Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
ACCUSATO DI AVER UCCISO E SCIOLTO NELL’ACIDO LA MOGLIE NEL 2009, CARLO COSCO HA OTTENUTO IL PATROCINIO GRATUITO PER IL PROCESSO IN CUI E’ IMPUTATO…AVENDO DICHIARATO MENO DI 10.628,16 EURO, LA PARCELLA LA PAGHERANNO I CONTRIBUENTI
Sciogli tua moglie nell’acido? Lo Stato ti paga l’avvocato.
Questa l’ultima beffa in ordine di tempo del processo a Carlo Cosco, l’affiliato alle famiglie di Petilia Policastro, accusato di aver ucciso e sciolto nell’acido la moglie Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia sparita la notte tra il 24 e il 25 novembre del 2009.
All’uomo infatti è stato concesso il gratuito patrocinio: la parcella di Daniele Sussman Steinberg, celebre penalista di Milano scelto da Cosco stesso, la pagherà lo Stato, perchè nel 2010 l’uomo, di professione buttafuori, ha dichiarato meno di 10.628,16 euro di reddito.
Una circostanza singolare.
Di solito erano gli stessi Cosco ad attivarsi per il pagamento delle spese legali dei loro accoliti.
Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip, Giuseppe Gennari, annota che “il mantenimento dei detenuti e il sostegno per le spese legali è un tipico servizio che viene fornito, dalle organizzazioni criminali, agli affiliati arrestati” e Massimo Sabatino — tra quelli che hanno sequestrato Lea Garofalo prima di consegnarla al marito — “ha goduto del sostegno economico dei Cosco” in un altro procedimento.
Contro la donna la ‘ndrangheta complottava da tempo.
Lo ha confermato Angelo Salvatore Cortese, ex appartenente alla mafia calabrese e oggi pentito.
La sua testimonianza è stata ascoltata in Corte d’assise a Milano all’ultima udienza del processo per l’omicidio della Garofalo e che vede imputati non solo il marito Carlo, ma anche gli altri due fratelli Cosco — Vito e Giuseppe — insieme ai loro fiancheggiatori, Massimo Sabatino e Carmine Venturino.
Cortese, che verso la fine del 2001, assieme a Carlo Cosco, passò un periodo di detenzione nel carcere di Siano a Catanzaro, racconta di essere stato il primo a sapere che l’uomo voleva eliminare la moglie.
“Me la presentò come una questione di onore — riferisce Cortese — perchè Lea Garofalo lo aveva abbandonato, portando con sè la figlia e preferendo un altro uomo, un tipo che non conoscevo, di Bergamo”.
Carlo Cosco si guardò bene dal riferire che in quegli stessi giorni sua moglie aveva cominciato a collaborare con la giustizia e a denunciare gli affari illeciti dei fratelli.
Questi controllavano un pezzo di Milano, tra piazza Baiamonti, corso Como e via Montello 6 dove abitavano, occupando abusivamente una serie di appartamenti.
Si dedicavano allo spaccio di droga, ma anche agli appalti pubblici, tant’è che Vito Cosco ha lavorato nei primi cantieri per la costruzione del metrò 5.
Ad ascoltare con interesse la deposizione in videoconferenza da località segreta il collaboratore di giustizia, è stato il diretto interessato Carlo Cosco.
Cortese ha confermato che nell’onorata società non era tollerato il comportamento di Lea Garofalo, tanto più essendo lei la moglie di un personaggio vicino ai clan. Secondo Cortese, infatti, Carlo Cosco era affiliato alle famiglie di Petilia Policastro, un paese della provincia di Crotone.
Un dettaglio che però il pubblico ministero Michele Tatangelo ha giudicato ininfluente.
I Cosco, infatti, sono giudicati a Milano per aver commesso un efferato omicidio e non per essere componenti della ‘ndrangheta.
Su di loro nemmeno pesa l’aggravante mafiosa, per cui tecnicamente non si può parlare di un processo alla criminalità organizzata.
Ma sulla vicenda di Lea Garofalo i racconti di Cortese gettano ora una luce inquietante. Secondo il pentito, da un certo momento in poi, sulla donna pesò il verdetto di due boss: Pasquale Nicoscia di Isola Capo Rizzuto e Domenico Megna di Paparice, anche loro nel 2001 rinchiusi nel carcere di Siano.
Secondo Cortese i due giudicarono legittima la volontà del marito di uccidere la moglie, anche se in quel momento non potevano aiutarlo.
Nei loro territori era in corso una guerra, che li contrapponeva alla famiglia degli Arena, sempre di Isola Capo Rizzuto, e la cosa naturalmente necessitava di ogni loro energia.
Cosco, in ogni modo, aveva bisogno dell’approvazione di qualche ‘mammasantissima’.
Lea era sorella di Floriano Garofalo, personaggio di spicco della ‘ndrangheta di Petilia Policastro; se avesse agito da solo sarebbe esplosa l’ennesima faida.
Cortese ha ricordato poi che secondo i principi della ‘ndrangheta, i capi famiglia non possono esimersi dal punire il comportamento sconveniente di un loro componente, se lo facessero ne risponderebbero loro direttamente.
