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NAPOLITANO STOP AI MINISTERI AL NORD: “SONO FUORI DALLA COSTITUZIONE”

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

DURA LETTERA DEL PRESIDENTE: “APERTURA SENZA NEMMENO UN DECRETO IN GAZZETTA UFFICIALE, IMPENSABILE UNA CAPITALE DIFFUSA, C’E’ ROMA”….PER BOSSI “RESTANO LI'”: A PERENNE MEMORIA DEI PATACCARI PADANI

Intervento di rara durezza nella lettera che Napolitano ha inviato al governo sul caso dell’apertura delle sedi distaccate dei Ministeri al Nord.
“Una apertura che confligge con la Carta costituzionale – dice il presidente – e il Quirinale che è garante dell’Unità ” deve intervenire”.
Oltretutto Napolitano sottolinea che l’inaugurazione è stata fatta “senza nemmeno che vi fosse un decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale”, dunque senza che esista una legge operante.
E aggiunge: “Non è pensabile una capitale diffusa, c’è Roma”.
E Silvio Berlusconi, in apertura del Consiglio dei ministri, ha rivolto un invito “pressante – si legge in una nota di Palazzo Chigi – a tenere in debito conto le osservazioni formulate dal presidente della Repubblica sulle recenti istituzioni di sedi periferiche di strutture ministeriali, ed ha quindi chiesto a tutti i ministri di tenere comportamenti conseguenti”.
Il testo della lettera
“La pur condivisibile intenzione di avvicinare l’amministrazione pubblica ai cittadini non può spingersi al punto di immaginare una ‘capitale diffusa’ o ‘reticolare’ disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di capitale della città  di Roma, sede del governo della repubblica” scrive Napolitano. Che si rivolge a Berlusconi: “Ho ritenuto doveroso   prospettarle queste riflessioni di carattere istituzionale al fine di evitare equivoci e atti specifici che chiamano in causa la mia responsabilità  quale rappresentante dell’unità  nazionale e garante di princìpi e precetti sanciti dalla Costituzione”.
Bossi aspetta solo un giorno, poi risponde secco alle preoccupazioni del Quirinale per l’operazione delle sedi di quattro ministeri al Nord: “Napolitano non si preoccupi, le sedi restano lì”.
Una risposta che spazza via tutte le mediazioni che Berlusconi aveva avviato – anche attraverso Letta – per trovare una soluzione al conflitto aperto con il Colle.
Le reazioni.
“La risposta di Umberto Bossi al presidente Napolitano è un comportamento irresponsabile” dichiara il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.
“Vogliamo presentare una mozione di sfiducia formale nei confronti dell’intero esecutivo, ma per farlo occorrono almeno sessantatre firme, dunque facciamo appello alle altre forze politiche e ai deputati che ancora hanno una dignità  affinchè si uniscano alla nostra battaglia a salvaguardia della democrazia e delle istituzioni” dice Antonio Di Pietro.

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BERLUSCONI PENSA SOLO A SALVARSI: DI CORSA IL PROCESSO LUNGO, COSI’ NON SI ARRIVERA’ MAI A SENTENZA

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

AL SENATO IL GOVERNO PONE LA FIDUCIA…PERINA: “NON C’E’ PIU’ LIMITE ALLA SFACCIATAGGINE, MIGLIAIA DI PROCESSI SALTERANNO”… STRAVOLTO IL TESTO ORIGINARIO PER AFFOSSARE IL PROCESSO MILLS

