DESTRA DI POPOLO VI AUGURA….
Dicembre 31st, 2011 Riccardo Fucile……………….
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NELL’INTERVISTA IL MINISTRO PRECISA: “PENE PIU’ ALTE PER L’ABUSO D’UFFICIO”… LITI DI CONDOMINIO FUORI DAI TRIBUNALI
Il piano Cresci Italia avrà una ripercussione immediata sulla giustizia.
La fase due per il Guardasigilli Paola Severino è già scattata. Prevede «misure coordinate per segnare la fine di un sistema che scoraggia gli investitori premiando i corrotti e chi non paga e penalizzando le persone per bene».
Ministro Severino, ma nel concreto cosa significa?
«Da un lato dare una forte accelerazione e una specializzazione al processo civile per materie di forte impatto economico, con adeguate norme deflattive che facciano defluire l’enorme mole di procedimenti. Ma dall’altra, certamente, incidere sulla corruzione che è un cancro che divora la leale concorrenza tra le imprese».
Un ddl anticorruzione giace in Senato. Tutti si chiedono se ripartirà da quello o ne presenterà uno diverso.
«Sto già lavorando su questo tema. La prima fase è lo studio. La seconda sarà la condivisione con le forze parlamentari e con gli altri ministri. Confronterò le idee. E penso che, se condivise, si arriverà a una proposta del governo».
Un maxi emendamento, quindi. In tempi brevi?
«Siamo un governo che non ha tempi lunghi. Salvo rispettare quelli parlamentari».
La bozza la vuole concordare, ma un’idea di contenuto da avvocato e giurista lei ce l’avrà . Come pensa si possa articolare un ddl che non sia un’arma spuntata?
«Dovrebbe contenere una parte relativa alla prevenzione in modo che si riducano le occasioni di corruzione».
Come?
«Fissando delle procedure trasparenti, un percorso cadenzato con tempi certi e poi monitorando se le regole vengono rispettate. Se in un appalto, ad esempio, vengono fissati la procedura e i tempi di rilascio delle licenze, delle autorizzazioni e dei permessi, si può ridurre l’area grigia di discrezionalità dove la corruzione si annida».
Alcune procedure nelle gare pubbliche sono già fissate ma non fermano la corruzione.
«È vero. Ma per questo serve una parte relativa alle sanzioni che vanno riequilibrate e calibrate a seconda dell’interesse generale».
A cosa pensa, ad esempio?
«Ancora non ho il quadro completo, ma penso che vadano riviste le pene in materia di abuso di ufficio».
Inasprendole?
«Certo».
Pensa che le forze politiche vogliano davvero uno strumento di lotta alla corruzione?
«La corruzione è presente in quella parte dell’amministrazione pubblica che esercita poteri discrezionali, potendo dare o negare qualcosa al cittadino. E il fatto che ci sia un ddl così importante dimostra che il Parlamento non è disinteressato a un provvedimento che tuteli le fasce più indifese».
Lei ha annunciato norme anti corruzione anche per le aziende private. A cosa pensa?
«All’introduzione di una fattispecie di reato presente in molti altri ordinamenti europei, con la quale si punisce il comportamento del dirigente d’impresa che si fa dare o promettere somme di denaro per favorire fornitori o contraenti della stessa impresa. Anche in questo caso si viola il principio di libera e leale concorrenza».
Vedremo a breve anche interventi specifici sulla giustizia civile?
«Mi muovo in un solco già tracciato da alcune leggi delega che aiuteranno a velocizzare il processo civile. Come quella sulla mediazione civile».
La mediazione civile è già , in parte, in vigore. Quali effetti ha avuto?
«Dal 21 marzo al 30 settembre 2011 sono stati 33.800 i procedimenti aperti, più di 19.000 quelli definiti, per un valore medio della controversia pari a 93 mila euro, il 75% riguarda la mediazione obbligatoria, il 23% quella volontaria, l’1% delegata e l’1% obbligatoria per clausola di contratto. Per ora sono numeri inferiori alle attese. Ma mi aspetto molto dall’estensione, entro marzo, della mediazione obbligatoria ai contenziosi più corposi».
Quali?
«Le liti condominiali e gli incidenti stradali».
Ci sono state forti resistenze degli avvocati. Come si supereranno?
«Nell’80% dei procedimenti c’è stata l’assistenza di avvocati alle parti in causa».
Resistenze ne troverà anche sulla riforma delle professioni. Lì che tempi prevede?
«Entro agosto, come stabilito dalla legge delega. Ma non ci sarà l’abolizione degli ordini. Piuttosto nuove regole sulla formazione, sulle tariffe, sulla disciplina».
Sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie che lei ha annunciato di voler fare è già quasi rivolta delle amministrazioni locali. Andrà avanti?
