Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
VIA LA STRETTA SU LAUREA E NAIA, ORA SI TORNA ALL’AUMENTO DELL’IVA E AL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’…. LITI INTERNE ALLA LEGA TRA CALDEROLI E MARONI… LA “PADANIA” OGGI DICE L’OPPOSTO DI QUANTO SOSTENUTO IERI
Alla fine, dopo le proteste piovute sul governo da opposizione, sindacati, società civile e anche da ambienti della stessa maggioranza, la stretta sulle pensioni è saltata.
E’ bastato un faccia a faccia tra Calderoli e Sacconi per far suonare il de profundis sulla contestata norma.
E meno male che la manovra doveva essere “più equa”, come garantito dal premier.
L’unica cosa distribuita equamente, per il momento, è l’insoddisfazione.
A cominciare dalle pensioni, su cui tutto pare essere tornato in alto mare.
La decisione di intervenire sul riscatto degli anni della laurea e del militare ha cominciato ad insinuare dubbi non solo nella Lega, ma anche nel Pdl, tanto che ieri, fino a tarda sera, il ministro Sacconi e alcuni tecnici della maggioranza si sono attardati al lavoro con i vertici dell’Inps per ritoccare la proposta del governo; così come è emersa a Villa San Martino, infatti, la norma rischia di essere incostituzionale.
C’è subbuglio anche nella Lega, con i senatori del Carroccio che avrebbero come obiettivo addirittura quello di eliminarla.
Il problema è che il gettito previsto (650 milioni il primo anno e circa 1200 l’anno successivo) andrebbe coperto con un’altra misura che al momento non c’è.
A risultare particolarmente attivo nelle ultime ore è stato il ministro dell’Interno Maroni, che si è smarcato di nuovo dal ritrovato asse Tremonti-Bossi Berlusconi.
A tentare di tenere insieme tutti i pezzi del Carroccio che si stanno nuovamente sgretolando il ministro Calderoli che ha infatti annunciato un incontro per stamattina con Sacconi e i tecnici del Tesoro in cui si valuterà “l’impatto sociale” dell’intervento sulle pensioni.
Del resto, il clima tra i leghisti non è certo dei migliori.
Non fosse per il fatto che la promessa del titolare del Viminale ai Comuni (“I tagli agli enti locali saranno almeno dimezzati”) rischia di non poter essere mantenuta: “Vista la confusione sui numeri della manovra, e vista la fumosità del meccanismo per i Comuni, qualche timore ce l’abbiamo”, hanno spiegato alcuni deputati vicini a Maroni.
Che hanno messo l’accento sull’attivismo di Calderoli che “di fatto ha intestato anche alla Lega una manovra che non ci piace affatto”.
Insomma, il risultato è che in molti, tra gli uomini di Maroni, sono più che preoccupati per come la Lega rischia di uscire dalla manovra, tanto che il Consiglio dei ministri di giovedì ha il compito di blindare il decreto proponendo un voto di fiducia alle Camere.
Una avvisaglia di quel che potrebbe succedere in casa leghista l’ha data questa mattina la Padania, chiamata a fare da pompiere su una base sempre più insofferente, per non dire di peggio.
E così piovono titoli rassicuranti come “nuove riflessioni sulla manovra” o “manovra in discussione”.
I leghisti insomma, non hanno gradito per niente il colpo al riscatto del militare.
E dire che solo poche ore prima del nuovo intoppo, Berlusconi si era dichiarato “molto, ma molto soddisfatto” per la ritrovata concordia e per un accordo che, a suo dire, aveva migliorato la manovra “senza modificare i saldi”.
All’appello, comunque, mancherebbero diversi miliardi di euro e li dovrà tirare fuori Tremonti, un ministro dell’Economia con il quale il Cavaliere giura di aver ritrovato il feeling di un tempo (“lo scontro è un romanzo d’agosto”) .
Tanto che l’altra sera era ricominciato a girare il nome di Vittorio Grilli come suo successore.
Nella migliore delle ipotesi, il buco nella manovra si aggira attorno ai 5 miliardi di euro.
Nella peggiore previsione si arriva invece a 20 miliardi.
Come si arriva alle cifre?
Nel primo caso il conto è ormai risaputo.
Dal vertice di Arcore, infatti, la manovra è uscita senza contributo di solidarietà (a parte gli statali, sui quali la vessazione rimane) e con i tagli agli enti locali dimezzati.
Cioè con quasi sei miliardi di gettito in meno. Recuperato solo in parte grazie alla norma ammazza-riscatto sulle pensioni, che nella migliore delle previsioni (e se dovesse sopravvivere) porterà nelle casse dello Stato non più di un miliardo e mezzo di euro. Poco. Troppo poco, se si considera che le stime sul Pil italiano nel frattempo sono crollate rispetto al +1,1% su cui il governo ha impostato i propri conti.