Il governo ha posto al Senato la questione di fiducia sul ddl del cosidetto “processo lungo”.
Si tratta del procedimento che consente di allungare a dismisura i testi a difesa.
Lo ha annunciato in Aula il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito. la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ha stabilito che la fiducia al ddl si voterà  domani mattina intorno alle 10, con la prima chiama dei senatori.
Alle 9 cominceranno le dichiarazioni di voto.
Non si fa attendere il commento dell’Associazione nazionale magistrati. “Processo lungo significa non arrivare mai a sentenza – scrive in una nota il presidente Luca Palamara – questo provvedimento è dettato dall’esigenza di risolvere situazioni particolari e non porta ad alcun miglioramento dell’efficienza del processo”.
“Fra due ore Nitto Palma giurerà  da ministro della Giustizia. Da due minuti il Pdl ha messo la fiducia al Senato sul “processo lungo” (che potrebbe paralizzare il processo Mills contro Berlusconi ma anche migliaia di processi “normali”). Non ho parole. Neanche io credevo a tanta sfacciataggine.” il commento di Flavia Perina (Fli).
Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, chiede al neoministro della Giustizia Nitto Palma di presentarsi in Aula per spiegare il perchè di una simile accelerazione. “Assolutamente ingiustificata – afferma l’esponente dei democratici – non si spiega se non con la necessità  di salvare il presidente del Consiglio da uno dei suoi tanti processi. È una cosa inaccettabile. E tutto questo avviene nel silenzio più totale e nel totale asservimento della Lega ai bisogni del presidente del Consiglio”.
“Vergogna”, afferma il presidente dei democratici Rosy Bindi, puntando il dito contro “un’altra fiducia per approvare l’ennesima norma ad personam” da parte di “un governo sfiduciato dagli italiani, bocciato dalle parti sociali e dai mercati, incapace di affrontare le vere emergenze dell’Italia”.
E’ un governo “distaccato paurosamente dai problemi veri del Paese”, attacca il leader Udc Pier Ferdinando Casini. “Noi chiediamo al governo di occuparsi non dei processi lunghi o brevi, ma di impegnarsi per dare ossigeno vero all’economia italiana con un provvedimento per la crescita”.
Francesco Rutelli, leader di Alleanza per l’Italia, nel suo intervento al Senato ricorda l’atteggiamento delle opposizioni sulla manovra economica, sul dl di rifinanziamento delle missioni all’estero, improntato al “senso di responsabilità , al senso delle istituzioni, al sentimento di coesione nazionale”.
La risposta del governo, denuncia Rutelli, è la fiducia “sull’ennesima leggina ad personam”. Per l’Italia dei Valori, la senatrice Patrizia Bugnano entra nel merito denunciando come in Commissione sia stato “stravolto il condivisibile testo licenziato dalla Camera”.
“L’emendamento Mugnai – spiega – stravolge la ratio dell’art. 238-bis del Codice di procedura penale rendendo di fatto illimitata la durata del processo. La norma così modificata, per giunta, si potrà  applicare ai processi che, pure iniziati, non si siano ancora conclusi in primo grado. La Corte Costituzionale, nel 2009, ha evidenziato come la tutela delle parti sia già  garantita dall’attuale sistema procedurale. Allora, non sarà  che l’interesse che si persegue con il ddl sul processo lungo è quello di fornire a un unico imputato lo strumento per affossare il suo processo e sferrare alla giustizia l’ennesimo colpo, forse mortale? Per caso quest’unico cittadino si chiama Silvio Berlusconi e il processo in questione è, magari, quello Mills?”.
Antonio Di Pietro chiama in causa direttamente Palma che “nel suo primo giorno da ministro si è reso complice di azioni a tutela della criminalità  e non della giustizia”.
“Queste norme – sottolinea il leader Idv – permettono a Berlusconi di aggiustare i suoi processi e impediscono alla giustizia italiana di funzionare”. E richiama l’attenzione anche sul fatto che attraverso il ddl viene colpita la norma varata all’indomani della strage di Capaci con la quale veniva fatta salva l’acquisizione delle sentenze definitive, “di modo che, anche nei processi di mafia, si potrà  riaprire all’infinito la lista dei testimoni. Di fronte a tale scelleratezza non resta che la mobilitazione di massa, costi quel che costi”.

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COM’È TRISTE IL CAIMANO A FINE SPETTACOLO