«Una razionalizzazione è necessaria e urgente. Ci sono 3mila edifici attualmente in uso, con la revisione giudiziaria si risparmierebbero tra i 60 e gli 80 milioni l’anno. Si punta all’efficienza anche recuperando personale amministrativo e magistrati da impiegare. L’obiettivo è arrivare alle specializzazioni per settore. Ma, come prevede la delega, entro la fine del 2012 la razionalizzazione ci sarà . E andrà di pari passo con gli interventi sul problema delle carceri a cui tengo molto».
Non teme di avere troppi obiettivi ambiziosi?
«No, non ho voluto mettere il mio nome sotto una riforma del codice penale o civile. Sto mettendo a punto norme dettate dalla necessità e dall’urgenza. Niente di più».
Virginia Piccolillo
twitter@vpiccolillo
ALLO STUDIO UNA RIFORMA CHE PREVEDE PIU’ TUTELE IN CAMBIO DI PIU’ FLESSIBILITA’ SUBITO TAVOLO CON I SINDACATI
La batosta delle polemiche sulla modifica dell’articolo diciotto ha lasciato il segno.
Ora al ministero del welfare preferiscono che siano i sindacati a fare la prima mossa.
Nella seconda settimana di gennaio, quando Camusso, Bonanni e Angeletti si sederanno di fronte a Elsa Fornero, saranno loro e non il ministro a dover parlare per primi.
Nessuno può considerare l’attuale situazione del mercato del lavoro soddisfacente: quali sono dunque le proposte del sindacato per voltare pagina?
Al ministero si sottolineano le parole utilizzate ieri da Monti: è necessario un sistema di regole non interpretabili.
Vale per le assunzioni dei giovani ma vale anche per l’intera riforma.
Alcune certezze di base.
La filosofia è quella di dare a tutti alcune certezze di base, un sistema di garanzie che si estenda all’intero mondo del lavoro.
Superare l’attuale schema che divide le aziende in due gruppi: quelle sotto i 15 dipendenti, dove non si applica lo statuto dei lavoratori e dove spesso regna l’arbitrio.
Dove piccolo è bello solo per gli imprenditori mentre i dipendenti sono costretti a orari massacranti, paghe da fame e rapporti contrattuali totalmente precari.
Sull’altro versante, nelle aziende sopra i 15 dipendenti, la tendenza è quella a ridurre il numero di occupati a tempo indeterminato a vantaggio di rapporti di lavoro meno stabili, anche qui scambiando la creazione di nuovi posti di lavoro con la garanzia che quel lavoro duri nel tempo. È stato questo, in fondo, il nodo dello scontro tra i sindacati alla Fiat, con la Cgil a difendere i diritti acquisiti e gli altri sindacati a ribattere: “Senza lavoro non ci sono diritti per nessuno”. Probabilmente Elsa Fornero non può permettersi di dividere i sindacati sulla sua proposta di riforma del mercato del lavoro, e questo spiega la sua prudenza.
Certamente se si arriverà alla spaccatura sindacale sarà solo dopo che il governo avrà fatto pubblicamente tutte le mosse per evitarla.
Per queste ragioni il punto di partenza saranno le norme per abbattere il lavoro precario tra i giovani.
Questione che mette d’accordo tutte le sigle sindacali e buona parte dei partiti.
Il contratto di apprendistato.
La proposta di riferimento potrebbe essere quella avanzata da Tito Boeri sul contratto unico di apprendistato introducendo il principio per cui tutti i contratti dopo un certo periodo diventano a tempo indeterminato.
Quel che si starebbe studiando al ministero è un modo per rendere lo schema meno rigido: “Non è la stessa cosa – si osservava ieri – l’apprendistato dell’artigiano e quello di un ingegnere”. L’importante è che in ambedue i casi ci siano regole di base identiche.
Non si tratta solo di avere norme chiare per tutti.
Ma anche di evitare le pieghe di quelle “eccessive frammentazioni che nuocciono ai giovani”, come ha detto ieri Monti.
Quella giungla di norme nate in epoche diverse e con scopi diversi che sono diventate un invito a nozze per le imprese che vogliano utilizzare la manodopera senza alcun vincolo.
Ammortizzatori sociali e articolo 18.
Naturalmente per questa strada, quella di avere regole uguali per tutti, si arriverà ad abolire la distinzione tra aziende sotto i 15 dipendenti e le altre.
Ma questo è un tasto che oggi al ministero preferiscono non toccare.
Perchè l’estensione delle tutele del tempo indeterminato a tutti si porta dietro automaticamente la revisione dell’articolo 18 sui licenziamenti: i precari di oggi avranno più certezze perchè chi oggi ha certezze diventerà un po’ più precario.
Nessuno in queste settimane ha la forza politica di esprimersi in questo modo ma è stato lo stesso premier ieri ad avvertire: “E’ importante superare la precarietà ma non si può superare il fatto che nel mondo di oggi e soprattutto di domani un lavoro stabile e a lungo termine, facendo lo stesso mestiere e nella stessa azienda, sarà sempre più raro”.
Così anche gli attuali ammortizzatori sociali, la cassa integrazione e la mobilità , saranno rivisti “perchè le tutele ci siano ma in una prospettiva di maggiore flessibilità economica”. La parola chiave è ovviamente “flessibilità “.
