Luglio 25th, 2011 Riccardo Fucile RISOTTO CON ROMBO A 3,34 EURO, CARPACCIO DI FILETTO A 2,76 EURO, DOLCE A 1,74 EURO: I PRIVILEGI DELLA CASTA….PER NON PARLARE DI MUTUI SUPERAGEVOLATI, TERME E MASSAGGI A SPESE DEL CONTRIBUENTE
Carlo Monai, il deputato dell’Idv che ha deciso di raccontare tutti i privilegi della Casta, continua a stupirci.
Racconta che a Montecitorio e Palazzo Madama arrivano ogni giorno inviti per mostre, happening vari, sfilate di moda.
Il cibo si paga? «Dipende. Il bar della bouvette è in linea con i prezzi di mercato. Il ristorante, invece, no. Ci costa in media 15 euro, ma la tavola è apparecchiata come un tre stelle Michelin, i camerieri sono in livrea, lo chef è bravo e prepara piatti di grande qualità . Io cerco di non appesantirmi, e ci vado raramente. L’unico appunto», chiosa sorridendo, «riguarda la cantina: ci sono ottimi vini, ma nessuna bottiglia friulana».
Al Senato si può mangiare uno spaghetto alle alici a 1,60 euro, un carpaccio di filetto a 2,76 euro, un pescespada alla griglia a 3,55 euro.
Prezzi ridicoli. «Anche in consiglio regionale c’era un buon self service. Primo, secondo, caffè e frutta a 10 euro».
Pure uno shampoo costa poco: la nostra guida è un frequentatore della mitica barberia della Camera, dove un taglio costa 18 euro (al Senato, invece, è gratis).
«In questo caso, credo che sia un servizio da conservare: consente al parlamentare di avere sempre un aspetto dignitoso, anche quando arriva il martedì con i capelli spettinati».
Ma i servizi dedicati ai politici non finiscono qui.
Dentro Montecitorio c’è uno sportello del Banco di Napoli, diventato famoso perchè il consigliere Marco Milanese ha movimentato, su un conto dell’agenzia Montecitorio, qualcosa come 1,8 milioni di euro in pochi anni.
Non è il solo ad aver aperto un conto lì, visto che gli onorevoli possono approfittare di tassi agevolati per mutui e prestiti.
Precisa Monai: «Molti usano la diaria non per affittare la casa a Roma, ma per comprarla. L’importante è essere rieletti. Per un mutuo di 150 mila euro a cinque anni il tasso fisso è appena del 2,99 per cento, uno o due punti sotto quello di mercato. Idem per un prestito: possiamo avere un tasso agevolato al 2-3 per cento».
Anche le prestazioni sanitarie sono rimborsate: Monai dopo un incidente in cui ha distrutto una Mercedes ha ottenuto il rimborso di 580 euro di massaggi, e ammette che il Parlamento gli paga cinque giorni di cure termali l’anno.
I radicali hanno scoperto altri benefit: occhiali gratis, psicoterapia pagata, massaggi shiatsu, balneoterapia.
Tutti servizi destinati a oltre 5.500 persone, tra deputati e familiari.
Alla Camera, poi, non si chiama mai il 118: ci sono anche alcuni infermieri nascosti tra gli scranni dell’Aula adibiti a “rianimare” il deputato nel caso si sentisse male. Costano al contribuente 650 mila euro l’anno.
Dopo una vita da nababbo, l’ex parlamentare o il consigliere non viene abbandonato dalla casta.
L’assegno di fine mandato non si nega a nessuno, e il vitalizio scatta per tutti.
Per prendere una pensione bastano cinque anni di mandato alla Camera o al Senato, (in media 6 mila euro a testa al mese), per una spesa che nel 2013 toccherà i 143,2 milioni di euro l’anno.
Tra le Regioni solo l’Emilia-Romagna ha abolito il vitalizio, tutte le altre non ci pensano nemmeno: così nel Lazio può accadere che gli ex e i trombati si prendano 4 mila euro al mese ad appena 55 anni.
Non male, in tempo di crisi.
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso“)
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Luglio 25th, 2011 Riccardo Fucile SARANNO RIDOTTI I BONUS SU RISTRUTTURAZIONI E RISPARMIO ENERGETICO… DAI MUTUI, AI LAVORI E ALLE PROVVIGIONI DEGLI INTERMEDIARI: TUTTI GLI AUMENTI DI TASSE DAL 2013-2014
Non c’è solo il ritorno dell’Irpef sulla prima casa. 
Quella che si profila sul fronte immobiliare somiglia a una vera e propria stangata fiscale, che taglierà tutte le agevolazioni e aumenterà dal 21 al 25,2% la cedolare secca appena introdotta sugli affitti.
Oltre 10 miliardi di euro di sconti fiscali per la casa saranno “alleggeriti” dalla manovra economica.
I tagli arriveranno in due tranches: nel 2013 il 5% in meno, circa 500 milioni di euro; l’anno dopo il 20%: 2 miliardi.