Per il Fondo monetario internazionale il nostro paese si dovrà accontentare dello 0,7% quest’anno e lo 0,8% l’anno prossimo.
Risultato: a conti fatti altri 15 miliardi da recuperare nel rapporto con il deficit per arrivare all’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013.
E potrebbe non finire qui.
Ieri lo spread con i Bund tedeschi ha ricominciato a crescere e si è avvicinato alla soglia dei 300 punti. Se dovesse continuare così (nonostante l’acquisto di titoli italiani operato dalla Bce) nessuno può escludere che a breve si parli di una nuova, ennesima manovra correttiva.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL GOVERNO GIOCA ALLE TRE TAVOLETTE…SUI SALDI FINALI PESANO ANCHE L’INCOGNITA CRESCITA E L’AUMENTO DEGLI INTERESSI SUI TITOLI DI STATO
I conti non tornano.
Quelli dell’economia globale, dell’Europa, dell’Italia, della manovra bis.
L’esercizio politico di spostare le poste come birilli ha forse preservato il consenso dei rispettivi elettorati, meno i saldi di un provvedimento d’urgenza richiesto dalla Bce per anticipare al 2013 il pareggio di bilancio.
Il rischio è che, a breve, quei conti si debbano riaprire per un terzo, doloroso, intervento.
Tre manovre in tre mesi, l’Italia come la Grecia, è il pericolo da scongiurare a tutti i costi.
I sintomi, però, ci sono tutti.
Il vertice di Arcore di lunedì ha, di fatto, aperto un primo “buco”, stimato dall’opposizione ma anche da studiosi ed economisti in almeno 5 miliardi: tolto il contributo di solidarietà (3,8 miliardi di euro in tre anni), concessi 2 miliardi di minori tagli agli enti locali (diventano 3 se uno si storna dall’introito della Robin Hood tax), le compensazioni paiono evanescenti.
La stretta sulle società di comodo, la scure sulle Coop, il gettito dell’evasione passato in gestione ai Comuni, sul pallottoliere della contabilità pubblica per ora valgono zero.
Così come le riforme costituzionali (abolizione delle Province e dimezzamento dei parlamentari).
Poi i dubbi di costituzionalità aperti dal caso supertassa, rimasta per pensionati e statali, e dal caso pensioni, che comunque forniranno introiti solo a partire dal 2013 (500 milioni), fanno pensare ad un’altra falla da riempire.
Infine, la delega fiscale da 20 miliardi, corposa ma ancora nebulosa, che nasconde l’aumento dell’Iva.
Poi c’è il contorno.
Fatto di stime sulla crescita in forte ribasso (lo diceva lunedì il Fondo monetario internazionale per il mondo e l’Italia, ieri l’Istat e anche la Banca d’Italia).
Interessi sui titoli di Stato italiani che lievitano a vista d’occhio (gli spread con i Bund tedeschi hanno ripreso a correre).
Numeri che i mercati sanno leggere benissimo e che, inevitabilmente, cambieranno le condizioni italiane per aver deficit zero nel 2013.
“Le stime sul Pil dell’Fmi possono anche peggiorare, perchè calcolate senza tenere ancora in conto l’effetto comunque depressivo delle due manovre estive”, dice Mario Baldassarri, economista e senatore Fli.
“Al momento la minore crescita, da qui al 2013, è stimata in due punti in meno. Ovvero un punto in più di deficit. Ovvero 15 miliardi nel 2013. Il pareggio, nei numeri non c’è più. Servirà una manovra ter da 25-30 miliardi che non ci possiamo però permettere. A che titolo la Bce continuerà a comprare i nostri titoli?”.
Tra una ventina di giorni il governo presenterà il nuovo Def, con il Pil rivisto.
“Il punto è correggere i conti, subito, ma con misure strutturali”, dice Nicola Rossi, economista, gruppo misto.
“Questa manovra bis, così sbilanciata sulle entrate, ne avvicina una terza. Sì, sembra proprio l’iter greco”.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER: “SALDI A RISCHIO, AUMENTIAMO L’IVA”…LE NUOVE MISURE NON BASTANO, SECONDO I CALCOLI DELLA RAGIONERIA… DUBBI DEL COLLE SUL VOTO DI FIDUCIA…LA LEGA, CONTESTATA DAI SUOI ELETTORI PER LE PENSIONI, CAMBIA IDEA PER LA TERZA VOLTA
“Se ci ritroviamo spalle al muro, allora rimettiamo mano all’Iva e con quel punto recuperiamo i 5 miliardi, con buona pace di Giulio”.
