Renzo: non solo non ha fatto la gavetta, ma per lui si è chiuso un occhio anche sulle regole interne.
Per diventare socio militante della Lega occorre infatti aver maturato almeno un anno da sostenitore.
Dopo si inoltra la domanda alla sezione, che la discute e la approva con il via libera dei livelli superiori.
Non una banalità .
Probabilmente nel caso di Renzo Bossi l’idoneità  è stata data per acquisita con diritto di sangue.
Per capire meglio è opportuno leggere l’articolo 13 del regolamento della Lega Nord, quello che fissa i criteri di anzianità  di militanza dei candidati a cariche amministrative e politiche.
Secondo la norma interna al partito le candidature possono essere accettate “solo se alla data del deposito delle relative liste elettorali gli interessati saranno in possesso di un’anzianità  di militanza di 1 anno per i comuni con meno di 15 mila abitanti, 2 anni per i comuni con più di 15 mila abitanti e le province, 3 anni per le regioni e le elezioni politiche”.
Le tempistiche vengono raddoppiate per tutti quelli che in occasione di precedenti elezioni erano schierati contro la Lega.
La stessa norma dice anche che: “Resta inteso che gli elenchi dei candidati o degli aspiranti assessori dovranno essere inviati alla segreteria organizzativa federale che verificherà  le anzianità  e rilascerà  il successivo ed indispensabile nulla osta”. Insomma secondo questa regola Renzo Bossi è in debito di almeno quattro anni di militanza.
Sulla faccenda è impossibile far parlare qualcuno, tantomeno i vertici locali del partito.
Il segretario provinciale Stefano Candiani si limita a dire: “Francamente non ne ho notizia diretta, ma non vedo cosa possa esserci di interessante. Anche se fosse non sono valutazioni che mi competono”.
Altri, con la garanzia dell’anonimato confermano la circostanza, ma poi aggiungono: “Non mi stupisce più di tanto, ci sono stati altri casi di parlamentari eletti senza tessera in tasca”.
Sarà , ma la sensazione rimane quella di una forte divaricazione tra le aspettative della base e dei militanti rispetto alle risposte che il partito di Bossi è in grado di fornire in questo momento.
Lo si capisce dalla frequenza con cui i mal di pancia vengono portati allo scoperto.
Un altro termometro dello scontento sono le feste della Lega: non più affollate come un tempo, talvolta riservano anche qualche brutta sorpresa, come quella di domenica 19 luglio a Caronno Varesino, quando il senatore Massimo Garavaglia è stato accolto a muso duro da una leghista.
Qualche parola di troppo e il senatore si è risentito.
La verità  fa male, ma quando a colpire al cuore sono i tuoi stessi sostenitori le parole diventano fendenti mortali.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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CASO PENATI: FATTURE FALSE E SOCIETA’ OFF SHORE PER PROSCIUGARE I FONDI PUBBLICI

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

IL CONTO SVIZZERO DELL’IMMOBILIARISTA ZUNINO E IL FILONE TRASPORTI… SEI MESI FA LE CARTE DA MILANO A MONZA…IL METODO SESTO

