Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile I NOBILI PRECEDENTI DELL’APOLOGETA IN CAMICIA VERDE DEL RAZZISMO E DELLA PEDOFILIA…CHISSA’ COME MAI LA LEGA NON PUO’ PERMETTERSI DI ESPELLERLO COME FAREBBE QUALSIASI PARTITO CIVILE
La Stampa, 22.02.1979
In carcere per bancarotta un assessore di Cuorgnè, Giovanni Jaria, e due avvocati
Truffe e strane operazioni finanziarie che hanno per sfondo la fantomatica cooperativa «Aurora» di Borgaro continuano a interessare la magistratura che sta indagando su fatti e misfatti di questa società in cui parecchia gente in buona fede ci ha rimesso i risparmi credendo di poter un giorno diventare proprietaria di un alloggio.
Ieri il giudice istruttore Accordon ha emesso sei mandati; di cattura eseguiti dai carabinieri del reparto operativo.
Sono stati arrestati due avvocati. Veniero Frullano di 50 anni e Mario Borghezio, 32 anni, un assessore di Cuorgnè, Giovanni Jaria, impresario e personaggio pubblico piuttosto «chiacchierato» tanto da essere espulso dal partito socialista in cui militava attivamente. (…)
(…) Esaminando i libri contabili della fallita cooperativa «Aurora» sarebbe emerso che un «buco» di 90 milioni avrebbe avuto la copertura fasulla di fatture emesse dallo Jaria, o meglio dall’impresa «Ice» di cui Jaria era amministratore.
Perchè? L’ Ammassari, factotum della «Aurora», con quelle fatture fittizie avrebbe dimostrato ai soci che la contabilità societaria era perfetta e che i lavori sarebbero cominciati presto.
Tanto è vero che sarebbe riuscito grazie a quelle «credenziali» a far versare altre somme ai soci, soldi finiti poi non si sa bene dove. L’«operazione fatture» sarebbe un’iniziativa dell’Ammassari, conclusa con l’aiuto degli avvocati Borghezio e Frullano che gli avrebbero presentato Giovanni Jaria.
La Stampa, 23.02.1979
Dietro i raggiri della falsa cooperativa l’ombra del delitto di Vauda Canavese?
Tra i cocci della cooperativa «Aurora» di Borgaro. dichiarata fallita nell’autunno scorso, c’è di tutto: truffa, falsi in contabilità , raggiri, «buchi» per decine di milioni, bilanci fasulli, un’estorsione e, domani, forse, la spiegazione di un delitto che pareva destinato alla polvere degli archivi.
Vediamo di riassumere gli ultimi sviluppi della complessa vicenda.
Tra ieri e martedì notte il giudice istruttore Accordon ha interrogato le persone arrestate; gli avvocati civilisti Venicro Frullano e Mario Borghezio; l’impresario ed assessore di Cuorgnè Giovanni Iaria; il suo socio Luigi De Stefano e un commerciante di Vimodrone (Milano), Giovanni Tornaghi, 47 anni.
Costui, in concorso con Alfredo Luca, 50 anni, radiotecnico di Milano, avrebbe tentato un’estorsione a due non meglio specificati soci della «Aurora».
Come? Cercando di farsi consegnare un paio di brillanti del valore di 10 milioni e offrendo in cambio il silenzio sull’imbroglio che Gian Maria Massari farmacista di Borgaro e factotum della cooperativa, ed i suoi più stretti collaboratori, andavano tessendo alle spalle dei «soci». (…)
E c’è di più: da questa fitta ragnatela dovrebbero venire fuori i nomi e le ragioni di un delitto commesso presso Vauda Canavese il 30 agosto scorso.
Quella sera, due contadini scorsero nelle vicinanze di un loro vigneto affiorare dal terreno il braccio di un cadavere sepolto da poco.
La fossa, scavata qualche ora prima, conteneva il corpo di Loris Silvestri, ex cuoco, «giustiziato» con due colpi di pistola alla testa.
C’è il sospetto che il Silvestri avesse ficcato il naso troppo a fondo proprio nelle attività delle società fantasma che pullulavano nella zona, minacciando forse di parlare.
Da qui l’ordine di farlo tacere per sempre.
Esistono collegaimenti tra le indagini che sta svolgendo il magistrato sulla cooperativa di Borgaro. e varie «affiliate», e il delitto di Vauda (la pratica è pure nelle mani del giudice Accordon?)
Lo si saprà forse tra pochi giorni.
La Stampa, 03.05.1980
La cooperativa-truffa a Borgaro Rinviate a giudizio 11 persone
La truffa ai danni di persone che sono alla ricerca di una casa sta diventando sempre più frequente.
Un esempio viene dalla cooperativa fantasma «Aurora», di Borgaro. costituitasi nel marzo del ’77 e dichiarata fallita nel gennaio del ’79.