Floriano Garofalo, forse per convincere la sorella a cambiare stile di vita o più realisticamente per chiederle di smettere di collaborare, cominciò a prendere informazioni sulla piccola Denise Cosco, la figlia di Lea, che ha testimoniato a Milano la scorsa udienza evidenziando che in quei giorni più volte si sentì a rischio.
Davanti ai giudici ha parlato poi il cugino di Floriano, Gennaro Garofalo, che nel 2004, durante il suo periodo di ferma nei carabinieri a Lissone, su mandato del boss, fece una ricerca nello Sdi, il registro segretissimo del ministero dell’interno, per cercare l’indirizzo cui era domiciliata Denise.
Trovò un appartamento a Perugia, ma l’ex carabiniere ha giurato di non aver mai comunicato quel dato a Floriano Garofalo.
Un altro episodio che dimostra come da tempo la ‘ndrangheta fosse sulle tracce di Lea e la giovane Denise.
Fabio Abati
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL MODELLO MIGLIORE E’ LA “FLEXICURITY” ADOTTATA NELLA PENISOLA SCANDINAVA… CORSI DI FORMAZIONE E AIUTI A TROVARE UN NUOVO IMPIEGO ANCHE A PARIGI E BERLINO
Licenziare “facile” non è necessariamente un tabù in Europa. Ancora meno in America e Giappone.
Ma, almeno nel Vecchio Continente, ciò che conta è il dopo.
Laddove il mercato “non tira”, perchè la crescita è bassa, perchè c’è la crisi, perchè la domanda è congelata, arrivano sostegno pubblico e in alcuni casi anche l’obbligo dell’azienda che mette alla porta a favorire il reinserimento del lavoratore.
Tenendo conto dell’età , dell’esperienza, della capacità a mantenersi con quanto ha in tasca.
Flessibilità sì. Ma anche sicurezza.
Il modello più avanzato, in questa direzione, è quello scandinavo.
Invocato in questi giorni, anche perchè ripreso dalla proposta Ichino che giace da due anni in Parlamento, la Flexicurity adottata da Danimarca e Svezia interviene appunto “dopo”.
Basso grado di protezione, dunque, sul luogo del lavoro, con l’eccezione dei licenziamenti discriminatori (non esiste una legge sulla “giusta causa”), per i quali a Stoccolma ad esempio è prevista l’indennità anzichè il reintegro.
Ma altissimo grado di protezione “fuori”.
In Danimarca, il disoccupato riceve un assegno per quattro anni (ma ora si studia di portarli a due) tra il 70 e il 90% della retribuzione.
In Svezia l’80%. Il sussidio vale per tutti.
Per chi non ha versato i contributi – i precari – paga lo Stato (la pressione fiscale è alta: Svezia 46% e Danimarca 48%, ma l’Italia è al 43,5% e senza questi sostegni).
Nel frattempo i job center, che erogano anche le prestazioni, sfornano proposte di impiego, anche via web.
Pochissimi arrivano al termine dei quattro anni senza un nuovo lavoro.
Anche in Francia le imprese, almeno quelle con più di 50 dipendenti, hanno l’obbligo di predisporre un piano sociale per attenuare le conseguenze del licenziamento, attraverso corsi di formazione o altre proposte di riqualificazione.
In Germania, il datore è tenuto a consegnare un “attestato di lavoro” che aiuti chi perde il lavoro nella ricerca di una nuova occupazione.
E non può licenziare senza aver considerato alcuni “criteri sociali” (età , autosufficienza del lavoratore) ed essersi consultato con i sindacati.
La reintegrazione, però, scatta solo se una sentenza riconosce il licenziamento illegittimo o nullo.
A Londra, sul punto, pensano ad una stretta.
Tutti i licenziamenti senza giusta causa sono leciti, tranne quelli che discriminano per sesso o razza. Ma l’ipotesi fa discutere. La procedura attuale è invece molto rigida. E di solito si finisce in tribunale.
Rari i reintegri, ma il datore può essere condannato a pagare fino a 68 mila sterline di indennizzo.
E anche in caso di vittoria, deve coprire le onerose spese legali.
Anche a Madrid, in giugno Zapatero ha approvato un regolamento che per la prima volta fa riferimento all’estensione della giusta causa anche ai casi in cui le aziende prevedono perdite “permanenti, temporanee o congiunturali”.
Nonostante tassi di disoccupazione tra i più alti d’Europa, 45% tra i giovani. Comprensibile lo sconcerto.
Valentina Conte
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
IN SETTIMANA CONSIGLIO DEI MINISTRI SU DISMISSIONI E SUD… SULLE LIBERALIZZAZIONI PREVISTE RESISTENZE DEGLI ONOREVOLI AVVOCATI E MEDICI
È già una road map d’emergenza.
Il premier Berlusconi che sull’economia, e sulla tenuta dei mercati, nelle prossime ore si gioca la sopravvivenza, la detta senza consultazioni e senza alcun coinvolgimento del ministro Tremonti, che considera (e preferisce tenere) fuori dai giochi.