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

IL COMICO LINO BANFI CONSOLA IL PREMIER, MA IL TEMPO DI AMBRA E MIKE E’ FINITO

Dice Lino Banfi che è stato da Silvio Berlusconi e che lo ha trovato “molto abbattuto”. Esce da Palazzo Grazioli una delle maschere più popolari della comicità  italiana e dice, come un improvvisato portavoce emotivo, che il presidente del Consiglio “Si opererà  alla mano”.
Questa comunicazione, apparentemente anodina, contiene almeno altre due notizie e lascia intuire un piccolo terremoto.
La prima notizia è che – volontariamente o meno – la rappresentazione del Cavaliere è passata dalla radiosa epifania del nuovo miracolo italiano, al malinconico crepuscolo degli acciacchi e della manutenzione del corpo.
L’uomo che raccomandava ai suoi corazzieri di Publitalia di avere “Sempre il sole in tasca”, adesso affida, quasi romanticamente, a uno dei suoi amici, la rappresentazione di uno stato lunare: ”L’ho visto abbattuto da mille vicissitudini”.
La seconda notizia, forse più importante, è che non cambia solo lo stato di salute del Cavaliere, ma anche il mondo che gli gira intorno, e la rappresentazione che offre di sè.
Un tempo Lino Banfi portava a Palazzo Grazioli il carisma di nonno Libero, e il Cavaliere inanellava la sua maschera di italiano ilare e vincente nello share delle fiction nazional-popolari a quello dei suoi testimonial preferiti.
Intorno al leader e al padre della patria, il cielo iperuranio era popolato di uomini, donne e simboli che comunicavano, con la loro stessa iconografia e con la loro fama, la forza del loro messaggio di solidarietà  al berlusconismo.
La discesa in campo del leader azzurro, per dire, fin dal 1994 fu propiziata dai grandi endorsement della star di rete: Mike Bongiorno disse che avrebbe votato – ovviamente – per il Cavaliere, una poco più che adolescente Ambra spiegò (con la complicità  malandrina del noto auricolare) che “Occhetto è un diavoletto”, Raimondo Vianello affermava, da impolitico, che avrebbe votato per l’amico Silvio, e il medico personale Umberto Scapagnini certificava la soprannaturale forza del sovrano neo-medievale con il crisma dello stregone scienziato: “Silvio è tecnicamente immortale”.
Adesso Ambra è cresciuta – non è più una ragazzina – e parla con piglio da guru di opposizione in una delle puntate più viste dell’odiatissimo Annozero.
Adesso Mike Bongiorno non c’è più, ma ha fatto in tempo a dire parole di amarezza per come era stato accantonato da Mediaset.
Adesso anche Raimondo Vianello se n’è andato, e del rapporto con il Cavaliere resta il fotogramma drammatico di un funerale con evocazione del defunto, adesso Scapagnini, miracolosamente scampato a un coma, recupera la forza fisica, e dichiara che “Berlusconi ha almeno sei rapporti a settimana”: basterebbe questa distanza fra l’illusione della vita eterna e della contabilità  del satiro per testimoniare un passaggio di epoca.
Dice ancora Banfi: “Ogni anno il 9 luglio Silvio mi fa gli auguri e mi chiama vecchio, perchè lui ha due mesi meno di me”.
Lino rispetta una tradizione e, dopo aver ricevuto gli auguri al telefono da Silvio Berlusconi, va a fargli visita, a Palazzo Chigi, apparentemente senza cambiare il rituale.
Ma il problema non è solo in quello che dice, piuttosto in tutto quello che sembra fatalmente cambiato in questo rito e nei suoi due protagonisti.
Banfi andava dal Cavaliere a portare il buon umore e a ricevere il conforto, mentre adesso – che non vuole più vestire i panni di nonno Libero – porta la saggezza di chi ha deciso di invecchiare, a conforto del disagio di chi non riesce a farlo.
È curioso che sia Banfi a infondere sicurezza al re Leone e non il contrario.
È curioso che un comunicatore attento come il presidente del Consiglio affidi il racconto un tempo ieratico del suo corpo a un amico, subappalti l’estetica del disagio, dopo aver monopolizzato persino la narrazione epica del suo attentato.
Per un re taumaturgo è una cessione di sovranità .
E, forse, il conforto crepuscolare dei vecchi amici è molto meglio del tentativo di sostituirli con le nuove fetali, e con la impresentabile illusione delle ragazze dell’Olgettina.
Sarebbe davvero bello se Berlusconi decidesse di diventare coetaneo di nonno Libero invece che compagno di scorribande di Papi.