I soci avevano nel frattempo versato oltre alle 50 mila lire di capitale sociale e alle 250 mila, a titolo di fondo spese, quote pari al 10 per cento del valore degli alloggi vale a dire, dai 2 al 2 milioni e mezzo di lire ciascuno.
Al centro della vicenda, nata da una denuncia dell’ottobre ’78, e i successivi esposti dei soci che avevano ormai intuito la truffa ordita ai loro danni, un gruppo di spregiudicati professionisti, in questi giorni il giudice istruttore Acordon ha chiuso l’inchiesta, chiedendo il rinvio a giudizio davanti al tribunale per undici persone.
Tutte devono rispondere di associazione per delinquere e concorso nella truffa.
Sono: Giuseppe De Vita, 37 anni, ex postino e vicesindaco di Borgaro, socialista come Gian Maria Ammassari, 35 anni, che abbandonò la gestione della farmacia nel paese per darsi alla politica (era segretario del psi della locale sezione) e agli affari; (…) Maria Luisa Aime, 25 anni, di Leinì, impiegata, socia e consigliere d’amministrazione, grazie alla sua amicizia con il farmacista; (…) l’imprenditore edile Giovanni Iaria, 33 anni, che secondo l’accusa forni fatture «di comodo» per un importo di 91 milioni, a titolo di spese per materiale edilizio mai consegnato; gli avvocati Veniero Frullano e Mario Borghezio, che dovevano assistere come legali gli amministratori e parteciparono invece agli utili dell’impresa truffaldina; (…)
Il via alla cooperativa-truffa risale all’inizio del ’77.
Il progetto è allettante: 150 alloggi da tre a cinque vani, prezzi vantaggiosi. L’iniziativa viene sponsorizzata dalla locale sezione socialista (segretario Ammassari, il farmacista) e dal vicesindaco De Vita, intraprendente e conosciuto. I guai cominciano quando i soci, che nel frattempo hanno versato il 10 per cento del valore degli alloggi, chiedono informazioni più precise sull’ubicazione del terreno e sulla concessione da. parte del Comune dell’autorizzazione a costruire.
La verità viene a galla in consiglio comunale quando il sindaco Sola, rispondendo all’interrogazione di un esponente della Democrazia Cristiana, in minoranza nel Comune, rivela che il terreno dell’«Aurora» non esiste. Poi va dal pretore di Ciriè Di Palma che fa partire l’inchiesta.
La Stampa, 18.12.1993
«On. Borghezio, lasci l’Antimafia»
Il caso della cooperativa socialista «Aurora» di Borgaro coinvolge nuovamente Mario Borghezio, oggi deputato e capogruppo della Lega Nord nella Commissione parlamentare antimafia.
Il senatore e il deputato dei Verdi Emilio Molinari e Massimo Scalia e il senatore della Rete Carmine Mancuso, in una lettera, hanno domandato al presidente della commisione Luciano Violante, pidiessino, se il comportamento di Borghezio nella bancarotta della Cooperativa Aurora (e nell’ammanco di 90 milioni) sia compatibile con il suo attuale incarico di commissario dell’Antimafia.
Tanto più che il tribunale condannò assieme a lui (e ad un’altra dozzina di persone) «tal Giovanni Iaria, indagato per legami con la mafia calabrese». (…)
In altre parole i due senatori Verdi e il deputato della Rete sollecitano il presidente dell’Antimafia ad invitare Borghezio a dimettersi.
Ma il deputato della Lega risponde picche: «E’ curioso che questa faccenda ritorni a galla alla vigilia dello scioglimento delle Camere».
Contrattacca: «Siamo di fronte a una chiara manovra anti-Lega, orchestrata per far riemergere quella vecchia storia».
Una storia di ammanchi (dalla cooperativa sparirono 90 milioni) e una «bancarotta fraudolenta» che parevano dimenticati.
Anche perchè, dopo la condanna (due anni) pronunciata dal tribunale nell’84 e confermata in corte d’appello nell’86, la Suprema Corte annullò le sentenze per vizio di forma: i due dibattimenti, a giudizio della Cassazione, si erano tenuti nonostante che il fallimento della cooperativa fosse stato impugnato, quindi non esecutivo.
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Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CITA LA COSTITUZIONE, ROMA CAPITALE E RICORDA L’ART 5 DELLA CARTA…BERLUSCONI PER NON RISCHIARE LA GALERA E’ COMPLICE DI CHI USA IL TRICOLORE COME CARTA IGIENICA
“Napolitano vuol far saltare la tregua siglata con la Lega”.
Il Cavaliere è nero.
L’iniziativa istituzionale del presidente della Repubblica gli ha fatto saltare i nervi, rendendogli ancora più buia una giornata già funestata dal pagamento di 564 milioni alla Cir. e dalla nuova debacle della maggioranza alla Camera.