«Dobbiamo lanciare un segnale rassicurante a Bruxelles e a Francoforte subito, questa settimana, voglio partire per il G20 con il varo dei primi provvedimenti promessi» ha scandito al segretario e ai capigruppo Pdl.
Il «varo», questa la parola chiave, non approvazione in Parlamento.
Perchè per la trasformazione in legge il cammino è tutto in salita e colmo di insidie. Dismissioni e un piano di investimenti per il Sud, in cima all’agenda.
Ma la via di fuga individuata è uno o più decreti da portare in Consiglio dei ministri. E «venderli» come misure già adottate ai vertici Ue.
Non sarà facile, visto che Bruxelles ha già chiesto uno scadenzario con tempi parlamentari certi per l’approvazione delle varie misure.
Palazzo Chigi ha allertato informalmente i ministri per giovedì mattina, poche ore prima che il Cavaliere parta alla volta di Cannes, destinazione G20.
In quella sede, i leader europei cercheranno di convincere i paesi emergenti a partecipare al salvataggio della zona euro. Ma perchè questo avvenga è necessario che il programma sia credibile e che le economie più a rischio dimostrino di essere in grado di mantenere gli impegni. Grecia e Italia in testa.
Silvio Berlusconi è rientrato ieri mattina ad Arcore dalla Sardegna, dove si è trattenuto solo mezza giornata.
Domenica in famiglia per festeggiare i quattro anni del nipote Alessandro, figlio di Barbara. Nel pomeriggio le poche telefonate di lavoro hanno preparato il tour de force della settimana.
Che si aprirà con i riflettori puntati su Piazza Affari e sulla tenuta dei titoli, l’allarme per un nuovo assalto speculativo resta altissimo.
Per mercoledì è stato convocato l’Ufficio di presidenza Pdl per la stesura di una prima bozza delle misure che l’indomani il Consiglio dei ministri farà proprie.
La fiducia per ora è solo un’ipotesi, anche per non scatenare subito la reazione delle opposizioni.
Quel che è certo che si tratterà di più provvedimenti, sotto forma di disegni di legge e di decreti che dall’8 novembre il Cavaliere illustrerà alle Camere.
Lo scadenzario imposto da Barroso e Van Rompuy è perentorio. Liberalizzazioni «entro due mesi» e dismissioni a stretto giro.
A Palazzo Chigi la «cabina di regia» è al lavoro sul piano di investimenti per il Mezzogiorno e, appunto, sulle dismissioni.
La vendita degli immobili ai privati riguarderà per lo più gli uffici occupati dalla pubblica amministrazione.
Interi edifici e appartamenti che lo Stato dovrebbe vendere a società o privati con l’obiettivo di mantenervi gli uffici, versando ai nuovi proprietari canoni d’affitto.
Un piano al quale sta lavorando il ministero dell’Economia e che, nelle stime, dovrebbe portare in cassa 5 miliardi l’anno per tre anni.
Il primo scoglio vero saranno invece le resistenze dei 44 avvocati, 13 medici e del notaio che affollano le file del Pdl in Parlamento e che sono tornati sul piede di guerra contro la liberalizzazione delle professioni.
Che rientra nella primissima tranche di scadenze imposta dall’Unione europea all’Italia.
Nelle conclusioni del documento con cui è stato chiuso il Consiglio europeo di mercoledì, l’indicazione è chiara: «Abolizione delle tariffe minime nei servizi professionali».
A dispetto della lettera italiana che si fermava a generiche «altre misure per rafforzare l’apertura degli ordini professionali». Sarà battaglia.
Quando con la prima manovra di luglio il governo ha provato a mettere mano alla materia, 22 senatori-professionisti pidiellini hanno scritto una lettera: «Non lo votiamo», coperti e difesi dal ministro-avvocato Ignazio La Russa: «Non mi sembra materia da inserire in un decreto».
Nel giro di cinque ore, l’emendamento è stato ritirato.
Ora il governo dovrà riprovarci. Nonostante i numeri che vacillano a Montecitorio e quelli che si assottigliano al Senato, dove si fanno ancor più critiche le posizioni di alcuni pidiellini, da Pisanu a Saro, dove il sindaco Stancanelli si è dovuto dimettere lasciando il posto al finiano Nino Strano e dove sono incerte le mosse di Carlo Vizzini.
«Il centrodestra resta coeso e adesso si cominciano a realizzare gli impegni presi – dice sicuro il vicecapogruppo Pdl Massimo Corsaro – Vedremo piuttosto che atteggiamento responsabile terranno le opposizioni».
L’eventuale fiducia all’orizzonte non aiuterà il dialogo.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
ARRIVA PERSINO LA DIGOS IN TRIBUNALE PER EVITARE LA RISSA TRA URLA, SPINTONI E ACCUSE DI BROGLI ELETTORALI….APPENA 1505 VOTI AVEVANO DECRETATO LA VITTORIA DI IORIO, MA MOLTI VERBALI SONO STATI TAROCCATI…OGGI SI RICOMINCIANO A ESAMINARE MIGLIAIA DI SCHEDE
Urla, spintoni, accuse di brogli elettorali, avvocati in fibrillazione, i fogli dei verbali di seggio che volano, il senatore del centrodestra Ulisse Di Giacomo che minaccia il magistrato addetto alla verifica dei voti.