dal blog Luca Telese

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“IMPRENDITORE PAGAVA L’AFFITTO DI CASA TREMONTI”: E’ IL TITOLARE DI UNA SOCIETA’ CHE VINSE GLI APPALTI SOGEI

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

LE RIVELAZIONI   DELL’IMPRENDITORE DI LERNIA NELL’INDAGINE ENAV… IL MINISTRO SAREBBE STATO RICATTATO PER LA CONFERMA DI GUARAGLINI A FINMECCANICA

Dal carcere, dove è precipitato con l’accusa di corruzione nell’inchiesta sugli appalti Enav e finanziamento illecito per aver acquistato lo yacht da 24 piedi di Marco Milanese, un uomo racconta a verbale una “verità  de relato” capace, se riscontrata, di travolgere il ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
L’uomo è Tommaso Di Lernia (nel giro, lo chiamano “er cowboy”).
È un ex muratore che si è fatto imprenditore edile e che si trova al crocevia di tre vicende annodate tra loro: Finmeccanica, gli appalti Enav, i rapporti incestuosi tra l’ex consigliere politico del ministro e imprenditori corrotti.
Il suo racconto svela tre circostanze.
La prima: l’affitto della casa abitata dal ministro in via di Campo Marzio, era pagato non da Marco Milanese ma da un imprenditore, Angelo Proietti, che in cambio avrebbe ricevuto subappalti in Enav.
Lo stesso che quella casa aveva ristrutturato gratuitamente e che è oggi accusato di corruzione per gli appalti ottenuti dalla sua impresa, la “Edilars”, con Sogei (società  pubblica partecipata al 100 per cento dal Tesoro).
La seconda: Tremonti venne ricattato da Lorenzo Cola, uomo del Presidente di Finmeccanica, perchè fosse costretto a riconfermare Pierfrancesco Guarguaglini al vertice della holding e la pressione decisiva fu il “dossier” che Cola aveva sulla compravendita della barca di Milanese, sull’affitto della casa, e “sulle sue altre porcate”.
La terza: Di Lernia chiese a Milanese una pressione sull’Agenzia delle Entrate perchè ammorbidisse la verifica sulla sua società  “Print Sistem”.
Il verbale, dunque.
È l’11 luglio e alle 13 e 10, nel carcere di Regina Coeli, Di Lernia compare di fronte al gip Anna Maria Fattori per il suo interrogatorio di garanzia.
Di Lernia è accusato di corruzione e frode fiscale nell’inchiesta condotta dai pm Paolo Ielo e Giancarlo Capaldo sugli appalti Enav. Nella ricostruzione dell’accusa, la sua società , la “Print sistem” è infatti lo snodo cruciale del Sistema di appalti e corruzione con cui, attraverso un gioco di sovrafatturazioni, la “Selex Sistemi integrati” (Finmeccanica) di Marina Grossi, per la quale Di Lernia lavora in subappalto, è riuscita a creare fondi neri necessari a corrompere il management dell’Ente e i suoi referenti politici.
Ma l’11 luglio, Di Lernia ha un nuovo problema.
Una seconda ordinanza di custodia cautelare, chiesta e ottenuta dal pm Ielo, lo accusa di aver acquistato nel 2010 lo yacht di Marco Milanese a condizioni capestro che ne svelano le vere ragioni.
Convincere l’allora consigliere politico di Tremonti a pilotare la nomina di Fabrizio Testa al vertice di Technosky (società  di Enav).
È una nuova mazzata che convince Di Lernia a uscire dal suo silenzio.
A scrivere e consegnare al magistrato che lo interroga un memoriale (che gli guadagnerà , di lì a qualche giorno, gli arresti domiciliari).
“L’indagato – annota il gip – acconsente a rispondere alle domande, consultando degli appunti che vengono sottoscritti e allegati al presente verbale”.
Di Lernia conferma di aver acquistato lo yacht di Milanese.
Le ragioni per cui l’operazione si fece: risolvere un problema al consigliere del ministro, piazzare Testa in “Technosky”.
Ma, spiega, la sua non fu una scelta, ma l’obbedienza dovuta a un uomo cui doveva tutto: Lorenzo Cola, il “facilitatore” di Pierfrancesco Guarguaglini, che, per conto di Finmeccanica, governa appalti e subappalti in Enav.
“Cola – dice Di Lernia – non mi volle dire chi era il proprietario della barca. Mi disse solo che l’ordine era arrivato dal Palazzo, intendendo Finmeccanica nella persona del Presidente, e dunque che non mi sarei potuto sottrarre. A Cola non si poteva dire di no, e quindi gli chiesi dove avrei dovuto prendere il milione e mezzo di euro per l’acquisto della barca. Lui mi rispose: “Tirali fuori dagli utili che hai dal lavoro che ti diamo””.
Quando Di Lernia scopre che il venditore è Marco Milanese, il nome non gli dice nulla.
“Confesso la mia stupidità . Poi, tempo dopo, di Milanese mi parlò Cola. Mi disse che era uno che “capiva poco” e “mangiava tanto”. Che era “un problema per Tremonti”, una sorta di inconveniente imbarazzante”.
Di Lernia impara a conoscere Milanese, ma, soprattutto ne afferra un segreto. “Sentii parlare di Milanese da Guido Pugliesi, amministratore delegato di Enav. Mi disse che era stanco delle pressioni di Milanese per Testa a “Technosky”, ma mi chiese contestualmente di dare lavoro a un certo Angelo Proietti per i subappalti all’aeroporto di Palermo, un lavoro per il quale Cola aveva già  deciso che l’affidamento fosse dato alla “Electron”, del gruppo Finmeccanica, e al sottoscritto”.
Perchè far lavorare questo Angelo Proietti e la sua “Edilars” nei subappalti Enav?
Di Lernia non se lo spiega. Ne chiede conto a Cola.
“Mi disse che di Proietti gli aveva parlato Milanese, descrivendolo con queste parole: “È il tipo che mi dà  solo 10 mila euro al mese per pagare l’affitto a Tremonti”. Aggiunse di dire a Pugliesi di stare tranquillo perchè lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e comunque aggiunse che, in un immediato futuro, Selex avrebbe dato a Proietti dei lavori a Milano”.
A giugno del 2010, accade dell’altro.
“Mi chiamò Cola e mi spiegò di essere dispiaciuto per avermi fatto acquistare la barca.
Mi disse: “Quel verme di Milanese sta sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica, invece di Guarguaglini. In più, ho saputo che ha fatto delle estorsioni a delle persone a Napoli. E Tremonti non risponde al telefono a Guarguaglini””.
A Di Lernia, Cola confida qualcosa di più, che è pronto a usare anche la storia della “barca” e della casa per vincere la partita su Finmeccanica: “Cola aggiunse che questa storia non la mandava giù e dunque avrebbe organizzato un blitz dal ministro (Tremonti) per mostrargli l’evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri. Che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Tanto è vero che poco tempo dopo, Milanese mi fece sapere per il tramite di Testa che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato. E fu Cola, poi, a dirmi che il blitz era andato a segno”.
Di Lernia incontra Proietti nell’estate 2010 perchè, dopo l’arresto di Cola (8 luglio), è diventato lui il suo “canale” con Milanese.
Una prima volta lo incrocia in Enav, nell’ufficio di Pugliesi, che lo convoca per sollecitarlo “a chiudere l’acquisto della barca”.
Una seconda volta, in piazza del Parlamento, per risolvere un suo “problema”.
“Portai a Proietti un incartamento riguardante un accertamento dell’Agenzia delle Entrate per il 2005.
Gli dissi che volevo “una parola buona” con l’Agenzia, di cui temevo l’accanimento. Tre giorni dopo, Proietti mi diede appuntamento in piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perchè Milanese aveva interceduto con Attilio Befera (direttore dell’Agenzia)”.
Ma, a dire di Di Lernia, in senso opposto.
“Mi hanno fatto una multa di 18 milioni di euro. Roba carnevalesca. Milanese deve essere intervenuto al contrario, proprio per dimostrare che non esistevano connessioni”.

Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi
(da “La Repubblica“)

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PALMA D’ORO: OGNI VOLTA CHE PENSI SI SIA TOCCATO IL FONDO, TROVI CHI SCAVA ANCORA DI PIU’