“Attenzione e rispetto”, secondo Paolo Bonaiuti, sarebbero state le reazioni di palazzo Chigi alla lettera di Napolitano.
“Quello dei ministeri al Nord è un problema superabile”, assicura un altro stretto collaboratore del premier dopo il vertice serale a casa del Cavaliere.
In realtà il capo dello Stato è andato a toccare il punto più sensibile del governo, il difficile equilibrio raggiunto nei giorni scorsi da Berlusconi con il Carroccio dopo il trauma e lo strappo dell’arresto di Alfonso Papa.
È questo la ragione per cui il Cavaliere adesso è preoccupato.
Da una parte la Lega, attraverso Maroni, gli ha già fatto sapere che non accetterà di fare marcia indietro sui ministeri a villa Reale.
Dall’altra il Quirinale si aspetta già oggi una risposta “scritta” ai rilievi giuridici, istituzionali e politici sollevati da Napolitano nella sua lettera.
E Berlusconi dovrà fare i salti mortali per non scontentare nessuno, per dire che i ministeri al Nord sono solo una targa appesa a una porta, senza tuttavia far scattare la rabbia della Lega.
Ma il capo dello Stato si aspetta una risposta seria, all’altezza delle questioni sollevate. Per iscritto nella lettera e a voce con Gianni Letta.
Perchè Napolitano lo ha detto chiaramente a palazzo Chigi, quella mossa di aprire “sedi distaccate di rappresentanza operativa” al Nord (ma anche al Sud, come hanno già annunciato di voler fare ministri e persino sottosegretari) è un non-senso giuridico, va contro la Costituzione e contro le leggi esistenti, a partire da quella su Roma capitale.
E dire che, prima di arrivare alla decisione di spedire la sua missiva, Napolitano le aveva tentate tutte per bloccare l’iniziativa.
In privato, con Umberto Bossi. E anche in pubblico. A metà giugno, per chi avesse voluto intendere, a Verona c’era stato quel richiamo forte all’articolo 5 della Costituzione, quello sull’Italia “una e indivisibile”.
Ancora più esplicitamente, qualche settimana prima di Pontida, si era schierato contro il decentramento del governo perchè “ci sono delle funzioni che non possono essere frammentate”.
E invece niente, Bossi ha insistito e Berlusconi si è piegato.
Oltretutto dando vita a un pasticcio giuridico.
Con alcuni ministri che si sono autostabiliti per decreto il nuovo ufficio, altri che l’hanno aperto senza nemmeno quella pezza d’appoggio.
Un sotterfugio insomma, una decisione presa aggirando la legge.
Insomma, in attesa dei chiarimenti, fra il Quirinale e palazzo Chigi è sceso il gelo.
E a farne le spese è stato Francesco Nitto Palma, il Guardasigilli in pectore, che dovrà adesso attendere ancora prima di poter essere “presentato” ufficialmente al capo dello Stato.
Anzi, nel Pdl c’è già chi affaccia l’ipotesi di cambiare cavallo, ipotizzando una freddezza di Napolitano sull’ex pm amico di Cesare Previti.
Ma, almeno su questo, Berlusconi è deciso a tirare dritto.
“Non possiamo farci commissariare dal capo dello Stato”, ha ripetuto a chi sollevava questa obiezione.
La questione di Nitto Palma s’intreccia con la possibile nomina di un altro ministro, quello delle Politiche comunitarie.
Il premier ha promesso quella poltrona ad Anna Maria Bernini, ma ancora esita, ha paura di sottoporre anche questa richiesta a Napolitano.
“Non vorrei – è il timore espresso dal Cavaliere durante la riunione a via del Plebiscito – che pretendesse un’altra verifica, come quella che ci ha fatto fare in Parlamento dopo l’ingresso di Saverio Romano al governo”.
In ogni caso la scelta ormai è fatta, anche se dentro la componente forzista la Bernini incontra molta ostilità .
Quel posto infatti fa gola a molti sottosegretari.
Così, per non scontentare nessuno, il premier ha chiesto a Ignazio La Russa di andare a dire in giro che la Bernini è in quota An (dunque sarebbe stato La Russa a spingere per lei) e servirebbe a riequilibrare la nomina al governo di un forzista come Nitto Palma.
Sono questi i mille rovelli del Cavaliere, la ragione per cui Lino Banfi l’ha trovato “abbattuto”.
“Sai – ha confidato sconsolato ieri a un amico – quando hanno visto che ero liquido, che potevo pagare De Benedetti, anche i dipendenti del personale di servizio ad Arcore mi hanno tutti chiesto l’aumento”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile CRESCE IL MALUMORE NEL PARTITO DEL PREMIER, MA ANCHE NELLA LEGA EMERGONO DUBBI SULLA SCELTA…LA BERNINI VERSO LE POLITICHE COMUNITARIE
Musi lunghissimi nel Pdl. 
