Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile FORTI MALUMORI E TENSIONE PALPABILE ALL’ASSISE… BOSSI FISCHIATO: “HO PORTATO I FIGLI NELLA LEGA, HANNO AVUTO GRAVI DIFFICOLTA’ NELLA VITA”
«Per il bene della Lega, dichiaro Maurilio Canton segretario…».
Andrea Gibelli, negli scomodissimi panni di presidente dell’assemblea, non riesce a finire la frase.
Perchè la platea del congresso varesino esplode in un coro duro, insistito: «Voto, voto, voto».
L’inimmaginabile accade, l’inaudito si verifica: Umberto Bossi è contestato apertamente nella sua Varese, culla del movimento e cuore di Padania.
Il capo minimizza: «Ho visto in seconda, terza fila dei fascisti…».
Ma difficilmente ricorderà il congresso provinciale di ieri come una tra le pagine migliori del Carroccio: addirittura, tra alcuni militanti si arriva al contatto fisico.
E se la rissa, sfiorata, non esplode, di certo un partito sotto choc ha poco da festeggiare.
Sono in molti coloro che sottoscriverebbero l’amarezza del sindaco di Castronno varesino, Mario De Micheli, all’uscita dal congresso: «È il giorno più brutto da quando sono in Lega».
Un delegato esce a grandi passi dal congresso: «La tessera, questa volta, la brucio».
Alla fine, certo, Umberto Bossi porta a casa il risultato.
Riesce a far nominare il segretario da lui prescelto per Varese.
Eppure, non può farlo votare: Maurilio Canton viene «dichiarato».
Perchè è Bossi il primo a rendersi conto dei rischi e chiede a Gibelli, appunto, di non mettere ai voti l’indicazione.
Non solo. Il «non eletto», come già lo chiamano gli avversari, si aggiudica un record: è probabilmente il primo segretario politico nella storia dell’Occidente a non pronunciare nemmeno una sillaba durante il congresso che lo elegge.
Troppo alto il rischio di nuove contestazioni. Non avrà di che annoiarsi.
Per il consiglio direttivo, infatti, il voto c’è stato: il suo gruppo, quello dei vicini a Marco Reguzzoni, si aggiudica soltanto tre dei nove eletti (tra cui la sorella del capo dei deputati).
Il congresso parte subito in salita.
Domenica scorsa, Umberto Bossi aveva indicato come segretario in pectore Maurilio Canton, il sindaco di Cadrezzate.
Venerdì scorso, il segretario lombardo Giancarlo Giorgetti era riuscito a persuadere i due candidati alternativi a ritirarsi.
Ma il movimento, persino nella sua culla, è troppo diviso.
E allora, i primi interventi al congresso sono di fuoco. Stefano Gualandris, capogruppo in Provincia, distingue tra autorità e autorevolezza.
Certo, quella di Umberto Bossi è pacifica: «Sei il capo indiscusso e lo sei sempre stato. Oggi però in questo congresso quell’aura del Bossi autorevole non l’ho percepita».
Poi tocca a un altro militante: «In questo congresso c’è qualcosa che non quadra. Questa non è la Lega».
Troppi «nepotismi», troppi «amici degli amici».
Ma il più duro di tutti è un sindaco.
Richiama un ricorrente discorso di Bossi sulle «tre “c” necessarie alla politica: cervello, cuore e cogl…».
Eppure, prosegue, «non vedo nessuno di questi elementi. Vedo piccole lobby interne che portano avanti interessi di bottega».
Il sindaco osa ancora di più: «Non ho capito perchè sia Canton il candidato. Tutti in giro dicono «Canton chi?».
Sempre più spietato: «Bossi ci ha insegnato la distinzione tra capi e capetti. I capi uniscono, i capetti dividono. Secondo me, Bossi ha intorno troppi capetti».
Poi, un invito pesante. Quello che probabilmente spinge Bossi a rinunciare a far votare il suo candidato: «Scrivete Umberto Bossi sulla scheda. Perchè è per lui che si fa questo».
Gran finale con citazione di Jim Morrison: «Meglio alzarsi e morire che vivere strisciando».
Gibelli vede la mala parata, chiude le iscrizioni a parlare, e mette al voto il direttivo tra le proteste dei delegati che vogliono votare anche il segretario.
Come peraltro prevede una risoluzione del consiglio federale del marzo scorso.
Ma finalmente, il vicepresidente della Lombardia può asciugarsi il sudore, tocca a Umberto Bossi. «I maroniani non ci sono, aveva ragione Roberto – esordisce -. La verità è che i burattinai di tutto questo casino sono i giornalisti».
Poi, il leader spiega le ragioni di una scelta: «Meno male che alla fine si è trovata una via. Canton non era nel vecchio gruppo di Varese, è come spalancare la finestra per fare entrare aria fresca».
Di più: «Il nuovo segretario deve far entrare le associazioni nelle sezioni, rompere la continuità , dare nuove energie».
Poi, il mea culpa: «Si doveva intervenire prima, non lasciar peggiorare la situazione come è peggiorata».