Perchè l’obbligo di reintegro per il lavoratore licenziato senza giusta causa è considerato una rigidità del sistema. Senza abolire l’articolo 18 si potrebbe modificare il concetto di giusta causa inserendo tra i motivi di giusta causa anche le ragioni di difficoltà economica dell’impresa. Rimarrebbe così invariato l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento discriminatorio riconosciuto dal tribunale.
No a tensioni sociali. Una medicina amara che naturalmente il governo intenderà somministrare “senza creare tensioni sociali”, dice Monti. Evitando cioè il più possibile di creare una spaccatura tra i sindacati.
Una medicina che potrebbe essere addolcita dall’introduzione del salario di disoccupazione. Oggi però i soldi per finanziare quella misura non ci sono.
Così, in attesa di conoscere eventuali proposte sindacali, al ministero si preferisce dividere la riforma del mercato del lavoro in due fasi: la prima sarà quella che ridurrà le forme di precariato più gravi, la seconda quella che affronterà la spinosa questione della diffusione delle tutele a tutta la platea dei lavoratori italiani.
I rapporti con i sindacati.
La questione è spinosa. “Vogliamo confrontarci ma dobbiamo fare in fretta”, ha avvertito ieri Monti. “Non vogliano trattare con la spada di Damocle della fretta”, rispondevano ieri in Cgil. Mentre la Cisl replicava: “No a pacchetti precostituiti”.
Fornero si deve guardare da due fronti. Il più difficile è quello della Cgil: è bastata la voce di una cena riservata (smentita da ambedue gli interessati) tra il ministro e il leader della Fiom Maurizio Landini per suscitare grande irritazione in corso d’Italia e, secondo alcuni, provocare la dura reazione di Susanna Camusso alle dichiarazioni del ministro sull’articolo 18.
Non meno complesso il rapporto della Cisl: Raffaele Bonanni è tornato improvvisamente barricadiero dopo aver mantenuto un atteggiamento di grande comprensione nei confronti delle scelte del governo Berlusconi.
Orfano del rapporto con il predecessore di Fornero, Maurizio Sacconi, Bonanni potrebbe mantenere la sua linea di opposizione al governo.
Il fatto è che i partiti di riferimento di Camusso e Bonanni, il Pd e il Terzo Polo, non capirebbero la svolta radicale che nasce da questioni interne alle organizzazioni sindacali.
E questa potrebbe essere la carta principale in mano al ministro al momento dell’avvio della trattativa, tra quindici giorni.
Paolo Griseri
(da “La Repubblica”)
“SUGLI SPRECHI NELL’ OPINIONE PUBBLICA C’E’ UN ALLARME GIUSTIFICATO”
Si informerà , assicura. Poi, forse, prenderà provvedimenti.
Come fa sempre quando non ha una posizione già definita, il premier Mario Monti prende tempo, si riserva di approfondire.
Anche quando l’argomento è già stato sviscerato dagli articoli di giornale.
Il tema è questo: si può tagliare finchè si vuole la spesa pubblica e dare un’immagine di calvinista austerità , ma se la casta prospera come prima, il danno alla credibilità dell’Italia e del governo non è meno grave del segnale che arriva dallo spread.
“Ringrazio per la segnalazione perchè ci sono motivi di grande allarme”, risponde così alla domanda del Fatto Quotidiano durante la conferenza stampa di fine anno di ieri pomeriggio.
La segnalazione è la seguente: soltanto nell’ultima settimana, come raccontato dal Fatto, almeno tre scandali denunciano come sprechi indifendibili stiano minando la credibilità di ogni proclama sui tagli di spesa.
Primo: i 14 assessori regionali del Lazio che, grazie a un blitz notturno, riusciranno ad andare in pensione a 55 anni, alla faccia dei normali lavoratori rassegnati ad aspettare i 67.
Secondo: i gruppi che gestiscono le lucrose slot machine di nuova generazione potrebbero avere nuove licenze gratuite, uno spreco di gettito analogo a quello (forse evitato) della gara per le frequenze tv.
Terzo: l’Agenzia del Territorio guidata da Gabriella Alemanno, un pezzo del ministero del Tesoro cui è affidata la cruciale riforma del Catasto voluta da Monti, rimborsa note spese tanto colossali quanto discutibili. Il fattoquotidiano.it   pubblicherà online oggi pomeriggio tutte le carte, dove si scoprono spese poco giustificabili per un ramo della pubblica amministrazione che dovrebbe occuparsi di censire e tassare gli immobili e di combattere l’evasione fiscale.
Ci sono per esempio 21 mila euro di calendari per il 2012, 42 mila euro per sponsorizzare CortinaIncontra, la manifestazione dei coniugi Cisnetto, 984 euro di “pop corn e bibita” (in un giorno solo), migliaia di euro di gioielli (bracciali in pietre dure, gemelli d’argento, una sciarpa di seta con perle) per spese di rappresentanza.
