Gennaio 31st, 2012 Riccardo Fucile
DA ANNI NEI CASSETTI PROPOSTE PER ADEGUARSI AI MODELLI EUROPEI
Potrebbe sembrare una bella sforbiciata, ma nulla in confronto alla vera questione: la mancanza di trasparenza nel finanziamento dei partiti.
Per non parlare dei costi abnormi delle strutture e degli apparati.
Tanto tuonò che alla fine piovve. Resta soltanto da vedere se si tratta di un acquazzone oppure di una spruzzatina.
E soprattutto se i parlamentari non hanno già aperto l’ombrello.
Certo, l’adozione del sistema contributivo per il calcolo dei vitalizi è un cambiamento: anche se sarebbe stato preferibile, e più equo, abolire i vitalizi e calcolare i relativi periodi contributivi ai fini di un’unica pensione.
Certo, un taglio di 1.300 euro lordi al mese potrebbe sembrare una bella sforbiciata, se non si trattasse di una partita di giro: quell’importo altro non sarebbe, a quanto pare, che l’aumento della retribuzione conseguente al passaggio al regime contributivo, che verrebbe sterilizzato girando il di più a un apposito fondo di spettanza degli stessi parlamentari.
Certo, la riduzione del 10% delle indennità di funzione è un segnale: ma riguarda appena una manciata di deputati e senatori.
C’è chi argomenterà che non si può sempre vedere il bicchiere mezzo vuoto.
In un mondo nel quale per anni si è giocato a rimpiattino, fingendo di fare i sacrifici mentre in realtà i privilegi aumentavano, la semplice applicazione del contributivo per i vitalizi è una misura scioccante.
Per quanto non assolutamente paragonabile, dal punto di vista degli effetti finanziari, al tetto delle retribuzioni degli alti dirigenti pubblici che Mario Monti è riuscito a imporre.
Ma va detto, con forza, che ancora una volta il problema più macroscopico non è stato risolto.
La somma destinata al pagamento degli assistenti parlamentari, finora versata a forfait senza bisogno di esibire i contratti o le pezze d’appoggio, dovrà adesso essere rendicontata per il 50%.
L’altra metà continuerà ad affluire senza giustificativi nelle tasche degli onorevoli. Parliamo di 1.845 euro al mese per i deputati e 2.090 per i senatori.
Tutto ciò fin quando non sarà individuata una soluzione definitiva.
Quale? «Regolarizzare la figura dell’assistente parlamentare, spesso registrato come colf o autista, e dargli una dignità sul modello europeo.
Con qualifiche e uno stipendio determinato per legge, pagato direttamente dal Parlamento», aveva detto uno dei tre questori, il pidiellino Antonio Mazzocchi. Semplicissimo da fare: basta copiare Strasburgo.
Ma qui da noi è molto più facile da dire.
Ora ci spiegano che servirà una legge, sebbene proposte che vanno proprio in questa direzione giacciano da anni a Montecitorio e palazzo Madama. Sepolte nei cassetti. Una per tutte, il disegno di legge presentato dai tre questori del Senato Romano Comincioli (deceduto qualche mese fa), Benedetto Adragna e Paolo Franco il 21 aprile 2009, quasi tre anni fa.
Perchè non è mai stata messa all’ordine del giorno?
Il motivo è lo stesso che fa andare avanti su questa vicenda una indecorosa melina: i partiti non vogliono perchè i soldi destinati alla retribuzione dei collaboratori parlamentari finiscono anche nelle loro casse.
Una forma di finanziamento surrettizio della politica, che suona come una beffa per chi paga le tasse, dato che su quei contributi c’è uno sgravio fiscale del 19%.
Un esempio concreto? Il deputato Tizio versa al partito 2.000 euro al mese prelevandoli dalla somma destinata ai «portaborse».
Il Fisco gliene restituisce 380: ai contribuenti il suo fondo per gli assistenti parlamentari viene quindi a costare non più i 3.690 euro mensili dichiarati, bensì 3.690+380 = 4.070.
Ecco perchè le sforbiciatine agli stipendi sono nulla in confronto alla vera questione: la mancanza di trasparenza nel finanziamento dei partiti, che questa vicenda apparentemente marginale mette brutalmente in luce.
Un’opacità arrogante, che alimenta corruzione e altri comportamenti riprovevoli.
Per non parlare dei costi abnormi delle strutture e degli apparati.
Si può allora dare in pasto alle folle urlanti un taglio furbetto alle indennità , spacciandolo per un doloroso salasso.
Ma finchè non si sarà stabilito che un commesso della Camera non può guadagnare come un manager e che la politica si deve finanziare in modo equo e trasparente non si sarà fatto ancora niente.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Gennaio 31st, 2012 Riccardo Fucile
INDAGATO LUSI: NOVANTA BONIFICI A SE STESSO E IMMOBILI DI PRESTIGIO, DENARO ALLO STUDIO DELLA MOGLIE COME “CONSULENZA”…. IL PARLAMENTARE PD HA GIA’ CONFESSATO E PROMESSO DI RESTITUIRE I SOLDI
La Procura di Roma e la Finanza scoperchiano dopo due mesi di lavoro un brutto affare che ha a che vedere con la passione della Politica per il “mattone” e il denaro contante.