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

“SE LO CONOSCI LO PREVITI” COMMENTO’ MONTANELLI

Dopo tanti avvocati e alcuni imputati, abbiamo finalmente un magistrato ministro della Giustizia.
D’accordo, Francesco Nitto Palma ha dovuto superare alcuni esamini facili facili, per dissipare la naturale diffidenza che la categoria delle toghe comprensibilmente suscita nel mondo politico: tipo essere un berlusconiano di ferro, avere almeno un amico pregiudicato per corruzione giudiziaria (Previti), aver fatto per lui alcune leggi per salvarlo dalla galera, aver fatto archiviare inchieste eccellenti come quella su Gladio (si può anche dire “insabbiare”, come scrisse l’Europeo, che Palma denunciò e perse la causa).
Ma li ha brillantemente superati tutti.
Oltretutto, ad abundantiam, ha pure sposato la figlia dell’ex capo degli ispettori ministeriali che nel 1994-’95 perseguitò il pool Mani Pulite, Ugo Dinacci, diventando il genero dell’avvocato Filippo Dinacci, difensore di B.
Un bijou.
Dopo i numerosi appelli del capo dello Stato per una “figura di alto profilo”, il Cavaliere ha trovato lo statista giusto.
Dal centrosinistra, del resto, nessuno ha detto una parola.
Napolitano aveva storto il naso sul nome di Anna Maria Bernini, e giustamente: avvocato di Bologna, la signora è entrata in politica non grazie a B. ma a Fini (dunque è già  sospetta), e soprattutto non frequenta Previti nè ha legiferato per lui (dunque è doppiamente sospetta): vade retro.
Così il popolare Cesarone conquista finalmente, seppure per interposta persona e con 17 anni di ritardo, quel ministero della Giustizia a cui agognava fin dal 1994.
Allora era ancora incensurato, ma incontrò sulla sua strada un presidente della Repubblica piuttosto fisionomista: a Scalfaro bastò guardarlo in faccia per decidere che era meglio persino Alfredo Biondi.
“Se lo conosci, lo Previti”, commentò Montanelli.
Anche Ciampi nel 2001 rimandò indietro un ministro della Giustizia: Maroni, respinto per via della condanna a 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale, uno che visti i successori pare Cavour.
Scalfaro e Ciampi avevano letto attentamente l’articolo 92 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.
Cioè li nomina lui, non il premier. E, se non gli piacciono, si rifiuta di nominarli. Evidentemente Nitto Palma a Napolitano piace, come gli altri “ministri di alto profilo” nominati negli ultimi mesi: l’imputato per ricettazione Aldo Brancher (poi condannato), l’indagato per mafia Saverio Romano (ora imputato), l’attachè del Biscione Paolo Romani, per non parlare degli ultimi sottosegretari “responsabili”.
Ieri, durante la gaia cerimonia della firma al Quirinale, qualcuno ha trattenuto il fiato. Vuoi vedere — sussurrava tremando qualche malpensante — che il capo dello Stato, così allergico ai magistrati che entrano in politica senza dimettersi dalla magistratura, farà  una lavata di capo al neoministro, che sta in Parlamento dal 2001 senz’aver mai lasciato la toga, anzi è tuttora in aspettativa, pronto a tornare in servizio alla prima trombatura?
Invece niente, per fortuna è filato tutto liscio.
I severi mòniti del Colle ai magistrati che usano la toga come trampolino di lancio per la politica sono riservati a quelli come De Magistris, che quando fu eletto europarlamentare attese ben due mesi a dimettersi da magistrato, suscitando le ire di Pigi Cerchiobattista.
Ora che il magistrato Palma, da dieci anni deputato, diventa addirittura ministro e, come tale, titolare dell’azione disciplinare contro i suoi colleghi, tutti zitti.
Il bello della politica italiana è proprio questo: ogni volta che si pensa di aver toccato il fondo, c’è chi scava più in fondo.
Palma farà  rimpiangere Alfano che a sua volta ha fatto rimpiangere Mastella che da parte sua aveva fatto rimpiangere Castelli e così via, su su fino a Mancuso, Biondi, Martelli, Rognoni, Martinazzoli.
Resta da capire chi, dopo Palma, riuscirà  a farlo rimpiangere.
Ma che lo si troverà  non c’è dubbio: ci penserà  il centrosinistra.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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ALITALIA ADDIO: BRUCIATI 4 MILIARDI

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

DOVEVA ESSERE IL RISCATTO DELL’ITALIANITA’: ECCO QUANTO E’ COSTATO IL SALVATAGGIO DELLA COMPAGNIA DI BANDIERA….IL DESTINO E’ SEGNATO: SVENDITA AD AIR FRANCE