Tra carabinieri allibiti e agenti della Digos in borghese allertati.
Alla fine sono circa 500 i voti recuperatia favore del candidato di centrosinistra, Paolo Di Laura Frattura, sconfitto per sole 1505 preferenze da Michele Iorio alle Regionali del Molise di due settimane fa.
E oggi il secondo round, che potrebbe portare a un clamoroso capovolgimento del risultato.
Quella che doveva essere la giornata della proclamazione degli eletti, si è trasformata venerdì nei tempi supplementari di una partita ancora tutta da giocare.
Dopo un’ istanza d’ urgenza del legale di Frattura, le due commissioni elettorali dei tribunali di Isernia e Campobasso hanno verificato la congruità dei verbali e dei tabulati mandati la notte del 17 ottobre dalle 392 sezioni.
A Campobasso sul 10 per cento delle sezioni controllate sono stati “ritrovati” 474 voti non assegnati a Frattura.
«Non erano stati scritti nei verbali – spiega l’ avvocato Salvatore di Pardo – in alcuni casi sono stati assegnati al candidato di centrodestra».
Il vantaggio di Iorio si assottiglia a sole 1000 preferenze, e con il 90 per cento delle sezioni provinciali ancora da ricontrollare.
È in quel momento, quando sono usciti i nuovi dati, che davanti all’ aula del tribunale di Campobasso, è scoppiata la protesta scomposta degli uomini del centrodestra, con alcuni agenti della digos chiamati a vigilare.
Il senatore Di Giacomo, coordinatore regionale del Pdl, ha minacciato di denunciare il giudice Stefano Calabria, colpevole a suo avviso di voler ribaltare il risultato con una procedura fuori dalla norma.
«Un conto è chiedere la verifica del risultato – ha spiegato Di Giacomo – altro è stravolgere la legalità per avere ragione per forza» (teoria allucinante).
Calabria, a sua volta, avrebbe detto ai suoi colleghi di volersi dimettere se le pressioni da parte dei politici locali dovessero continuare.
In realtà la procedura di verifica su istanza di parte è prevista dal regolamento.
Ad Isernia i magistrati incaricati hanno trovato irregolarità in una decina di sezioni.
In alcuni casi i voti riportati nei verbali sarebbero addirittura superiori ai votanti.
Ma quella commissione, pur avendo dichiarato «non attendibili» alcuni verbali, ha interrotto le verifiche, che saranno riprese il 2 novembre.
A Campobasso, invece, le operazioni riprenderanno oggi con altre 69 sezioni. «Strano che proprio quei voti in mio favore siano scomparsi – commenta Frattura – sono sicuro che vinceremo. E se sarà necessario, faremo anche ricorso al Tar per il riconteggio di tutte le schede. I nostri dati ci davano in vantaggio di 3 mila voti fino alle tre della notte del conteggio. Poi ci fu un’ inspiegabile crollo”.
Altro caso strano: al quartier generale di Iorio si dava per certa la sconfitta, mentre a quello di Frattura si festeggiava, sulla base dei risultati che erano stati portati dai rappresentenati di lista.
Poi improvvisamente il ribaltamento.
Ora forse si riuscirà a fare chiarezza.
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL SINDACATO SAP, DI AREA CENTRODESTRA: “NON SI COMPROMETTA LA SICUREZZA DEI CITTADINI”…. CRITICHE A LA RUSSA: “ANNUNCIA RISORSE CHE ERANO GIA’ PREVISTE”
“Caro presidente della Repubblica, mi appello a lei affinchè i tagli alle risorse delle Forze dell’Ordine fatti da questo governo non colpiscano la sicurezza dei cittadini”.
È questo il testo di 50mila cartoline indirizzate a Giorgio Napolitano che i poliziotti del Sap (il sindacato di polizia di area centrodestra) stanno facendo firmare ad altrettanti cittadini.
Nei prossimi giorni la buca delle lettere del Quirinale sarà dunque intasata da queste cartoline-appello.
“Siamo allo stremo”, spiega il segretario del Sap, Nicola Tanzi.
“Riteniamo – aggiunge – che il presidente della Repubblica sia l’unica autorità istituzionale e anche morale che possa esercitare tutta la moral suasion possibile nei confronti della classe politica e del Parlamento sui tagli alle Forze dell’Ordine che riducono drasticamente la sicurezza dei cittadini”.
Non è certo servito a placare la rabbia delle forze dell’ordine l’annuncio dell’altro ieri del ministro della Difesa di un ripensamento sui tagli.
“Non ci saranno – ha proclamato Ignazio La Russa – tagli al compartimento Difesa e Sicurezza per quanto riguarda gli avanzamenti di carriera”.
Ma l’entusiasmo di La Russa è stroncato dai sindacati di polizia, secondo i quali “le risorse previste sono insufficienti e soprattutto non si tratta di nuovi stanziamenti, ma di fondi che erano già a disposizione del nostro comparto per la riqualificazione delle carriere”.
“È tutto un bluff”.