Quindi, partono le accuse alla precedente gestione: «Pensate che i miei figli non ottenevano la tessera della Lega. Io li ho allevati per essere leghisti, li portavo con me alle feste. Anche se, per questo, loro hanno avuto gravi difficoltà nella vita».
Esilarante.
Arriva l’appello a stare con i militanti: «Voglio i parlamentari tutti i lunedì nelle sedi della Lega».
Bossi torna su Maroni: «Leggevo sui giornali dei maroniani, ma io sapevo che non ci sono. Io e lui siamo amici. Lui era uno di quelli che c’era all’inizio. In consiglio dei ministri ci basta un’occhiata».
In chiusura, però, arrivano le turbolenze. «Spero che voterete Canton…».
I militanti lo prendono in parola e cominciano a scandire «vo-to, vo-to, vo-to».
Bossi se ne va, qualcuno giura che avesse le lacrime agli occhi per il clima dell’assemblea.
La parola torna a Gibelli, che cerca l’acclamazione.
Ma il coro non cambia: «Vo-to, vo-to, vo-to».
È il manicomio, la sala ribolle.
Un delegato fa per fotografare la scena, il presidente s’infuria: «Vedete, dove sono i problemi? La gente viene qui a registrare…».
Meglio chiudere e in fretta: «Per il bene della Lega, dichiaro Maurilio Canton segretario…».
Marco Cremonesi
(da “Il Corriere della Sera“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile PER OLTRE VENTI ANNI BOSSI HA SISTEMATICAMENTE MORTIFICATO I SUOI RIVALI E CONTESTATORI…ORA SCOPPIA LA RIVOLTA
Non doveva succedere ed è successo. 
Inesorabili, però, questi fischi.
Fischi padani, fischi di cuore, fischi fatti in casa, a Varese, culla della Lega, quindi specialmente simbolici.
Fischi a lungo temuti, oltretutto, e sventati in extremis neanche due mesi fa quando attorno al loro destinatario, fino a quel momento barricato in un salottino dietro un muro di guardie del corpo, si avvertì che in Cadore c’era aria di contestazione, piccoli capannelli si formavano per la strada, voci che si rincorrevano e allora — «Brutto, brutto, meglio andare» — via di corsa nottetempo dall’hotel Ferrovia di Calalzo.
E insomma, nonostante tutti gli scongiuri e le operative cautele del caso l’energia non soltanto sonora di questi benedetti fischi ha finalmente perforato la barriera incantata del Cerchio Magico e adesso Bossi è un po’ meno Bossi.
A riprova che il carisma non è dato per sempre, e che non esiste re a cui il destino non rechi prima o poi in cortese o meno cortese dotazione una qualche forma di bambino che come nella famosa fiaba di Andersen a un certo punto se ne esca: il re è nudo, appunto — e a vederli, questi sovrani vecchi, infermi e denudati non sono mai spettacoli piacevoli, ma istruttivi sì, altrochè se lo sono, e per tutti, a cominciare da loro stessi.
Inutile adesso ricordare con quanta superba e fragorosa efficacia per vent’anni e più Bossi ha sistematicamente mortificato coram populo i suoi rivali e contestatori, sollecitando gli istinti meno misericordiosi della folla leghista.
Chiedere a Bobo Maroni, qualificato, pensa un po’, «braccio debole da amputare», l’unico peraltro su cui poi si esercitò la magnanimità del Senatùr, anche se per estrema beffa spedito con tanto d’incarico a diffondere il verbo della Lega nel Mezzogiorno d’Italia (maggio 1995).
Ma almeno a quei tempi i congressi non si svolgevano a porte chiuse.
Mentre invece ieri i giornalisti, i fotografi e le telecamere, soprattutto, hanno trovato sbarrata la sala dell’Ata hotel e l’unica inconfessabile motivazione di questo inaudito divieto è che non dovevano trasmettere non già lo spettacolo irresistibile del dissenso, ma quello ancora più irresistibile e definitivo della dissacrazione.
Vana speranza, al giorno d’oggi: e non solo perchè, a differenza della televisione, che per sua natura e vocazione consacra il potere di chi ce l’ha, i nuovi media della rete hanno già ampiamente contribuito a profanare l’autorità del leader padano mostrandone in via seriale i segni sempre più evidenti della malattia, le frasi sconnesse, quelle che non si capiscono, le carezze di Berlusconi, l’imboccamento della Polverini, le pernacchie e gli altri frequentissimi gestacci.
E’ che nulla ormai, nessun Cerchio o Circo magico può contro quella “Bestia apocalittica” (Ceronetti) che è la comunicazione,e così come negli ultimi due mesi l’operazione alla cataratta o la misteriosa caduta dalle scale o dal letto hanno colpito l’immaginazione del pubblico, ieri si è subito saputo lo stesso che Bossi era stato tenuto prudentemente al riparo in un’altra sala, e i fischi prima durante e dopo il suo intervento si sono ben sentiti,e poi sulla rete s’è visto il clip dei delegati che uscivano fuori furenti, e magari domani ci fanno il remix con la musica e la partecipazione straordinaria del Trota, dell’altro figlio Riccardo, il rallysta, della signora Manuela e della vicepresidente badante del Senato Rosy Greco, doppiata mentre mette ai voti qualche emendamento.