Se le Ferrovie piangono, Alitalia non ride.
E se le condizioni di un paese si misurano anche con la qualità  del suo sistema di trasporti, le vicende Fs e Alitalia, a cui si aggiunge un caro benzina da incubo, oltre 1,60 euro al litro, sono la spia di un inesorabile scivolamento verso la serie B.
I dirigenti della compagnia un tempo pubblica e oggi nelle mani di un manipolo di privati “patrioti” voluti da Silvio Berlusconi e guidati dalla coppia Rocco Sabelli e Roberto Colaninno, hanno impiegato quasi due giorni per rendersi conto che l’incendio scoppiato sabato notte alla stazione Tiburtina stava sconvolgendo l’Italia dei treni, e quindi era un’occasione da cogliere al balzo per loro manager di un’azienda dei voli .
E che il tempestivo intervento Alitalia sarebbe stato non solo un affare per la compagnia, ma anche una mano santa per i viaggiatori che avrebbero trovato un’alternativa al treno.
Solo nel pomeriggio di lunedì, dopo che gli italiani in viaggio erano rimasti da domenica in balìa di se stessi, senza alternative ai treni, e dopo che ai centralini della compagnia aerea stavano arrivando richieste di biglietti superiori del 30% alla media stagionale, un comunicato ufficiale ha informato che Alitalia stava opportunamente ampliando la sua offerta.
Non con un incremento del numero di voli tra Roma e Milano, però, impossibile da attuare perchè grazie al benevolo intervento di Berlusconi di tre anni fa, Alitalia ha di fatto acquisito il monopolio su quella tratta potendo contare sul numero massimo di slot disponibili, cioè di bande orarie per il decollo e l’atterraggio.
Riflessi zer
La compagnia ha potuto aumentare solo l’offerta di posti, sostituendo dove ha potuto aerei più piccoli come gli Embraer o gli Md 80 con velivoli più capienti, tipo Airbus A321 da 200 posti o Airbus A320 da 165 posti.
Il numero aggiuntivo di sedili, pari circa al 50% di quelli di solito dedicati alle classi economiche, è stato offerto alla clientela a tariffe basse, all’interno di un sistema tariffario che sul Roma-Milano di solito si articola su 4 fasce e la bellezza di 10 prezzi diversi, da un minimo di circa 140 euro a un massimo di 700.
Gli altri posti sono stati invece venduti con i criteri tradizionali, cioè non è stata considerata l’eccezionalità  del momento e quindi non è stato affatto abbandonato o mitigato il sistema di incremento del prezzo, anche notevole, per le prenotazioni arrivate a ridosso della partenza del volo.
Considerato che i posti a prezzi economici erano limitati e che date le condizioni molti viaggiatori si sono trovati proprio nella situazione di dover prenotare all’ultimo tuffo, è facile intuire che siano stati costretti ad accettare prezzi non proprio popolari, in qualche caso amatoriali.
La decisione Alitalia di aumentare la capienza ha comunque contribuito a far tirare un po’ il fiato al sistema nazionale dei trasporti alleviando almeno in parte i disagi dei viaggiatori che come perseguitati dal Generale Agosto, ogni estate sono alle prese con qualche grana.
A distanza di tre anni dalla privatizzazione voluta da Berlusconi, il bilancio dell’attività  Alitalia non è esaltante e di mese in mese appare sempre più inevitabile lo sbocco già  allora previsto da molti esperti e cioè che la compagnia italiana, di fatto rimpicciolita e semiregionalizzata, alla fine finisca per entrare da una posizione subalterna e ancillare nell’orbita della potente Air France.
Frontiera 201
Oggi la compagnia francese detiene il 25% del capitale azionario Alitalia e, in base al cosiddetto “lock up”, non potrebbe incrementare la sua quota prima del 2013.
Da quella data, però, cade ogni vincolo e la parola torna al mercato.
Di certo per Alitalia non sono state affatto mantenute le mirabolanti promesse profuse a piene mani dal capo del governo, proclamatosi allora “presidente aviatore”.
A quei tempi Berlusconi vagheggiava 4 miliardi di investimenti che “sarebbero potuti diventare anche 5 o 6”. Mai visti.
Assicurava che sarebbero aumentati i dipendenti e si sarebbe sviluppato l’indotto, ma mentre allora i dipendenti erano 21 mila, oggi sono 14 mila e l’indotto si è sgonfiato. Ma soprattutto non si sono avverate le profezie economiche di fondo collegate al lancio berlusconiano della nuova Alitalia e cioè la previsione che essa avrebbe favorito lo sviluppo del turismo e smesso di pesare sulle spalle dei contribuenti.
Tutti a Zanzibar
Per quanto riguarda il turismo, a parte la crisi nera che sta investendo il nostro paese, proprio qualche settimana fa, per ironia della sorte, Alitalia ha deciso di avviare una scelta che invece di incrementare il trasporto dei turisti verso l’Italia, punta a direttrici di segno opposto, con il lancio fin da questo autunno di voli charter dall’Italia verso mete esotiche, dalle Maldive a Zanzibar.
Per quanto riguarda i contribuenti, Berlusconi non ha mai conteggiato, come se non esistessero, i costi sociali di circa 8 mila dipendenti in meno e i costi degli ammortizzatori che lo Stato deve pagare per 4 anni.
A conti fatti, il passaggio dalla vecchia alla nuova Alitalia è costato circa 4 miliardi di euro ai contribuenti, così come emerge anche dalle carte del liquidatore Augusto Fantozzi, dimissionario da alcuni giorni, da quando ha capito che il governo avrebbe voluto tenerlo sotto tutela affiancandogli due co-commissari mettendolo nella condizione di non poter avviare in coscienza e autonomia la richiesta di danni ai vecchi amministratori per la mala gestione della compagnia.

Daniele Martini
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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PONTE GALERIA UN INUTILE INFERNO

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

IL CENTRO DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE DI ROMA AL CENTRO DI UNA VISITA DEI PARLAMENTARI DI OPPOSIZIONE…DA TEMPO IL REGIME BOSSI-MARONI AVEVA VIETATO L’INGRESSO AI GIORNALISTI COME IN SUDAMERICA… DETENUTI PER 18 MESI SENZA AVER COMMESSO ALCUN REATO