E così, dopo la raccolta di soldi in bidoni della benzina organizzata il 18 ottobre dal Sap (hanno “elemosinato” fondi anche dai parlamentari), dopo la protesta di piazza dei sindacati di centrosinistra (fra gli altri, Anfp, Siulp, Siap) mentre Maroni relazionava al Senato sugli scontri a Roma coi black bloc, dopo la clamorosa protesta dei carabinieri e quella del Cocer Esercito che ha chiesto le dimissioni dell’esecutivo, e infine dopo quella di mercoledì della Dia, gli agenti del sindacato autonomo di polizia organizzano ora una nuova clamorosa protesta coinvolgendo ancora i cittadini.
In particolare, stanno predisponendo gazebo e stand in tutte le città italiane per raccogliere le firme di adesione sulle 50mila cartoline.
“Mi appello al presidente della Repubblica – recita l’appello – perchè la sicurezza appartiene a tutti. E invece i tagli economici delle ultime due manovre (660 milioni, ndr), produrranno insicurezza per i cittadini”.
Dal 2008, da quando sono al governo, il ministro dell’Interno Maroni e l’ex Guardasigilli Alfano hanno ripetuto come uno spot che “questo è il governo che più di ogni altro combatte la mafia”, parlando di “antimafia dei fatti contro l’antimafia delle chiacchiere”.
Berlusconi addirittura il 15 agosto di due anni fa disse al titolare leghista del Viminale “passerai alla storia per aver sconfitto la mafia”.
I fatti, tuttavia, sono ben altri: la criminalità organizzata, come sostenuto dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Giuseppe Pisanu, c’è.
È sempre più forte.
E, scrivono i poliziotti del Sap, “è più pericolosa quando è silente, come in questo momento”. “E proprio ora – denunciano quelli del Sap – lo Stato depotenzia le forze dell’ordine bloccando le assunzioni, riducendo le risorse. E costringendoci a lavorare senza finanziamenti finnziamenti adeguati, dimenticando che, invece, la criminalità organizzata dispone oggi di mezzi economici importanti. E di tecnologia avanzata”.
Alberto Custodero
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
CON LA “RIFORMA ASSISTENZIALE” IL GOVERNO VUOLE RECUPERARE 40 MILIARDI IN TRE ANNI…CON I TAGLI AGLI ENTI LOCALI SONO A RISCHIO LE QUOTE CORRISPOSTE ALLE FAMIGLIE DEI PORTATORI DI HANDICAP
Il contributo di solidarietà è sparito dalla manovra economica del governo.
Ma, nonostante le proteste delle associazioni che rappresentano i disabili e le loro famiglie, è rimasta l’intenzione di recuperare 40 miliardi di euro in tre anni attraverso la riforma assistenziale e fiscale: 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013 e 20 nel 2014.
Cifre che tradotte nella pratica suonano come “campane a morto” per chi tutti i giorni è costretto a fare i conti con una sedia a rotelle, un bastone bianco, una malattia grave.
Le conseguenze saranno pesantissime per i disabili e i loro familiari:“A causa di questa riforma, confermata poco tempo fa dalla Commissione Bilancio, — ha spiegato Pietro Vittorio Barbieri, presidente nazionale della Federazione Italiana per il Superamento dell’handicap (Fish) — una persona su tre perderà l’indennità di accompagnamento”.
Ma fin da subito le prospettive per i disabili sono catastrofiche a causa dei tagli agli enti locali operati dal governo.
Un miliardo di euro in meno arriverà ai Comuni per la gestione dei servizi sociali.
Ciò significa la sospensione o la riduzione di molti servizi quali assistenza domiciliare, supporti all’autonomia personale e assegni di cura.
“Anche in questo caso — ha detto Barbieri — calcoliamo che una persona su tre non potrà più beneficiare dei servizi sociali”.
Si pensi, per fare un esempio concreto, alle persone con handicap grave certificato.
La legge n. 104 prevede che il Comune corrisponda una quota alle famiglie dei disabili gravi per fare in modo che queste possano pagare un educatore per il loro figlio oppure per permettere il suo inserimento in strutture idonee.
A causa dei tagli questa quota sarà molto ridotta e la prestazione non potrà essere garantita a tutti coloro che ne hanno bisogno, con il risultato che l’intera spesa dell’assistenza cadrà sulle spalle delle famiglie.
Molte di queste, non essendo in grado di reggerla, saranno costrette a mandare i loro figli in istituti.
Un Comune di dimensioni medio-piccole avrà circa 170mila euro in meno a disposizione per questo tipo di sostegno.
Inoltre, i Comuni avranno molti meno soldi da mettere sul piatto dell’abbattimento delle barriere architettoniche, che in Italia sono ancora tante, troppe.
La Fish calcola che saranno circa 10 milioni le famiglie a essere colpite da questi tagli che riguardano gli enti locali.
Ma il peggio arriverà con la riforma assistenziale e fiscale varata con l’unico scopo di recuperare soldi (40 miliardi di euro in tre anni, come detto) e senza nessuna intenzione di migliorare o riqualificare i servizi. I primi effetti si faranno sentire l’anno prossimo e “a essere colpite — precisa Barbieri — saranno le pensioni di invalidità , le indennità di accompagnamento e le pensioni di reversibilità ”.