Ce ne sarà per tutti: per chi possiede la casa in cui abita, per chi dà in affitto il proprio immobile, per chi fa lavori di ristrutturazione, e infine per gli stessi inquilini.
Ma procediamo con ordine.
I proprietari di prime case.
Oltre al ritorno dell’Irpef sulla prima casa a partire dai redditi 2013 e 2014, i proprietari subiranno tagli alle agevolazioni, a cominciare da quelle fiscali per l’acquisto della prima casa. Ma sarà ridotta anche la detrazione Irpef per gli interessi passivi sui mutui prima casa (19% su un tetto massimo di spesa di 4 mila euro annui).
Limitata infine la detrazione Irpef per le provvigioni pagate ai mediatori immobiliari per l’acquisto dell’abitazione principale (19% su un importo massimo di mille euro annui).
I proprietari che affittano l’immobile.
Qui è a rischio la novità fiscale del 2011, ovvero la cedolare secca sugli affitti che, da quest’anno, prevede un’imposta unica del 21% sugli affitti relativi a contratti di locazione di immobili ad uso abitativo (19% per i contratti agevolati che prevedono un affitto inferiore a quello di mercato).
Ebbene, con il taglio alle agevolazioni, la cedolare salirà a regime dal 21 al 25,2 per cento. Immediata la richiesta di chiarimenti di Confedilizia, secondo cui a questo punto rischiano di cambiare di nuovo le convenienze fiscali dei proprietari.
A rischio anche la deduzione forfetaria del 15% sui redditi da locazione che viene riconosciuta ai proprietari a fronte dei costi sostenuti per l’immobile (manutenzione, imposte, ecc.) e l’ulteriore deduzione del 30% ai proprietari che affittano con canone concordato.
I proprietari che fanno lavori in casa.
Qui entra in gioco il ricorso agli sconti Irpef sulle ristrutturazioni e sui lavori di risparmio energetico.
Due misure particolarmente amate dagli italiane e che vengono di solito rinnovate di anno in anno.
Ebbene, il bonus del 36% sui lavori di recupero edilizio si ridurrà al 28,8, mentre quello del 55% su interventi mirati al risparmio energetico calerà al 44 per cento.
Gli inquilini.
Anche le detrazioni fiscali previste per gli inquilini a sostegno del costo dell’affitto di casa saranno investite dal taglio del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014.
Si va dalla detrazione di 300 e 150 euro per l’affitto dell’abitazione principale, alla detrazione triennale di 991,60 euro per i giovani inquilini tra i 20 e i 30 anni, per passare, poi, ai 495,80 euro e ai 247,90 euro per i contribuenti intestatari di contratti con affitto concordato.
A rischio anche le detrazioni per i lavoratori dipendenti che abbiano trasferito la residenza nel comune di lavoro (991,60 e 495,80 euro per i primi tre anni).
Rosa Serrano
(da “La Repubblica“)
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Luglio 25th, 2011 Riccardo Fucile “NAPOLITANO NON AVALLERA’ MAI RIBALTONI”…IMPASSE SUL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA: PER LA SUCCESSIONE DI ALFANO SALE DONATO BRUNO
Il Cavaliere ha letto l’intervista di Gianfranco Fini a Repubblica, quella disponibilità del Terzo polo a votare un governo guidato da Roberto Maroni, e ha tirato un sospiro di sollievo. “Berlusconi ritiene che Fini – spiega un dirigente del Pdl in contatto con villa Certosa – abbia fatto uscire Maroni allo scoperto. L’ha costretto a smentire brutalmente ogni velleità di ribaltone e così ci ha fatto un favore”.
La relativa sicurezza con cui il premier guarda ai prossimi appuntamenti parlamentari, al di là delle parole di Fini su Maroni, poggia inoltre sulla convinzione che il Quirinale, in questa fase, sia un guardiano molto attento alla stabilità dell’esecutivo.
“Napolitano – ha riferito Berlusconi la scorsa settimana, dopo l’ultimo colloquio con il capo dello Stato – non avallerà mai manovre di palazzo che possano mettere a rischio l’Italia e la collocazione dei titoli di Stato. Se le agenzie di rating fiutano il sangue per noi è finita e questo sul Colle lo sanno bene”.
Sperando che non si verifichi l’annunciata ondata di richieste di arresto alle Camere, il premier conta quindi di traghettarsi almeno alla fine dell’anno.
Proprio per evitare incomprensioni con Napolitano, alla vigilia della sua partenza per le vacanze, il Cavaliere sta calibrando altre due mosse per andargli incontro.
La prima riguarda il “processo lungo”, alias ddl Lussana, in dirittura d’arrivo al Senato, la seconda la difficile scelta del Guardasigilli.
Se fino a venerdì sera sembrava del tutto certo che proprio nel “processo lungo” sarebbe stata inserita anche la norma battezzata blocca-Ruby, quella che obbliga il giudice a sospendere il processo in presenza di un conflitto di attribuzione pendente, da ieri l’indicazione è esattamente opposta.