Che svela singolari amnesie sul rendiconto patrimoniale dei partiti e, da ieri sera, agita assai il Pd e l’ex Margherita.
Il procuratore aggiunto Alberto Caperna ha infatti iscritto al registro degli indagati il senatore del Partito Democratico Luigi Lusi per il reato di appropriazione indebita.
Con un’accusa che lo vede per giunta “reo confesso” e lo vuole responsabile di aver sottratto per interessi “privatissimi” e “immobiliari” poco meno di 13 milioni di euro dal conto del partito di cui era il tesoriere (la Margherita), in cui era continuato ad affluire fino al 2008 denaro pubblico, e su cui aveva conservato diritto ad operare con l’ex segretario Francesco Rutelli.
È una storia che comincia nel novembre scorso.
Con una segnalazione della Banca d’Italia di movimenti sospetti sul conto corrente bancario intestato a “Democrazia e Libertà – Margherita”, partito che, nell’ottobre del 2007 è confluito nel Pd, ma che è sopravvissuto come fondazione e ha dunque conservato i suoi asset.
I movimenti segnalati da Bankitalia sono decisamente consistenti per un partito che ha cessato di esistere e dunque dovrebbe presentare un profilo finanziario “conservativo”.
Tra il gennaio del 2008 e l’agosto del 2011, si contano infatti 90 bonifici in uscita per un totale di 12 milioni 961 mila euro.
Tutti con un identico beneficiario – la “T. T. T. srl.” – e una medesima quanto assai curiosa causale: “Prestazioni di consulenza”.
Di più: quei quasi 13 milioni, oltre ad essere una gran bella somma, sono, soprattutto, denaro pubblico perchè – per quanto ricostruisce la Finanza – sul conto della ex Margherita sono affluiti gli ultimi rimborsi elettorali riconosciuti al Partito (2008) e versamenti del Pd.
C’è insomma, materia per indagare.
E andare a fondo sui 90 bonifici partiti da quel conto su cui risultano avere delega ad operare (ancora oggi) Luigi Lusi e Francesco Rutelli, rispettivamente ex tesoriere ed ex segretario del Partito.
Ebbene, la prima “scoperta” è illuminante.
La “T. T. T. srl”, destinataria dei 12 milioni 961 mila euro, è una società – accerta l’inchiesta – “direttamente riconducibile a Luigi Lusi”.
Oggi senatore Pd, ma di professione – il dettaglio è cruciale – “avvocato penalista” specializzato in “contratti d’affari e real estate” (così recita la sua biografia ufficiale di parlamentare).
La causale che vuole la “TTT” società di consulenza della disciolta Margherita appare dunque la grossolana foglia di fico necessaria a giustificare il trasferimento di fondi da un conto di cui Lusi è amministratore ad un altro di cui è proprietario.
Una circostanza – accerta ancora l’indagine – che si rafforza quando l’inchiesta accerta come la “TTT” abbia impiegato il denaro proveniente dal tesoro della Margherita.
La società risulta infatti lavorare nel business di cui Lusi tiene a segnalare la competenza, il real estate.
E infatti – documenta la Finanza – la srl. acquista un prestigioso immobile a Roma, in via Monserrato 24, per 1 milione e 900 mila euro; bonifica in due distinte occasioni, 1 milione 863 mila e 2 milioni 815 mila euro alla “Paradiso Immobiliare”.
C’è di più.
Con il denaro pubblico “succhiato” dal conto della Margherita, la “TTT” bonifica 270 mila euro alla “Luigia Ltd.”, società di diritto canadese, “riconducibile allo stesso Lusi”; gira 49 mila euro sul suo conto personale e 60 mila su quello del suo studio legale a titolo di “fondo spese”. Mentre impiega 5 milioni e 100 mila euro di quel “tesoro” per saldare imposte che, evidentemente, non sono quelle dovute al Fisco dal disciolto Partito.
Oltre a destinare 119 mila euro allo studio di architettura “Giannone-Petricone” di Toronto (Canada).
Una coincidenza definitivamente rivelatrice, visto che l’architetto canadese Pina Petricone è la moglie di Lusi.
Travolto dalle evidenze raccolte dall’inchiesta, l’ex tesoriere della Margherita, interrogato dal procuratore aggiunto Caperna, ha ammesso l’accusa che gli viene mossa.
Si è assunto per intero la responsabilità della distrazione dei fondi. Si è impegnato a “restituire in tempi brevissimi” il denaro che ha sottratto al partito.
Ma a quanto pare la sua confessione non necessariamente chiuderà l’inchiesta.