C’è poi, se non bastasse quanto finora elencato, anche la parte fiscale della riforma che prevede una forte restrizione delle agevolazioni come le detrazioni per i familiari a carico, spese sanitarie e badanti.
Senza dimenticare l’aumento della tassazione per le cooperative che vengono equiparate ad aziende, quando sono fra le poche realtà lavorative, se non le sole, ad assumere i disabili.
La legge n. 68 del 199 prevede infatti il collocamento obbligatorio delle persone con handicap, ma si tratta di una legge con molte falle poichè non è impositiva per le aziende, che spesso preferiscono pagare una multa piuttosto che assumere un disabile.
Con l’aumentata pressione fiscale le cooperative assumeranno meno, sempre che riescano a rimanere in piedi.
Sono state molte, nelle scorse settimane, le manifestazioni di protesta contro questa riforma dell’assistenza sociale e molte saranno ancora le azioni che la Fish ha in mente di fare in autunno. “In pochi giorni — ha detto il presidente nazionale — l’iniziativa “Fermiamoli con una firma” ha raccolto 23mila adesioni e sta proseguendo con grande successo, a dimostrazione che sono molte le persone che condividono la nostra battaglia”.
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
SONO BEN 31 I POLITICI CHE SOMMANO LA PENSIONE REGIONALE A QUELLA OTTENUTA CON CARICHE NAZIONALI, DA BASSOLINO AD ALFREDO VITA A NICOLA MANCINO…INTANTO LA REGIONE AUMENTA IL NUMERO DEGLI ASSESSORI DA 12 A 14
“Meglio avere due ricche pensioni che una sola povera pensione” diceva un dimenticato spot di una assicurazione privata.
Trentuno politici campani annuiscono, in cuor loro.
Sono i fortunati che stanno cumulando la pensione parlamentare con il vitalizio di ex consigliere o assessore regionale.
E continueranno a farlo, perchè il provvedimento di abrogazione dei vitalizi regionali, annunciato qualche giorno fa dal presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, non ha valore retroattivo.
I diritti acquisiti non si toccano.
Chi ha fatto l’ambo, continuerà a goderselo. Una supercasta di signori e signore che hanno conquistato una serenissima vecchiaia alle spalle dei disastrati conti pubblici, grazie a pochi anni trascorsi tra gli scranni del Parlamento e quelli della Regione Campania.
A cominciare dall’ex Governatore Antonio Bassolino.
Con tre mandati regionali (due da presidente Ds-Pd dal 2000 al 2010 e uno, lontanissimo, da consigliere Pci negli anni ’70) e sei anni nella Camera della Deputati, dal 1987 al 1993, fino alla sua elezione a sindaco di Napoli, l’ex comunista che denunciava gli scandali e le malversazioni della Dc a Napoli è diventato un pluripensionato della politica.
Come il suo acerrimo ‘nemico’ Alfredo Vito, un ex politico Dc spesso nel mirino degli strali di Bassolino, che dopo alcuni mandati in consiglio regionale divenne deputato nel 1987, fece il botto di 105mila preferenze uniche nelle politiche del 1992 e poi finì mani e piedi nella Tangentopoli napoletana.
Vito patteggiò decine di episodi di corruzione, restituì 5 miliardi di tangenti e spergiurò il suo definitivo ritiro dalla politica.
Ma nel 2001 cambiò idea e tornò in Parlamento grazie a Forza Italia.
Antonio Bassolino e Alfredo Vito, i due opposti accumunati dalla stessa sorte previdenziale.
Non sono gli unici.
Nell’elenco dei pluripensionati da diverse migliaia di euro al mese spuntano nomi che hanno fatto la storia della Prima Repubblica.
Ci sono l’ex ministro Dc dell’Interno ed ex vice presidente del Csm, Nicola Mancino, e l’ex ministro Psi delle Aree Urbane Carmelo Conte.
Ci sono l’ex parlamentare Dc Ugo Grippo e l’ex sottosegretario Psi di un governo Amato, Felice Iossa.
Ed ancora: l’ex consulente economico di Bassolino e sottosegretario del primo governo Prodi, Isaia Sales, l’ex parlamentare comunista Giovanni Russo Spena, gli ex parlamentari Pci e Pds Aldo Cennamo ed Abdon Alinovi, l’ex parlamentare socialista Francesco ‘Ciccio’ Barra, l’ex governatore in quota An Antonio Rastrelli, l’ex deputato aennino Sergio Cola.
Grazie a vecchie e generose leggi, gli ex parlamentari eletti prima del 1996 hanno potuto in qualche caso maturare il diritto alla pensione prima dei 60 anni, mentre gli ex consiglieri regionali iniziano a intascarla già a 55 anni.
A questo aggiungiamo una leggina regionale che ha equiparato gli ex assessori di Bassolino agli ex consiglieri, infoltendo così l’elenco complessivo degli aventi diritto al vitalizio regionale.