In conferenza stampa c’è tempo giusto per un esempio: l’Agenzia del Territorio, che risponde direttamente a Monti in quanto ministro del Tesoro, ha speso 3240 euro per “uova di struzzo decorate e personalizzate secondo vs indicazioni”, cioè con le mappe del Catasto, da regalare a Natale 2010.
Monti reagisce con una battuta: “Sono molto interessato a questa cosa delle uova di struzzo decorate, sulle quali porrò la mia attenzione. E credo che l’aspetto della decorazione non sia sostanziale. È il concetto di uova di struzzo che mi preoccupa, perchè la politica di questo governo non è quella della struzzo”.
Sempre serio, precisa subito: “Scherzi a parte, ringrazio per la segnalazione, guarderò anche gli altri due casi segnalati. Ha ragione, mi sembra che siano motivi di grande allarme per l’opinione pubblica”.
Per la cronaca: l’Agenzia del territorio fa sapere che le uova servivano per attività di rappresentanza in Paesi come Cina e Russia cui l’Italia sta vendendo “ il proprio know-how sul Catasto”.
Molte delle promesse iniziali del governo in materia di costi della politica sono state annacquate dai passaggi parlamentari, come l’abolizione delle Province (che per almeno un anno sopravviveranno tranquille) o il taglio degli stipendi dei parlamentari, rimandato a quando un’apposita commissione avrà calcolato le medie europee a cui uniformarsi.
Il termine previsto del 31 dicembre difficilmente sarà rispettato.
Ma il premier rivendica di essere riuscito a fare comunque qualcosa, tipo la rinuncia simbolica (ma anche concreta) allo stipendio da presidente del Consiglio: “Ci sono state varie manifestazioni di autocontenimento non dovute e ho visto anche non apprezzate”. Secondo punto a favore del premier, quello sulla comunicazione dei conflitti di interesse all’Antitrust (secondo la legge Frattini) che Monti aveva assicurato: “Il termine è quello dei 90 giorni previsto dalla legge, sarà rispettato”.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
NEL PDL AUMENTANO I MAL DI PANCIA E I FALCHI RIMPIANGONO IL VOTO ANTICIPATO
Il Cavaliere prigioniero impotente del Professore.
È l’immagine più eclatante che rimbalza dalla lunga conferenza stampa di Mario Monti. Il premier prende a schiaffi il suo “predecessore” in modo plateale almeno un paio di volte.
La prima è quando gli ricorda le promesse di un anno fa: “Il mio predecessore, Berlusconi, il 23 dicembre 2010 disse: ‘Non servirà una manovra correttiva’. Ma le cose poi sono andate diversamente e nel frattempo sono state necessarie cinque manovre e solo l’ultima porta la mia firma”.
Poi, Monti, sfida sul terreno del mercato il centro-destra con le fatidiche liberalizzazioni.
Alla pancia del Pdl, sempre più partito di lotta e di governo, il Professore è apparso troppo spavaldo e sarcastico.
Soprattutto ai falchi che rimpiangono di non essere andati alle elezioni anticipate, e che ancora ci sperano, e si consolano a modo loro gridando rabbiosamente che lo spread ancora non scende e quindi la colpa non era di Berlusconi.
L’ex ministro Ignazio La Russa gli dà persino un voto: uno striminzito sei meno.
L’ex sottosegretario Daniela Santanchè si lascia scappare un giudizio perfido: “Sembrava Tremonti più che Monti”.
Insomma dura o non dura il governo tecnico?
L’onere della prova grava ancora tutto sul Pdl, il più oscillante tra i partiti della Grande Coalizione messa insieme dallo spread e dal capo dello Stato.
Il Pd si allinea senza infamia e senza lode con il segretario Bersani (“Analisi onesta, dopo anni di favole abbiamo avuto un bagno di realtà ”) e l’Udc si conferma la forza più entusiasta della nuova fase.
All’opposizione, Antonio Di Pietro alza i toni e paragona il Professore al Cavaliere: “Continua la politica delle televendite”.
Nell’ex partito dell’amore, alla fine, a fare testo sono le dichiarazioni del Capo, che agli schiaffi “tecnici” reagisce con uno zuccherino propagandistico per i falchi del Pdl: “Noi abbiamo assicurato il nostro leale sostegno al governo dei professori ma dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza e comportarci come se la campagna elettorale per le elezioni fosse già in corso”.
B. alimenta la fiamma del Pdl di lotta e agita lo spettro delle elezioni anticipate per salvare l’attuale bipolarismo, ma in realtà la sua strategia ha il fiato cortissimo.
Anche perchè il partito è spezzato in tre, se non più, tronconi. All’area filogovernativa di Alfano e Cicchitto si contrappongono gli ex an e in mezzo ci sono i centristi “in sonno” che immaginano già la Terza Repubblica e sono pronti a riposizionarsi altrove.
Questo in un quadro di feroci scontri a livello locale per la nuova stagione dei congressi. Un Pdl lacerato e pronto a implodere. Reggerà allo stillicidio di un altro anno e mezzo di sostegno al governo Monti?