Resta infatti ora da comprendere – ed è questione cruciale – come sia stato possibile che nessuno, a cominciare dall’ex segretario, Rutelli, abbia mai avuto sentore, per altro in un arco di tempo così lungo (2008-2011), delle operazioni che Lusi faceva sul conto del partito.
E ancora, come sia stato possibile dissimulare quell’emorragia di denaro (13 milioni di euro) dai rendiconti di bilancio.
Rutelli, che è stato sentito dalla Procura in qualità di persona informata dai fatti (una testimonianza durante la quale avrebbe spiegato di essere stato all’oscuro di quanto Lusi combinava), ha spiegato ieri sera di non poter entrare nel merito della questione, perchè tenuto al “rispetto del segreto istruttorio”.
Carlo Bonini
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
CHIUDONO ANCHE 5.000 EDICOLE, MERCATO IN AGONIA… OGNI ANNO SI PERDONO 100 MILIONI DI EURO… SI VENDONO 4,7 MILIONI DI COPIE, COME NEL 1939
Le previsioni sono brutte per chiunque, anche per chi le racconta.
Crolla il prodotto interno lordo, crolla il mercato dei quotidiani e dei periodici: si polverizza, lentamente.
Otto anni fa, le vendite in edicola generavano introiti per 4,8 miliardi di euro, quest’anno riuscire a galleggiare sui 3 miliardi sarebbe un successo.
La tendenza preoccupa quelli che seguono le curve sui grafici che tratteggiano uno scenario drammatico: ogni dodici mesi si perdono circa cento milioni di euro, un ritmo che si ripete dal 2004 e sarà costante (almeno) nei prossimi tre anni.
Un recente studio fotografa la recessione di un intero settore: che comincia nelle redazioni, prosegue nelle tipografie e finisce nelle edicole.
Un effetto domino che rispedisce i giornali al passato di lastre piombate e telegrafi di periferia: si vendono 4,7 milioni di copie al giorno come nel ’39. Vanno male persino i collaterali (libri, dischetti, francobolli, modellini), ostinata moda e fonte di salvezza negli anni 80: quest’anno avranno un giro d’affari di 350 milioni di euro, sette anni fa superavano il miliardo.
La filiera perde pezzi e posti di lavoro: i distributori locali erano 168 nel 2004, scesi a 109 nel 2011; le edicole erano 35.500 nel 2004 e adesso ne mancano 5.000 all’appello.
Non c’è un segno positivo che possa risollevare il morale e, soprattutto, i bilanci aziendali.
La pubblicità si trasferisce in massa verso le tv, e ignora la carta: le maggiori 200 aziende italiane e straniere, che investono quasi 4 miliardi l’anno, spendono l’8,5 per cento per i quotidiani, il 10 per cento per i periodici, lo 0,67 per la free press, ma il 60 per cento è riservato alle televisioni.
Prima di lasciare la scrivania per una vacanza pagata a sua insaputa, l’avvocato Carlo Malinconico, sottosegretario per l’Editor ia, pensava di creare un cervellone elettronico per le 30.500 edicole superstiti: un sistema digitale per scoprire, in tempo reale, dove scarseggiano copie e dove abbondano.
La riforma poteva ridurre sprechi di carta e di trasporto e aiutare le aziende a migliorare il prodotto offerto e la presenza sul mercato.
Il governo suggeriva ai quotidiani che ricevono il contributo pubblico di abbandonare la carta stampata per traslocare su internet.
Il problema è il solito, però: anche in rete la pubblicità scarseggia, decine di siti d’informazione si dividono il 4,8 per cento di un mercato dominato dal televisore, cioè un paio di centinaia di milioni di euro l’anno.
Le società che editano quotidiani e periodici possono guadagnare in due modi: pubblicità o vendite.
La giostra pubblicitaria gira sempre nella stessa e identica direzione, e dunque favorisce le concessionarie di Mediaset (in particolare), Rai (in diminuzione), La7 (in crescita).
Il circuito di vendite è come un esercito a ranghi ridotti: meno distributori, meno edicole.
Un esercito debole farà fatica a vincere la battaglia per la sopravvivenza.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
I MECCANISMI DI RAFFORZAMENTO PATRIMONIALE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO GRAZIE AI PRESTITI DELLA BCE E ALLE ELARGIZIONI DI FRANCOFORTE… FONDI CHE DOVEVANO INVECE ANDARE A RAFFORZARE IL SETTORE DEI PRESTITI ALLE IMPRESE
Come verranno impiegati questi soldi? I banchieri ne parlano malvolentieri, ma non è un mistero che buona parte della liquidità servirà a sottoscrivere Bot e Btp.
Il governo, sempre a caccia di sottoscrittori del debito pubblico, non può che apprezzare questa scelta.
E, per di più, l’operazione fa bene anche al conto economico degli istituti, visto che la liquidità ottenuta all’1 per cento viene impiegata in titoli con rendimento ben superiore.