Tra i tanti che, in questi tre anni di legislatura, si sono occupati tutti i giorni di giustizia.
Sorpresa, meraviglia, sconcerto, e alla fine, soprattutto per alcuni, anche fastidio. All’insegna di un “… ma Nitto Palma chi?”.
Le impressioni non cambiano se si passa tra i banchi della Lega.
Dove più di un deputato racconta – non per averlo sentito dire, ma per testimonianza diretta – delle liti, praticamente quotidiane, tra lo spigoloso e altezzoso Francesco Nitto Palma e il ministro dell’Interno Bobo Maroni.
Il Carroccio, dicono gli uomini più vicini al Cavaliere, sarebbe “indifferente” a questa nomina. La verità è che di un Nitto Palma Guardasigilli, dopo che fino al giorno prima è stato sottosegretario al Viminale, avrebbero fatto volentieri a meno.
È un fatto.
Dopo un mese di tam tam sui possibili candidati-aspiranti allo scranno che fu di Palmiro Togliatti adesso si può cogliere, passeggiando in Transatlantico, un senso di delusione.
Tra chi avrebbe potuto avere quel posto prevale, ufficialmente, il savoir faire e l’undestatement. Nessuna dichiarazione. Molti mugugni.
In tubino di sangallo bianco fatale tace Anna Maria Bernini, candidata ormai alle Politiche comunitarie, tant’è che un collega ci scherza e le dice “ma lo sai che in Europa il bianco non va?”.
È silente Donato Bruno, il presidente della commissione Affari costituzionali, che è stato a un passo dall’aggiudicarsi la poltrona di Alfano.
Parlano gli altri, molti deputati basiti da questa scelta.
Che in coro dicono: “Ma è vero? È proprio lui? Uno che per tre anni è stato del tutto assente dal dibattito sulla giustizia? Uno che non ha difeso una sola delle leggi per Berlusconi? Uno che s’è preso il posto di sottosegretario e poi è sparito?”.
Eh già . Ma proprio questo è, adesso, uno dei “meriti” portanti di Nitto Palma.
Ecco come ne descrive le doti, dal suo punto di vista ovviamente, uno degli uomini più vicini a Berlusconi che ha lavorato per questa soluzione: “Innanzitutto non è un ministro. E questo non può che far piacere al Quirinale che nell’ultimo incontro con il presidente del Consiglio aveva chiesto di evitare un giro di valzer che somigliasse troppo a un rimpasto. È un parlamentare. E anche questo aveva chiesto il Colle tracciando un possibile identikit. Ha un buon rapporto con Ghedini. Che lo stima. E col quale potrà discutere serenamente. In questi anni non ha fatto o detto nulla che ha poi generato tensioni e scontri. È un magistrato, ma di quelli con le idee che piacciono a Berlusconi. Si batterà per la separazione delle carriere e del Csm, e sarà importante che a farlo non sia un avvocato o un politico, ma uno che per mestiere porta la toga”. Di Nitto Palma si vuol fare il grimaldello per scatenare contraddizioni tra i magistrati. I quali potrebbero d’ora in avanti avere incertezze prima di pensare a uno sciopero.
I dubbi e la delusione di tanti parlamentari del Pdl che adesso si sentono scavalcati?
A via del Plebiscito lasciano intendere che, alla fin fine, questo potrebbe anche essere un “ministero breve”, inteso di breve durata, e che molti altri non sarebbero stati disponibili per questo incarico.
Nitto Palma, invece, non ha nulla da perdere.
E guadagnerà un ritratto ad olio nel corridoio del secondo piano del ministero, giusto davanti al suo prossimo ufficio.
Man mano che il pomeriggio corre, si fa avanti un’altra notazione tra i berlusconiani di casa a palazzo Grazioli.
Questa: “Avete visto? Stiamo mettendo in imbarazzo il Pd e tutta l’opposizione. Di fronte al nome di Nitto Palma non parla nessuno. Loro, di solito così pronti all’aggressione, questa volta se ne stanno zitti. Incastrati. Contro di lui non c’è una sola dichiarazione contraria. Semplice, ha un curriculum impeccabile. Non ha macchie. Solo boatos. Non sarà facile aggredirlo e lavorare contro questo Guardasigilli”.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile CONSIDERATO COME “L’AMICO DI PREVITI” PER AVER CERCATO DI FAR PASSARE UN EMENDAMENTO PER CONGELARE I PROCESSI DEI PARLAMENTARI…CHIESE L’ARCHIVIAZIONE PER L’INCHIESTA SU GLADIO E SI PRODIGO’ PER LA LEGGE CIRIELLI…ULTIMAMENTE SI ERA BATTUTO CONTRO LA RIDUZIONE DEGLI STIPENDI AI PARLAMENTARI
Se un merito ce l’ha, Francesco Nitto Palma, agli occhi di Berlusconi, è di essere un candidato doc, di provenienza certificata.