Una ragione grave ha indotto un gruppo di senatori e deputati (tutti di opposizione) ad andare a Ponte Galeria, il cosiddetto Centro di Identificazione e di espulsione di Roma, ovvero la prigione di immigrati e profughi catturati a caso, rinchiusi a caso, detenuti senza spiegazioni, senza ragioni e senza capire.
Lo stesso giorno, il 25 luglio, altri deputati e altri senator si sono presentati ai Cie in tutta Italia.
È accaduto che il governo Bossi-Maroni (al momento ancora formalmente presieduto da Berlusconi) abbia appena stabilito, in modo del tutto arbitrario e mentre tutto accade, nel mondo e in Italia, tranne che un’emergenza immigrati, che la detenzione cieca, che era di sei mesi, sia adesso improvvisamente diventata una detenzione cieca di un anno e mezzo.
Ho scritto “cieca” perchè niente è chiaro o spiegato o documentato in questa brutta storia.
Per essere sicuro che resti cieca, il governo Bossi-Maroni ha deciso, contro la Costituzione, di vietare l’ingresso ai giornalisti, impedendo dunque qualunque informazione per i cittadini e per l’opinione pubblica internazionale.
Il 25 luglio a Roma c’erano il presidente dell’Ordine dei giornalisti, C’era il segretario della Federazione della stampa. C’erano televisioni e decine di colleghi giornalisti. Dal tetto di uno degli edifici-prigione alcuni detenuti ribelli chiedevano di incontrare i giornalisti e di parlare.
Per la stampa non è entrato nessuno.
E purtroppo nessun giornale o Tv (breve eccezione, il Tg3) ha condiviso la protesta o almeno dato spazio a questa notizia non insignificante.
Siamo entrati noi, i deputati e senatori, e abbiamo incontrato gente disperata in un carcere costruito con mura altissime, sbarre da massima sicurezza, impianti da grave e pericolosa emergenza.
Intorno, con la funzione umiliante dei carcerieri, soldati italiani in divisa da guerra, con l’identificazione tricolore sul braccio, qualcosa che i prigionieri, che sono tutti giovani e prima o poi ritorneranno nel mondo, non dimenticheranno.
Dentro funzionari e agenti di polizia, prigionieri a loro volta di una folle invenzione, a cui è stato imposto, nonostante la ben diversa professionalità  di fare i sorveglianti, di qua dalle sbarre altissime, che tengono a bada prigionieri che non hanno commesso alcun reato.
Tutto è folle qui, dalla violazione dei più elementari diritti garantiti dai trattati che l’Italia ha firmato, allo sfregio della nostra Costituzione.
Tutto, tranne il dolore e il senso di assurdo che viene dal non sapere il perchè (l’arresto) e quando (la liberazione).
Le mani si protendevano dietro le sbarre e noi le abbiamo strette facendo promesse che, da minoranza nelle Camere, non potremo mantenere.
Due cose però accadranno.
I giornalisti non smetteranno di rivendicare il loro diritto (e avranno tutto il nostro sostegno e il sostegno di molti cittadini).
E costituiremo, sul modello proposto dai Radicali, un gruppo di giuristi e avvocati per affrontare questo grave problema legale e morale che infetta e degrada la vita italiana.

Furio Colombo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL PD E LA QUESTIONE MORALE

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

QUEL CHE BERSANI NON HA SCRITTO

Il Pd ha questo di buono: della sua questione morale per lo meno ne parla.
Bersani ha affrontato il problema con la lettera pubblicata dal Corriere della Sera . Che contiene due elementi apprezzabili.
Il primo è l’ammissione che la «diversità  genetica» non esiste più.
Gli iscritti al Pd non sono vaccinati dalla loro storia o dai loro ideali contro la tentazione di rubare.
Bersani dice che il Pd aspira piuttosto a una «diversità  politica».
Ed elenca molte misure certamente utili per ridurre il rischio che i politici – i suoi e gli altri – rubino.
Tra queste una legge, del resto prevista in Costituzione, che regolamenti la vita dei partiti condizionando i generosi finanziamenti dello Stato al rispetto di regole interne di trasparenza.
Bisognerebbe anzi prevedere, come nel calcio, la responsabilità  oggettiva: chi sgarra perde i soldi pubblici.
Detto questo, Bersani si ferma ben al di qua di ciò che servirebbe per restituire al Pd l’onore politico compromesso dai casi Penati, Pronzato e Tedesco.
Nella sua lettera manca infatti ogni accenno autocritico.
Che ci vuole ad ammettere, per esempio, che un dirigente del Pd nel consiglio di amministrazione dell’Enac non doveva proprio starci?
Non è così che si separa «la politica dalla gestione», come il Pd spesso auspica?
Se si dà  a un politico il potere di assegnare una tratta aerea gli si regala anche un potere discrezionale che sarà  fatalmente tentato di sfruttare.
E non sono forse migliaia gli enti e le aziende pubbliche i cui cda esistono al solo scopo di assicurare poltrone e affari ai partiti?
Secondo punto. Non si può criticare il Pd perchè alcuni suoi senatori si sono rifiutati di avallare il teorema per cui Tedesco, che non fu arrestato quando era un «semplice» assessore di Vendola, meriti ora la privazione della libertà  perchè da parlamentare può delinquere più facilmente (tesi sostenuta dai magistrati).
Ma il Pd ha la colpa di aver portato in parlamento Tedesco proprio perchè era inquisito, con la «furbata» di eleggere a Strasburgo chi lo precedeva in lista, promuovendolo così da primo dei non eletti a eletto dotato di «scudo».
Infine il caso Penati, il più scabroso per Bersani, poichè ne era il braccio destro.
Si capisce che il segretario del Pd non voglia entrare nel merito delle accuse penali. Ma la pietra dello scandalo è la spericolata operazione con cui la Provincia di Milano guidata da Penati comprò azioni di una società  autostradale, peraltro già  a maggioranza di capitale pubblico.
Bersani potrebbe almeno dire che quell’affare fu un errore, frutto dell’ipertrofia, se non peggio, di una politica che invece di privatizzare acquista fette di aziende, gioca a Monopoli e fa scambi impropri con le imprese usando il denaro dei contribuenti?
Moralizzare davvero vuol dire espellere la politica dalla gestione degli affari e dell’economia.
Fare del moralismo è invece lisciare il pelo ai pasdaran dell’antipolitica, come il Pd ha fin qui spesso fatto nella speranza – ha scritto Marco Follini – di «esserne risparmiato in ragione di un minor vizio: soluzione ingenua senza essere del tutto innocente».
Il trucchetto, come si vede in questi giorni, non funziona più.
Non resta che fare sul serio.