E non finisce qui: di recente le banche hanno trovato anche un altro modo molto redditizio per utilizzare la montagna di soldi piovuta in cassa grazie alla Bce.
Questa volta i prestiti di Francoforte servono a comprare, o meglio a ricomprare, le obbligazioni a suo tempo collocate dagli stessi istituti di credito .
Funziona così.
In circolazione ci sono bond per miliardi delle maggiori banche che hanno quotazioni molto lontane dalla parità .
Poniamo, per esempio, 90. Se l’istituto li acquista, si assicura per 90 ciò che fra qualche anno avrebbe dovuto rimborsare a 100. Il guadagno è quindi pari al 10 per cento. In più, molto spesso, i titoli già sul mercato hanno caratteristiche tali che in un futuro prossimo non potranno più essere utilizzati per il calcolo dei ra t i o s patrimoniali di vigilanza.
Di conseguenza, se queste obbligazioni vengono ricomprate e cancellate, poi possono essere sostituite con altri bond che invece, a differenza delle altre, servono a migliorare i requisiti di patrimonio:
Tutto facile, facilissimo, soprattutto se le banche sono in grado di mettere in campo un arsenale con miliardi di euro da spendere.
Per primo è partito Unicredit, che ha chiuso con successo il suo maxi aumento di capitale da 7,5 miliardi.
L’istituto guidato da Federico Ghizzoni ha annunciato che comprerà 3 miliardi di proprie obbligazioni.
Nelle prossime settimane, se arriverà il via libera da Bankitalia, la stessa strada potrebbe essere seguita anche da altre banche come Ubi, Banco Popolare, Monte dei Paschi.
In palio ci sono profitti per centinaia di milioni.
Unicredit, per esempio, potrebbe riuscire a guadagnare poco meno di 500 milioni.
E in tempi di bilanci non proprio brillanti quei soldi fanno molto comodo.
E il denaro per ridare fiato alle aziende? A quello i banchieri ci penseranno più avanti.
Magari dopo il prossimo finanziamento targato Bce.
A meno che anche quella non sia “liquidità sostitutiva e non aggiuntiva”, per dirla con l’Abi.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO CONVOCA TUTTI I 24 RESPONSABILI DEI DIPARTIMENTI…VOCI DI CAMBI ECCELLENTI AL MINISTERO DELL’ECONOMIA
La “dieta Monti” colpisce anche Palazzo Chigi, per anni rimasto al riparo dalle sforbiciate decise nelle manovre e rifugio dorato per centinaia di impiegati “comandati” da altre amministrazioni.
L’ordine del premier a tutti i 24 capi dipartimento di «diretta collaborazione» è stato infatti drastico: «Avete due mesi di tempo per tagliare il 50% dei consulenti esterni».
Un colpo di scure netto alle consulenze d’oro, che fino al 31 dicembre erano oltre cento, primo passo di quella «spending review» avviata nei giorni scorsi che dovrebbe prendere corpo in un’imminente direttiva del premier su quanto, come e dove spendere.
E dove invece, ovviamente, «tagliare».
Sono giorni di grande tensione negli uffici di piazza Colonna della Presidenza del Consiglio e non solo per la pletora di consulenti pagati a caro prezzo.
Proprio mentre preparava il decreto “Cresci-Italia” Monti ha infatti avviato un’altra operazione, di ripulitura dei propri uffici.
Senza darne pubblicità , ha convocato uno a uno tutti i capi dei dipartimenti e ha iniziato l’esame diretto dei dirigenti.
«Berlusconi – riferisce un funzionario del palazzo – nemmeno li conosceva, delegava tutto a Gianni Letta. Ora Monti vuole vedere in faccia chi lavora per lui».
Così, con discrezione, i 24 potenti capi dipartimento sono stati convocati nell’ufficio del premier e si sono trovati di fronte una commissione esaminatrice: oltre a Monti, il sottosegretario alla presidenza Antonio Catricalà e il segretario generale Manlio Strano. Le domande del professor Monti e dei suoi assistenti?
Molte, cominciando da quali progetti sono in cantiere a (soprattutto) quanto ciascun dirigente intende risparmiare rispetto al 2011 e come.
Con una pesante ipoteca.
In caso di bocciatura Monti, in base alla legge sullo spoil system, potrebbe infatti rimuovere il capo ufficio ritenuto «unfit», inadeguato a ricoprire quel ruolo.
Arrivando persino a chiudere e accorpare qualche dipartimento.
Ed è proprio questa la strada che, stando agli spifferi del palazzo, il premier sembra voler adottare.
Gli “esami” dei 24 capi dipartimento si concluderanno questa settimana, al ritorno di Monti da Bruxelles.
E intanto la presidenza del Consiglio nei giorni scorsi ha tenuto a precisare che il bilancio 2012 prevede una riduzione di circa 270 milioni rispetto al precedente.
Difficile comunque fare peggio della gestione Berlusconi.