La risposta corale è “No”.
Molti aggiungono: “Andremo al voto anticipato, però non prima di sei mesi”.
Altri esegeti del verbo berlusconiano, l’unico che ancora conta nel centrodestra, forniscono una versione che punta all’eterno conflitto d’interessi dell’ex premier, “garantito” da ministri di questo esecutivo.
Ecco perchè “Monti si può permettere tutto e Berlusconi è impotente”.
Di debolezza in debolezza il rischio, per il Pdl, è che si arrivi davvero fino al 2013.
Colpa anche dei “cattivi consiglieri del Cavaliere”. Non politici stavolta, ma esponenti della finanza come Nagel di Mediobanca e il banchiere Doris.
Così uno dei paradossi provocati da questa impotenza è che si spera nel Pd per andare alle elezioni. Nella pancia del Pdl si parte dal presupposto che Bersani prima o poi cederà alla tentazione di vincere le elezioni come candidato-premier del centrosinistra.
E l’incidente per rompere sarà la riforma del lavoro.
Almeno questo è l’augurio che si fanno a vicenda, per rincuorarsi, i pasdaran del voto nel Pdl, che fanno affidamento anche su un’altra dichiarazione di ieri del Cavaliere: “C’è un nuova generazione, una nuova classe dirigente, guidata da Angelino Alfano. Io non li lascerò soli, resterò in campo per vincere le prossime elezioni e perchè il governo dell’Italia sia ancora affidato dagli elettori a una forza di democrazia e di libertà qual è la nostra”.
La verità è che dalla parte del Berlusconi anti-voto e dello stesso Alfano ci sono i sondaggi che danno perdenti il centrodestra.
Le elezioni adesso garantirebbero solo gli attuali gruppi di potere del Pdl, anche in caso di sconfitta, ma allontanerebbero l’incubo di una scomposizione del quadro politico in senso neocentrista.
Ieri Monti ha smentito di essere candidato al Colle per la successione a Napolitano.
Da settimane infatti circola la suggestione di un ticket Passera-Monti: il primo a Palazzo Chigi, il secondo al Quirinale.
Scenari per il momento, che però condizionano ogni mossa del presente.
Un presente che vede B. prigioniero di Monti.
Oppure “utile idiota” del governo tecnico. Glielo ha detto ieri l’ex alleato leghista Calderoli.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
TRA IRONIE, CITAZIONI E FRECCIATE, MONTI SI SMARCA DA SILVIO: “VESTO BANALE E PARLO POCO, PER I TEDESCHI SONO IL GENERO IDEALE”… COMUNQUE LA SI PENSI, MONTI NON NASCONDE LA VERITA’ SULLO STATO DELL’ITALIA E PARLA DI LOTTA ALL’EVASIONE COME PRIORITA’ ASSOLUTA… I FATTI SONO ANCORA POCHI, MA LO STILE E’ MOLTO
Una delle richieste del mondo all’Italia, un cambiamento nello stile di governo, Monti l’ha garantita.
Per chi ha seguito la decina di conferenze di fine d’anno di Berlusconi, è una rivoluzione. Sul piano dello humour, per cominciare, siamo passati da Bombolo a Oscar Wilde.
Il professore dimostra una bella dimestichezza con alcune delle virtù meno frequentate dagli uomini pubblici italiani, l’ironia e l’understatement. Il suo incedere lento, a tratti meccanico, si apre di continuo a paradossi divertenti, perfino trovate surreali.
Quando gli chiedono se riuscirà a rassicurare l’opinione pubblica tedesca, risponde citando la Suddeutsche Zeitung, «che mi ha definito il genero ideale, perchè parlo poco e vesto in maniera banale. Un grande complimento per me e per i tedeschi. Direi che il più è fatto».
Al lungo cahier de doleances dell’Ordine dei giornalisti, replica di conoscere la materia «avendo scritto due o tre articoli nella vita».
Agli appelli degli economisti obietta «conosco anch’io un minimo di economia e capisco che la manovra ha molti inconvenienti».
Quindi affronta l’ossessione dell’anno: «Vorrei dire qualcosa a proposito dello spread, forse avrete già sentito questo termine…».
Ringrazia i giornalisti presenti per i molti scoop sulle intenzioni del governo: «Non di rado leggendo i giornali io stesso apprendo le cose che ho detto, un importante servizio di in house information».
Un giornalista gli ricorda i continui sprechi dell’amministrazione pubblica, perfino l’acquisto recente di uova di struzzo decorate da parte di un ufficio: «Questa faccenda mi colpisce molto, non solo per le decorazioni, ma proprio per lo struzzo, che non corrisponde affatto allo spirito del nostro governo».
Se insomma il professore azzeccasse i provvedimenti come le battute, potremmo stare tranquilli. Finora è andata un po’ così.