Tutti nel Pdl se lo ricordano infatti così: «Ah, sì… l’amico di Previti!».
E in effetti alla battaglia per salvare Previti dalla galera Nitto Palma si dedicò strenuamente in passato, cercando di far approvare un emendamento che avrebbe congelato i processi di tutti i parlamentari fino alla fine del mandato.
Un super Lodo Alfano ante litteram.
Del resto questo ex pm folgorato da Berlusconi ha sempre coltivato l’hobby di intralciare il lavoro della magistratura inquirente, s’intende solo quando le inchieste andavano a toccare i politici del centrodestra.
Nel ’94, primo governo Berlusconi, era Nitto Palma il vice capo di gabinetto di Biondi, il ministro del decreto “salva-ladri”.
A via Arenula s’innamora e sposa (poi si separeranno) Elvira Dinacci, la figlia del potente capo degli ispettori che andavano a rivoltare le scrivanie dei pm di Mani Pulite.
Anche in passato, da sostituto procuratore, più che per i risultati delle sue inchieste sul terrorismo (condotte insieme a Franco Ionta, anch’egli passato al ministero come direttore delle carceri), Nitto Palma viene ricordato per aver stoppato dei colleghi.
Nei primi anni Novanta due giovani e coraggiosi pm di Padova, Dini e Roberti, indagano sull’organizzazione clandestina anti-comunista Gladio.
Riempiono migliaia di pagine di istruttoria, che poi verrà loro sottratta e spedita a Roma, nel porto delle nebbie.
Il colmo è che Roberti si troverà persino indagato per rivelazione di notizie segrete da due pm della Capitale.
Chi erano? Proprio Nitto Palma e Ionta, gli stessi che chiederanno l’archiviazione dell’inchiesta Gladio ritenendo la struttura segreta del tutto «legittima».
Nitto Palma, ormai parlamentare di lungo corso, si prodigò anche per l’approvazione della legge-Cirielli (ribattezzata Salva-Previti).
Ma l’ultima battaglia che si ricorda di lui in Senato fu quella del 2007 contro la riduzione dello stipendio degli onorevoli: «È un grave errore – tuonò – andare incontro alla demagogia dell’antipolitica».
Chissà se oggi lo direbbe ancora.
(da “La Repubblica“)
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Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile HA UNA FURIA SOCIALE E POLITICA… CERCA SEMPRE DI FAR CADERE I SUOI CRITICI NELLA TRAPPOLA DELLA STATURA FISICA
Pubblichiamo un brano della prefazione di Francesco Merlo al suo libro, “Brunetta, il
Fantuttone” in uscita in questi giorni per Aliberti (pag.135 – €.11)
Basta un accenno, diretto o indiretto, alla sua statura, basta pronunziare le parole “basso” o “piccolo” o soltanto dire che il progresso umano è dovuto allo sforzo dei piccoli proprio perchè insofferenti del poco spazio che occupano, e Brunetta tira fuori l’argomento che gli sta più a cuore: “Razzista” urla al telefono, “quello è razzista” racconta in tv e nei libri che scrive.
E qualche volta lo fa con ironia: “Dica la verità , lei mi trova ancora più piccolo che in televisione ?”.
Più spesso ricorre al tono stizzoso e bisbetico che lo ha reso famoso, “Come reagirebbe lei, se avesse un figlio al quale dicessero continuamente ‘nano, sei un nano’?”
Ma sempre si avverte, neppure tanto fuori scena, il compiacimento per il disagio sopportato, per le presunte umiliazioni subìte, per la grandine di dileggi e di sciagurate persecuzioni che si sarebbero abbattute sulla sua vita di piccolo ma ingombrante genio.
È la prova di una grande fragilità , prima ancora di un’ossessione?
È vero che la sua insistenza facilmente può far venire in mente l’idea — il luogo comune direi — che ci sia una voglia di risarcimento, anche fisico, oltre che psicologico e sociale, alla base delle sue sparate: “Avrei preso il Nobel per l’Economia se non avessi scelto di servire il mio Paese con la politica”.
E sono sicuramente materia di psicanalisi i mille insulti pronunziati non al bar ma nei convegni pomposi, nelle sedi istituzionali, da cattedre solenni e prestigiose: fannulloni, ignoranti, siete la peggiore Italia, vi prenderei a calci, la sinistra di merda…
Quel ridere che subito degenera in sghignazzata, il carattere rancoroso, il malanimo che si percepisce nei suoi sfoghi sempre violenti, esprimono davvero l’animoso bisogno di un risarcimento, la rabbia che cerca riscatto.
Sicuramente c’è qualcosa di andato a male.