Dato che, secondo le tabelle Istat contenute nell’annuario statistico, i dipendenti della presidenza tra il 2009 e il 2010 hanno percepito il maggior rialzo di stipendio, vedendo aumentare le loro retribuzioni del 15,2%.
Ma Palazzo Chigi non è l’unico centro di potere che sta per essere rivoluzionato.
Rumori si avvertono anche all’Economia, dove sembra che stia per finire l’era dell’onnipotente Vincenzo Fortunato, il cardinal Richeliu di Tremonti, l’uomo contro cui si sono scontrati (invano) decine di ministri di spesa.
Al tempo si diceva che «Tremonti regna ma è Fortunato che governa».
Il fatto è che il viceministro Vittorio Grilli, astro nascente del governo (si parla di una sua imminente nomina a ministro dopo l’interim di Monti) sembra sia ormai ai ferri corti con il capo gabinetto.
E, tra i due, a soccombere sarà proprio Fortunato, che dal 2001 siede inamovibile sulla stessa poltrona.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
SENZA L’ACCORDO CON LA “MEZZA CALZETTA” BERLUSCONI, IL CARROCCIO PERDEREBBE LE POLTRONE IN CITTA’ CHIAVE COME MONZA, COMO E SESTO CALENDE
Lega e Popolo delle libertà divisi alle elezioni amministrative?
I numeri dicono che la corsa solitaria non conviene a nessuno dei due. Così sono sempre di più gli osservatori che puntano sull’accordo in extremis.
In queste settimane Umberto Bossi sta facendo la voce grossa contro l’ex alleato Silvio “mezza calzetta” Berlusconi, minacciando addirittura il Pdl di far cadere la giunta lombarda qualora l’uomo di Arcore non si decida a staccare la spina al governo Monti.
Parole urlate dal palco della grande manifestazione leghista del 22 gennaio e ribadite in ogni occasione utile dai colonnelli in missione sul territorio.
Il tutto mentre Roberto Maroni non perde occasione per esprimere l’auspicio di una corsa separata dagli ex alleati in tutte le città che andranno al voto a maggio, anche a costo di perdere: “Perchè quello che conta è riaffermare l’identità leghista e diventare il partito egemone del nord, senza più compromessi”.
Mentre la Lega sbraita, raccogliendo la crescita nei sondaggi e l’entusiasmo della base (che non ha mai visto con favore l’alleanza con i berluscones), l’ex premier si frega le mani ostentando sicurezza.
I bene informati riferiscono infatti che Berlusconi è sicuro che alla fine il rapporto con l’amico Bossi verrà recuperato e l’accordo per le amministrative sarà raggiunto, se non dappertutto, quasi ovunque.
L’unica vera incognita resta Verona, dove il sindaco Flavio Tosi, forte di un consenso altissimo, sta puntando i piedi spingendo per presentarsi alle urne sotto il simbolo della Lega e quello dalla sua lista civica.
Una situazione che sta innervosendo, oltre al Popolo delle Libertà , anche il segretario nazionale veneto del Carroccio, Giampaolo Gobbo (ma, come recitava uno striscione alla manifestazione milanese: “Il Veneto no xe Gobbo, il veneto xe Tosi”).
Eccezione scaligera a parte, l’asse del nord sembra destinato (per forza o per amore) a essere rinsaldato, pena la consegna delle amministrazioni “padane” nelle mani del centro sinistra.
Un fatto con cui Lega e Pdl dovranno fare i conti in tutto il nord Italia.
In Veneto si vota anche a Belluno, dove Pdl e Lega non hanno altra scelta se non quella di chiudere un accordo se vogliono restare alla guida dell’amministrazione cittadina e di quella provinciale.
Si vota anche a Monza, dove si sente forte l’influenza di Silvio Berlusconi, che sta monitorando le vicende politiche locali tramite il suo uomo di fiducia Francesco Mangano (appositamente nominato coordinatore).
Il tutto mentre la Lega sembra intenzionata a puntare sulla candidatura del sindaco uscente Marco Mariani, nonostante gli scetticismi interni e l’eredità pesante del fallimento dei ministeri del nord di Villa Reale.
A Sesto San Giovanni, roccaforte rossa, la corsa in tandem sembra obbligatoria per abbattere la Stalingrado d’Italia.
Dubbi e tentennamenti tra correnti, stanno ritardando l’accordo, così anche a Como. Tra le realtà minori merita attenzione Cassano Magnago (Varese), città natale del Senatùr, amministrazione da 20 mila abitanti, dove il Pdl è già pronto e la Lega non ha un candidato presentabile.
Anche qui l’alleanza sembra inevitabile.
A Genova i problemi sono tutti interni al Pdl, qui l’ex liberale Enrico Musso ha annunciato la corsa in solitaria e il resto del partito sta cercando di orientarsi.