Ma certo il prestigio, il tono, il clima sono cambiati con questo presidente del consiglio. Dall’autarchia del predecessore, immerso in un perenne disagio nei vertici internazionali, dal quale cercava di uscire con bizzarrie cafone, alla naturale apertura di Monti, che chiacchiera in inglese prima della conferenza e ottiene per la prima volta la presenza della stampa estera al rito di fine anno.
Dalla vergogna d’essere rappresentati in giro per il mondo da un leader definito dalla stampa anglosassone «un patetico pagliaccio», al cui confronto qualsiasi mediocre leader faceva la figura dello statista planetario, al sollievo di vedere l’immagine dell’Italia affidata a un uomo colto, competente, stimato.
Ma la vera rivoluzione di Monti consiste nel semplice fatto di dire la verità ai cittadini. Per un decennio abbiamo assistito alla conferenza stampa di fine anno come al fuoco d’artificio della balla governativa.
La scommessa su quanto stavolta Berlusconi le avrebbe sparate grosse, truccato i dati, falsificato i bilanci, sventolato promesse iperboliche, veniva ogni volta polverizzata da performances costantemente oltre le peggiori aspettative.
Non per caso, la più acuminata delle ironie di Monti è stata dedicata proprio al predecessore.
Quando il professore, nell’omaggiare con una citazione l’ex premier, non ha potuto fare a meno di ricordare che nella conferenza stampa del dicembre 2010 Berlusconi aveva giurato solennemente che non vi sarebbero state altre manovre d’aggiustamento.
«Da allora – ha precisato Monti – ce ne sono volute cinque e soltanto l’ultima porta il mio nome».
Nel bene o nel male, quella di Monti è la verità sullo stato della nazione. Sia quando non nasconde la gravità della crisi, sia quando sottolinea le possibilità di uscirne.
Senza miracoli o scorciatoie, perchè, citando l’ex ministro Visco «sui mercati la fiducia si perde in fretta, ma si recupera soltanto con un lungo lavoro».
Per questa sincerità gli italiani, sondaggi alla mano, sono disposti a comprare da Mario Monti un’auto usata come l’attuale manovra, ma non erano più da tempo disposti a comprare le fiammanti promesse di Berlusconi, come avevano fatto per tanti anni. A quale prezzo, si vede adesso.
Si potrà obiettare che il premier è stato vago assai sulle prossime mosse del governo, la famosa «fase due».
Soprattutto sulle riforme e la lotta all’evasione. Ma è anche vero che di annunci se ne fanno fin troppi, con l’unico risultato concreto di far scappare i capitali all’estero.
Con quel «minimo di economia», Monti sa benissimo che quando si vogliono cambiare le cose è meglio agire prima e fare gli annunci più tardi.
E’ chiaro comunque che se «gli straordinari strumenti forniti all’Agenzia delle Entrate e alla Finanza» non dovessero funzionare, si passerà direttamente alla fase tre, detta «si salvi chi può».
In ogni caso è già sorprendente ascoltare un presidente del consiglio italiano che dichiara la lotta all’evasione fiscale «la priorità assoluta dell’azione di governo».
Mi sbaglierò, ma mi pare proprio che sia il primo nella storia repubblicana.
Curzio Maltese
(da “La Repubblica”)
E’ MANCATO MIRKO TREMAGLIA, STORICO ESPONENTE DELLA DESTRA ITALIANA, UN PASSATO NEL MSI, ORA IN FUTURO E LIBERTA’…UNA VITA SPESA PER UN IDEALE POLITICO SENZA MAI UN’OMBRA
E’ morto, nella sua casa di Bergamo, l’ex ministro Mirko Tremaglia, storico esponente della destra italiana. Aveva 85 anni.
Ex ragazzo di Salò, esponente del Msi, poi di An, Tremaglia è stato ministro per gli Italiani all’Estero.
Eletto con il Pdl nel 2008 era poi passato al gruppo di Futuro e Libertà .
Sua è la paternità della legge che ha riconosciuto il diritto di voto degli italiani residenti all’estero.
La sua vita fu segnata dalla scomparsa del figlio Marzio, dirigente giovanile del Fuan, a soli 42 anni.
All’età di 17 anni aderì alla Repubblica sociale italiana.
Catturato dagli Alleati, scontò un periodo di reclusione. Poi si iscrisse all’università Cattolica di Milano, da cui fu allontanato quando si scoprì il suo passato di ragazzo di Salò.
Successivamente si laureò in giurisprudenza e divenne avvocato.
Entrò nel Movimento sociale italiano già nel 1948, dove è stato tra i più stretti collaboratori di Giorgio Almirante.
Per la prima volta fu eletto in Parlamento, come deputato, nel 1972.
Le “svolte”.
Dopo la svolta di Fiuggi, nel 1995, sceglie di aderire al progetto di Alleanza nazionale. Ed è l’organizzatore del viaggio di Fini negli Stati Uniti.
Nel 2001 fu eletto con la Casa delle libertà e ricoprì l’incarico di ministro per gli italiani all’estero fino al 2006.
A questo periodo risale la sua battaglia politica per l’estensione del diritto di voto agli italiani che vivono all’estero, che ha comportato la modifica di tre articoli della Costituzione.