In Sardegna ne ha riparlato con Berlusconi il consigliere giuridico e suo avvocato Niccolò Ghedini per farlo riflettere e spingere sul freno.
Il ragionamento dell’avvocato del premier sarebbe stato questo: ormai siamo troppo avanti, tempo qualche mese e si saprà cosa decide la Corte, rischiamo uno scontro politico, senza risultati significativi dal punto di vista giudiziario.
E poi proprio il Quirinale non vedrebbe di buon occhio la norma che limita l’autonomia del giudice nel decidere se fermare oppure no il processo.
Non bastasse questo, anche dal fronte leghista sarebbero arrivato un nuovo invito alla prudenza. Del tipo: non possiamo mandare in carcere Papa e poi votare una norma che viene letta in chiave pro-Cavaliere.
Ma non c’è solo la frenata sulla blocca-Ruby a riempire i conversari tra Berlusconi e Ghedini. C’è anche l’ormai inevitabile stretta sul nome del Guardasigilli.
Che ufficialmente dovrebbe essere scelto domani, in un incontro del vertice pidiellino a via del Plebiscito.
Anche su questo il presidente del Consiglio sta cercando di non contrariare il Colle, ben sapendo quanto tenga al pedigree di chi occupa la poltrona di via Arenula.
Per certo vuole evitare diatribe tipo quelle avute in passato su Brancher o su Romano.
In queste ore si starebbe ragionando su due nomi, il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta e il sottosegretario all’Interno Francesco Nitto Palma.
Ma entrambi hanno una controindicazione.
Il primo è già nell’esecutivo e Napolitano ha detto proprio allo stesso Berlusconi che non è questo il tempo per complicati giri di valzer.
Il secondo, nel ’99 quando era applicato a Reggio Calabria dalla procura nazionale antimafia, è stato testimone di nozze dell’attuale presidente dell’Anm Luca Palamara.
Per carità , un caso, ma che può pesare in questa delicata fase dei rapporti tra politica e giustizia. Alla fine potrebbe risultare vincente Donato Bruno, attuale presidente della commissione Affari costituzionali della Camera.
Intanto, sempre sul terreno della giustizia, dopo il colpo portato da Roberto Maroni su Alfonso Papa, il prossimo a smarcarsi potrebbe essere Gianni Alemanno.
Il sindaco di Roma avrebbe infatti scelto, dopo la polemica contro la Lega, proprio la questione morale come il terreno più adatto per ritrovare una centralità nel dibattito politico e far dimenticare le vicende di parentopoli.
Ieri, nel lungo incontro a porte chiuse della Fondazione Nuova Italia, Alemanno ha iniziato a impostare la nuova strategia, chiedendo ai suoi di sostenere Alfano a patto che il segretario del Pdl porti davvero avanti “la rivoluzione” annunciata, a partire dal “partito degli onesti”.
Quanto al ministro dell’Interno, dopo l’offensiva dei giorni scorsi adesso ha deciso di fermarsi per un po’.
“Prima di fare altre mosse – spiega uno dei suoi – vuole prendere il controllo del partito attraverso i congressi della Lega in Veneto e in Lombardia
Francesco Bei e Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Luglio 25th, 2011 Riccardo Fucile TRASFERTA PADANA CON RETENZIONE DELLE VIE URINARIE…ALLA PRESENZA DEL CAPOCOMICO, TRAVESTITO DA ROCKY ROBERTS, CHE SI FA ATTENDERE DUE ORE COME LE ROCKSTAR, INAUGURATI TRE PICCOLI UFFICI SENZA CESSI
Sarà pure la “realizzazione di un sogno”, come l’ha definita Roberto Calderoli,
ma l’inaugurazione degli uffici di quattro ministeri a Monza, è stata una “pagliacciata”, per usare la definizione più gettonata della giornata di ieri.
La cerimonia è cominciata con due ore di ritardo ed è durata due minuti.
Dopo la ferrea selezione all’ingresso, superata solo da camicie e fazzoletti verdi, nonostante “siano ministeri della Repubblica” come ha gridato un consigliere comunale del Pd a cui è stato vietato l’ingresso, circa duecento persone hanno aspettato sotto il sole.
Almeno cinquanta tra poliziotti e carabinieri, una sessantina di invitati, persino gli esponenti locali del Carroccio.
Tutti in attesa del ritardatario senatùr. Che arriva solo alle 13.30.
Fuori dai cancelli è accolto dal coro “buffone vai a lavorare” di un centinaio di manifestanti, e dal grido di un fotografo che, vedendo i nuovi occhiali scuri sfoggiati dal senatùr a seguito di un’operazione alla cataratta, gli urla “Rocky Roberts!” per farlo girare.
Superato l’ingresso trova il suo più rassicurante popolo verde.
Umberto Bossi scende dall’auto con Giulio Tremonti e viene accompagnato davanti al microfono dalla fedelissima Rosy Mauro, tra i “finalmente” sussurrati da molti.