Un elenco lievitato fino a 294 nomi, come ha rivelato una documentata inchiesta in più puntate di Gimmo Cuomo del Corriere del Mezzogiorno, che ha preso il là da un articolo sul Corriere della Sera di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul ‘cumulo’ in Campania dell’indennità parlamentare con la pensione regionale di cui godono otto politici.
Almeno quest’ultimo privilegio è stato cancellato pochi giorni fa. O meglio, è stato “sospeso”.
Al termine della legislatura, infatti, anche i deputati e senatori campani riotterranno il loro vitalizio regionale e lo sommeranno a quello di parlamentari. Olè.
Accade in Campania, dove a breve la giunta regionale lieviterà da 12 a 14 assessori.
Si attende solo la ratifica del secondo passaggio in aula di una modifica statutaria già approvata in prima battuta ad agosto.
Il governatore Stefano Caldoro giura che l’incremento avverrà a costo zero. Impossibile: tra spese di segreteria, auto blu e funzionamento dei due nuovi assessorati calcola l’incremento dei costi in oltre un milione di euro l’anno. Tanto paghiamo noi.
Vincenzo Iurillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
SI TEME LA RIAPERTURA STAMANE DEI MERCATI, FILO DIRETTO CON DRAGHI….IL RISCHIO DI UNA TEMPESTA SPECULATIVA. PESA ANCHE L’OSTILITA’ DELLA FRANCIA PER LE MANCATE DIMISSIONI DI BINI SMAGHI DAL BOARD DELLA BCE
«Abbiamo fatto tutto quel che potevamo, abbiamo firmato impegni con l`Europa da far tremare le vene ai polsi», confida il presidente del Consiglio ai suoi, in un misto di determinazione e rassegnazione.
Perchè ora si tratta di trasformare gli intenti in legge e il cammino, in Parlamento e sui mercati, appare subito proibitivo.
Prova a infondere coraggio ai big del partito e del governo, Berlusconi, in questo fine settimana che riesce a ritagliarsi in Sardegna.
Ma il clima è tutt`altro che rasserenato, l`atmosfera è elettrica, Palazzo Chigi è in stato d`allerta, in vista della riapertura dei mercati di stamane, in una settimana che il G20 di giovedì e venerdì rende già impegnativa.
Il Cavaliere è più che in apprensione, raccontano, dopo aver tirato un sospiro di sollievo col via libera condizionato di Bruxelles alla lettera di intenti.
Nelle ultime ore gli hanno spiegato che all`orizzonte si addensano nubi ancora più minacciose.
Non solo per il nuovo sos di ieri sulla fragilità italiana, che ha alimentato le voci su una«rete di protezione» da Paese a rischio alla quale lavorerebbero Ue e Fmi.
Ma soprattutto per l`allarme piuttosto circostanziato del quale i vertici della Bce avrebbero messo al corrente, in via riservata, le più alte cariche istituzionali.
Oggetto di preoccupati colloqui delle ultime ore sarebbe una tempesta speculativa ai danni dell`Italia dalle proporzioni più consistenti rispetto a quelle che già hanno segnato la scorsa estate.
Il timore, insomma, è che quanto avvenuto venerdì a chiusura dei mercati, con i rendimenti dei buoni del tesoro schizzati al 6 per cento, come non accadeva dal`97, e Piazza Affari scivolata giù del 2 per cento, sia stato solo un anticipo.
Della necessità di tenere alta la guardia sarebbe stato messo al corrente il capo dello Stato Giorgio Napolitano, come pure il sottosegretario Gianni Letta.
Il presidente della Repubblica ha incontrato il futuro presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, in ultimo giovedì al Quirinale, in occasione del passaggio di consegne al nuovo governatore di Bankitalia lgnazio Visco.
Il filo diretto tra Draghi e Palazzo Chigi, pur nella massima discrezione, è rimasto sempre aperto nell`ultima settimana di fibrillazione seguita all`ultimatum Merkel-Sarkozy all`Italia.
Tutti sono al corrente di quel che potrebbe avvenire. Il Cavaliere ha liquidato come voci «prive di riscontri» quelle circolate ieri sulla rete di salvataggio.
Nel suo entourage in molti ritengono che dietro quest`altro affondo ci sia ancora la forte ostilità di Parigi per le mancate dimissioni di Bini Smaghi dal board della Bce.
E chi ha sentito Berlusconi lo ha descritto su tutte le furie quel pasticcio del quale non riesce a venire a capo: «Ho fatto il possibile, la scelta è rimessa a lui».
Le ultime speranze sono affidate adesso alla “moralsuasion” del nuovo presidente, che proprio dal primo novembre si insedierà ai vertici della Bce.
«Sulla rete di protezione c`è stata una smentita da fonti Ue, mi sembra – minimizza il portavoce del premier Paolo Bonaiuti- Detto questo, grande attenzione ai mercati c`è sempre, ma non solo per quello italiano, la speculazione è in agguato e le turbolenze dureranno un altro anno, come ha detto la Merkel».
Dalle file del governo l`ordine impartito alla maggioranza è di mantenere i nervi saldi.