Norme che debuttarono nelle politiche del 2006.
Sempre vicino a Fini, Tremaglia seguì il presidente della Camera in Futuro e libertà nel luglio del 2010.
Già da tempo esprimeva giudizi molto critici nei confronti di Berlusconi.
Le reazioni.
“Perdo un grande amico, politico e personale”, dice il Presidente della Camera Gianfranco Fini, “un italiano generoso e appassionato, parlamentare esemplare e rigoroso, uomo politico coerente e dinamico”.
“La comunità nazionale deve molto a Tremaglia, a partire dalla legge che ha consentito l’esercizio del diritto di voto dei nostri connazionali all’estero”.
“Tremaglia – prosegue Fini – ha offerto alla politica italiana il contributo della sua forte idealità , del suo alto rigore morale, della sua intensa dedizione ai valori della Nazione e della libertà .
Per il ministro degli esteri, Giulio Terzi, Tremaglia “si era interamente dedicato alla causa degli italiani nel mondo, alla difesa ed alla proiezione dell’italianità nel mondo, della cultura e dei valori del nostro paese. Si era affermato come insostituibile punto di riferimento delle nostre comunità all’estero in tutti i continenti contribuendo attivamente, con la promozione delle necessarie modifiche normative, all’attribuzione agli italiani all’estero del fondamentale diritto di voto. Una figura storica che ha espresso e difeso nel modo più alto e significativo i valori dell’italia positiva, lavoratrice ed orgogliosa di sè”.
Per il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, “per tutti coloro che hanno vissuto la storia della destra è stato un esempio di amore per l’Italia, di senso istituzionale ed è colui che ha dato voce e dignità a tutti gli italiani nel mondo. Oggi tutti gli italiani, a prescindere dal colore politico, non possono non piangere la sua scomparsa”.
Per il leader Udc Pier Ferdinando Casini, “la politica sentirà la mancanza di un uomo scomodo”.
Un abbraccio ai familiari da parte di tutta la Comunità genovese di “Destradipopolo” e “Liguria Futurista”.
“TERUN” AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, CORI DI “VAFFANCULO” AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, MINACCE DI SECESSIONE “CON LE BUONE O CON LE CATTIVE”: A BERGAMO VA IN SCENA L’OSTERIA DELLA FECCIA LEGHISTA
Insulti, fischi e grevi ironie. Alla “Berghem Frecc” va in scena il peggio della Lega non più di governo che cerca di rinverdire agli occhi dei militanti l’immagine della “Lega di lotta”.
Obiettivi dello stato maggiore del Carroccio il premier Mario Monti ma soprattutto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, colpevole di aver fatto nascere il governo dei professori e di aver spinto sulle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
A dare il “la” agli attacchi è stato in prima persona il leader leghista, Umberto Bossi, che ha chiesto ai militanti che gremivano il palazzetto di Albino di “mandare un saluto al presidente della Repubblica”: è partita una lunga serie di fischi, proseguita con un gruppo di leghisti che dal fondo ha scandito all’indirizzo del presidente del Consiglio lo slogan ‘Monti vaffa…’: “Magari gli piace”, ha osservato ridendo l’ex ministro delle Riforme dal palco.
“Il presidente della Repubblica – ha detto il Senatur dal palco – è venuto a riempirci di tricolori, sapendo che non piacciono alla gente del nord”.
Secondo Bossi, che ha fatto riferimento alle guerre per l’unità nazionale “tutti i giovani morti stavolta sparerebbero dall’altra parte”.
Quanto al governo di Mario Monti, il Senatur ha tenuto a sottolineare che “è stato voluto e messo lì dal presidente della Repubblica, non ce ne dimenticheremo”.
Da chi gli stava vicino sul palco è arrivata anche una voce che indicava le origini partenopee di Napolitano: “Non sapevo che l’era un terun”, ha chiosato il leader del Carroccio.
Bossi ne ha avuto anche per l’ex premier Silvio Berlusconi, definito “fedele alleato” di Monti nel realizzare “quello che dice la sinistra”.
Una bacchettata anche per l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, indicato da più parti come in rotta con il Pdl e sempre più vicino al Carroccio.
Secondo Bossi, Tremonti avrebbe sbagliato a introdurre l’8 per mille per la Chiesa, “perchè poi ci si dimentica la vera missione dei preti. Roma è piena di furbacchioni – ha aggiunto – non solo la politica ma anche il Vaticano”.
Quindi un nuovo riferimento alla secessione, anche se Bossi ora preferisce chiamarla “indipendenza”: “Noi dobbiamo andare a Milano a confermare che con le buone o le meno buone che Padania sarà : adesso ci siamo rotti le balle”. ha detto il Senatur riferendosi alla manifestazione contro il governo indetta dal Carroccio per il 22 gennaio nel capoluogo lombardo.
Chissà se la magistratura leggerà i resoconti giornalistici della serata da osteria e riterrà finalmente di intervenire con le dovute denunce per vilipendio o farà finta di nulla.