C’è chi non l’aspetta.
Come il coordinatore lombardo Giancarlo Giorgetti. “Vado da mia figlia”, dice.
E Giorgetti non si perde un gran discorso.
“Corrieraccio”, esordisce Bossi prendendosela con il cronista del quotidiano di via Solferino che, secondo lui, “ha preso una piega sbagliata, verso sinistra. Ci rompete le balle”, ha insistito al microfono , “non ci vedo bene ora ma il pugno funziona sempre”.
Poi ha estratto dalla tasca una mazzetta di banconote: “Allo Stato non costa niente questa sede, le scrivanie le abbiamo pagate noi”.
Infine, nel siparietto ministeriale, Bossi ha coinvolto anche l’austero, per l’occasione in pantaloni verdi, Tremonti: “Quando si tratta dei suoi soldi – ha detto riferendosi al titolare di via XX Settembre – è sempre una tragedia; una volta siamo riusciti a fargli pagare una cena e lui ha fotografato il momento”.
E gli uffici di Monza? “Sono una cosa buona, si è aggregata anche la rossa”.
La rossa è Michela Vittoria Brambilla, cioè il ministro del Turismo, che si è presentata a Villa Reale per prima , alle undici del mattino, e ha scoperto di essere stata dimenticata: in bella vista ci sono soltanto le targhe dei dicasteri di Calderoli (Semplificazione), Tremonti (Economia) e Bossi (Riforme).
Del suo neanche l’ombra. Così si attacca al telefono.
Ma riesce a farsela portare soltanto poco prima delle 16, quando ormai fotografi e telecamere sono andati.
Brambilla è ancora al telefono quando Calderoli, in una visita guidata nei cento metri di uffici, spiega che “manca ancora la scrivania e il computer della rossa”.
È il ministro per la Semplificazione che finalmente spiega a cosa servono questi decentramenti: “Un pensatoio”, risponde serioso.
Poi aggiunge: “Dal primo settembre saremo operativi, realizzeremo uno sportello del cittadino dove qualunque cittadino abbia un problema con Roma può venire a cercare di risolverlo qui senza che debba fare dei viaggi della speranza”.
Come se arrivare qui fosse semplice.
L’asse Monza-Milano è uno dei più trafficati del capoluogo lombardo.
Gli uffici sono in un’ala di Palazzo Reale distante da ogni servizio pubblico.
Mancano persino i bagni. “Li faremo”, garantisce Calderoli.
“È un sogno”, dice lui.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 25th, 2011 Riccardo Fucile L’EX SINDACO DI MILANO ROMPE IL SILENZIO DOPO 50 GIORNI DALLE ELEZIONI MILANESI: “AVVERTO UN DISAGIO PROFONDO”…”SI E’ SMARRITO IL SIGNIFICATO VERO DI POLITICA AL SERVIZIO DEL CITTADINO”…”LA MANOVRA ECONOMICA NON RISPONDE ALLA DOMANDA CHE SALE DAL PAESE”
Un mese e mezzo dopo aver lasciato Palazzo Marino, Letizia Moratti rompe il silenzio.
«La manovra del governo è rigorosa. È stata approvata da Bruxelles. Ma non risponde alla domanda, che sale dal Paese, di una nuova etica politica. Non si possono chiedere ai cittadini sacrifici durissimi, senza fare sacrifici a propria volta. Non si possono tassare i pensionati, senza tagliare i costi della politica: gli emolumenti dei parlamentari, ma soprattutto le inefficienze della macchina amministrativa dello Stato, che costituiscono il maggior impedimento allo sviluppo del Paese. Questo mi induce oggi a riflettere sulla scelta che ho fatto due anni fa di entrare nel Pdl. Avverto un disagio profondo: non so più se la mia idea di politica, di una politica eticamente fondata, corrisponda ancora alla politica che pare aver smarrito il significato vero di servizio ai cittadini».
Letizia Moratti, sta pensando di lasciare la politica, o il suo partito?
Di certo non lascio la politica. Non voglio comunque fare passi affrettati in un momento in cui verrebbero strumentalizzati per alimentare una polemica tra schieramenti che non produce riflessioni e chiarimenti profondi. È una scelta difficile perchè mi sento stretta nella tenaglia tra una politica egoista, che difende privilegi e poteri, e una politica demagogica che cavalca il vento dell’opinione pubblica ma non affronta i nodi del sistema. Il mio impegno continua, nel solco del riformismo liberale e della solidarietà espressa nella dottrina sociale della Chiesa. Trovo però sempre più difficile riconoscermi in un partito che non ha saputo fare le scelte di libertà e di equità che il Paese chiedeva.
Quali colpe imputa al Pdl?
La questione non riguarda solo il Pdl. Anche l’opposizione ha le sue colpe: nei momenti cruciali si è limitata ad astenersi e non ha mai fatto proposte concrete per il rinnovamento e la crescita del Paese. Ma la responsabilità della manovra è del partito di maggioranza. Il vero ostacolo alla crescita è questa resistenza al cambiamento. Purtroppo, l’impulso al cambiamento che era venuto dal governo Berlusconi del 2001, e prima ancora dai governi di centrosinistra, oggi sembra perduto».