Mercoledì, Berlusconi ha convocato un Ufficio di presidenza Pdl per far quadrato in aula e trasformare in provvedimenti gli impegni presi a Bruxelles. Consapevole che il quadro politico e quello sociale – dopo il ricompattamento del fronte sindacale che minaccia un autunno caldissimo- è molto critico. Nella mano d`aiuto delle opposizioni nessuno in realtà confida, a destra.
«Eppure gli impegni presi ce li ha chiesti l`Europa, chi si defila non fa male al governo, ma al Paese – dice il sottosegretario Daniela Santanchè- Qui si tratta di essere responsabili per il bene dell`Italia».
Il fatto è che già su legge di stabilità e rendiconto il Parlamento si trasformerà in un Vietnam per la maggioranza che perde pezzi.
«Non è una fronda, come sostengono – spiega il senatore Pdl Giuseppe Saro, da tempo sul fronte critico come Pisanu e altri – ma una fetta ampia di parlamentari del centrodestra è consapevole che la missione che ci impone Bruxelles è irrealizzabile se non si costruisce una larga coalizione.
Nei prossimi giorni, quando i nodi dei mercati purtroppo verranno al pettine, quell`area vasta emergerà ».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 31st, 2011 Riccardo Fucile
DATI INPS: NEI PRIMI NOVE MESI, LE RICHIESTE SONO CALATE DEL 21%, MA IL LIVELLO E’ TRE VOLTE SUPERIORE A QUELLO DEL 2008.. AL SUD LE RICHIESTE DI CIG SONO IN FORTE AUMENTO: + 54% IN CALABRIA E + 71% IN SARDEGNA
Un miliardo di ore di cassa integrazione anche nel 2011.
Triste record che l’Italia potrebbe battere di nuovo. Per il terzo anno consecutivo. Crisi nera.
Altro che licenziamenti facili. Perchè se le aziende non ripartono, i licenziamenti saranno facilissimi.
Soprattutto al Sud.
Così, mentre l’Inps prova a rassicurare, comunicando che nei primi nove mesi le ore richieste di Cig sono diminuite del 21% rispetto a un anno fa e quelle effettivamente utilizzate nei primi sette superano di poco il 43% (otto punti in meno dello stesso periodo del 2010), i sindacati all’unisono lanciano l’allarme: «Non è un’inversione di tendenza».
Da gennaio, calcola la Cgil, oltre 930 mila lavoratori sono in cassa integrazione, con una perdita di reddito pari a 2,8 miliardi, quasi 6 mila euro a testa.
E altri 55 mila rischiano, in attesa di segnali dai 90 tavoli di crisi ancora aperti. «Il livello di Cig attuale è tre volte quello del 2008. Con questi numeri non si può essere soddisfatti per un rimbalzino, trainato per lo più dall’export», commenta Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil.
«La crisi è profonda e una fetta sempre più grande di lavoratori sta passando dalla cassa al licenziamento. Nel 2012 o arriva la ripresa o la disoccupazione esploderà ».
«È vero che a settembre vi è stato un significativo calo», conferma Guglielmo Loy, segretario confederale Uil.
«Ma la quantità di Cig rimane troppo elevata».
Soprattutto nelle regioni del Sud che, in controtendenza, nei primi tre trimestri fanno segnare un’impennata di richieste. Calabria (+54%) e Sardegna (+71%) su tutte.
Ma anche Liguria (+5%).
Tra i settori, spiccano edilizia e commercio che attingono a piene mani agli strumenti di sostegno per i lavoratori, quando industria e artigianato, nel complesso, sembrano tirare il fiato. In generale, un’Italia al solito duale, con il Nord messo meglio.
Il triste traguardo di un miliardo di ore sembrerebbe dunque non lontano.
Da gennaio a settembre già chieste 732 milioni di ore di Cig, contro i 926 dello stesso periodo 2010.
Ma quello passato è stato un anno record nella storia industriale italiana: 1,2 miliardi di ore in 12 mesi.
I lavoratori che vanno in cassa – prima ordinaria, poi straordinaria, infine in deroga – poi tornano in azienda?
«E’ questo il punto. L’ultima spiaggia è la mobilità », risponde Fammoni. «Ma quando scatta, il rapporto è rescisso. Il lavoratore è a casa, i numeri della Cig calano, si impenna la disoccupazione. E il 52% dei senza lavoro lo è da più di un anno, dice l’Istat. Dunque fuori da ogni tutela, visto che l’indennità di disoccupazione non va oltre i 12 mesi».
Le crisi aziendali in atto non confortano.
Fincantieri ha quasi 2 mila dipendenti in Cig su 8.200. Ansaldo Breda (gruppo Finmeccanica) 500 su 2.400. Per Alenia (sempre Finmeccanica) si trattano ben 9 anni di Cig e mobilità per 1.118. Alla StMicroelectronics di Catania da giovedì 2.200 sono in cassa ordinaria. Alla Merloni rischiano in 1.500. Oltre un terzo dei dipendenti Fiat nei primi 9 mesi ha lavorato meno di 40 giorni. A Mirafiori, 35. Il resto, Cig.
Altro che licenziamenti facili.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
argomento: denuncia, governo, Lavoro, Politica, radici e valori | Commenta »