E se saranno felici certi elettori di “presunta destra”, sempre pronti ad allearsi con una feccia che in altre parti d’Europa nessuno ha mai osato portare al governo: giusto Berlusconi poteva farlo, in cambio dell’impunità garantitegli dalle leggi ad personam che i leghisti erano sempre pronti a sottoscrivere.
NELLA “COMMISSIONE DI STUDIO SULLA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE” CREATA DAL MINISTRO PATRONI GRIFFI C’E’ ANCHE L’AVV. SPANGHER, CONSULENTE DI LONGO E GHEDINI NEI PROCESSI PREVITI, IMI SIR E MONDADORI PROPRIO PER CORRUZIONE GIUDIZIARIA
Nella Prima Repubblica si diceva che il modo migliore per non risolvere un problema era creare una commissione d’inchiesta.
Anche in America l’anchorman Milton Berle sosteneva che “una commissione è un gruppo che risparmia minuti e perde ore”.
E Richard Harkness ha scritto sul New York Times: “Dicesi commissione un gruppo di svogliati selezionati da un gruppo di incapaci per il disbrigo di qualcosa di inutile”.
Ora, lungi da noi pensar male della “commissione di studio sulla trasparenza e la prevenzione della corruzione” creata da Filippo Patroni Griffi, ministro della Pubblica amministrazione per emendare la legge anticorruzione varata il 1°marzo 2010 dal governo B. e da allora inabissata nelle secche della Camera.
Tanto più che il ministro dichiara a Repubblica che la lotta alla corruzione “è una priorità della nostra agenda” e scopre persino che “vanno ratificate al più presto le convenzioni”anticorruzione di Strasburgo (dal 1999).
Solo che fra i membri del sinedrio, accanto al giudice Cantone, al consigliere della Corte dei conti Granelli, ai prof. Mattarella e Merloni, c’è pure il prof. avv. Giorgio Spangher.
Che, salvo casi di omonimia, fu membro del Csm in quota Forza Italia dal 2002 al 2006, avallando tutte le leggi vergogna del governo B.; ma soprattutto fu consulente retribuito degli avvocati di B. nel processo Ruby e dei coimputati di Previti nei processi Imi-Sir e Mondadori. Processi questi ultimi per corruzione giudiziaria, per i quali Spangher firmò tra il 2001 e il 2002 tre luminosi pareri pro veritate contro i giudici milanesi come consulente privato; e subito dopo, come presidente della commissione del Csm, aprì una pratica per trasferire per incompatibilità ambientale Ilda Boccassini e Gherardo Colombo sulla scorta delle ispezioni scatenate da B. Qualcuno adombrò il conflitto d’interessi, ma Spangher replicò serafico: “Ho dato quei pareri, ma senza guardare le carte”.
Nei primi due, stilati nel 2001 per conto di Rovelli jr. e di Giovanni Acampora (l’uno poi condannato e prescritto in Cassazione, l’altro condannato definitivo), Spangher sosteneva che i rinvii a giudizio erano nulli per “vizio assoluto e oggettivo”, dunque si imponeva “la regressione processuale per tutti gli imputati” (Previti compreso) alla casella di partenza.
Il Tribunale fu di diverso parere.
Sfumate le manovre per azzerare il processo, partirono quelle per trasferire a Brescia i casi Imi-Sir, Mondadori e Sme con l’apposita legge Cirami.
Anche lì Spangher, consulente multiuso, si rivelò prezioso, con un nuovo parere del 2002: “Ho esaminato le richieste dei signori Rovelli nonchè di Silvio Berlusconi, Verde, Pacifico, Previti”, scriveva.
E concludeva che l’intero Tribunale di Milano era gravato da un legittimo sospetto “non eliminabile con normali misure”.
Spangher si avventurava in arditi paralleli fra la Milano del 2002 e l’Italia dei“processi post-bellici ai collaborazionisti” dei fascisti.
Descriveva un clima preinsurrezionale (“lacerazione e frattura del tessuto sociale, istituzionale, politico,economico”), in cui “agli imputati è impossibile esplicare pienamente i diritti processuali”.
Colpa del“resistere resistere resistere” di Borrelli, dei terribili Girotondi e del “contrasto istituzionale del ministro con il Csm”.
La Cassazione si fece una risata e lasciò i processi a Milano.
Ma, pochi mesi fa, riecco Spangher al fianco di Longo e Ghedini con un bel parere pro veritate per bloccare sul nascere il processo Ruby in quanto, com’è noto, la giovine era la nipote di Mubarak, dunque la telefonata di B. in questura avvenne nell’esercizio delle funzioni di premier, ergo era di competenza del Tribunale dei ministri.
Non contento, il prof si fece audire dalla Camera per sostenere il conflitto di attribuzioni alla Consulta contro i giudici di Milano che si ostinano a processare B.
Ora, per conto del governo “tecnico”, studia il miglior modo di prevenire e reprimere la corruzione”.
Siamo in buone mani.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)