Alcune aziende-cartiera.
Ma soprattutto un giro di società  off shore sparse per i paradisi fiscali di mezzo mondo su cui far transitare fior di quattrini.
Ma c’è anche la voglia di alcuni imprenditori di non sottostare più a un «sistema», indicare nomi, cifre e responsabilità  precise.
Ecco spiegato come la magistratura si è convinta di aver scoperchiato il presunto «metodo Sesto».
La procura di Milano lo lambisce quasi un anno fa, indagando sulle società  dell’immobiliarista Luigi Zunino e sulla gestione della società  Santa Giulia.
Un’imponente area nella zona sud-est di Milano, una volta sede della Montedison, con le ambizioni di trasformarsi in un appetibile quartiere residenziale.
Un progetto firmato dall’archistar Norman Foster, rimasto incompiuto, la cui vecchia gestione è stata travolta dagli scandali (prima di essere rilevata da una nuova cordata).
Prima per la mancata bonifica da parte dell’imprenditore Giuseppe Grossi.
Fiumi di denaro, anche di finanziamenti pubblici, la cui destinazione non è ad oggi ancora del tutto chiara. I pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, alla fine del 2009, mettono le mani su una serie di società  che emettono fatture proprio a una controllata di Zunino.
Spulciando nei bilanci della «Immobiliare Cascina Rubina srl» si accorgono che i conti non tornano.
Zunino viene indagato per appropriazione indebita.
Attraverso operazioni inesistenti, sostiene la procura, avrebbe stornato dai bilanci «due milioni e mezzo di euro», depositandoli «sul conto svizzero Lugton del quale è beneficiario lo stesso Zunino».
Sottotraccia, da allora, nelle mani della procura sono finite altre società -cartiera.
Capaci, cioè, di fare risultare operazioni in realtà  inesistenti attraverso triangolazioni con l’estero, sottrarre denaro al fisco, fare sparire molto denaro.
E proprio in questo spaccato che Pedio e Ruta si sono imbattuti, alla fine del 2010, nei conti della Caronte srl (ieri perquisita), nella gestione del suo direttore generale, Piero Di Caterina. Sarebbero state anche le sue parole, rese a verbale fino a pochi mesi fa, a svelare il «sistema Sesto» nei trasporti.
Parole, si dice oggi, che avrebbero ricevuto altri impulsi e conferme anche dal primo proprietario dell’ex area Falck di Sesto, l’imprenditore Giuseppe Pasini (ex candidato sindaco di Forza Italia sconfitto dal candidato Pd Giorgio Oldrini, nel 2007).
È lui che avrebbe raccontato delle pesanti pressioni ricevute dagli esponenti del Pd lombardo per ottenere le varianti al Piano regolatore necessarie alla lottizzazione dell’area.
Fiumi di inchiostro che hanno riempito verbali.
Proprio sei mesi fa, i pm milanesi hanno passato tutte le carte ai colleghi monzesi. I presunti reati sono stati commessi fuori dalla loro giurisdizione.
E in questo ristretto lasso di tempo, il procuratore Corrado Carnevale e il suo sostituto, Walter Mapelli, hanno cercato verifiche e riscontri.
Avviato rogatorie all’estero, convocato testimoni che, dopo il verbale, si sono trasformati in indagati.
Due giorni fa il blitz.
Con un decreto di perquisizione stringato, di sole due pagine, l’accusa non intende ancora scoprire le carte. Al massimo le fa timidamente intuire.
Una mossa legata all’imminente scadenza delle indagini (sei mesi), che solo in parte – è la precisa sensazione – danno lo spaccato di quanto è convinta di aver provato la procura di Monza.

Emilio Randacio
(da “La Repubblica“)

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IN NOVE ANNI VERSATI DUE MILIONI DI EURO: E’ UN IMMOBILIARISTA L’ACCUSATORE DEL VICEPRESIDENTE DELLA REGIONE LOMBARDIA GIUSEPPE PENATI (PD)

Luglio 22nd, 2011 Riccardo Fucile

L’ACCUSA E’ CORRUZIONE, CONCUSSIONE E FINANZIAMENTO ILLECITO AI PARTITI…ALL’ORIGINE DELL’INCHIESTA LA DENUNCIA DI UN IMPORTANTE COSTRUTTORE DI SESTO SAN GIOVANNI…VERSAMENTI ESTERO SU ESTERO

Corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti.
Tre reati e una tangente da 4 miliardi di lire spalmata nell’anno dal 2001-2002.
Sul registro degli indagati (in totale sono 15) un nome su tutti: quello del vice presidente del Consiglio regionale lombardo Filippo Penati.
L’indagine, coordinata dal procuratore di Monza, Walter Mapelli. Nel mirino dei magistrati ci sono eventuali illeciti commessi nella gestione dell’area Falck di Sesto San Giovanni, comune alle porte di Milano.
All’origine dell’inchiesta ci sono le dichiarazioni di Giuseppe Pasini, importante costruttore sestese, proprietario delle aree Falck dal 2000 al 2005.
Circa un anno fa, Pasini si è presentato spontaneamente alla Procura di Milano, denunciando di essere “vittima di soprusi da parte di alcune amministrazioni locali”.
Il costruttore si è dichiarato concusso e ha fatto il nome di Penati, quindi gli atti sono stati trasmessi alla Procura di Monza, competente su Sesto.
Pasini ha raccontato altri fatti di presunta concussione subiti durante l’amministrazione successiva a quella di Penati, guidata da Giorgio Oldrini.
Tra gli altri indagati ci sarebbero infatti l’attuale assessore all’Edilizia privata, Pasqualino Di Leva, per vicende legate a concessioni edilizie nel periodo 2004-2008, e Giordano Vimercati, già  capo di gabinetto di Penati quando presiedeva la Provincia di Milano.
Tutto ruota intorno alla storica area industriale Falck, dove agli inizi del secolo scorso iniziò lo sviluppo dell’industria siderurgica e che oggi è oggetto di un’importante operazione di riconversione.
Per il pm Walter Mapelli sussistono «gravi indizi di colpevolezza» a carico di Penati e di Vimercati.
Indizi che provengono dalle dichiarazioni dei coindagati, da testimoni e da parti offese, nonchè dalle rogatorie eseguite all’estero e da documenti acquisiti durante precedenti perquisizioni, anche alla sede della Caronte srl. Secondo gli investigatori, gli indagati non si sarebbero mai fatti pagare in contanti, ma estero su estero, attraverso la costituzione di società  intestate a prestanome a cui sarebbero stati versati nel tempo i pagamenti.
In 9 anni, Filippo Penati avrebbe ricevuto tangenti per 4 miliardi di lire, pari a 2 milioni di euro.
Oltre alle presunte tangenti sull’area Falck, altre ne sarebbero emerse nell’intervento edilizio sulla Ercole Marelli e sulla gestione del Servizio integrato trasporti Alto Milanese. Emergerebbero inoltre collegamenti con la vicenda del quartiere Santa Giulia a Milano, un’altra area industriale riqualificata a edilizia residenziale.
Va detto che Pasini è stato il candidato sindaco del Pdl contro Oldrini.
Il quadro, riassunto nel decreto di perquisizione, racconta di mazzette (solo promesse o addirittura pagate) circolate tra il 2001 e il 2010 per oliare il rilascio di concessioni o per riscrivere secondo criteri decisi a tavolino il documento che regola l’urbanistica del comune di Sesto. Comune di cui Penati è stato sindaco dal 1994 al 2001.
Mentre fino al 2004 è stato segretario della fedeazione provinciale milanese dei Democratici. Quindi è stato eletto presidente della Provincia dal 2004 al 2009.
L’area finita sotto la lente degli investigatori riguarda buona parte delle zone ancora occupata dai padiglioni industriali.
L’area in questione ha una lunga storia di compravendite.
I lotti di proprietà  della Falck a fine anni Novanta vengono, infatti, acquistati da Giuseppe Pasini, il cui gruppo però fallisce.
Nel marzo 2005 La Risanamento, società  del gruppo Zunino, si impegna ad acquisire, per 88 milioni di euro, il 100% di Immobiliare Cascina Rubina, azienda del Gruppo Pasini e proprietaria dell’area ex Falck.
L’operazione, secondo la società  (poi coinvolta nell’inchiesta sulla bonifica di Santa Giulia) dovrebbe permette alla società  immobiliare di inserire nel proprio portafoglio un’area industriale dismessa dall’estensione di 1.300.000 metri quadrati sita nel comune di Sesto San Giovanni dove sorgevano, un tempo, le Acciaierie Falck.
Nel 2010 l’area passa ufficialmente di mano.
Dopo un mese di rinvii tecnici, Risanamento chiude l’operazione, vendendo l’asset di Sesto San Giovanni (Milano) alla cordata Sesto Immobiliare, capitanata dal costruttore Davide Bizzi.
E all’orizzonte si intravede l’apertura, entro il 2013, del più grande cantiere d’Europa.
A sbloccare la vendita da 405 milioni di euro.
In quell’anno la cordata di Bizzi versa l’85% del prezzo complessivo, vale a dire 345 milioni: di cui circa 274 milioni attraverso l’accollo del debito di Cascina Rubina nei confronti di Intesa Sanpaolo (circa 274 mln) e la restante parte in ‘cash’ (71 milioni).
Gli altri 60 milioni verrano pagati dopo aver ottenuto le approvazioni, rispettivamente, al programma di intervento da parte del Comune di Sesto San Giovanni e al progetto definitivo di bonifica dal Ministero dell’Ambiente.
Seguendo, però, la linea tracciata dagli investigatori il nodo dell’inchiesta si gioca tutto a cavallo del 2000, quando lo stesso Penati è ancora sindaco e nel momento in cui, acquistate le aree, il gruppo Pasini progetto la riqualificazione poi abortita a causa del fallimento della società . Attualmente Giuseppe Pasini è consigliere comunale.
Nel 2007 ha corso per la poltrona di sindaco.
Tutto ruota intorno alla storica area industriale Falck, dove agli inizi del secolo scorso iniziò lo sviluppo dell’industria siderurgica e che oggi è oggetto di un’importante operazione di riconversione.
Per il pm Walter Mapelli sussistono «gravi indizi di colpevolezza» a carico di Penati e di Vimercati.
Indizi che provengono dalle dichiarazioni dei coindagati, da testimoni e da parti offese, nonchè dalle rogatorie eseguite all’estero e da documenti acquisiti durante precedenti perquisizioni, anche alla sede della Caronte srl. Secondo gli investigatori, gli indagati non si sarebbero mai fatti pagare in contanti, ma estero su estero, attraverso la costituzione di società  intestate a prestanome a cui sarebbero stati versati nel tempo i pagamenti.
In 9 anni, Filippo Penati avrebbe ricevuto tangenti per 4 miliardi di lire, pari a 2 milioni di euro.

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