All’indomani del vertice di Arcore Silvio Berlusconi è un uomo assalito da dubbi.
Un premier che a collaboratori e ministri sentiti a più riprese in giornata confida incertezza e preoccupazione.
E una profonda irritazione nei confronti di Tremonti, ancora una volta.
Perchè sarebbe stato proprio il ministro delle Finanze, nel lungo summit di due giorni fa, ad assicurare che pur dimezzando i tagli ai comuni e abolendo il contributo di solidarietà , altre misure di lotta all’evasione e all’elusione avrebbero garantito il mantenimento dei saldi.
Il conto dei 45 miliardi sarebbe comunque tornato, insomma.
Ieri a Palazzo Chigi si sono accorti che le cose stavano diversamente, a sentire la stessa presidenza del Consiglio.
Il Cavaliere l’ho appreso da Gianni Letta, che ha tenuto i contatti con la Ragioneria dello Stato: l’organismo contabile avrebbe informato in via informale che le entrate previste con le nuove misure post-vertice lascerebbero uno scoperto di circa 6 miliardi di euro rispetto alla manovra del 12 agosto.
“A questo punto Giulio deve darci le cifre, misura per misura” sarebbe sbottato il premier coi suoi.
Tanto più che il tempo stringe, il governo deve mettere a punto gli emendamenti correttivi, stavolta nero su bianco per davvero, entro domani.
Perchè in commissione Bilancio al Senato si entra nel vivo con le votazioni. Ministri pidiellini in fermento contro il ministro del Tesoro, ma lui non c’è, irreperibile.
È ritornato sui monti della sua Lorenzago. “Il Professore Tremonti non è a Roma, il telefono non ha campo e quindi non prende” fa sapere a tutti il portavoce di via XX Settembre.
E tanto basta per irritare ancor più il Cavaliere. “Mi aveva assicurato che avremmo potuto rivedere i tagli ai comuni e cancellare il contributo di solidarietà perchè le sue misure anti evasioni sarebbero state sufficienti, se non è così, allora torniamo ad aumentare il punto Iva” hanno sentito dire ieri al presidente del Consiglio, a questo punto determinato a tutto.
Anche allo scontro finale con Tremonti, pur di non far precipitare la situazione.
Sembra che tra i contatti avuti da Berlusconi, ve ne siano stati nelle ultime ore anche con il governatore di Bankitalia – futuro presidente Bce – Mario Draghi. Tra i due potrebbe esserci un incontro a Roma la prossima settimana.
Le perplessità del premier nelle ultime 24 ore sono le stesse dei ministri leghisti.
La “Padania” se ne fa portavoce, con tanto di titolo che oggi minaccia la riapertura del confronto sulla manovra. “Inaccettabile” fa già sapere il capo del governo.
Berlusconi preferisce presentarsi davanti a una delle tv del gruppo di famiglia (Studio Aperto) per difendere il “successo” della sera prima.
Ma è una mossa difensiva, studiata nelle stesse ore in cui l’accordo è già sotto assedio.
Tra medici e magistrati e soprattutto dipendenti pubblici sul piede di guerra, mentre la tenuta dei sindacati più vicini – Uil e Cisl – viene rimessa in discussione non appena si è diffusa la notizia che il contributo di solidarietà resta in vigore proprio per gli statali.
È la norma sulla cancellazione del riscatto degli anni di laurea e di servizio militare a mandare su tutte le furie Calderoli e i parlamentari leghisti.
Per il Carroccio le pensioni non andavano proprio toccate. I senatori del gruppo minacciano di bocciare l’emendamento.
Gli uffici legislativi del Colle, che stanno seguendo con attenzione gli sviluppi sul decreto, pur non avendo ancora esaminato gli emendamenti, avrebbero lasciato trapelare già i loro dubbi. Suffragati da quelli di autorevoli costituzionalisti: la norma sul riscatto rischierebbe di violare l’articolo 3 della Costituzione, tanto per cominciare.
Sotto attacco in questo caso, oltre a Tremonti, finisce il ministro del Welfare Sacconi, artefice della trovata.
Non è un caso se questa mattina proprio il ministro pidiellino si vedrà con Calderoli e i tecnici del Tesoro, con l’intento di rimettere mano alla norma.
Tra le ipotesi, il salvataggio del riscatto per il solo anno di militare. Ma non viene escluso un passo indietro su tutto, che lasci intatto il riscatto.
Troppo trasversale e diffusa la protesta scatenata già ieri dalla novità in tema di pensioni.