Questo per dire che se nel mondo delle visioni a distanza il precario stato di salute di Bossi ne ha eroso il carisma, e più velocemente il disinganno lo sta facendo svanire, la sconfitta politica e l’assenza di prospettive creano le premesse per la sua più violenta e rumorosa abolizione.
Ora, va da sè che il processo non si risolve in un pomeriggio, ma per la prima volta è apparso chiaro che l’icona ha perso tutto o quasi il suo smalto dorato e che il totem si è incrinato nel luogo da cui è partita la straordinaria avventura leghista e nel tempo in cui quello strambo agitatore dell’autonomismo è ormai divenuto un ministro della Repubblica, anzi l’uomo nelle cui mani stanno le sorti della maggioranza, del governo, di Tremonti, dello stesso Berlusconi e del suo impero.
Colpisce che tale esito vada manifestandosi poco dopo che il ritratto di Bossi è stato appeso — privilegio unico per un uomo di governo — alle pareti delle sedi distaccate dei ministeri padani nella villa di Monza.
Eppure, in quella strana sequenza di eventi che per convenzione o apatia si continua a definire politica, non sarebbe la prima volta che l’inizio della fine coincide con il suo apparente contrario. E’ una lezione che vale per tutti.
Nei partiti carismatici l’obbedienza è terribile perchè abitua chi comanda a sentirsi infallibile e chi obbedisce prima a non avere idee, e poi solo fiato da buttare fuori con rabbiosi sibili.
Filippo Ceccarelli
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile ALTRO CHE “FATTI IN TEMPI CERTI”: SONO PASSATI QUATTRO MESI E DELLE RICHIESTE AVANZATE AL GOVERNO NON NE E’ STATA REALIZZATA NEANCHE UNA… MA I LEGHISTI RESTANO ATTACCATI ALLA COMODA E BEN REMUNERATA POLTRONA
“Fatti in tempi certi”.
Era scritto così nel volantino diffuso dalla Lega a Pontida.
Il Carroccio era alle corde, stretto tra gli scandali del Premier e lo scontento dei militanti.
Ecco la soluzione: prendersi degli impegni e indicare le scadenze entro cui sarebbero stati mantenuti.
Peccato soltanto un dettaglio.
Nel volantino si diceva: “Impegno da parte del Governo a realizzare i seguenti punti programmatici entro le date stabilite”.
Era il 19 giugno, quasi quattro mesi fa.
Molte delle scadenze sono abbondantemente passate e la gran parte delle promesse non sono state mantenute.
Altre sono state realizzate solo molto parzialmente.
Ma per alcune, addirittura, il Governo ha agito in senso opposto alle promesse fatte. Chissà , forse nel Carroccio speravano che tutti si sarebbero dimenticati degli impegni.
Invece quel manifesto sta diventando un boomerang per la Lega: il forum di Radio Padania Libera (prima di essere “momentaneamente” chiuso) è stato sommerso dai messaggi dei militanti inferociti.
I dirigenti leghisti hanno di salvarsi in corner stampando una seconda versione del manifesto con le date opportunamente sbianchettate.
Troppo tardi.
Qualcuno, come il senatore veneto Marco Stradiotto, si è preso la briga di fare le pulci al volantino.
Ecco le scadenze indicate dagli uomini di Umberto Bossi: “Entro due settimane (cioè all’inizio di luglio, ndr)” si arriverà “all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri della Riforma Costituzionale (dimezzamento numero parlamentari, Senato Federale), mentre l’approvazione definitiva da parte del Parlamento giungerà entro 15 mesi”.
Il Pd oggi fa notare: “Il Consiglio dei Ministri non ha ancora approvato la riforma costituzionale promessa dalla Lega”.
Secondo punto: sempre entro due settimane sarebbe dovuta arrivare “l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto legge sulle missioni militari con riduzione dei contingenti impegnati all’estero”. Anche qui nessuna traccia del provvedimento.
Entro un mese (dal 19 giugno) doveva arrivare “l’attivazione delle procedure per l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia alle Regioni che le abbiano richieste”. Che cosa è successo? Niente.
Ancora: si prometteva “L’approvazione di misure per la riduzione delle bollette energetiche”. E qui ecco il paradosso: con l’aumento dell’Iva si è realizzato l’esatto contrario.
Il volantino prometteva poi “la riforma del patto di stabilità interno per i comuni e per le Province”. Anche qui si è realizzato l’esatto contrario: il patto di stabilità , modificato con le manovre estive, sarà più stringente e applicato anche ai comuni al di sotto dei cinquemila abitanti. Il meccanismo premiale per gli enti virtuosi risulta inapplicabile.
Un contentino arriva dal “taglio dei costi della politica” che, seppur in minima parte, è stato portato a casa.