Il Carroccio intanto reclama la candidatura di un proprio uomo (a questo proposto circolano i nomi di Edoardo Rixi, Francesca Bruzzone e Alessio Piana).
Se a Genova Pdl e Lega dovessero rompere ne risentirebbero inevitabilmente le giunte delle altre città liguri guidate dall’asse (Imperia, Savona, Albenga e Diano Marina). Sulla Liguria incombe inoltre anche la presenza di Claudio Scajola, uomo forte del Pdl, che potrebbe rientrare in gioco facendo l’asso piglia tutto (magari stringendo accordi con Casini e Fini).
In Piemonte si vota ad Alessandria e Cuneo, anche qui non c’è ancora nulla di definito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
NON SONO I CENTRI DEL COMPLOTTO GLOBALE, MA LàŒ SI PREPARANO I GRANDI CAMBIAMENTI… E NON SEMPRE CON SUCCESSO
1996. Il giornalista Daniel Estulin racconta di aver incontrato La Fonte in un albergo di Toronto. Quando si salutano, Daniel fa per prendere l’ascensore.
Attento!”, lo ferma La Fonte. Le porte si erano aperte, ma la cabina non era al piano, Estulin si sarebbe sfracellato decine di piani più sotto. Guasto tecnico?
No, un messaggio: guai a indagare sul club Bilderberg, giura Estulin.
Se volete capire cosa succede dentro il Bilderberg, o negli altri incontri a porte chiuse più famosi, dalla Commissione Trilaterale all’Aspen al Forum di Davos, in Svizzera, libri come Il club Bilderberg – La storia segreta dei padroni del mondo di Daniel Estulin (Arianna Editrice) non vi servono a molto.
Ma se vi piacciono le teorie del complotto, allora la lettura vi darà qualche soddisfazione. Ammettiamolo: Estulin e gli altri animatori di migliaia di siti e forum on line non sono mai riusciti a scoprire cosa si dicano i grandi della Terra nei loro conciliaboli riservati.
Ma hanno molte ipotesi, tutte rigorosamente prive di riscontri: dividere il Canada, o anche fonderlo con gli Usa, far trionfare il capitalismo, ma anche, perchè no, distruggerlo speculando, inventare l’euro o abbatterlo.
Il lavoro di questi “giornalisti d’inchiesta” non è mai andato molto oltre la lista dei partecipanti e qualche foto col teleobiettivo.
Ma da quando Mario Monti, frequentatore sia del Bilderberg che della Trilaterale, è al governo, queste teorie hanno trovato nuova vita.
“Sono grandi network globali, servono soprattutto a conoscere persone altrimenti poco accessibili. Si creano culture che possono avere sul lungo e medio periodo un impatto molto forte, ma non si tratta del governo mondiale”, spiega Mattia Diletti, un politologo della Sapienza specializzato nello studio dei think tank.
Ci sono diverse cerchie di segretezza: Davos è il più accessibile, il Bilderberg il più riservato, “alimentare il mito del proprio potere è un modo per rassicurare i membri di appartenere a club esclusivi”, dice Diletti.
Davos, anzi il “World Economic Forum”, è un’invenzione di Klaus Schwab, un ingegnere svizzero che ha studiato ad Harvard.
Nel 1971 torna in Svizzera e da allora organizza un summit invernale che ha due livelli: quello delle tavole rotonde, trasmesse in streaming sul sito, e gli incontri informali.
“Quello che conta è ciò che succede nei corridoi e il vertice si è evoluto negli anni in modo da favorire questi colloqui”, scrive in Superclass (Mondadori) David Rothkopf, ex managing director della società di consulenza strategia di Henry Kissinger, assiduo frequentatore di tutti i summit riservati.
A Davos, nel 1995, Shimon Peres e Yasser Arafat poterono parlare di Gaza al riparo da occhi indiscreti, nel 2003 il ministro inglese Jack Straw potè incontrare a tu per tu il leader iraniano Mohammad Khatami.
E sempre a Davos, come ricostruisce Rothkopf, fu preparata la vittoria di Boris Yeltsin nella Russia postsovietica.
Il bene prezioso, insomma, è proprio la riservatezza di questi summit.
E quello che meglio la garantisce è senza dubbio il club Bilderberg, nato in piena Guerra fredda nel 1954 per iniziativa del principe olandese Bernhard van Lippe-Biesterfeld, è diretto dal 1998 dall’ex commissario europeo à‰tienne Davignon.
Negli anni le riunioni del Bilderberg sono state individuate come le incubatrici del golpe del 1974 in Portogallo, dell’ascesa di Bill Clinton e Tony Blair, o di speculazioni valutarie.
Esagerazioni? Di certo le informazioni che si scambiano in questi consessi hanno un valore notevole, altrimenti non si spiegherebbe perchè gli uomini più potenti del mondo dedichino tanto del loro prezioso tempo a questi raduni.
Grazie a Wikileaks sappiamo qualcosa di come funzionano le riunioni del Bilderberg.