Ma sono anche i colleghi pidiellini di governo a lamentarsi di Sacconi, che lunedì a Villa San Martino aveva garantito della tenuta dei sindacati, su pensioni e contributo di solidarietà per gli statali.
Si è scoperto ieri che non era così. Che le confederazioni “amiche” adesso minacciano pure loro la mobilitazione. Caos su più fronti, mentre l’esame della manovra al Senato entra nel vivo.
Domani il Consiglio dei ministri si riunirà per discutere dell’eventuale fiducia al maxi emendamento che sarà presentato per scavalcare le 1.300 proposte di modifica depositate.
Il Quirinale lascia trapelare più che qualche perplessità e puntualmente il presidente del Senato Schifani se ne fa interprete auspicando un confronto aperto con le opposizioni e scongiurando il ricorso alla fiducia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
È SCONTRO, ECCO PERCHà‰: I NODI DA SCIOGLIERE… OGGI SI PREVEDE IL RITIRO DEL PROVVEDIMENTO CHE ANNULLA GLI ANNI DI SERVIZIO MILITARE E DI UNIVERSITA’… ENNESIMA FIGURACCIA DEL GOVERNO
Gli interventi sul sistema previdenziale ipotizzati ieri nel vertice di maggioranza saranno con tutta probabilità modificati se non addirittura eliminati: è quanto emerge in ambienti Pdl dopo il polverone che sui è alzato sull’impatto sociale della manovra e sui rischi di una valanga di cause in particolare per quanto riguarda le norme sul riscatto degli anni di laurea e sull’anno di servizio militare.
Ieri sera il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi ha incontrato i vertici degli entri previdenziali e per oggi è previsto un incontro con il ministro della semplificazione Roberto Calderoli proprio sull’impatto «sociale» degli interventi in materia previdenziale.
L’esclusione dei periodi di laurea e di servizio militare riscattati dal calcolo dei 40 anni di anzianità contributiva per uscire dal lavoro senza limiti di età annunciata ieri, infatti, potrebbe riguardare circa 100.000 lavoratori l’anno (secondo i calcoli più prudenti, 130.000 secondo stime sindacali) persone che a fronte di aspettative «tradite» potrebbero decidere di avviare un contenzioso con buone possibilità di vincere la causa.
I nodi sul tappeto sono diversi e renderanno difficile mantenere in campo l’intervento aprendo la via a modifiche.
In particolare le ipotesi avanzate dalla maggioranza danneggiano chi ha riscattato gli anni di laurea.
Chi va in pensione con il metodo retributivo e 40 anni di anzianità , infatti, può ricevere al massimo l’80% della media delle retribuzioni degli ultimi anni.
In questo caso l’esclusione degli anni di laurea dal conteggio dei 40 anni varrebbe non solo per i tempi di pensionamento (con un rinvio di 4 anni) ma anche per il calcolo dell’assegno dato che il rendimento massimo non può superare l’80%.
Chi ha riscattato gli anni di laurea sarebbe quindi doppiamente beffato perchè avrebbe pagato per non ottenere nulla in cambio.
L’accordo inoltre non chiarisce quale sarà la sorte dei lavoratori che avevano più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, fino ad ora rassicurati dal calcolo della loro pensione su base retributiva (chi ne aveva meno ricadeva nel misto mentre gli assunti dal 1996 hanno il metodo contributivo).
Non è chiaro se lo scorporo degli anni di servizio militare e di laurea andrà a decurtare quel «pacchetto» facendo rientrare una parte di loro tra coloro che avevano meno di 18 anni di contributi e quindi inseriti nel gruppo del calcolo «misto», retributivo-contributivo.
Appare infine a rischio anche il fronte della differenziazione tra chi va in pensione con le quote (60 anni di età e 36 di contributi nel 2011, dei quali nel caso 32 di effettivo lavoro oltre agli anni di laurea), che mantiene il diritto a fare valere gli anni riscattati, rispetto a chi va con 40 che si troverebbe invece a lavorare 40 anni effettivi (non valendo ai fini dell’uscita gli anni riscattati).
Ecco i nodi sul tappeto
CHI VA IN PENSIONE CON IL METODO RETRIBUTIVO A 40 ANNI DI ANZIANITà€ PUà’ AL MASSIMO RICEVERE L’80% DELLA MEDIA RETRIBUZIONE DEGLI ULTIMI ANNI: di fatto quindi non solo queste persone dovranno restare un anno in più (o cinque nel caso del riscatto anche della laurea), ma perderanno quanto versato come riscatto di questi periodi, poichè nel calcolo della pensione con questo metodo il rendimento massimo è l’80%.