Però “il finanziamento del trasporto pubblico locale” di nuovo non è arrivato. Anzi, ecco nuovi tagli alle Regioni.
Non va meglio per gli impegni da realizzare entro 60 giorni: “Approvazione della metodologia per la definizione dei costi standard da applicarsi alle amministrazioni dello Stato”. Ancora nessuna traccia.
Ecco poi le più clamorose promesse della Lega.
Come quella di far approvare, entro l’estate, “da parte del Consiglio dei ministri la proposta di Legge di Riforma Fiscale e sua approvazione definitiva in Parlamento entro la fine dell’anno”. E qui Stradiotto punta sull’amara ironia: “Nessuna traccia del provvedimento, a meno che per riforma non si intenda il taglio di detrazioni e deduzioni Irpef”.
C’è poi la questione delle quote latte da risolvere entro l’autunno: se intendono far condonare 1,6 miliardi di multe per farle pagare alla collettività , beh allora è vero, ci stanno provando.
Fino all’ultimo obiettivo: “L’approvazione definitiva — entro dicembre — del codice delle Autonomie”. Obiettivo in teoria ancora possibile.
Ma gli altri sono quasi tutti saltati.
I leghisti che cosa dicono?
Il Fatto ne ha interpellati diversi, a cominciare dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo, ma hanno preferito tutti non rispondere.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile LA REGRESSIONE IDENTITARIA DEL PDL, L’OSSESSIONE XENOFOBA E SECESSIONISTA DELLA LEGA, IL PARTITO DELLA GNOCCA E LA SDOGANIZZAZIONE DEL MACHISMO….LA SOTTOCULTURA CHE SI FA ISTITUZIONE, IL MANIFESTO IDEOLOGICO DI UN CENTRODESTRA CARICATURA DI DRIVE IN
Non è una battuta, nè un lapsus infelice, nè una voce dal sen fuggita. 
Il lancio di Forza Gnocca è perfettamente in linea con la regressione identitaria di Silvio Berlusconi e dei suoi alleati, che nell’ultimo anno hanno rispolverato il peggio della loro storia, spesso in versione caricaturale, pur di tenersi gli ultras di un elettorato che sta voltandogli le spalle.
La Lega è tornata ad affidarsi all’ossessione xenofoba e secessionista, arrivando al punto con Borghezio di “contestualizzare” la strage di Oslo e rilanciando alla grande la secessione del Nord.
La ex-An mima i riti del vecchio Msi, organizza seminari a Salò e spinge persino uno come Gasparri — che di fascismo non si è mai interessato — a esibirsi nei luoghi della Rsi, evocandone il fascino proibito.
Ma se gli alleati nel loro album di famiglia hanno pagine controverse di storia o vecchie intuizioni politico-filosofiche, se da una parte c’è la Rsi e dall’altra c’è Miglio, la cultura berlusconiana cos’ha?
Ha la “gnocca”, appunto. Cioè il modello Drive In.
Carmen Russo, Tinì Cansino e le ragazze Fast Food che decoravano il cast tutto maschile Greggio-D’Angelo-Faletti.
Quelle scollature mai viste in tv e quella ostentata disponibilità di sè.
Lo “sdoganamento” del secolare machismo italiano dopo le frustrazioni degli anni ’70 e le mortificazioni imposte dalla cultura cattolica.
La “gnocca” non è solo un’ossessione per Berlusconi, è il manifesto ideologico che lo ha fatto ricco e il simbolo anche semantico dell’Italia che vuole rappresentare.
Addio liberali, professionisti evoluti, addio ricette per la piccola impresa e “popolo delle partite Iva”, addio giovani e casalinghe: l’ultimo blocco sociale rimasto disponibile per il Cav è il pubblico dei cinepanettoni, gli acquirenti di calendari porno, gli italiani che lo invidiano per le notti di Arcore e sarebbero pronti a rivotarlo in nome di sentimenti che la politica “normale” reprime o ammorbidisce, a cominciare dalla considerazione delle donne come pezzi di carne da padroneggiare e scambiarsi, “gnocche” appunto.
Non è sbagliato. Quegli italiani sono molti.
E il giustificazionismo che tutti i soggetti pubblici riservano da anni alle espressioni maschiliste del Cavaliere e dei suoi alleati (penso al “fatti scopare” leghista a una deputata Pd) li ha resi più sicuri di sè e più orgogliosi della loro sottocultura, finalmente istituzionalizzata.
Tanto è vero che il ministro Frattini, commentando la sortita del Cavaliere, si è lamentato del fatto che è “difficile spiegare all’estero”: da noi, in Italia, le spiegazioni non sono nemmeno dovute, Forza Gnocca è normale.
Così normale che per ventiquattr’ore a nessuno del Pdl è venuto in mente di correggere o limare. Solo ieri, dopo un piccato commento dell’Avvenire e (forse) qualche segnalazione di disagio dalle ambasciate, sono arrivate le smentite a pioggia dei deputati presenti allo show: non lo ha mai detto, la battuta l’ha fatta un altro, Berlusconi lo ha pure rimproverato, bla bla bla bla.