Il Pdl si è appena dato un nuovo segretario, Alfano.
Sarebbe ingiusto, prematuro, non corretto dare giudizi su chi si accinge a operare in un ruolo delicato. Massima apertura e rispetto. Ma il Pdl deve tornare alle radici. Alle forze del Partito popolare europeo. All’idea di libertà , di responsabilità individuale. Io seguirò con attenzione il nuovo cammino del partito. E ne trarrò le conseguenze.
Lei ha parlato di questo con Berlusconi?
Sì. Ne ho parlato in passato, con Berlusconi e con Tremonti, e anche negli ultimi giorni. Ho espresso la mia convinzione che si debba andare oltre la politica dei tagli lineari, verso la spending review , un’autentica riforma della spesa pubblica. Invece si va nella direzione opposta. Si è ridotto al minimo lo scarto tra Comuni virtuosi e Comuni non virtuosi, riducendo sia la premialità per chi ha i bilanci in ordine sia le penalizzazioni per chi non li ha. La revisione e ristrutturazione della spesa pubblica erano state avviate dal governo Berlusconi nel 2001, ma sono state interrotte. Anche il cammino del federalismo fiscale è rimasto incompiuto. Manca la cultura dell’efficienza e del merito. Manca una forte motivazione etica.
Non crede che anche il tono della campagna elettorale e il clima da scontro finale con la magistratura spieghino il calo del Pdl, in particolare a Milano?
A Milano, caso unico in Italia, il Pdl non è calato. Sommando i voti del partito a quelli della lista civica a me vicina, si arriva a quota 186 mila. Più che alle Regionali 2010, sui livelli delle Provinciali 2009».
Ma per la prima volta il centrodestra ha perso il Comune.
E anche da questo si devono trarre riflessioni. È sempre doveroso riflettere sulle sconfitte.
Non crede che la strategia di Berlusconi abbia disorientato molti moderati?
Il momento imporrebbe di operare per una maggiore coesione nel Paese, come ha più volte chiesto il presidente Napolitano. Non voglio fare polemiche sul passato. Metto in guardia su un pericolo: per chiedere i sacrifici ai cittadini occorrono consenso e credibilità . Rinviando i tagli della politica, non si hanno nè l’uno, nè l’altra.
Quali tagli propone?
Se anche tutti i parlamentari si riducessero lo stipendio del 10 per cento, avvicinandosi alle medie europee, sarebbe un fatto poco più che simbolico. Bisogna agire su proposte di riforma molto più forti, che devono essere realizzate subito. Per esempio, la riduzione del numero dei parlamentari. La drastica riduzione, se non abolizione, delle Province; difese anche dal Pd, affezionato a privilegi e clientele. Il rilancio del progetto delle città metropolitane, cui all’Anci avevamo lavorato con il ministro Maroni. Il federalismo fiscale, con il meccanismo del fabbisogno standard, che introdurrebbe principi di maggiore qualità e minori costi nei servizi ai cittadini. Sulla sussidiarietà , sul trasferimento di funzioni ai privati, lavorano il governo britannico, quello tedesco, persino Obama. E il nostro? Tra il ’92 e il 2000, con i governi Amato, Ciampi, Prodi, D’Alema, i costi della macchina amministrativa erano scesi di due punti di Pil. Segno che riformare è possibile.
Che effetto le ha fatto il caso Penati?
I giudizi si danno alla fine. Mi sembra però la conseguenza di un allontanamento dallo spirito di servizio che dovrebbe sempre animare la politica. È quello che bisogna ritrovare.
E il caso Milanese?
Idem. Dobbiamo essere più rigorosi possibile, quando è in gioco l’etica politica.
L’etica è un problema anche per il Pdl?
Certo. L’ultima manovra è il risultato di una politica che ha perso il senso etico. Da qui il mio disagio. Ma in gioco c’è molto di più. In tutto l’Occidente si avverte la necessità di ritrovare una cultura del limite e il compito spetta prima di tutto alle classi dirigente.
Pensa che la leadership di Berlusconi possa avere un futuro? O è finita?
È finito il tempo di questa politica. Una politica che non è capace di coniugare rigore e crescita, che chiede sacrifici ai cittadini ma non li sa imporre a se stessa.
Il Pdl paga anche il fatto di aver lasciato troppo spazio alla Lega?
Il Pdl deve recuperare la cultura dei popolari e dei liberali europei, che tutela i più deboli e non le rendite di posizione, che propugna una big society , come quella di Cameron.
Il Pdl ha abbandonato questa via perchè troppo forte è stato il condizionamento della Lega?
Può darsi.
Il Pdl deve tenere un dialogo più stretto con mondi attorno a cui potrebbe ritrovarsi, i moderati, i cattolici?
Personalmente, ne sono convinta.