NODO RIFORMA DINI: cosa succederà di coloro che a fine 1995 avevano più di 18 anni di contributi e quindi mantenevano il metodo di calcolo retributivo (chi ne aveva meno ricadeva nel misto mentre gli assunti dal 1996 hanno il metodo contributivo)? L’anno di servizio militare e gli anni di laurea verranno considerati al di fuori di quegli anni?
STATALI: C’è una norma nel decreto 78/2010 che prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche di interrompere il rapporto con i lavoratori che hanno 40 anni di anzianità . Gli anni adesso esclusi saranno considerati o no nel calcolo per arrivare a 40?
40 ANNI E QUOTE, RISCHIO INIQUITà€: appare a rischio anche il fronte della differenziazione tra chi va in pensione con le quote (60 anni di età e 36 di contributi nel 2010, dei quali nel caso 32 di effettivo lavoro oltre agli anni di laurea), che mantiene il diritto a fare valere gli anni riscattati, rispetto a chi va con 40 che si troverebbe invece a lavorare 40 anni effettivi (non valendo ai fini dell’uscita gli anni riscattati).
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
“VIETATO CRITICARE IL CANDIDATO”: E’ QUESTA L’ULTIMA SENTENZA DEI PROBIVIRI DEL PD…. CHISSA’ COME MAI TUTTO IL MONDO E’ PAESE
La Commissione di garanzia che giudicherà Filippo Penati si è riunita l’ultima volta nell’aprile del 2010.
Giuseppe Lumia e altri tre parlamentari avevano criticato il collega Vladimiro Crisafulli, coinvolto in inchieste di mafia. Risultato, una censura per essere “venuti meno alla lealtà di partito
Il prossimo 5 settembre la Commissione di garanzia del Partito Democratico presieduta da Luigi Berlinguer si riunirà per valutare il da farsi sul caso che coinvolge l’ex capo della segreteria politica di Bersani, Filippo Penati, ed il suo vice Giordano Vimercati, indagati nell’inchiesta della Procura di Monza su un giro di tangenti per la riqualificazione dell’area ex Falck di Sesto San Giovanni.
La commissione era stata interpellata l’ultima volta ad aprile dell’anno scorso, come ricorda Maria Teresa Meli sulle pagine del Corriere della Sera, a proposito di quattro parlamentari del Pd: i senatori Roberto Della Seta, Francesco Ferrante e Giuseppe Lumia, e il deputato Ermete Realacci.
L’accusa? Aver firmato una lettera indirizzata a Pier Luigi Bersani in cui criticavano la scelta del partito di candidare a sindaco del comune di Enna il senatore democratico Vladimiro Crisafulli, visto e filmato mentre parlava di appalti con un boss del posto già condannato per mafia.
Crisafulli alla fine non si candidò, ma gridò al complotto contro di lui da parte dei suoi stessi colleghi di partito, parlando ai microfoni di Radio Radicale di “aggressione mediatica e strumentale” e accusandoli anche di “non conoscere nulla della vita della città ”.
Nella stessa intervista il senatore Pd precisò anche di essere già stato indagato per quei fatti nel 2003, con un’inchiesta “aperta e chiusa nel giro di sei mesi”.
Mentre Crisafulli imputava la guerra di Lumia e compagni nei suoi confronti a una mera lotta tra “fronde interne”, i suoi quattro accusatori furono convocati dal collegio presieduto da Berlinguer e ammoniti perchè “erano venuti meno alla lealtà del partito”.
La Commissione aggiunse anche che se avessero continuato a sollevare problemi di quel tipo sarebbero stati espulsi.
Dopo di che, come racconta ancora il Corriere, “non ci furono più insulti, nè allusioni, nè parole: silenzio, onde evitare l’espulsione dal partito”.
E questa volta, con Bersani, Violante e altri grossi nomi che invocano trasparenza e difesa del “buon nome”, come andrà a finire?
Un atteggiamento che ci ricorda certe prese di posizione di Fli nazionale sul caso ligure: chi denuncia cattive frequentazioni di dirigenti viene costretto ad andarsene, chi le ha rimane al suo posto.
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
ITALIANI INDIGNATI SU BLOG E NETWORK DOPO LA NOTIZIA CHE GLI ANNI DEL SERVIZIO MILITARE E QUELLI UNIVERSITARI NON POTRANNO PIU’ ESSERE CONTEGGIATI PER CALCOLARE L’ETA PENSIONABILE… “IL GOVERNO SCARICA IL COSTO DELLA MANOVRA SUI PIU’ DEBOLI”…”CHE FINE FARANNO QUEI 18 MILIONI SPESI PER RISCATTARE LA LAUREA?”