La regressione identitaria significa anche questo.
Mentre l’Occidente festeggia il Nobel per la Pace attribuito a tre donne coraggiose, noi siamo qui a dividerci su un tema — il rispetto anche verbale per le donne — che in tutta Europa si risolve all’asilo, con mezz’ora di castigo a chi dice parolacce.
È uno spread di valori civili che dovrebbe preoccuparci quanto quello dei tassi di interesse, forse anche di più.
Flavia Perina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile IL PREMIER ACCUSA I “POTERI FORTI”: PER FAR RIENTRARE LA SPACCATURA OFFRE RUOLI DI PESO NEL PARTITO E NEL GOVERNO… ANCHE ALEMANNO AL VERTICE DEI DISSIDENTI
Si è convinto che “una regia esterna stia provando a mettere insieme i pezzi, ad approfittare dei malumori interni per farmi fuori”.
E si dice altrettanto certo che “falliranno anche stavolta”.
È appena rientrato ad Arcore dal piacevole weekend in dacia tra San Pietroburgo e Mosca.
“Ritemprato, tonico e motivato” come racconta un uomo di governo che lo ha sentito.
E il Cavaliere offre già nel pomeriggio ad alcuni dei suoi al telefono la sua lettura di quanto sta maturando negli ultimi giorni a Roma. “Io mi occupo di cose serie, sono già al lavoro sul decreto sviluppo” lascia trapelare ostentando sicurezza.
I malpancisti “non hanno dove andare”, insomma, lo sfiducino se ne sono capaci. Confida nel fatto che il fortino delle Camere reggerà come avvenuto il 14 dicembre, come sempre.
Il fatto è che i “frondisti” (che detestano essere definiti tali) sono pronti ad andare fino in fondo, come mai in passato: “Non hanno capito che facciamo sul serio” raccontano in anonimato.
La promessa di un faccia a faccia Alfano-Scajola per metà settimana, forse mercoledì, non avrebbe sortito gli effetti sperati.
Anche perchè l’ambasciata informale è già avvenuta, l’offerta si concretizzerebbe in “ruoli di peso” nel partito, negli organismi dirigenti locali che si stanno formando, addirittura un posto da ministro per lo stesso Scajola.
Magari, azzarda un berlusconiano della cerchia ristretta, dopo uno spacchettamento
del ministero dell’Economia e la concessione a Tremonti del governatore di Bankitalia Vittorio Grilli. Paolo Romani si sposterebbe e lascerebbe così vacante il ponto da restituire all’ex ministro ligure due anni dopo.
Ma nè Scajola nè i suoi mangiano la foglia, per lo spacchettamento occorrerebbe modificare la legge Bassanini, ragionano, un decreto non basterebbe, non ci sono i tempi, ammesso che bastasse.
Il gruppo dei dissenzienti tra Camera e Senato resta compatto e acquista peso. Deputati e senatori si vedranno martedì sera, e all’incontro, con i due big Pisanu e Scajola, dovrebbe partecipare anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno che con i suoi ha confermato ieri la propria disponibilità ad andare a “vedere le carte”.
È la conferma di quanto la partita si faccia complicata per Berlusconi. Quanto sia diventato concreto il rischio di una crisi al buio.
Il premier ha perciò deciso di rimettere in pista l’artiglieria pesante. In una riedizione della campagna acquisti in stile 14 dicembre.
Il segretario Pdl è l’ambasciatore ufficiale con Scajola, ma le trattative, quelle “vere”, il Cavaliere le ha delegate a Denis Verdini. Il coordinatore, destinato a indossare i panni del Mr. Wolf di Pulp Fiction (“Risolvo problemi”) è stato lanciato in una sorta di “caccia all’uomo”.
Nel mirino, uno per uno, gli scajoliani. Alcuni sarebbero stati già avvicinati. Altri lo saranno a Montecitorio.
L’obiettivo è fare terra bruciata attorno all’ex ministro: l’unico big dissidente che nel radar di via dell’Umiltà è considerato davvero “pericoloso” perchè dotato di “truppe”. Si va dalla proposta della ricandidatura, all’invito a desistere da documenti di rottura o sfiducia, se non si vorrà vedere compromessa appunto la rielezione.
Loro non desistono, per ora: “Nuovo governo e nuovo programma”.
Anche se a Palazzo Chigi smorzano. “Si tratta solo di un dibattito interno, che non darà luogo ad alcuna frattura – sostiene il portavoce del presidente, Paolo Bonaiuti – L’unità del Pdl è sempre prevalsa e sarà così anche questa volta”.
Qualcun altro, come il sottosegretario Daniela Santanchè, ricorda che “siamo alla vigilia dei congressi, posizionamenti e dibattiti sono fisiologici: Scajola e Formigoni non lasceranno. Di più: è imminente un ulteriore allargamento della maggioranza”.
Tatticismi e guerra di posizione.
Molto interna al partito, in cui ieri non è passato inosservato l’ennesimo giuramento di fedeltà di Angelino Alfano (“Berlusconi non si accantona”), dopo che il segretario era finito in un cono d’ombra per aver alluso in un intervento a Milano alla debolezza del premier.