Ma dove immagina il suo futuro? Dopo Berlusconi, saranno altri leader e altri partiti a rappresentare i ceti moderati?
Il mio impegno politico sarà indirizzato al dialogo con tutte le forze che intendono lavorare su una piattaforma programmatica davvero riformista, liberale e solidale. Le mie critiche vogliono ancora essere un contributo costruttivo al rinnovamento del Pdl. Mi auguro sinceramente che il Pdl possa mettersi alla guida di questo necessario cambiamento.
Se non lo fa?
Se non lo fa il Pdl, lo faranno altre forze. I vuoti politici vengono sempre colmati.
Aldo Cazzullo
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 25th, 2011 Riccardo Fucile LO STRANO CASO DI UNA SOCIETA’ ESTROMESSA DALLA RACCOLTA DEI RIFIUTI IN CAMPANIA CHE ORA GESTIRA’ LA MONNEZZA SPEDITA IN TOSCANA… UN’INFORMATIVA DELLA PREFETTURA DI VENEZIA PARLA DI CONTIGUITA’ CON I FRATELLI GRAVIANO, L’EX AMMINISTRATORE E’ FINITO IN CARCERE E IL PATRON GAVIOLI E’ INDAGATO
La saga dei rifiuti non ha fine e nella galassia di inchieste, soldi sprecati e
arresti c’è anche la vicenda di una società estromessa dalla raccolta dei rifiuti a Napoli, ma che ritorna protagonista come socio privato di un’azienda mista che si occupa di smaltire, in Toscana, il pattume campano.
Enerambiente, società veneziana del patron Stefano Gavioli, ha lavorato per l’Asia, la società del comune di Napoli, fino al novembre 2010, quando ha ricevuto un’informativa atipica, una misura di prevenzione antimafia, dalla prefettura di Venezia nella quale si manifestavano vicinanze sospette dell’ex amministratore delegato Giovanni Faggiano e dello stesso Gavioli. La presenza a Napoli di Enerambiente,oggi in liquidazione, e i suoi rapporti con Asia, sono al centro di diverse inchieste della procura partenopea e del pool di magistrati, coordinati dall’aggiunto Giovanni Melillo.
Pochi giorni fa sono scattati altri due arresti.
In manette, per corruzione ed estorsione, sono finiti Faggiano e Corrado Cigliano, il primo ex ad di Enerambiente, il secondo ex capocantiere a Napoli della società veneziana e fratello di Dario, ex consigliere provinciale Pdl, anche lui coinvolto a diverso titolo in una precedente operazione.
L’accusa è quella di aver preteso soldi non dovuti e posti di lavoro dai responsabili delle ditte (Davideco e Cooperativa San Marco) a cui affidavano il subappalto.
Tra gli indagati in un altro filone dell’indagine c’è anche Stefano Gavioli.
Proprio Gavioli con la sua Enerambiente è consigliere nel cda di Rea, Rosignano energia ambiente.
Una società con sede a Rosignano, in provincia di Livorno, che si occupa di rifiuti e che sta smaltendo quelli provenienti da Napoli.
Fino ad oggi sono circa 9 mila le tonnellate raccolte dalla ditta livornese con un costo per la Sapna, la società provinciale di Napoli, di oltre un milione di euro.
Ora sono in arrivo altre 5 mila tonnellate dopo l’accordo tra le regioni siglato nei giorni scorsi. Insomma la Enerambiente uscita dalla porta nella raccolta del pattume partenopeo si trova ad essere socio privato dell’azienda mista che cura lo smaltimento dei rifiuti campani nella discarica livornese di Scapigliato.
La Rea è una società mista pubblico-privata con il comune di Rosignano capofila con una quota del 45% e due soci privati, tra cui Enerambiente (nata dalle ceneri di Slia di Manlio Cerroni) è al 24%.
Oltre a Stefano Gavioli, nel consiglio di amministrazione siede anche la sorella Maria Chiara. “ Enerambiente è un socio finanziatore, ma non operativo — precisa Massimiliano Monti, direttore generale della Rea — i rifiuti provenienti da Napoli vengono controllati e usiamo tutto personale in capo alla nostra azienda e non dei privati”.
Ma in caso di utili il patron Gavioli parteciperebbe alla spartizione.
Di certo risulta ingombrante la presenza della società veneziana. Un anno fa fu bocciata l’idea di acquisirne la quota perchè Enerambiente chiese una cifra intorno agli 8 milioni di euro.
Nel luglio 2010 Giovanni Faggiano si dimise da consigliere di Rea dopo ripetute richieste a seguito della condanna per corruzione aggravata in primo grado subita.
Nonostante l’assoluzione in secondo grado, restano i pesanti rapporti con uomini vicini al crimine organizzato, evidenziati nell’informativa atipica spiccata dalla prefettura di Venezia, lo scorso ottobre.