Un anno di vita militare “buttato al vento”.
Abbiamo servito la patria e “adesso ci ripagano così”. Per il nostro governo “lo studio e l’università sono solo tempo sprecato”.
E’ un gioco di specchi.
Non appena si diffonde la notizia che gli anni dell’università e del servizio militare non potranno più essere conteggiati per calcolare l’età pensionabile, in rete scatta l’indignazione dei cittadini.
In migliaia criticano con durezza l’ultima scelta dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi.
“Mi state rubando quattro anni di riscatto di studi universitari e un anno di servizio militare mentre i vostri privilegi restano gli stessi”.
La rabbia è diffusa.
Per un governo “che protegge sempre e comunque gli interessi dei più ricchi”.
Che scarica il “costo della manovra finanziaria sui più deboli, su chi ha fatto enormi sacrifici per studiare e assolvere ai doveri nei confronti del Paese”.
Facebook e i social network diventano veicolo di una protesta che mette insieme migliaia di cittadini.
Nel mirino, finiscono tutti i privilegi non scalfiti dalle misure della manovra di Ferragosto.
L’amarezza emerge da numerosi commenti. Tra gli altri: “Vivevo in Inghilterra, dovetti abbandonare tutto per fare il militare e adesso non me lo conteranno nemmeno”.
E ancora: “Che fine faranno quei diciotto milioni spesi per riscattare la mia laurea?”.
Sotto accusa la scarsa lungimiranza del governo, che “compie scelte incredibili solo perchè ha negato per tre anni l’esistenza della crisi”.
C’è chi scrive: “Attaccarsi al riscatto della laurea e del servizio militare, non mi sembrano proprio grandi pensieri… Ma perchè non intervenire sui grandi patrimoni?”.
Non manca chi scatena la polemica politica, puntando il dito contro gli elettori del centrodestra: “Chi devo ringraziare per aver dato il voto a chi oggi vuole togliermi l’anno di servizio militare – oltretutto obbligatorio – ai fini pensionistici?”.
E la classe politica diventa destinataria della maggior parte delle critiche.
“Perchè io devo aspettare sempre di più per andare in pensione e a un parlamentare bastano cinque anni, e anche meno, per poter percepire un vitalizio d’oro?”.
E poi: “Come al solito loro non pagano: non hanno nemmeno la forza di fare quello che avevano promesso: le province non saranno più abolite”.
C’è chi entra nel merito della questione, portando alla luce iniquità e ingiustizie: “Faccio presente che il servizio militare fino agli anni 80, durava 18 mesi. Io andrò in pensione un anno e mezzo più tardi dei miei colleghi che non hanno fatto il militare”.
C’è chi approfitta per sottolineare l’importanza dello sciopero generale dichiarato dalla Cgil per il 6 settembre.
“Tra una settimana tutti in piazza, per difendere tutto quello che ci stanno rubando, giorno dopo giorno”.
E un duro attacco arriva da Cgil-Medici, che denuncia come l’esclusione degli anni di università dal conteggio dell’anzianità per la pensione “determinerà proprio nei confronti dei medici il maggior taglio che oscilla tra i dieci e i dodici anni, considerando che ai sei anni per la laurea vanno aggiunti dai quattro ai sei anni per la specializzazione”.
E si annunciano pesanti ripercussioni anche sugli insegnanti: la riforma, infatti, costringerà 350 mila docenti di scuola media e superiore ad andare in pensione a 65 anni, anzichè prima.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica“)
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
LO STOP AL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ RIPRISTINA LE NORME IN VIGORE PER IL PUBBLICO IMPIEGO CHE NON PREVEDEVANO LA DEDUCIBILITA’… RIMANGONO LO SLITTAMENTO DELLE TREDICESIME E IL POSTICIPO DELLA LIQUIDAZIONE
Cancellato il contributo di solidarietà . Sì, ma per chi?
Lavoratori del privato e autonomi, sicuramente.
Almeno quelli che presentano regolare dichiarazione dei redditi.
Perchè la supertassa ora sparita dalla manovra bis, dopo mille polemiche e proteste (una “follia”, la definizione della presidente di Confindustria, Marcegaglia), in realtà risparmia solo alcuni dei 511 mila contribuenti dall’obbligo alla solidarietà di Stato, che ora festeggiano lo scampato obolo.
Rimangono fuori, difatti, dipendenti pubblici e pensionati “d’oro”, per i quali il prelievo straordinario era già scattato.
Dal primo gennaio di quest’anno per i primi (in base alla manovra 2010).
Dal primo agosto per i secondi (in base alla manovra di luglio).