L’ex Guardasigilli resta dunque al suo fianco nel bunker, chiudendo le porte a Casini, a Formigoni e a chi nel Pdl chiede una svolta.
In questo clima, non proprio dei migliori per la maggioranza, si apre la settimana cruciale del ddl intercettazioni alla Camera.
Ma il governo è atteso al varco soprattutto sul decreto sviluppo, rimasto finora una scatola vuota a dispetto della “scossa” invocata da Scajola.
Anche oggi da Arcore il premier sentirà alcuni esperti di economia per lavorare alle misure, che difficilmente vedranno la luce entro metà ottobre come promesso, e sembra invece abbia deciso per adesso di congelare l’opzione condono.
Non solo per i veti di Tremonti, ma anche per quelli di Bossi.
Meglio rinviarlo a un prossimo provvedimento.
Anche se in via XX Settembre già tremano al calcolo delle ricadute che lo stop and go sul ventilato colpo di spugna potrà avere già sull’acconto Irpef dei lavoratori autonomi a novembre.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile L’ESECUTIVO NAVIGA ORMAI A VISTA E TEME DI NON RIUSCIRE PIU’ A SERRARE I RANGHI…ANCHE CONFINDUSTRIA E BOSSI CONTRARI AL PROVVEDIMENTO, SI APRONO ALTRE CREPE NEL PDL
Fronti contrapposti nella maggioranza. 
L’esecutivo naviga a vista e a Palazzo Grazioli si teme di non riuscire più a serrare i ranghi, così si sta valutando l’ipotesi di far slittare il voto sulla legge Bavaglio previsto per mercoledì
Prima negato e smentito, poi ripescato e confermato.
L’ultimo balletto dell’esecutivo si sta consumando attorno al condono. Una norma che divide la stessa maggioranza ma che prende corpo nel decreto sviluppo che, secondo quanto annunciato da Silvio Berlusconi, dovrebbe essere approvato entro metà mese.
Umberto Bossi ha spiegato di essere contrario così come Giulio Tremonti che vuole puntare sulla lotta contro l’evasione, ma il Pdl insiste sulla necessità di percorrere questa strada.
E a bocciare il condono arriva anche Confindustria. Emma Marcegaglia è stata fin troppo chiara: “La logica del condono dà un messaggio assolutamente sbagliato, è una cosa che in un certo senso premia i furbi e noi abbiamo bisogno invece che tutti paghino le tasse e rispettino le regole. Quindi non credo che questa sia la scelta giusta”.
Anche secondo il numero uno di viale dell’Astronomia è necessario puntare sulla lotta all’evasione, come vuole il titolare dell’Economia che domani incontrerà Bossi nel quartier generale della Lega in via Bellerio.
E oltre a Lega e Confindustria, il Pdl deve fare i conti con i frondisti del partito.
L’ultimo a uscire definitivamente allo scoperto è stato il governatore lombardo Roberto Formigoni. Il condono, ha detto, “non è la strada giusta”.
E mentre il ministro Rotondi garantiva che l’ipotesi non è nell’agenda del governo, il suo collega d’esecutivo, Ignazio La Russa apriva all’eventualità così: “Ha ragione chi pensa che il condono fiscale può dare un segnale non positivo alla lotta all’evasione, ma siamo davanti a una casa che brucia e senza preconcetti dobbiamo vedere qual è la medicina con meno controindicazioni”.
Insomma, il condono è nei pensieri del Cavaliere.
Ma dovrà giocare una nuova partita con Tremonti, contrario ad una misura incentivo all’evasione; fare i conti con Bossi e con i frondisti del partito, che nel chiedere un cambio di passo di ampio respiro partono dai singoli provvedimenti.
E al fronte interno già aperto da Beppe Pisanu e Claudio Scajola, si aggiunge Raffaele Lauro, senatore del Pdl e membro della commissione affari costituzionali che boccia il condono e critica pesantemente i colleghi di partito che hanno difeso il provvedimento. “Definire eticamente giusto il condono fiscale grida vendetta al cospetto di Dio, costituisce un’aberrazione politica e rappresenta una offesa gravissima a tutti i contribuenti corretti, qualsiasi possa essere la destinazione delle risorse ricavate”, ha tuonato.
“Se il decreto per lo sviluppo sarà impostato su una simile logica condonistica, piuttosto che sulle riforme strutturali, indicate anche dalla Bce e più volte da Bankitalia, il provvedimento non avrà futuro e dimostrerà l’impotenza del Governo ad affrontare la decadenza italiana, con tutte le conseguenze”.
L’incapacità dell’esecutivo ad affrontare la crisi è dunque ormai riconosciuto anche all’interno dei partiti di maggioranza.
Nel Pdl, ma anche nella Lega.
Umberto Bossi sta combattendo una guerra interna per cercare di tenere ancora sotto scacco i ribelli del Carroccio che da mesi hanno individuato la loro nuova guida: Roberto Maroni.