Antonio Polito
(da “Il Corriere della Sera“)

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INCHIESTA SU PENATI: LA PISTA DELLA PROCURA PORTA ALLE COOP ROSSE

Luglio 28th, 2011 Riccardo Fucile

VERSATI 2,4 MILIONI DI EURO PER CONSULENZE FITTIZIE…PER I PM ERA UNA FORMA DI FINANZIAMENTO AI DS

Il “sisitema Sesto” è un po’ come il vaso di Pandora: ovunque ti giri, spuntano tangenti.
Non tutte chiare, non tutte destinate all’ex sindaco di Sesto San Giovanni Filippo Penati e soprattutto non tutte servite per finanziare le attività  politiche dei Ds tra la provincia e Milano.
L’ultima traccia scoperta dagli inquirenti porta infatti ben oltre i confini della Lombardia anche se si dissolve tra i Lidi di Ravenna e le campagne di Modena.
E’ qui infatti che, inspiegabilmente, finiscono 2 milioni e 400 mila euro versati dall’imprenditore edile ed esponente del centrodestra Giuseppe Pasini a due società  indicate dalle cooperative rosse di Bologna: la Fingest di Modena e la Aesse di Ravenna.
Secondo il materiale raccolto dagli inquirenti monzesi, i pm Walter Mapelli e Franca Macchia, il passaggio di denaro, avvenuto nel 2002 in almeno 4 tranches da 619 mila euro ciascuna, non ha infatti una spiegazione plausibile, visto che le fatture emesse a fronte dei pagamenti di Pasini parlano di contratti per lavori inesistenti.
Generiche consulenze per l’estero che poco sarebbero servite in quel periodo a Pasini, in lotta per ottenere dal comune di Sesto San Giovanni una deroga al Prg che gli consentisse di avere un aumento volumetrico sulle costruzioni da realizzare nell’area ex Falk.
Secondo le accuse, ad indicare a Pasini le due società , i cui titolari, Francesco Aniello (avvocato siciliano) e Giampaolo Salami (professionista ravennate) erano legati al Consorzio Cooperative Costruzioni, sarebbe stato Omer Degli Espositi, il 63enne vicepresidente della Ccc ora indagato (insieme ai due consulenti) per concorso in concussione, corruzione e finanziamento illecito ai partiti.
Pasini ai pm avrebbe spiegato che dopo aver acquistato l’area Falk per 380 miliardi di lire arrivò a un accordo con Penati per non subire intralci burocratici che prevedeva il versamento di una tangente complessiva di 20 miliardi di lire, in pratica il 5 per cento sul valore dell’area.
Una cifra che l’imprenditore, ora consigliere comunale del centrodestra, si sarebbe impegnato a versare in diverse modalità : 4 miliardi di lire subito (si parla del 2002) aprendo un conto in Lussemburgo che servì in gran parte per rifondere una parte dei finanziamenti a Penati ricevuti dall’imprenditore dei trasporti e Grande Accusatore, Piero Di Caterina.
In pratica con quei soldi, Pasini consentì all’allora sindaco di Sesto di iniziare a far fronte ai suoi debiti con Di Caterina, tenendo per sè, o meglio per le spese della sua struttura politica, “solo” 500 milioni di lire, che vennero prelevati in Svizzera dal suo braccio destro Giordano Vimercati.
Esistono le contabili bancarie e i numeri di conto corrente forniti dagli stessi imprenditori che non lasciano spazio a molti dubbi.
Un’altra parte dell’accordo tra Pasini e Penati, almeno secondo l’imprenditore, avrebbe previsto invece l’intervento della Ccc di Bologna per l’appalto di alcuni lavori nell’area.
Infine, il versamento di quei famosi 2 milioni e 400 mila euro alle due piccole società  di consulenza di Modena e Ravenna.
Che fine hanno fatto quei soldi? A chi erano destinati veramente?
Il sospetto degli investigatori, anche in questo caso, è che si sia trattato di un pagamento per i vertici nazionali del partito di Penati dell’epoca, ovvero i Ds.
Ieri intanto i magistrati di Monza hanno interrogato un altro indagato, Antonio Princiotta, segretario generale prima del comune di Sesto e poi della Provincia sempre con Penati.
Accompagnato dal suo legale, l’avvocato Luca Giuliante (lo stesso di Lele Mora, nonchè tesoriere del Pdl lombardo), Princiotta è stato ascoltato per un paio d’ore. Secondo Di Caterina, il burocrate vicino a Penati avrebbe ricevuto la promessa e il versamento di 100 mila euro (in tranche da 2000 euro ciascuna, l’ultima nel 2008) per stendere la delibera della Provincia, firmata da Penati il 9 gennaio del 2009, che risolvesse il contenzioso dell’imprenditore con l’Atm di Elio Catania, obbligando l’azienda dei trasporti milanesi a versare alla Caronte 12 milioni di euro dovuti dagli introiti dei biglietti.
Crediti tutt’ora vantati da Di Caterina, visto che l’esecutività  della delibera è stata poi bloccata dalla nuova giunta di Podestà .
Princiotta ha negato le accuse, sostenendo in pratica che Di Caterina sarebbe impazzito.
Ma come si sa, talvolta la verità  è patrimonio dei folli.
E qui il manicomio è appena cominciato.

Paolo Colonnello
(da “La Stampa“)

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