La solidarietà , quantificata in 3,8 miliardi di euro in tre anni, dunque non evapora del tutto e, ironia o beffa, si addensa sulle buste paga dei soliti noti.
Lo diceva anche la manovra di Ferragosto.
Estendiamo a tutti il contributo, perchè sia più giusto ed equo, e in più lo rendiamo deducibile.
Ora, dopo il colpo di spugna, il cerino scotta nelle mani di chi invece attendeva uno storno di quanto già versato, da mesi, sperando poi di recuperare qualcosa dalla deducibilità .
Ed è un cerino che riporta tutti al punto di partenza.
I malumori riprendono a correre. Molti dipendenti pubblici avevano presentato, o erano in procinto di farlo, una serie di ricorsi alla Corte Costituzionale.
Ricorsi contro una misura giudicata irrazionale e discriminatoria che ora ripartiranno.
Il prelievo, dunque, rimane, identico per dipendenti pubblici e pensionati: il 5% da applicare sulla parte che eccede i 90 mila euro e il 10% su quella sopra i 150 mila euro. Senza deduzioni e senza carichi familiari.
E senza più nessuno che si stracci le vesti contro la tassa che colpisce gli onesti.
Alla fine, la manovra bis, rinnovata dal vertice di Arcore, sembra abbattersi con decisione sul comparto pubblico.
Rimangono in piedi lo slittamento delle tredicesime, se il dicastero non centra gli obiettivi di risparmio, il posticipo di due anni della liquidazione per chi anticipa il pensionamento, i tagli ai ministeri (6 miliardi nel 2012 e 2,5 miliardi nel 2013), l’inefficacia delle promozioni sul calcolo del Tfr se maturate da meno di tre anni, i trasferimenti facili di dirigenti e prefetti.
A queste misure si aggiungono gli effetti della manovra 2010 come il blocco di salari, contratti, carriere.
Blocco allungato di un anno dalla prima manovra di luglio.
A preoccupare, c’è pure la stretta sulle pensioni, decisa ieri: 700 mila docenti, 200 mila medici, e poi prefetti, magistrati, poliziotti, dirigenti pubblici hanno già pagato per riscattare la laurea.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
NEL MIRINO GLI SCONTI IRES DEL 70% E DEL 30% SUGLI UTILI DELLE AZIENDE DEL SETTORE MUTUALISTICO
Nel balletto dei tagli per recuperare risorse tornano in pista le cooperative.
Al vertice di Arcore si è riaffacciata la proposta di introdurre nella manovra bis la riduzione delle agevolazioni fiscali alle cooperative.
Non è ancora ben chiara nè definita l`entità della riduzione, nè ne sa ancora nulla Luigi Marino, il presidente dell`Alleanza delle cooperative italiane, l`associazione che da gennaio di quest`anno coordina a livello nazionale Legacoop, Agci (Associazione nazionale cooperative italiane) e Confcooperative, che conta 43mila imprese associate e oltreunmilione di occupati, per un fatturato globale di 127 miliardi di euro.
In Italia le cooperative sono circa 80mila e danno lavoro a oltre un milione e mezzo di persone, con un tasso di occupazione del 5,5% negli ultimi due anni, in controtendenza rispetto all`andamento generale del mercato del lavoro.
Incidono sul Pil per il 7,6%.
Queste 80mila cooperative vanno divise in due tipologie.
Quella a mutualità prevalente (la maggior parte dell`attività è rivolta ai soci) che godono dell`esenzione dall`imposta sul reddito d`impresa (Ires) sul 70% degli utili.
Quella a mutualità non prevalente (l`attività è prevalentemente rivolta ai non soci), per cui lo sgravio si applica sul 30% degli utili.
Fino al 2001 gli utili non erano soggetti a imposte.
Gli utili delle coop vengono accantonati” a riserva indivisibile”, sono in pratica intoccabili, se non per essere utilizzati in attività della coop.
Sono indispensabili per la sua patrimonializzazione.
Se la società si dovesse sciogliere gli utili finirebbero nel fondo mutualistico del ministero dello Sviluppo economico.
Se le agevolazioni fiscali venissero completamente cancellate, non solo ridotte, il vantaggio per l`Erario sarebbe nell`ordine degli 80 milioni di euro (secondo le stime di Legacoop) ma “la cooperativa è tale proprio perchè dispone di questo strumento delle agevolazioni» fanno sapere dall`Alleanza delle cooperative italiane, «se si toglie loro il “favor” le cooperative muoiono.