Ma il ministro dell’Interno, per il momento, è rientrato nei ranghi.
Eppure l’esercito c’è e la rivolta verso il cosiddetto cerchio magico prosegue, alimentata dalle scelte “sbagliate” del Senatùr.
L’asse Arcore-padano dunque rimane ancora in vita ma traballa sempre più vistosamente.
E la settimana che si apre è decisiva per la maggioranza e per il governo.
Occhi puntati soprattutto sul voto di mercoledì sul ddl intercettazioni.
Il relatore del provvedimento, Enrico Costa, sta tentando una mediazione con l’Udc, presenterà un testo morbido proprio per accontentare i centristi.
Ma nel partito di via dell’Umiltà c’è pessimismo sulla possibilità di un’intesa e, anzi, si punta il dito contro l’atteggiamento di Pier Ferdinando Casini che si lascia guidare da Gianfranco Fini. E Angelino Alfano ha chiuso all’Udc sulla proposta di invitare Berlusconi a fare un passo indietro, proponendo così una sorta di equilibrio: il premier resta ma addolciamo il testo sul Bavaglio.
Certezze nel Pdl non ce ne sono.
Neanche sui numeri della Camera, che oggi appaiono a rischio.
Per questo motivo il Pdl non esclude affatto un rinvio della discussione, magari di una ventina di giorni.
Sulle intercettazioni è possibile un’ulteriore riflessione, anche per capire se la maggioranza è capace ancora di serrare i ranghi.
E’ infatti previsto il voto segreto che, considerato il clima di tensione nel Pdl, potrebbe riservare non poche sorprese.
Rischio che potrebbe esserci anche qualora si decidesse di porre la fiducia sul testo. Raccontano che pure il ministro della Giustizia Nitto Palma sia contrario a ricorrere a quest’arma.
La preoccupazione non è solo quella di andare incontro ad eventuali trappole, ma anche di irritare il Quirinale che da sempre sul tema chiede un dialogo aperto tra le forze in Parlamento.
Il Guardasigilli vorrebbe arrivare ad un’ampia convergenza anche sulla prescrizione breve in discussione al Senato, un provvedimento — questo l’ulteriore timore — che potrebbe subire l’alt del Colle per motivi di incostituzionalità .
La maggioranza, quindi, naviga a vista sia sulla giustizia.
Giochi aperti anche sul decreto sviluppo: il ministro Paolo Romani, è in contatto con i tecnici del dicastero dell’Economia, il gruppo costituito dai vertici del Pdl sta lavorando con il sottosegretario Luigi Casero per sbrogliare la matassa ma il condono non piace a molti.
Ed è un elemento a favore di quanti sono critici e desiderosi di liberarsi del Cavaliere.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile CONTRO LA GLOBALIZZAZIONE, IL MODELLO DI UN’EUROPA AUTARCHICA… INSEGUENDO IL MITO DELLA CRESCITA, IL SISTEMA IMPLODERA’ SU SE STESSO
Mentre tutto il mondo piange lacrime, virtuali, per Steve Jobs, morto di cancro a 56 anni (sic transit gloria mundi), io preferisco ricordare l’onomastico di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, di cui qualche giorno fa, il 4 ottobre, ricorreva l’onomastico, snobbato da quasi tutti i media italiani.
Quei pochi che ne hanno parlato lo hanno legato all’Unità d’Italia, con cui il fraticello di Assisi non ha nulla a che fare perchè nato prima che questa sciagura si compisse, o ne hanno sottolineato la vocazione alla tolleranza e alla pace.
Che ci sono sicuramente in Francesco. Ma nella sua predicazione ci sono cose molto più attuali e non a caso sottaciute.
L’amore per la natura (frate Sole, sora Aqua).
Era un ambientalista con qualche secolo d’anticipo non potendo conoscere gli scempi dell’industrializzazione a cui nemmeno i suoi santi occhi avrebbero potuto reggere.
La predicazione della povertà . Qui Francesco è veramente scandaloso. Scandaloso e attualissimo.
Figlio di un mercante aveva capito o intuito, poichè era un genio oltre che un santo, dove ci avrebbe portato la logica del mercato. Modernamente, poichè noi non siamo santi, il termine povertà può essere tradotto con sobrietà , che è meno radicale.
Noi non abbiamo bisogno di ingurgitare, come cavie all’ingrasso, degradati da uomini a consumatori, ancora nuovi prodotti, nuove tecno, iPad, iPhone già arrivato, nel giro di un paio d’anni, alla quinta generazione, affascinanti quanto devastanti, o sciocchezze come le “linee di beauty per cani” (che vanno trattati da cani), gadget demenziali e insomma tutte le infinite inutilità da cui siamo circondati e soffocati.
Abbiamo bisogno, al contrario, di smagrire e di molto.
Abbiamo bisogno di una vita più semplice, più umana, senza essere ossessionati ogni giorno dai Ftse Mib, dall’indice Dax, dagli spread, dai downgrading.
C’è una possibilità realistica di arrivarci?
Sì,volendolo e con alcune necessarie mediazioni.