Nell’informativa della prefettura di Venezia, si parlava anche di Gavioli, il patron di Enerambiente, che resta consigliere di Rea: “ Sono stati accertati rapporti — si legge — di dubbia natura tra Gavioli Stefano, attuale amministratore unico e precedentemente presidente del Cda di Enerambiente Spa, e Zito Angelo, soggetto legato al crimine organizzato, condannato per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso e arrestato nell’ambito di una operazione della Dia di Palermo con l’accusa di riciclaggio del denaro di pertinenza del clan mafioso riconducibile ai fratelli Graviano”.
Un’informativa atipica, quella della prefettura di Venezia, a carico di Enerambiente che condusse il comune di Napoli a revocare l’appalto nel novembre scorso, stesso dicasi per alcuni comuni foggiani (come Sannicandro Garganico) dove Enerambiente aveva vinto l’appalto per la gestione dei rifiuti.
Nel caso Rea, Enerambiente è socio privato di una spa. Il sindaco di Rosignano Alessandro Franchi, però, promette: “Chiederemo nella prossima assemblea dei soci che nel futuro cda, vicino al rinnovo, siano presenti solo persone che abbiano un profilo specchiato senza problemi con la magistratura”.
Sulla vicenda Rea-Enerambiente si è prodotta anche una spaccatura nel Pd che guida la giunta, con l’uscita del gruppo consiliare Rosignano democratica che chiede chiarezza e l’estromissione della società veneziana.
Nell’ordinanza che ha portato in carcere Faggiano, il gip Isabella Iaselli parla anche di Gavioli: “ Sono da accertare i rapporti con il Gavioli che per ben cinque anni non ha mai avuto nulla da ridire sulla condotta del suo più fidato collaboratore che tuttavia aveva già negli anni 2008 e 2009 emesso fatture per importi rilevanti per prestazioni mai eseguite, oltre ad aumentare in maniera irragionevole lo stipendio per sè e per la sua collaboratrice”.
Sia Faggiano che Gavioli respingono ogni addebito.
Sui rifiuti di Napoli c’è un altro caso che fa discutere quello della società Adiletta logistica Scarl di Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, che cura il trasporto del pattume campano verso la Sicilia.
I proprietari sono vicini al gruppo del Pdl locale, proprio nel piazzale dell’azienda si tenne l’incontro elettorale con Adriano Bellocosa, candidato a sindaco dei berlusconiani a Nocera Inferiore.
Uno dei proprietari della ditta, Mario Adiletta, già protagonista di altre vicende giudiziarie in passato, è coinvolto in una inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Firenze.
Per lui il Gip dispose i domiciliari, nel novembre scorso, in un’operazione contro una presunta associazione a delinquere dedita al traffico internazionale di macchinari rubati, con l’aggravante di aver favorito un clan di camorra.
Adiletta viene ritenuto contiguo alla criminalità organizzata campana secondo il racconto di due pentiti e i riscontri emersi dalle indagini dei carabinieri.
Accuse che i suoi legali respingono, pronti a dimostrare l’estraneità dell’assistito a ogni accusa.
Al momento, nonostante il coinvolgimento nell’inchiesta fiorentina e i presunti rapporti con i clan, non ci sono stop prefettizi per la Adiletta e per la San Marino, azienda collegata al gruppo.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 25th, 2011 Riccardo Fucile IMPRENDITORI IN FILA PER ACCUSARE IL DIRIGENTE PD… A META’ NOVEMBRE PENATI SI ERA DIMESSO DA INCARICHI NAZIONALI, FORSE AVENDO SENTORE DELLE INDAGINI IN CORSO…IL GIRO DI MAZZETTE CON POCHI TESTIMONI
Per capire dove sta portando l’inchiesta sulle presunte tangenti rosse di Filippo Penati a Sesto San Giovanni conviene partire da un dato.
Un imprenditore si è preso la briga di fare una stima, e basandosi sulla sua esperienza diretta e indiretta ha calcolato che negli ultimi dieci anni il sistema delle imprese della ex Stalingrado d’Italia potrebbe aver prodotto un flusso di finanziamento parallelo per i partiti di 80 milioni di euro.
I costi della politica sono quelli che sono.
E adesso qualcuno comincia a chiedersi quali siano state le vere ragioni delle dimissioni di Filippo Penati da capo della segreteria politica del Pd, cioè braccio destro di Pierluigi Bersani, lo scorso mese di novembre.
Una vicenda singolare, a riguardarla bene.
A metà novembre, quando Giuliano Pisapia vince le primarie per la candidatura a sindaco di Milano sconfiggendo clamorosamente il candidato del Pd Stefano Boeri, Penati, uomo forte del Pd lombardo, prima fa finta di nulla, mentre i vertici regionali del partito si dimettono (sia pure per poche ore).
Poi, dopo un paio di giorni e un perentorio invito della dalemiana Velina Rossa, dà l’annuncio: “Credo che sia necessaria una mia assunzione di responsabilità ”.
C’è un’apparente stranezza: per aver toppato le primarie di Milano Penati si punisce, come Muzio Scevola, rinunciando all’incarico nazionale e annunciando che concentrerà tutti i suoi sforzi su Milano.