Ma si tratta evidentemente di una furia sociale, culturale e politica. Quella della statura fisica è invece una trappola nella quale Brunetta cerca sempre di far cadere i suoi critici(…)
Quando ancora non era diventato ministro e la sua antropologia di agitatissimo fantuttone non si era così bene espressa, mi piacque molto il racconto che Brunetta faceva delle sue origini, la storia del padre che vendeva oggetti vari su una bancarella a Venezia, e di come lui, da ragazzo, lo aiutasse.
Insomma, i difficili inizi e la fame patita.
Vedevo nel socialmente basso che diventa socialmente alto una rottura, un ingorgo di impulsi, un eccesso di sollecitazioni, il punto debole trasformato in forza, l’elemento strategico di una personalità che ha dato scacco al destino.
Il modello vincente è Vittorio Gassman che entra al liceo timidissimo e addirittura balbuziente perchè ingolfato di pensieri e ne esce poeta e attore, tecnico della fonè: da tartagliatore a fine dicitore.
Ebbene ancora più sociale ed edificante è il salto dalla bancarella al governo del Paese. C’è infatti la prova che la democrazia funziona, e che anzi è proprio questo il bello della democrazia: l’ascensore sociale, la possibilità di farcela, la scalata dal bisogno al merito. Ma Brunetta ha sporcato tutto con l’astio, con il desiderio di “fargliela pagare”.
Non sogna che tutti i venditori ambulanti diventino ministri, ma che tutti i non ministri diventino venditori ambulanti.
Francesco Merlo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile LA POLVERINI SPENDE 15 MILIONI DI EURO DI PUBBLICITA’ ATTRAVERSO AEREI ED ELICOTTERI ADDOBBATI CON LE ICONE DELLA REGIONE, MENTRE L’OSPEDALE SANTA LUCIA RISCHIA DI CHIUDERE…ANCHE FINI IERI IN VISITA ALLA STRUTTURA
Chissà cosa penseranno i pazienti, piccoli e grandi, ricoverati al Santa Lucia quando vedranno sfrecciare nei cieli della Capitale roboanti aerei o elicotteri addobbati con le icone della Regione Lazio.
I bimbi (quelli che saranno nelle condizioni di farlo) forse saluteranno con la manina.
Non sapranno che, per pubblicizzare il Colosseo o l`Agro Pontino, la presidente Polverini spende 15 milioni di curo in tre anni, cinque dei quali in soli tre mesi del 2011.
Eppure, quando uno dei migliori istituti in Italia per la riabilitazione neuromotoria (accreditato presso la Regione) chiuderà , forse anche quei pazienti si interrogheranno sulle scelte incomprensibili della politica laziale.
Lo farà sicuramente il giornalista Lamberto Sposini, ricoverato lì da qualche giorno dopo l`emorragia cerebrale che lo ha colpito a fine aprile pochi minuti prima di andare in onda.
Per volere della famiglia, l`istituto non diffonde bollettini medici, ma da quando è stato trasferito le sue condizioni sembrano migliorare.
La Fondazione Santa Lucia (che è anche un Ircss, Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) ha maturato un credito nei confronti della Regione Lazio di oltre 90 milioni di curo. Non solo colpa della Polverini, per carità , visto che tutto è cominciato con l`ex presidente Marrazzo.
Ma proprio lei, che in campagna elettorale si era spesa con tanto di maglietta per sostenere l`istituto, non solo non ha la minima intenzione di onorare quel debito, ma continua a tenere 2500 pazienti (la media annua dei ricoverati), 750 dipendenti e 450 studenti appesi alle commesse mensili.
La Regione eroga (“ma finora siamo stai pagati solo su protesta”, sottolinea il direttore generale, Luigi Amadio) tre milioni e 200 mila curo ogni mese, soldi che dovrebbero servire apagare i dipendenti, i fornitori e a garantire gli standard elevati di qualità (anche attraverso la ricerca scientifica) e che invece bastano a malapena per gli stipendi.
“Il livello delle prestazioni non è sceso e ci siamo impegnati a corrispondere con puntualità i salari – prosegue Amadio -, ma accumuliamo debiti con i fornitori. Per cui ogni mese quel credito di 90 milioni aumenta”.
E questo nonostante una quarantina di ricorsi al Tar e due decreti ingiuntivi del Tribunale di Roma (per sei milioni di curo).
Quando finalmente un giudice riuscirà a imporre il pagamento, il danno erariale per la Regione sarà tale che forse anche la Corte dei conti avrà qualcosa da ridire.
La governatrice, nel giugno scorso, ha annunciato al mondo di aver elargito al Santa Lucia 48 milioni di curo.
Se fosse vero, mancherebbero giusto i 15 spesi per la pubblicità a garantire al Santa Lucia la sopravvivenza annua.