Il sito di Julian Assange ha pubblicato i verbali di alcune riunioni, del 1955, del 1963 e del 1980.
Nei verbali non è mai indicato chi parla, ma il dibattito parte sempre dalla presentazione di un paper che poi viene commentato.
I temi sono quelli che si possono immaginare, dalla sicurezza nucleare agli accordi di libero scambio, all’evoluzione delle relazioni internazionali.
La Commissione Trilaterale è più trasparente, sul sito c’è l’elenco dei componenti di questa struttura voluta da David Rockefeller nel 1973 per coordinare i tre vertici del mondo non sovietico, America, Europa e Giappone.
Più le cose si fanno confuse, a partire dagli anni Ottanta, più importanti diventano questi organismi di confronto (e coordinamento).
Al vertice c’è sempre un triumvirato, oggi la casella europea è vuota dopo che Mario Monti si è autosospeso, per gli americani c’è il teorico del soft power, il politologo Joseph Nye e il giapponese Yotaro Kobayashi, numero uno del colosso Fuji Xerox.
La Trilateral è l’organismo meno connotato dal punto di vista del business e più da quello culturale.
Anche qui c’è una certa riservatezza sugli svolgimenti degli incontri, ma i testi di cui si discute sono pubblici.
Come il famoso lavoro del 1975 “The crisis of democracy” firmato da Michel Crozier, Joji Watanuki e Samuel Huntington, il politologo famoso per la teoria dello “scontro di civilità ”. Queste le conclusioni: “Quello che è in crisi oggi non è il consenso sulle regole del gioco, ma il senso dello scopo che si dovrebbe raggiungere partecipando al gioco”.
à‰ la “democrazia anomica”, dove la competizione per il potere “diventa più un’arena per l’affermazione di interessi in conflitto che un processo per il raggiungimento di un proposito comune”.
Se la Trilaterale voleva cambiare il mondo, non sembra esserci riuscita molto.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
LA G.D.F. DI MILANO: “GLI EVASORI SI SCOPRONO PER STRADA, LE VERIFICHE A TAVOLINO NON BASTANO”
Il colonnello Massimo Manucci è il comandante dei Baschi verdi della Guardia di finanza di Milano, Gruppo pronto impiego, cioè controlli sul territorio.
Come quelli dell’Agenzia delle entrate che tanto hanno fatto infuriare i proprietari di auto di lusso a Cortina.
Scene plateali non necessarie, è stata la critica più ripetuta.
Non si potevano fare controlli dall’ufficio? Perchè fermare per strada un Suv, una Maserati, una Ferrari, una Lamborghini.
«Per esempio perchè se ci limitiamo ai controlli dall’ufficio non incappiamo negli evasori totali. Che dati incrocio se sono sconosciuti al Fisco?» semplifica il colonnello Manucci. Non è cosa poi tanto rara, sembra, imbattersi in qualcuno al volante di una Porsche Cayenne che però risulta avere zero reddito come i 7.500 nullatenenti scoperti nel 2011.
Le auto di lusso, quali che siano, sono da sempre «un indicatore di ricchezza che merita attenzione» per dirla con le parole del comandante.
Nel 2011 nel nostro Paese sono state immatricolate 110.855 auto da almeno 2.800 cc di cilindrata.
Impossibile incrociare i dati di tutte con quelli fiscali dei proprietari ma i controlli annuali, nel 2011 come negli anni precedenti, rivelano sempre la stessa situazione: stando alle dichiarazioni dei redditi meno della metà dei proprietari se le potrebbe permettere. Indice, anche questo, di una costante schiera di furbetti che evidentemente non è in regola con quel che dichiara al Fisco.
I trucchi? I prestanome, tanto per dirne uno.
«Immaginiamo un caso concreto» propone il comandante Manucci. «Lei compra una Lamborghini e la intesta a un suo amico perchè non vuole che il Fisco sappia di questa sua proprietà . Noi non ne sappiamo nulla ma un giorno facciamo una verifica fiscale sul suo amico che magari risulta povero ma con quell’auto lussuosa».
Quindi? «Lui ci dice che l’auto è il regalo della sua amante e nulla lo obbliga a dirci il nome. Che possiamo fare? Al massimo un accertamento bancario ma dubito che ci aiuterebbero a capire…».
Altro trucco da furbetti: intestare il Suv o la Ferrari di turno a società estere che hanno sede nei famosi paradisi fiscali e per le quali è praticamente impossibile controllare il reale volume d’affari perchè magari sono sedi fittizie o perchè seguono triangolazioni societarie ricostruibili soltanto con approfondite e lunghissime inchieste giudiziarie.
«Ma proprio partendo dal caso di Cortina si può dire che nemmeno gli evasori sono sempre così complicati» valuta il colonnello dei Baschi verdi.