Avrebbe avuto più logica promettere di occuparsi, da quel giorno, solo di politica estera.
Per questa incongruenza oggi non pochi esponenti del Pd lombardo e nazionale cominciano a sospettare che già a novembre Penati avesse sentore della valanga giudiziaria in arrivo, e per questo potrebbe aver deciso di togliere d’imbarazzo il suo amico ed estimatore Pierluigi Bersani.
Il quale adesso sta silenziosamente approvando il trattamento “mela marcia” per l’ex sindaco di Sesto San Giovanni: “Il Pd non ha mai preso finanziamenti illeciti”, ha assicurato ieri in una nota Antonio Misiani, tesoriere del partito.
Va notato il virtuosismo dialettico.
Il Pd dichiara con nettezza di non aver mai preso mazzette, e addirittura fa sapere di aver scatenato i suoi legali contro “informazioni di stampa ambigue e fuorvianti”, a difesa del “buon nome” (testuale) del partito.
Ma quando si parla di Penati anzichè escludere che abbia preso tangenti, ci si augura che l’interessato chiarisca e riesca a dimostrarsi innocente.
I casi sono due: o il Pd può garantire l’onestà del partito in generale ma non dei suoi singoli esponenti anche di primo piano, oppure Penati è già considerato fuori dal Pd, di cui tornerà a far parte solo dimostrando di essere pulito.
Se invece si scoprisse che ha rubato davvero, è ovvio che lo avrebbe fatto per sè e non per il partito.
L’imbarazzo del Partito democratico è dovuto al fatto che il caso di Sesto San Giovanni è molto più grosso di quanto non si creda.
Davanti al pm di Monza Walter Mapelli prende forma l’immagine di una riedizione di Tangentopoli vent’anni dopo.
Non tanto per le dimensioni e la gravità dei fatti, ancora tenute gelosamente segrete dai magistrati, quanto per il “modello di funzionamento” che decine di testimoni hanno ricostruito davanti a Mapelli.
Il primo accusatore di Penati, l’imprenditore sestese Piero Di Caterina, amico d’infanzia dell’ex sindaco, quando è stato chiamato a dare spiegazioni su alcune fatture sospette (che l’interessato rivendica come perfettamente regolari) ha assunto una posizione pasoliniana: “So, ma non ho le prove”.
Però ha parlato a lungo, ha spiegato perchè è difficile trovare le prove della nuova versione da Terzo millennio della “dazione ambientale”, e poi ha dato ai magistrati la chiave di lettura più preziosa: “Non ne possiamo più di pagare”.
Come vent’anni fa: richieste crescenti, un ceto politico che da una parte mette in ginocchio le imprese con la sua incapacità di decidere e mantenere gli impegni, dall’altra le vessa con pretese sempre più arroganti.
Ha parlato al plurale, Di Caterina, e ha fatto seguire la lista, preziosissima per i pm, di tutti gli imprenditori che come lui ne avevano le tasche piene.
Mapelli li ha chiamati tutti, e li ha trovati divisi in due partiti: quelli che hanno ancora paura, o posizioni da difendere, e hanno finto di cadere dalle nuvole.
E quelli che hanno confermato le accuse di Di Caterina, in certi casi rincarando la dose. Come nel caso dell’ottantenne Giuseppe Pasini, che ha descritto minuziosamente le dazioni di denaro che sembrano, per ora, incastrare Penati.
A parte Pasini, pochi dispongono di prove.
La nuova Tangentopoli è fatta così: scompaiono le buste piene di banconote, compaiono le consulenze all’architetto amico, le fatture incassate dall’impresa di area, il prestito chiesto all’imprenditore amico che se lo fa restituire dal collega concusso.
Un fenomeno pervasivo e nello stesso tempo “soffice”, dicono gli imprenditori ai magistrati. Un sistema in cui bisogna essere amici dei politici, che non praticano l’estorsione, ma chiedono il favore (la sponsorizzazione al convegno, un po’ di pubblicità al giornale locale del partito, l’assunzione di una figlia, il pagamento di una fattura a qualche misteriosa società straniera).
Una mano lava l’altra, tra amici.
E chi decide di dire basta va incontro a guai seri.
Una pratica edilizia da un mese può arrivare a sette-otto mesi, e tu magari perdi l’affare, come è accaduto a Pasini, che doveva costruire la nuova sede di Intesa Sanpaolo e il nuovo centro di produzione di Sky, e sta accusando la giunta comunale di avergli fatto perdere i due affari (e posti di lavoro a Sesto) con lungaggini burocratiche non casuali.
Adesso l’inchiesta si allarga, e punta sui collegamenti nazionali : il volume degli affari di Sesto può produrre finanziamenti superiori alle esigenze della politica locale.
Ma punta anche sui fatti più recenti, che riguardano l’attuale sindaco Giorgio Oldrini. Il quale ha dichiarato ieri di non sapere se è indagato o no, ma di essere certo di non aver commesso niente di penalmente rilevante.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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