“Più che di agevolazione sarebbe più giusto parlare di norma compensatoria, a fronte di vincoli stringenti che vengono imposti all`organizzazione. E un modello che funziona. È spesso criticato e invidiato ma quando abbiamo proposto di estenderlo ad altri modelli di impresa nessun associato di Confindustria ha voluto farlo. Se venissero cancellate le agevolazioni il risparmio sarebbe di poche decine di milioni di euro. Che senso avrebbe?».
Agnese Ananasso
(da “La Repubblica“)
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Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
CASA AL COLOSSEO: LA PROCURA DI ROMA ISCRIVE L’EX MINISTRO PDL PER FINANZIAMENTO ILLECITO AI PARTITI
L’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola ora è davvero nei guai.
Per quell’elegante “mezzanino” con vista sul Colosseo, in via del Fagutale 2, che gli è già costata la poltrona govermativa, è stato iscritto dalla procura di Roma sul registro degli indagati.
L’ipotesi d’accusa “per finanziamento illecito dei partiti” è tutto sommato modesta se si pensa che l’architetto Angelo Zampolini, tecnico di fiducia di Diego Anemone – il costruttore “grandi appalti” al centro dello scandalo che nel 2010 travolse la Protezione civile – poggiò sul tavolo del notaio 80 assegni circolari da 12.500 euro l’uno, per il totale non trascurabile di 900 mila euro, per l’acquisto di quella casa. Come hanno confermato Barbara e Beatrice Papa, le proprietarie che si ostinano a dichiarare di aver ricevuto un milione e 700 mila euro mentre Scajola ammette di averne pagate soltanto 600 mila, come anche attesta il mutuo bancario sottoscritto alla stipula.
Mancano ancora all’appello 200mila euro: forse sapremo chi li ha tirati fuori.
Peccato, tutto sembrava andare per il meglio per l’ex sindaco di Imperia, da quarant’anni in politica, sempre in pole position per incarichi di prestigio.
La bufera sembrava ormai acqua passata e lui a petto in fuori continuava a ripetere: “Non sono indagato, su di me c’è soltanto una furiosa campagna mediatica”.
Tanto che lo scorso marzo era riemerso nell’agone politico e con timing perfetto era riuscito a mettere insieme 23 deputati e 11 senatori, quanto basta per formare una corrente, già pronto anche il nome “Azzurri per la libertà ”.
Poi si era recato ad Arcore in visita a Berlusconi, cupo per la vicenda delle Olgettine, alle prese con tensioni interne al Pdl e con ipotesi di rimpasto.
L’incontro non era stato una festa, ma Scajola aveva buttato già la sua candidatura per qualche incarico governativo, pronto a dare una mano al Pdl in difficoltà perchè “troppo lontano dai problemi della gente”.
La giustizia è lenta ma implacabile e ora, un anno e mezzo dopo le sue dimissioni, la Procura di Roma ha tirato fuori la conclusione dell’indagine affidata alla Guardia di finanza.
Poteva andare peggio considerato che Anemone è imputato del reato di corruzione e Zampolini ha già patteggiato la condanna a 11 mesi.
Fatto è che la legge sul finanziamento illecito del 1980 consente di condannare un pubblico ufficiale che accetti denaro e prebende anche se non c’è prova che abbia corrisposto favori e così rimane avvolto nel mistero perchè mai Anemone abbia deciso di concorrere con 900 mila euro all’acquisto della casa con vista, che l’ex ministro aveva già annunciato di voler lasciare e in effetti per qualche tempo nel palazzo non si era più visto, poi placate le acque era tornato.
Alla fine si dimise.
Disse: “Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l’interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l’annullamento del contratto”.
In pochi lo avevano incitato a resistere.
Di quella transazione si parlava nella richiesta di arresto, firmata dai pm Sergio Sottani e Alessia Tavernese, per Zampolini, l’ex commissario dei mondiali di nuoto Claudio Rinaldi e Stefano Gazzani, commercialista di Anemone.
Ma la richiesta era stata stoppata dal gip Massimo Ricciarelli per motivi di competenza territoriale e gli atti erano passati alla Procura di Roma.
Nel frattempo Zampolini aveva finito per ammettere di aver agito per conto di Anemone.
Decisiva la testimonianza delle sorelle Papa.
Ma manca la prova del do ut des e così Scajola è l’unico indagato per la compravendita, un reato che non è di competenza del Tribunale dei ministri.
Appresa la notizia ha reagito con mesta sobrietà : “La procura di Roma ha aperto un fascicolo su una vicenda per la quale la procura di Perugia, dopo un anno e mezzo di indagini, non ha ritenuto di dovermi indagare”.
Ancora una volta si dice sereno.
Ma non dice perchè Anemone abbia versato 900 mila euro per quella casa.
Rita di Giovacchino
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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