Ma invece, secondo la Fondazione, non sono arrivati neanche quei 48: “La Regione ha corrisposto i tre milioni e 200 mila curo al mese in sette tranche, per un totale che supera di poco i 22 milioni”, fanno sapere dalla direzione.
Forse allora la presidente ha fatto una gran confusione, o non è stata bene informata: per il 2010 la Regione aveva proposto alla Fondazione un contratto di remunerazione di 51 milioni, a fronte dei 65 richiesti.
Un contratto che non è mai stato firmato dall`amministrazione.
Eppure per l`istituto si sono spesi anche tanti politici.
Oggi sarà la volta del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che visiterà l`ospedale, ma in passato si sono interessati del-la sorte del centro il Campidoglio, la commissione Affari sociali di Montecitorio, quella parlamentare presieduta dal senatore Pd, Ignazio Marino, le opposizioni in consiglio regionale.
Rispondendo a un`interpellanza urgente della deputata udc Anna Teresa Formisano, il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ha confermato di aver incontrato quattro volte la direzione del Santa Lucia e ha annunciato di individuato una soluzione condivisa.
Notizia confermata dal dottor Amadio che, pur non volendo entrare nel dettaglio, ha spiegato che si tenterà un convenzionamento extra budget regionale con l`Inail e con il ministero della Difesa.
Ma è chiaro che, fino a quando non si metterà tutto nero su bianco, tra i 325 posti letto dell`ospedale regna lo sconforto.
Chi vive a Roma dalle parti della sede della Regione Lazio ormai ci è abituato: una volta al mese incorre nelle proteste di pazienti in carrozzina, personale e amministrazione del Santa Lucia. Vanno a bussare alla porta della Polverini e della commissione Sanità .
Ma si vede che sbagliano giorno.
Forse la prossima volta, alzando gli occhi al cielo, potranno salutare la governatrice impegnata in qualche giro d`onore.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile PASINI A VERBALE: “CI FU IMPOSTO DI PAGARE I CONSULENTI DELLE COOP”….LA PROCURA AVREBBE TROVATO TRACCIA DOCUMENTALE DI DIVERSI MOVIMENTI DI DENARO
Che siano state mazzette, finanziamenti illeciti al partito non registrati, o contributi
“spontanei” degli imprenditori, lo stabiliranno le indagini.
Di certo, sul Pds prima, sui Ds poi, non solo di Sesto San Giovanni, è piovuto un fiume di denaro.
Tutto grazie alle amicizie dell’ex sindaco Filippo Penati.
Questo emerge nelle prime carte depositate dalla procura di Monza, nell’inchiesta che vede come principale indagato proprio Penati.
Accusato di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti.
Ecco che cosa raccontano le carte raccolte in sei mesi di indagine dai pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia.
La procura ha quantificato il denaro che l’immobiliarista Luigi Zunino avrebbe messo a disposizione della politica, tramite le società estere del “re delle bonifiche” milanesi Giuseppe Grossi.
Seguendo la strada del denaro lungo le società riconducibili all’imprenditore (finito in carcere e ora sotto processo proprio per la bonifica dell’area di Santa Giulia), i magistrati hanno individuato 700mila euro di fondi neri, necessari per oliare la pratica relativa al recupero delle ex acciaierie di Sesto San Giovanni.
La procura avrebbe trovato traccia documentale di diversi movimenti di denaro: attraverso due veicoli societari, l’immobiliare “Cascina Rubina” e la “Miramondo srl”. Con la prima che paga, la seconda che incassa ed emette le fatture, gira il denaro ad altre società all’estero, prima che i soldi vengano prelevati in contanti.
Per la procura, il sistema di fatture false e società offshore era finalizzato ai pagamenti corruttivi per l’incremento volumetrico sull’area delle ex acciaierie Falck.
Secondo Piero Di Caterina, le somme che riceveva dall’ex proprietario dell’area Falck, Giuseppe Pasini, per anni girate ai politici, non servivano solo a finanziare la federazione locale del partito.
Dal 1993, dal giorno della discesa in campo di Silvio Berlusconi, anche a sinistra il peso dei soldi in politica è diventato decisivo e il bisogno di finanziamenti è stata un’urgenza sempre più evidente: per questo i fondi per i quali il titolare della Caronte si fa intermediario, a suo dire, finiscono non solo nei rivoli del partito di Sesto, ma finanziano anche la federazione del partito milanese, le campagne elettorali e le spese delle sedi, fino alle manifestazioni pubbliche come feste e convegni.
Per gli investigatori, c’è sproporzione tra le necessità della piccola federazione della “Stalingrado” del Nord rispetto ai miliardi, oltre 16, che finiscono al partito.
Di Caterina dice ai pm di essere «sicuro» che le somme da lui anticipate finiscono a Penati: «Mi sarebbero state restituite in quanto era scontato che Pasini avrebbe pagato una tangente a Penati».