La parola chiave è autarchia, squalificata anche perchè di mussoliniana memoria. Ovviamente oggi nessun Paese, da solo, potrebbe essere autarchico.
Retrocederebbe a condizioni di sottosviluppo che non siamo più in grado di sopportare.
Ma l’Europa potrebbe essere autarchica. Ha popolazione, e quindi mercato, risorse, know how sufficienti per fare da sè.
Naturalmente l’autarchia ridurrebbe la ricchezza complessiva delle nazioni europee, ma “La Ricchezza delle Nazioni” non corrisponde affatto alla qualità della vita e nemmeno alla ricchezza dei singoli (negli Stati Uniti, il Paese più ricco e potente del mondo, ci sono 46 milioni di poveri, o per essere più precisi di miserabili che è un concetto diverso, quasi un quarto della popolazione).
Si tratterebbe semmai, in questa ipotesi, di distribuire in modo più equo la ricchezza che rimarrebbe.
Ma un’autarchia europea ci porterebbe perlomeno al riparo dagli effetti più devastanti di quella globalizzazione che secondo le leadership politiche, gli economisti, gli intellettuali avrebbe fornito straordinarie chance e che invece si sta rivelando un massacro per i popoli del Terzo e ora anche del Primo mondo, sacrificati sull’altare di uno dei tanti “idola” moderni: il lavoro.
Se continueremo a inseguire il mito della crescita, un giorno questo sistema, fattosi planetario, imploderà su se stesso, di colpo, e ci troveremo a vagare come fantasmi fra le rovine fumanti e i materiali accartocciati di un mondo che fu.
Massimo Fini blog
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Ottobre 10th, 2011 Riccardo Fucile L’IPOTESI DELLA NASCITA DI GRUPPI AUTONOMI E I MALPANCISTI DEL PDL… LE RICHIESTE DI SCAJOLA E PISANU: SVOLTA IN ECONOMIA E PARTITO APERTO
Lo descrivono «amareggiato e deluso» per il trattamento ricevuto dal «quotidiano di proprietà
del premier», Il Giornale , che ieri titolava spietato «Un’altra casa di Scajola».
Ma assicurano anche, i suoi amici più stretti, che l’ex ministro non ha alcuna intenzione di tornare sui propri passi.
«Serve un governo dei migliori allargato ai centristi», ripete nelle cene e negli incontri con i fedelissimi Claudio Scajola, all’uniscono con Beppe Pisanu con il quale cammina affiancato, sostenuto da 30-40 fedelissimi che – giurano – sono pronti a seguirlo sulla strada che alla fine si deciderà di intraprendere.
Per andare dove? L’approdo finale non è chiaro, ma le prime tappe del cammino sono state stabilite.
Si sta infatti lavorando a un documento (la cui esistenza al momento è smentita dagli interessati) che dovrebbe vedere la luce tra qualche giorno, e che dovrebbe sostanzialmente contenere la richiesta di un partito più aperto, rappresentativo di tutte le anime, che torna a discutere e decidere in sedi prestabilite visto che – dicono gli scajoliani – finora «di Alfano si può dire solo che si presenta bene…»; una «svolta» in economia, a partire dal decreto sviluppo che sarà il vero banco di prova per la sopravvivenza del governo; la disponibilità ad «allargare il governo ai centristi» per fare un «esecutivo dei migliori che affronti la crisi globale».
L’idea è quella di sottoporre allo stesso premier il documento, o comunque di discuterlo, spiega Paolo Russo, nelle «sedi più opportune del partito, perchè non è possibile che non esistano più luoghi di confronto. I temi che noi poniamo sono di metodo in primo luogo, poi di merito».
Se non si riuscirà ad avere risposte in tempi brevi, potrebbe diventare realtà quella che per ora è solo una sorta di minaccia sottintesa: la creazione di gruppi parlamentari autonomi.
È l’extrema ratio: «Scajola e Berlusconi si sono sempre trovati, sono sicuro che succederà ancora», confida Abrignani, ben sapendo che l’esposizione di muscoli fatta in questi giorni qualche risultato potrebbe portarlo.
Perchè è chiaro che, con il malessere che nel Pdl è ormai ben oltre il livello di guardia e il rischio di incidenti a ogni voto, anche solo l’annuncio della creazione di nuovi gruppi avrebbe un effetto devastante.
Ma da via dell’Umiltà mostrano di non credere alla minaccia: «Ma dove vanno? Se rompono, chi li garantisce? Casini può offrire 2-3 posti nelle sue liste, noi un po’ di più. Non conviene a nessuno rompere, perchè si finirebbe dritti al voto, altro che governo di transizione».
Ipotesi verosimile se Renato Schifani – tirato in ballo come possibile premier in caso di governo istituzionale – smentisce qualsiasi manovra.
Da Palazzo Madama infatti rimandano a quanto detto a settembre alla festa di Atreju dal presidente del Senato: «Non esistono governi istituzionali, qui c’è un governo voluto dagli italiani».
(da “Il Corriere della Sera”)
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