Spesso chi evade «nasconde una verità semplice, terra terra – considera -. I risultati degli accertamenti di Cortina insegnano che non sempre evasione significa avere una società si comodo all’estero. Che ci sono società stabili, in Italia, il cui volume d’affari è decisamente più basso del costo della Ferrari che guida il titolare dell’azienda, o addirittura è nullo. E questo vuol dire che in quell’azienda e in quel titolare è mancata la cultura di base di un buon contribuente. Vuol dire le solite cose».
Quali solite cose?
«Quelle tipo “guarda che se non fatturo paghi meno”».
Giusi Fasano
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 30th, 2012 Riccardo Fucile
MASSIMO FINI: “L’IMPRESA DIPENDE DAI CREDITI DELLE BANCHE. IL MERCANTE MEDIEVALE INVESTIVA DENARO PROPRIO, NON CHIEDEVA PRESTITI”
Nella società attuale l’impresa è centrale.
Perchè qualsiasi cosa produca, sciocchezze o mine antiuomo come l’Oto Melara o qualcosa di utile, dà lavoro e quindi stipendi o salari che permettono il meccanismo produzione-consumo-produzione (ma oggi sarebbe più esatto dire: consumo-produzione-consumo) su cui si regge tutto il sistema.
Ecco perchè in questa fase di crisi non solo il governo Monti, ma tutte le lead occidentali cercano di sostenere in ogni modo l’impresa a costo di passare per il massacro di chi ci lavora.
L’impresa dipende però dai crediti delle banche per i suoi investimenti.
E qui c’è già una stortura.
Il mercante medievale, che è l’antesignano dell’imprenditore moderno, investiva denaro proprio, non chiedeva prestiti.
E questa buona creanza si è mantenuta a lungo, anche dopo la Rivoluzione industriale, se è vero che nel 1970 Angelo Rizzoli senior sul letto di morte raccomandava al figlio e ai nipoti “non fate mai debiti con le banche” (i discendenti non lo ascoltarono e si è visto com’è andata a finire).
Ma, per la verità , il vecchio Rizzoli era ormai un uomo fuori dai tempi.
Se le imprese dipendono dalle banche noi dipendiamo dalle imprese.
Siamo tutti, o quasi, come scrive Nietzsche, degli “schiavi salariati” che è un concetto più omnicomprensivo del marxiano proletariato che riguarda gli operai di fabbrica. Non siamo più padroni di noi stessi mentre l’uomo medievale, almeno economicamente, lo era.
Perchè, contadino o artigiano che fosse, viveva sul suo e del suo.
Anche i famigerati “servi della gleba”, detti più correttamente servi casati, è vero che non potevano lasciare i terreni del feudatario, ma non potevano neanche esserne cacciati.
La disoccupazione non esisteva. Il lavoro non era un problema. La sussistenza di ciascuno era assicurata dalle servitù comunitarie, cioè a disposizione di tutti, che gravavano sulla proprietà e sul possesso (servitù di legnatico, di acquatico, di seconda erba, eccetera).
Era il regime dei “campi aperti” (open fields) che teneva in un delicato ma straordinario equilibrio il mondo rurale.
Per un secolo e mezzo le case regnanti inglesi dei Tudor e degli Stuart si opposero ai grandi proprietari terrieri che volevano recintare i campi (enclosure) perchè ne avrebbero tratto maggior profitto, capendo benissimo che questo avrebbe buttato milioni di contadini alla fame.
Col parlamentarismo di Cromwell, preludio della democrazia, fu invece introdotta l’enclosure (quei parlamenti erano zeppi di proprietari terrieri, di banchieri, di mercanti e di altri furfanti similari).
Tutti questi processi sono stati enfatizzati dalla trasformazione del denaro, nella sostanza e nella forma.
Da utile intermediario nello scambio per evitare le triangolazioni del baratto (c’è un bel geroglifico egizio che mostra, come in un fumetto, un tale che per procurarsi una focaccia deve fare tre passaggi) diventa a sua volta merce.
All’inizio è oro o argento o bronzo.
Non che l’oro rappresenti davvero una ricchezza, è una convenzione come un’altra (i neri africani e i polinesiani gli preferivano le conchiglie cauri) ma ha almeno una consistenza materiale.
Poi diventa banconota, poi segno su carta, infine impulso elettronico e quindi totalmente astratto.
Per questo enormi masse di tale denaro virtuale possono spostarsi in pochi attimi da una parte all’altra del mondo. Se dovesse spostare dobloni d’oro la speculazione non esisterebbe.
Infine per scendere dalla luna sulla terra non si capisce perchè fra tante misure inutili non si vieta almeno, in Borsa, la compravendita allo scoperto dove uno vende azioni che non ha o le compra con denaro che non possiede, lucrando sulla differenza.
E con ciò gonfiando ulteriormente la quantità di denaro virtuale e facendone una massa d’urto che puntando su un obiettivo lo determina, anche per il trascinamento psicologico che comporta, e può così strangolare paesi e intere aree geografiche.
Massimo Fini blog
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