Racconta di «un conto estero in Lussemburgo, poi scudato, due versamenti» nel marzo 2011: il primo di un miliardo 425 milioni di lire e l’altro di un milione 85 mila marchi tedeschi, «il tutto per un milione 104 mila euro, importo corrispondente alla somma che Penati doveva restituirmi per dazioni di denaro fatte allo stesso fino al ’97».
L’imprenditore Giuseppe Pasini ha anche raccontato ai pm Mapelli e Macchia dei soldi versati per la riconversione del Palaghiaccio di Sesto San Giovanni in una struttura poliedrica, capace di ospitare le gare di hockey dei Diavoli Rossoneri di Milano, ma anche convegni e manifestazioni grazie a uno speciale pavimento mobile. Per quell’appalto, è indagato per concussione Giorgio Oldrini, sindaco dal 2002, proprio dopo Filippo Penati.
Ma ora i magistrati propendono a dare un ruolo marginale nella vicenda a Oldrini, mentre – ha dichiarato Pasini – la richiesta di “aiuto” sarebbe arrivata direttamente da Penati.
E che aiuto: Pasini si sarebbe fatto carico dei lavori gratuitamente, avrebbe garantito con una fideiussione il mutuo acceso con le banche, in più ne avrebbe pagato alcune rate.
Un esborso pari, dice Pasini, a tre miliardi.
Pasini ha inoltre rivelato che l’obbligo di pagare 2milioni 400mila euro in consulenze, affidate a due professionisti del Consorzio cooperative costruttori di Bologna, entrambi indagati, sarebbe arrivato direttamente dal vicepresidente del Consorzio Omer Degli Esposti.
In una email datata 22 aprile 2010, Di Caterina rivendica la restituzione del denaro che ha versato negli anni al partito di Penati a Sesto.
Si rivolge allo stesso Penati e al manager del gruppo Gavio, Bruno Binasco (lo stesso che venderà la quota in Serravalle nel 2005 alla Provincia guidata da Penati).
Di mezzo c’è la vendita di un’area con annessa cascina di cui Di Caterina si vuole disfare, dopo che le sue aziende vanno in sofferenza per i ritardi dei pagamenti di diverse municipalizzate.
Secondo il racconto narrato in una pagina e mezza di missiva, Penati avrebbe «delegato» il gruppo Gavio a restituire il denaro, attraverso l’acquisto dell’immobile. Binasco, però versa solo la caparra da due milioni.
Nel 2010, Di Caterina batte cassa, garantisce di aver incontrato il manager per ottenere la somma restante e di essere perfino stato minacciato nel caso avesse insistito per avere il saldo.
Sandro De Riccardis e Emilio Randacio
(da “La Repubblica“)
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Luglio 27th, 2011 Riccardo Fucile L’ART. 116 DEL CODICE CIVILE CHE REGOLAMENTA IL MATRIMONIO DI UNO STRANIERO CON UN CITTADINO ITALIANO E’ PARZIALMENTE INCOSTITUZIONALE NELLA PARTE IN CUI RICHIEDE UN REGOLARE DOCUMENTO DI SOGGIORNO IN QUANTO COMPRIME UN DIRITTO DEL CITTADINO ITALIANO…RICHIAMATA UNA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA DI STRASBURGO
La condizione di immigrato o immigrata irregolare non può essere di per sè un ostacolo alla celebrazione delle nozze con un cittadino o una cittadina italiana: lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha dichiarato la parziale illegittimità dell’articolo 116, primo comma, del codice civile, bocciando così una norma del pacchetto sicurezza che impone il possesso di un regolare permesso di soggiorno all’immigrato che vuole sposare un italiano.
Con la sentenza 245/2011, redatta dal presidente Alfonso Quaranta, la Consulta ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’articolo 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, numero 94 (disposizioni in materia di sicurezza pubblica) – modifica volta a limitare i matrimoni di comodo – limitatamente alle parole ‘nonchè un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano'”.
Ecco il testo completo dell’articolo: “Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio nonchè un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”.
Per i giudici delle leggi “la limitazione al diritto dello straniero a contrarre matrimonio nel nostro Paese si traduce anche in una compressione del corrispondente diritto del cittadino o della cittadina italiana che tale diritto intende esercitare. Ciò comporta che il bilanciamento tra i vari interessi di rilievo costituzionale coinvolti deve necessariamente tenere anche conto della posizione giuridica di chi intende, del tutto legittimamente, contrarre matrimonio con lo straniero”.
La Consulta ha richiamato una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, secondo la quale “il margine di apprezzamento riservato agli stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale” garantito dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
“Secondo i giudici di Strasburgo”, ricorda la sentenza, “la previsione di un divieto generale, senza che sia prevista alcuna indagine riguardo alla genuinità del matrimonio, è lesiva del diritto di cui all’articolo 12 della convenzione”.
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